filosofia & religione
SANTIAGO DE COMPOSTELA
SULLA STORIA E L'EVOLUZIONE DEL CELEBRE
CAMMINO DELLA FEDE
di Titti Brunori Zezza
Il 25 luglio, giorno dedicato a San
Giacomo, quest’anno cade di domenica per
cui il 2021 come da tradizione quasi
millenaria è stato proclamato Anno Santo
Jacobeo il che comporterà significativi
benefici spirituali per il pellegrino
che si recherà a Santiago de Compostela
per visitare la tomba dell’apostolo.
Qui il 31 dicembre del 2020 con l’antico
rituale del martello d’argento battuto
sulla Porta Santa attraverso la quale si
accede alla cattedrale eretta in suo
onore è avvenuta ancora una volta
l’inaugurazione dell’evento. Così
stabilì all’inizio del XII secolo papa
Callisto II e da allora si ripete
secondo una periodicità scandita in
6-5-6-11 anni. Confermata da Papa
Alessandro III con la Bolla Regis
aeterni tale proclamazione precede
temporalmente quella del primo Anno
giubilare di Roma che risale come
sappiamo al 1300.
Nel corso dei secoli successivi ci
furono momenti in cui quella cattedrale
divenne il santuario del mondo cristiano
più visitato superando Roma e
Gerusalemme, ma poi Santiago de
Compostela vivrà anche altri momenti di
minor richiamo. A partire dalla fine
dell’Ottocento l’attrazione per quel
luogo santo si è nuovamente rinvigorita
e lo stesso papa Giovanni Paolo II si è
fatto pellegrino compostelano per ben
due volte, nel 1982 e nel 1989.
Roma, Gerusalemme, Santiago de
Compostela costituiscono ancor oggi i
più significativi punti di riferimento
della spiritualità cristiana: poli di
forte attrazione per moltitudini di
credenti desiderosi di attingere da quei
luoghi santi nuova linfa per rinvigorire
la loro fede, ma per Dante il termine
“pellegrino”, se in senso lato si
riferiva a chiunque si trovasse fuori
dai confini della sua patria “in
senso stretto no s’intende peregrino se
non chi va verso la casa di sa’ Iacopo o
riede” (I, XL). Ai suoi tempi
c’erano “i palmieri” di ritorno da
Gerusalemme con frasche di palma,
c’erano ”i romei” diretti a Roma da
tutta Europa, ma i pellegrini per
antonomasia erano quelli diretti a
Santiago de Compostela perché, dice
ancora Dante, “la sepoltura di sa’
Jacopo fue più lontana de la sua patria
che d’alcun altro Apostolo”.
E infatti la Galizia, regione spagnola
dove si venerano le reliquie del santo,
con il suo capo Finisterre costituisce
la punta più avanzata d’Europa verso
Occidente. Una terra che si protende in
quell’oceano Atlantico avvolto spesso in
fitte nebbie gelatinose rotte dal
lamento inquietante di una sirena che
unitamente al lampeggiare del faro si
offre come punto di riferimento per i
naviganti.
Il pellegrino iacobeo è ritratto da
sempre come un viandante con il cappello
a larghe falde sul capo e la mantella
sulle spalle per ripararsi dalle
intemperie, un bastone ricurvo all’apice
(il bordone) su cui appoggiarsi, la
borraccia (spesso una zucca svuotata)
per dissetarsi e la bisaccia in pelle di
animale a cui si aggiungeva, ma solo al
ritorno, appuntata sul petto, la famosa
conchiglia: quel pecten maximus
noto commercialmente oggi come
“cappasanta atlantica”, ma ancor più
come pecten jacobeus, che
costituiva la riprova del compimento del
suo proposito, poiché solo giungendo a
ridosso della costa atlantica si
potevano raccogliere gli involucri di
quei molluschi là così diffusi.
In alcune case prospicienti l’oceano si
possono ancor oggi osservare con
meraviglia da parte nostra intere pareti
esterne di abitazioni ricoperte da
questi “pecten” utilizzati per tutelarle
dall’umidità dei venti oceanici.
L’Atlantico s’insinua per chilometri
all’interno del territorio galiziano
invadendo le sue “rias” che a guisa di
fiordi incidono profondamente la linea
di costa e ne condizionano il clima
molto umido, con piogge frequenti e
temperature anche d’estate non elevate.
