[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

164 / AGOSTO 2021 (CXCV)


filosofia & religione

SANTIAGO DE COMPOSTELA

SULLA STORIA E L'EVOLUZIONE DEL CELEBRE CAMMINO DELLA FEDE

di Titti Brunori Zezza

 

Il 25 luglio, giorno dedicato a San Giacomo, quest’anno cade di domenica per cui il 2021 come da tradizione quasi millenaria è stato proclamato Anno Santo Jacobeo il che comporterà significativi benefici spirituali per il pellegrino che si recherà a Santiago de Compostela per visitare la tomba dell’apostolo.

 

Qui il 31 dicembre del 2020 con l’antico rituale del martello d’argento battuto sulla Porta Santa attraverso la quale si accede alla cattedrale eretta in suo onore è avvenuta ancora una volta l’inaugurazione dell’evento. Così stabilì all’inizio del XII secolo papa Callisto II e da allora si ripete secondo una periodicità scandita in 6-5-6-11 anni. Confermata da Papa Alessandro III con la Bolla Regis aeterni tale proclamazione precede temporalmente quella del primo Anno giubilare di Roma che risale come sappiamo al 1300.

 

Nel corso dei secoli successivi ci furono momenti in cui quella cattedrale divenne il santuario del mondo cristiano più visitato superando Roma e Gerusalemme, ma poi Santiago de Compostela vivrà anche altri momenti di minor richiamo. A partire dalla fine dell’Ottocento l’attrazione per quel luogo santo si è nuovamente rinvigorita e lo stesso papa Giovanni Paolo II si è fatto pellegrino compostelano per ben due volte, nel 1982 e nel 1989.

 

Roma, Gerusalemme, Santiago de Compostela costituiscono ancor oggi i più significativi punti di riferimento della spiritualità cristiana: poli di forte attrazione per moltitudini di credenti desiderosi di attingere da quei luoghi santi nuova linfa per rinvigorire la loro fede, ma per Dante il termine “pellegrino”, se in senso lato si riferiva a chiunque si trovasse fuori dai confini della sua patria “in senso stretto no s’intende peregrino se non chi va verso la casa di sa’ Iacopo o riede” (I, XL). Ai suoi tempi c’erano “i palmieri” di ritorno da Gerusalemme con frasche di palma, c’erano ”i romei” diretti a Roma da tutta Europa, ma i pellegrini per antonomasia erano quelli diretti a Santiago de Compostela perché, dice ancora Dante, “la sepoltura di sa’ Jacopo fue più lontana de la sua patria che d’alcun altro Apostolo”.

 

E infatti la Galizia, regione spagnola dove si venerano le reliquie del santo, con il suo capo Finisterre costituisce la punta più avanzata d’Europa verso Occidente. Una terra che si protende in quell’oceano Atlantico avvolto spesso in fitte nebbie gelatinose rotte dal lamento inquietante di una sirena che unitamente al lampeggiare del faro si offre come punto di riferimento per i naviganti.

 

Il pellegrino iacobeo è ritratto da sempre come un viandante con il cappello a larghe falde sul capo e la mantella sulle spalle per ripararsi dalle intemperie, un bastone ricurvo all’apice (il bordone) su cui appoggiarsi, la borraccia (spesso una zucca svuotata) per dissetarsi e la bisaccia in pelle di animale a cui si aggiungeva, ma solo al ritorno, appuntata sul petto, la famosa conchiglia: quel pecten maximus noto commercialmente oggi come “cappasanta atlantica”, ma ancor più come pecten jacobeus, che costituiva la riprova del compimento del suo proposito, poiché solo giungendo a ridosso della costa atlantica si potevano raccogliere gli involucri di quei molluschi là così diffusi.

 

In alcune case prospicienti l’oceano si possono ancor oggi osservare con meraviglia da parte nostra intere pareti esterne di abitazioni ricoperte da questi “pecten” utilizzati per tutelarle dall’umidità dei venti oceanici. L’Atlantico s’insinua per chilometri all’interno del territorio galiziano invadendo le sue “rias” che a guisa di fiordi incidono profondamente la linea di costa e ne condizionano il clima molto umido, con piogge frequenti e temperature anche d’estate non elevate.

