A PROPOSITO DI
SARA KHADEMOLSHARIEH
SFIDA ALLA TEOCRAZIA ISLAMICA
di Francesca Zamboni
Gli scacchi sono strategia
pura, un gioco fatto di regole e
mosse tattiche per raggiungere
l’agognato ludico obiettivo: scacco
matto al re. Un antico gioco
universale, sopravvissuto alla
nascita e alla caduta di molte
civiltà, e che forma il carattere
dell’individuo promuovendone i
valori fondamentali come la libertà,
la giustizia e l’uguaglianza.
Giocare a scacchi significa infatti
migliorare il lavoro di squadra,
l’integrazione sociale, partendo da
una stimolazione cognitiva basata su
un pensiero creativo alla ricerca di
nuove soluzioni al cospetto di nuovi
problemi. Giocare a scacchi non è
solo competizione o un gioco per
uomini. Giocare a scacchi significa
avere delle opportunità in quelle
caselle, così come in quelle della
vita.
Sara Khademolsharieh,
25 anni, campionessa di scacchi
dell’Iran Chess Team
rappresenta senza ombra di dubbio
tutti i valori di questo gioco. Lo
scorso dicembre 2022 ha infatti
compiuto la sua prima mossa tanto
strategica quanto passionale: ha
gareggiato senza hijab ai
Campionati Mondiali di Almaty in
Kazakistan, indossando abiti
semplici, un paio di orecchini per
dare un tocco di femminilità e
lasciando cadere i lunghi capelli
neri liberi sulle spalle. E lo ha ha
fatto con grande maestria,
concentrata, ma anche sorridente:
una vera regina degli scacchi che ha
sfidato la teocrazia islamica.
Come lei anche un’altra giocatrice
iraniana ha partecipato senza velo,
Atousa Pourkashiyan,
gareggiando per la squadra
statunitense. Due atlete che, come
altre colleghe del mondo dello sport
e dello spettacolo, hanno deciso di
mostrare pubblicamente senza timore
la loro solidarietà al popolo
iraniano che si sta ribellando alle
imposizioni di un sistema che ha
strumentalizzato i precetti
religiosi in nome di un patriarcato
anacronistico. Una solidarietà,
quella del modo dello sport e non
solo, per non dimenticare la morte
di Mahsa Amini e tutte le altre
morti che hanno fatto seguito.
La carriera di Sara è stata
spettacolare, iniziata a soli otto
anni tanto che a dodici era già
campionessa del mondo nella sua
categoria collezionando vittorie una
dopo l’altra, ma quando si tratta di
giocare una partita su due fronti
contemporaneamente come quella in
Kazakistan, ovvero al tavolo e per
il tuo popolo, la tua carriera e le
tue medaglie acquistano significato
solo nella misura in cui tu
riuscirai a dar voce alle richieste
e al dolore del paese da cui
provieni.
Togliersi il velo durante la
competizione è stato veramente fare
scacco al re, una mossa facente
parte di un gioco poco gradito
all’Islam e in particolar modo
all’Iran tanto che dopo la
rivoluzione islamica del 1979, gli
scacchi furono considerati haram
(proibiti) perché assimilati alle
scommesse. Successivamente, nel
1988, la Guida Suprema dell’Iran
tolse il divieto.
Sara ha sempre creduto nella libertà
di espressione, già due anni fa fu
interrogata dalla Polizia Morale per
aver contestato l’uso del velo in
pubblico e fu sottoposta a misure
restrittive dalla magistratura tanto
da non poter prendere l’aereo per un
certo periodo. Adesso Sara molto
probabilmente si trasferirà in
Spagna con il marito, il regista
Ardeshir Ahmadi e il figlio piccolo.
Fonti vicine alla giornalista
iraniana e poi riportate dal
quotidiano spagnolo “El Pais”
sembrano avvalorare queste
informazioni. Un atto dovuto verso
la propria famiglia e non certo una
fuga dalle proprie responsabilità.
Dire no alla teocrazia per Sara
significa dire sì a se stessa.
Togliersi il velo significa
rivelarsi al mondo intero. E quale
occasione migliore di un campionato
per di più a livello mondiale?
Quello della giocatrice è stato un
gesto di autodeterminazione
costruttivo di fronte a un governo
che non cede, che continua a punire
con multe, colpi di frusta,
reclusioni, esilio, stupri ed
esecuzioni per un velo non indossato
o non indossato correttamente.
Secondo gli ultimi aggiornamenti
dell’agenzia di stampa iraniana per
i diritti umani Hrana, nel momento
in cui si pubblica questo articolo,
le persone arrestate in Iran sono
superiori a 18.000, quelle uccise
durante le proteste sono 508, tra
cui 69 bambini e, nonostante le
1.200 manifestazioni di proteste in
161 città, il governo non sembra
cambiare atteggiamento, perseverando
nelle ostilità e invocando lo
status quo.
La storia però sta cambiando a
dispetto di un paese saldo nelle
proprie convinzioni. La fine, seppur
dolorosa, spesso coincide con un
nuovo inizio. Mahsa ha mosso il
primo pezzo sulla scacchiera e non
lo ha fatto inutilmente.
Lo scacco matto, tanto temuto dalla
teocrazia islamica (forse per
l’etimologia del termine “Shah
Mat” dal persiano
significa “Il Re è morto”), risiede
proprio nel sapersi muovere con
abilità e con principi volti al
cambiamento e all’integrazione.