N. 37 - Gennaio 2011
(LXVIII)
Il Satiro Danzante
Storia di un rinvenimento
di Michele Broccoletti
Nella
primavera
del
1997
un
motopeschereccio
- il
Capitan
Ciccio
-
appartenente
alla
flotta
marinara
di
Mazara
del
Vallo,
ripesca
casualmente
dai
fondali
del
Canale
di
Sicilia,
nel
mare
tra
Pantelleria
e
l’Africa,
una
gamba
bronzea
flessa.
Circa
un
anno
dopo,
precisamente
nella
notte
fra
il 4
ed
il 5
marzo
1998,
lo
stesso
peschereccio,
comandato
dal
capitano
Francesco
Adragna
e di
proprietà
degli
armatori
Asaro
e
Scilla,
riporta
alla
luce
la
scultura
alla
quale
la
gamba
apparteneva.
È
questa
la
sintesi
di
un
pezzo
di
storia
che
riemerge
dal
mare
a
distanza
di
secoli:
ripercorriamo
quindi
le
principali
tappe
di
questo
importante
rinvenimento.
Subito
dopo
il
ritrovamento
della
gamba
bronzea,
la
Soprintendenza
per
i
Beni
Culturali
ed
Ambientali
di
Trapani
si
attivò
immediatamente,
poiché
era
ipotizzabile
che
alla
gamba
si
riferisse
una
statua
di
grandi
dimensioni.
Nel
luglio
del
1997,
nello
stesso
spazio
di
mare
del
rinvenimento
della
gamba,
venne
organizzata,
in
collaborazione
con
la
Capitaneria
di
Porto
di
Mazara
del
Vallo,
una
ricognizione
tramite
sonar
a
scansione
laterale:
dai
risultati
emerse
che
il
tratto
di
mare
era
pesantemente
“arato”
dalle
reti
a
strascico.
Su
questo
fondale
piatto
vennero
isolati
alcuni
“target”,
ovvero
alcuni
elementi
non
pertinenti
al
fondale
marino
e
definibili
come
masse
anomale,
anche
metalliche…
Sembrava
che
le
indagini
avessero
colto
nel
segno,
ma
d’altra
parte
nulla
di
nuovo
era
stato
scoperto:
il
tratto
di
mare
che
venne
analizzato,
è
sempre
stato
estremamente
ricco
di
testimonianze
archeologiche
–
anche
i
pescatori
lo
sanno
bene
– ed
ha
spesso
restituito
importanti
reperti
archeologici.
Si
dovevano
realizzare
delle
indagini
più
specifiche
ed
analitiche,
per
ispezionare
ed
identificare
gli
oggetti
sul
fondo
marino
e
procedere
ad
un
loro
eventuale
recupero,
ma
l’eccessiva
profondità
del
mare
–
quasi
490
mt.
– e
la
mancanza
di
mezzi
tecnici
ed
economici,
furono
le
principali
cause
per
cui
venne
abbandonata
l’impresa.
Sembrava
quindi
destino
che
gli
elementi
individuati
dalle
indagini
dovessero
continuare
a
giacere
sul
fondale
marino
che
possiamo
immaginare
come
una
vasta
pianura
arata.
Lo
stesso
peschereccio
“Capitan
Ciccio”
riprese
il
largo,
continuando
ad
“arare”
il
proprio
campo
avanti
ed
indietro
e
rispettando,
come
ogni
altro
peschereccio,
dei
limiti
ben
precisi
e
definiti,
segnati
sul
libro
di
bordo,
che
viene
tramandato
di
padre
in
figlio.
È
evidente
però
che
sul
“libro
del
destino”
era
scritta
una
storia
ben
diversa:
era
scritto
che
la
gamba
si
dovesse
ricongiungere
alla
statua
e
così
è
avvenuto.
Proprio
nella
notte
tra
il 4
ed
il 5
marzo
del
1998
le
reti
di
“Capitan
Ciccio”
si
incagliarono
in
qualcosa
di
grande
e
pesante
e
quando
i
pescatori
le
tirarono
a
bordo,
si
resero
subito
conto
di
aver
trovato
il
corpo
a
cui
apparteneva
la
gamba.
Gli
stessi
pescatori
ancora
ricordano
il
momento
in
cui
emersero
dall’acqua
i
due
occhi
di
alabastro
bianco
piantati
su
di
una
testa
selvaggia.
I
marinai
provarono
anche
rabbia
e
dispiacere,
nel
momento
in
cui,
issando
a
bordo
la
statua
con
grande
sforzo
–
pesantissima
perché
piena
di
fango
e
limo
– un
braccio
si
ruppe
e
ritornò
ad
adagiarsi
sul
fondale.
Il
Satiro
fin
da
subito
ricevette
le
prime
cure:
i
pescatori
lo
adagiarono
su
un
letto
di
reti
e lo
svuotarono
dal
fango,
con
getti
di
acqua
dolce.
Nel
settembre
del
1998
venne
poi
affidato
alle
cure
dell’Istituto
Centrale
per
il
Restauro.
Alla
fine
dei
restauri,
nel
2003,
il
Satiro
Danzante,
dopo
essere
stato
esposto
a
Palazzo
Montecitorio,
fece
ritorno
a
Mazara
del
Vallo
dove
nel
frattempo,
nella
chiesa
di
Sant’Egidio,
era
stato
allestito
un
idoneo
spazio
museale
destinato
ad
accogliere
il
prezioso
reperto.