 

Dei tre pellegrinaggi quello verso Santiago de Compostela ha conservato sino ad oggi per molti devoti la cadenza dei tempi antichi in quanto il raggiungimento del luogo santo a piedi è ancora molto praticato dai pellegrini. Una scelta di spostamento lento che offre, al di là delle indulgenze, un beneficio spirituale non da poco considerando i ritmi di vita attuali connotati da pervasiva accelerazione: infatti il devoto ha modo per tutta la durata del pellegrinaggio di tornare a una diversa scansione del tempo e di reimparare, per così dire, a camminare.

 

La presenza sul territorio spagnolo dei tracciati tuttora evidenti delle cosiddette “rutas jacobeas”, antiche strade in terra battuta o lastricate che affiancano a volte le strade attuali, testimonia la diffusa pratica consolidatasi nel corso dei secoli di questo atto di devozione.

 

Il documento più autorevole che descrive tra questi Cammini verso Santiago il più utilizzato da sempre, quello francese, è un testo scritto a più mani tra cui quella di un chierico, Aymeri Picaud, cancelliere di papa Callisto II, che dava preziose indicazioni a chi avesse voluto a sua volta compiere quel pellegrinaggio. Da quello scritto deduciamo la presenza già sul territorio francese di ben quattro direttrici che conducevano verso la Spagna utilizzando il tracciato della viabilità romana. Queste si congiungevano sul confine pirenaico a Puente de la Reina, per poi proseguire per 800 chilometri, dapprima in territorio basco, quindi attraverso la Navarra, la Castiglia e il Leon verso quel prodigioso “Campus stellae” dove l’apostolo attendeva i pellegrini.

 

Il Cammino Francese in territorio spagnolo correva inizialmente lungo una fascia non sempre lontana dalla cosiddetta “terra di nessuno” che allora divideva i territori cristiani da quelli musulmani. Ben presto, però, con l’aiuto del potente monastero di Cluny venne pianificata una ben più articolata rete stradale che da Germania, Italia e Francia convergeva verso il confine spagnolo e da lì proseguiva per la Galizia: i tracciati vennero meglio delineati, si costruirono ponti e ospizi per facilitare quel pellegrinaggio e si crearono apposite confraternite vocate a soddisfare le necessità dei viandanti, ma anche a curarli e alloggiarli più confortevolmente in caso di malattie.

 

Il Cammino francese è stato l’unico a non cadere mai in disuso nel corso dei secoli. Esso si dipana a sud della catena cantabrica in un territorio mosso, agreste, tra “cultivos” e boschi che si estendono a destra e a sinistra della “ruta jacobea” insinuandosi poi in zone boschive sempre più estese man mano che ci si inoltra nel massiccio galiziano. Il “minifundismo” delle aree agricole è sottolineato da cippi di granito che segnano i confini delle proprietà e con piccoli blocchi di granito sono ingegnosamente costruiti anche i muretti a secco che delimitano il verde dei prati.

 

Ambiente ancor oggi arcaico nel quale si è sviluppata una delle attività dominanti della Galizia interna, l’allevamento del bestiame, mentre la pesca è l’attività economica che da sempre connota la zona costiera, in particolare quella “de los mariscos”, frutti di mare di grande qualità provenienti dalle “rias” e raccolti sia nel fango durante la bassa marea che sugli scogli, i quali con il “pulpo alla gallega” rendono molto gustosa la cucina di quella regione.

 

Oggi, però, essendo questo Cammino, come già lo era in passato, particolarmente battuto dai pellegrini, è cominciata la riscoperta anche degli altri tracciati utilizzati anticamente: il Cammino Portoghese con la sua variante costiera, il Cammino del Nord, quello Inglese, il Cammino dell’Inverno, quello di Muxia-Finisterre e il cosiddetto Primitivo. Cammini questi ora riaperti dopo secoli di abbandono, ragionevolmente segnalati, dotati di strutture ricettive e descritti da utili guide.

 

Per Cammino Primitivo s’intende quel tratto percorso nell’anno 829 dal re asturiano Alfonso II il Casto, il primo pellegrino iacobeo in assoluto, il quale partendo con la sua corte da Oviedo, allora capitale del suo regno, raggiunse Santiago de Compostela dove aveva fatto innalzare un primo edificio sacro sul luogo del ritrovamento dei resti dell’apostolo.

 

Quello Inglese era invece il Cammino di chi proveniva dall’Inghilterra, il più breve (solo 118 Km): partendo dai porti di Ferrol o di A Coruna si addentrava fra i monti della Galizia sino a Santiago, ma dopo la nascita della chiesa anglicana e il diffondersi della Riforma protestante cadrà per molto tempo in abbandono.

 

Quello che era il Cammino del Nord, invece, partendo dal confine francese, correva inizialmente a ridosso del primo corrugamento della catena cantabrica, con scorci improvvisi e inaspettati sull’Atlantico e su alcune rientranze della costa, simili a brevi “rias”. Sulle pendici dei monti vicini le macchie scure dei boschi di eucalipti, introdotti da un monaco missionario in Australia, e contestati dagli ambientalisti perché estranei alla flora locale, vengono incontro al viandante ingannandolo in quanto simili da lontano alle nostre pinete. Il paesaggio agreste all’intorno ci fa percepire la laboriosità dei suoi abitanti traspirando compostezza, ordine, quiete.

 

Questo, come gli altri, sono tutti percorsi affascinanti che appagano chi è alla ricerca di emozioni spirituali e il numero crescente dei pellegrini ci conferma ciò: essi sono stati più di 347mila nel 2019 (erano 1.245 nel 1985) con la predominanza degli spagnoli, seguiti dagli italiani, tedeschi, statunitensi e portoghesi. Purtroppo la pandemia dalla quale non ci siamo ancora liberati ha fatto segnare una battuta d’arresto, ma il desiderio di raggiungere quel luogo santo sembra sia ancora molto vivo nei credenti e in quest’anno giubilare più che mai. Un anno questo in cui si celebrerà anche il ventennale della riattivazione del tracciato italiano di un altro percorso spirituale, quella Via Francigena, seppur ora giovane, antichissima, che conduceva a Roma i pellegrini d’oltralpe e i cui promotori guardano all’esempio spagnolo per promuoverla meglio.

 

Il notevole sviluppo di quella rete viaria jacobea e l’enfasi attribuita a tale pellegrinaggio sin dai tempi antichi trova la sua giustificazione storica in quel movimento di “reconquista” del territorio spagnolo, allora occupato dagli Arabi, fortemente sollecitato dalla Chiesa di Roma a partire dal IX secolo.

 

Ricordiamo che la rapida conquista nel corso del secondo decennio del VIII secolo dell’al-Andalus, ovvero della Spagna, da parte di quegli invasori aveva provocato anche qui la diffusione della religione islamica inducendo molti dei suoi abitanti a fuggire verso il nord del Paese, oltre il Duero, sino alla cordigliera cantabrica e ai monti Pirenei, dove si diede vita a un Cristianesimo fortemente identitario. La fede di quelle genti sarà destinata in futuro a saldarsi fortemente con il carattere iberico, ma prima ancora genererà quell’inventio (così la definisce Franco Cardini in Europa e Islam) del ritrovamento nel 813 dei resti del corpo dell’apostolo Giacomo che tanto contribuirà alla “Reconquista” cristiana.

 

All’apostolo Giacomo la tradizione attribuiva l’evangelizzazione della penisola iberica cosicché il supposto ritrovamento, secoli dopo, delle sue spoglie in Galizia venne a conferire alla Chiesa del piccolo regno delle Asturie, uno di quelli allora in via di formazione in quell’impenetrabile territorio, una notevole dignità. Il rinnovato culto dell’apostolo Giacomo, divenuto nel frattempo “Santiago” per contrazione neolatina di sanctus Jacopus, verrà utilizzato dai regnanti asturiani per dare forza alla loro vigorosa politica contro il califfato mussulmano sostituendosi in ciò all’ormai morente regno visigoto che un tempo aveva dominato la penisola iberica.