Qual’è
però
il
contesto
storico
della
statua,
che
probabilmente
rappresenta
una
parte
del
carico
di
una
nave
naufragata
ed
inabissatasi
tra
Pantelleria
e
Capo
Bon,
tra
il
III
ed
il
II
secolo
a.C.?
Alcuni
hanno
immaginato
che
il
Satiro
potesse
stare
in
atteggiamento
di
plastica
sfida
dei
mari
e
dei
venti,
posizionato
sulla
prua
o
sull’albero
di
una
nave;
altri
hanno
pensato
che
si
potesse
trattare
di
un
bottino
di
guerra
ma
forse
l’ipotesi
più
plausibile
è
quella
secondo
la
quale
la
statua
facesse
parte
di
un
prezioso
carico
di
un
antiquario
dell’epoca.
Anche
grazie
ad
altri
rinvenimenti,
è
noto
che
nell’antichità
era
fiorente
il
commercio
antiquario,
funzionale
a
soddisfare
le
esigenze
“arredative”
delle
ricche
dimore
di
epoca
ellenistica
e
romana.
Difficilmente
un
oggetto
del
genere
poteva
appartenere
ad
un’imbarcazione
che
trasportava
rottami
di
bronzo
da
rifondere,
mentre
è
più
probabile
che
era
destinato
ad
alimentare
il
ricco
mercato
di
opere
d’arte.
D’altronde
la
passione
antiquaria
è
attestata
fin
da
tempi
remotissimi,
soprattutto
presso
le
corti
orientali
assire
e
babilonesi,
anche
se è
a
partire
dal
II
secolo
a.C.
che
si
ebbe
la
massima
espansione
di
tale
commercio
nel
Mediterraneo.
Analizzando
la
statua
dal
punto
di
vista
tecnico–stilistico,
sono
varie
le
conclusioni
che
possiamo
trarre,
anche
se
molti
rimangono
i
dubbi.
Attualmente
resta
aperto
il
problema
della
collocazione
cronologica:
le
dimensioni
della
statua,
superiori
al
vero,
e la
percentuale
di
piombo
rilevata
nella
lega
metallica
(16–17
%),
farebbero
supporre
ad
una
datazione
posteriore
al
periodo
classico.
Alcuni
storici,
basandosi
su
fonti
storiche,
hanno
anche
azzardato
un’attribuzione,
individuando
in
Prassitele
l’autore
della
scultura:
Plinio
infatti,
nella
sua
Naturalis
Historia,
parlando
dello
stesso
Prassitele,
cita
il
Satiro
Periboetos,
dove
il
termine
Periboetos
può
significare
sia
“famoso”,
sia
“colui
che
grida
freneticamente”.
Resta
comunque
in
discussione
l’attribuzione,
ma
sono
ormai
tutti
concordi
nella
definizione
del
soggetto
raffigurato.
Mentre
nell’euforia
della
scoperta
si
parlò
di
Eolo,
per
via
delle
orecchie
aguzze
e
dell’impetuoso
movimento,
in
seguito,
anche
grazie
al
foro
destinato
alla
coda
equina,
si
identificò
la
statua
con
uno
dei
seguaci
di
Dioniso.
I
Satiri
sono
personaggi
rilevanti
nel
ciclo
dionisiaco,
che
narra
appunto
le
gesta
di
Dioniso
il
quale
è
accompagnato,
tra
le
varie
figure,
dai
Satiri,
i
quali
normalmente
stringono
nella
mano
sinistra
il
kantharos
–
calice
per
il
vino
–
inclinato
perché
vuoto,
mentre
nella
mano
destra
impugnano
la
canna
del
tirso
ornata
da
un
nastro
e
coronata
dalla
pigna
sulla
quale
lo
sguardo
del
danzatore
si
fissava
come
al
polo
del
vortice.
Anche
il
Satiro
rinvenuto,
è
raffigurato
in
atteggiamento
di
danza
vorticosa,
fortemente
flesso
sul
fianco
destro
e
con
il
capo
estaticamente
rivolto
verso
l’alto.
Si
tratta
di
uno
schema
abbastanza
noto
fin
dal
IV
secolo
a.C.,
sia
nell’ambito
della
pittura,
che
in
quello
della
scultura
in
pietra
ed
in
bronzo.
L’abbandono
del
capo
all’indietro
fa
pensare
che
il
danzatore
sia
vicino
a
cadere
di
spalle
in
delirio,
le
labbra
si
aprono
al
transito
di
un
affannoso
grido,
mentre
le
giravolte
sommano
all’eccitazione
del
bere,
l’effetto
dell’affluenza
di
sangue
al
cervello.
È
stato
anche
ipotizzato
che
il
Satiro,
avendo
una
posizione
precaria
sul
piano
statico,
–
tutto
il
peso
gravava
sul
piede
destro,
mentre
la
gamba
sinistra
è
ripiegata
indietro
–
facesse
parte
di
un
gruppo
assieme
ad
altri
personaggi
del
ciclo
dionisiaco:
forse
si
teneva
per
mano
ad
una
Menade,
o
magari
si
trovava
collegato,
in
un
vorticoso
girotondo,
con
altri
Satiri.
Vogliamo
quindi
concludere
con
questa
affascinante
ipotesi,
nella
speranza
che
in
futuro,
magari
anche
grazie
alla
ricerca
archeologica
subacquea
in
alto
fondale,
possano
diventare
sempre
più
frequenti
– e
meno
casuali
–
tali
rinvenimenti
e si
possano
magari
recuperare
altri
importanti
pezzi
della
nostra
storia,
conservati
e
protetti
dalle
profondità
dei
fondali
marini.