 

Il regno delle Asturie fu la più antica entità politica cristiana che sorse dopo il collasso di quel regno barbarico conservandone l’ultima capitale, Oviedo. Della dinastia asturiana, costituita dapprima da principi (718-739) e quindi da re (739–925), si ricorda in particolare la figura di Alfonso III il Grande che associato al trono dal padre nel 853 e divenutone poi il successore, si trovò a contrastare a più riprese l’emiro di Cordova. Egli morirà nell’anno 910, ma già negli anni precedenti la località della Galizia dove si diceva fosse avvenuto il miracoloso ritrovamento, nel frattempo denominata Compostela, da campus stellae, a seguito della supposta segnalazione del luogo attraverso una stella, aveva cominciato ad acquisire sempre maggior rinomanza tra i cristiani e soprattutto a diventare meta di un crescente pellegrinaggio.

 

Alla morte di Alfonso III il regno delle Asturie, per difendere meglio il proprio territorio dalle incursioni dei mori, trasferirà la propria capitale a Leon, centro di origine romana ubicato più a sud e a partire dal 1230 diverrà parte della Corona di Castiglia sino al 1833.

 

Tra offensive e controffensive nel 988 la stessa capitale asturiana subirà un pesante attacco da parte dei musulmani, ma nei primi anni del nuovo millennio essa verrà ricostruita e la sua importanza si accrescerà grazie soprattutto alla sua ubicazione sull’ormai delineato Cammino di Santiago. Essa era l’ottava tappa di quella succitata “Guida del Pellegrino” da cui emerge essere la città divenuta ormai un fiorente centro commerciale “pieno di ogni ben di Dio”.

 

D’altra parte sappiamo che lungo le “rutas jacobee” i pellegrini incontravano tutta una serie di luoghi di culto, certamente di minor importanza, ma ciascuno con le sue reliquie, le sue leggende, la sua fama miracolosa e anche l’immancabile “feria” con relativo mercato, offrendo così nel tempo a ognuna di quelle tappe grandi vantaggi economici.

 

Nel 996-997 ci fu un altro assalto da parte dei mussulmani al regno delle Asturie, questa volta addirittura alla cittadina stessa di Santiago de Compostela che fu saccheggiata e danneggiata senza però che le reliquie del santo venissero profanate. Il Califfato di Cordova non si capacitava del fatto che la tomba di quell’apostolo nel giro di pochi decenni avesse richiamato un numero sempre crescente di pellegrini dalle regioni poste anche al di là dei Pirenei, complice una serie di supposti miracoli che l’avevano resa celebre.

 

La sua azione dimostrativa sortirà, però, l’effetto contrario suscitando l’indignazione dei cristiani tutti che al desiderio di poter continuare a effettuare quel percorso votivo assoceranno l’impegno nella difesa di quella tomba dagli infedeli. Così l’immagine di Santiago apostolo nel giro di pochi anni si trasformerà da quella iniziale di pellegrino e taumaturgo in quella di santo guerriero, un “mata moros” alla guida della “Reconquista” della penisola iberica. Verso il 1055 Ferdinando I, a partire dal 1037 divenuto re di Castiglia e di Leon, si sentì a sua volta in grado di scatenare un’offensiva contro i mussulmani e ciò gli permise di acquisire la bassa valle del Duero affidandola ad agricoltori che erano al tempo stesso, dati i tempi, anche guerrieri. Quindi egli conquisterà anche Coimbra avendo, si dice, compiuto prima un pellegrinaggio a Santiago de Compostela per chiedere l’aiuto dell’apostolo. Il figlio Alfonso VI continuerà l’opera paterna cosicché l’inaugurazione, avvenuta nel 1075, della attuale Cattedrale di Santiago de Compostela si può associare ai successi militari conseguiti in quegli anni dalle forze cristiane.

 

Risulta chiaro che la devozione all’apostolo Giacomo e la lotta contro l’islam iberico in quegli anni si erano andati saldando. Il papa Urbano II nel 1096 aveva dissuaso gli Spagnoli dal partecipare alla I crociata per tenerli impegnati nella Reconquista del proprio Paese, mentre Callisto II nel 1120 accorderà ai combattenti in Spagna le stesse indulgenze di quelli di Terra Santa.

 

La città di Santiago de Compostela, una delle più belle della Spagna oggi facente parte del Patrimonio Unesco, crebbe lentamente attorno a quella sua chiesa. Città di fede e di cultura: di una fede antica che non è mai venuta meno e si è materializzata nel tempo attraverso i numerosi conventi e le cento chiese che movimentano con i loro pinnacoli, le cupole, i campanili e i gruppi scultorei il suo tessuto urbano. Città anche di cultura grazie alla sua antica Università, ardentemente voluta nel XVI secolo dalla borghesia laica gallega, a cui è connessa l’attuale vivace vita studentesca. Suggestiva, soprattutto la sera, la sua piazza centrale d’Obradoiro su cui la Cattedrale si affaccia, con le sue fioche luci gialle, il silenzio diffuso, la successione delle facciate rinascimentali dei palazzi connotati dal granito rosa che inquadra il bianco delle facciate, gli imponenti portoni sormontati da stemmi nobiliari e all’intorno alberi secolari e tappeti di umido verde.

 

Il polo d’attrazione è, però, da sempre la Cattedrale che dopo la metà del secolo XVII ha assunto un imponente aspetto barocco il quale cela quasi del tutto la sua originaria struttura romanica, così come anche la città, connotata da un originario impianto medievale, fu ripensata dagli architetti di quell’epoca creando spazi più o meno ampi davanti ai principali edifici e dando luogo a quegli effetti teatrali che erano in sintonia con il gusto di allora. Ma dietro la veste barocca della facciata il pellegrino scopre ancor oggi improvvisamente un inno alla gloria di Dio: è quel magnifico “Portico della gloria” che in epoca medievale costituiva l’ingresso originario della Cattedrale.

 

È opera di un certo maestro Matteo dalle grandi capacità scultoree che prese spunto da una immagine apocalittica, quella della Gerusalemme celeste, per creare una delle manifestazioni iconografiche più sontuose del Medioevo. Al centro domina la figura del Cristo Redentore circondato dagli evangelisti ritratti secondo la simbologia medievale, mentre sull’archivolto si stagliano ventiquattro vegliardi.

 

Dice Giovanni nell’Apocalisse (IV,2-4): “Io vidi ventiquattro troni attorno al trono e ventiquattro anziani vestiti d’abiti sacerdotali bianchi e con delle corone d’oro sulla testa (…) ciascun vecchio aveva una cetra e delle coppe piene di profumo che sono le orazioni dei santi”. I ventiquattro anziani che circondano il Cristo stanno accordando i loro strumenti, vale a dire che simbolicamente preparano le loro anime a ricevere la grazia. Al centro, al di sopra della figura del Cristo, si nota uno strumento, l’organistrum, che dà la nota con cui si accordano le altre, il solo a essere sostenuto da due anziani simboleggianti la concordia tra chiesa cristiana e la sinagoga.

 

Gli strumenti a corda, le cetre, le viole, i liuti rappresentano invece le lodi degli anziani rivolte a Dio, ma anche “la musica mondana”, l’armonia del mondo e la pace degli eletti ristabilita dal Cristo. Al di sotto di quest’ultimo ecco la figura di san Giacomo ritratto in veste di pellegrino venuto dall’Oriente fino al limite dell’Occidente, con la scritta “Misit me Dominus”.

 

È la meta finale del pellegrinaggio jacobeo, cammino rituale di purificazione verso un segno visibile di contatto tra l’umano e il divino. Raggiuntala, dopo quel percorso che può essere inteso come metafora della vita terrena, il credente rinasce trasformato in un uomo nuovo.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]