Dei tre pellegrinaggi quello verso
Santiago de Compostela ha conservato
sino ad oggi per molti devoti la cadenza
dei tempi antichi in quanto il
raggiungimento del luogo santo a piedi è
ancora molto praticato dai pellegrini.
Una scelta di spostamento lento che
offre, al di là delle indulgenze, un
beneficio spirituale non da poco
considerando i ritmi di vita attuali
connotati da pervasiva accelerazione:
infatti il devoto ha modo per tutta la
durata del pellegrinaggio di tornare a
una diversa scansione del tempo e di
reimparare, per così dire, a camminare.
La presenza sul territorio spagnolo dei
tracciati tuttora evidenti delle
cosiddette “rutas jacobeas”, antiche
strade in terra battuta o lastricate che
affiancano a volte le strade attuali,
testimonia la diffusa pratica
consolidatasi nel corso dei secoli di
questo atto di devozione.
Il documento più autorevole che descrive
tra questi Cammini verso Santiago il più
utilizzato da sempre, quello francese, è
un testo scritto a più mani tra cui
quella di un chierico, Aymeri Picaud,
cancelliere di papa Callisto II, che
dava preziose indicazioni a chi avesse
voluto a sua volta compiere quel
pellegrinaggio. Da quello scritto
deduciamo la presenza già sul territorio
francese di ben quattro direttrici che
conducevano verso la Spagna utilizzando
il tracciato della viabilità romana.
Queste si congiungevano sul confine
pirenaico a Puente de la Reina, per poi
proseguire per 800 chilometri, dapprima
in territorio basco, quindi attraverso
la Navarra, la Castiglia e il Leon verso
quel prodigioso “Campus stellae” dove
l’apostolo attendeva i pellegrini.
Il Cammino Francese in territorio
spagnolo correva inizialmente lungo una
fascia non sempre lontana dalla
cosiddetta “terra di nessuno” che allora
divideva i territori cristiani da quelli
musulmani. Ben presto, però, con l’aiuto
del potente monastero di Cluny venne
pianificata una ben più articolata rete
stradale che da Germania, Italia e
Francia convergeva verso il confine
spagnolo e da lì proseguiva per la
Galizia: i tracciati vennero meglio
delineati, si costruirono ponti e ospizi
per facilitare quel pellegrinaggio e si
crearono apposite confraternite vocate a
soddisfare le necessità dei viandanti,
ma anche a curarli e alloggiarli più
confortevolmente in caso di malattie.
Il Cammino francese è stato l’unico a
non cadere mai in disuso nel corso dei
secoli. Esso si dipana a sud della
catena cantabrica in un territorio
mosso, agreste, tra “cultivos” e boschi
che si estendono a destra e a sinistra
della “ruta jacobea” insinuandosi poi in
zone boschive sempre più estese man mano
che ci si inoltra nel massiccio
galiziano. Il “minifundismo” delle aree
agricole è sottolineato da cippi di
granito che segnano i confini delle
proprietà e con piccoli blocchi di
granito sono ingegnosamente costruiti
anche i muretti a secco che delimitano
il verde dei prati.
Ambiente ancor oggi arcaico nel quale si
è sviluppata una delle attività
dominanti della Galizia interna,
l’allevamento del bestiame, mentre la
pesca è l’attività economica che da
sempre connota la zona costiera, in
particolare quella “de los mariscos”,
frutti di mare di grande qualità
provenienti dalle “rias” e raccolti sia
nel fango durante la bassa marea che
sugli scogli, i quali con il “pulpo alla
gallega” rendono molto gustosa la cucina
di quella regione.
Oggi, però, essendo questo Cammino, come
già lo era in passato, particolarmente
battuto dai pellegrini, è cominciata la
riscoperta anche degli altri tracciati
utilizzati anticamente: il Cammino
Portoghese con la sua variante costiera,
il Cammino del Nord, quello Inglese, il
Cammino dell’Inverno, quello di
Muxia-Finisterre e il cosiddetto
Primitivo. Cammini questi ora riaperti
dopo secoli di abbandono,
ragionevolmente segnalati, dotati di
strutture ricettive e descritti da utili
guide.
Per Cammino Primitivo s’intende quel
tratto percorso nell’anno 829 dal re
asturiano Alfonso II il Casto, il primo
pellegrino iacobeo in assoluto, il quale
partendo con la sua corte da Oviedo,
allora capitale del suo regno, raggiunse
Santiago de Compostela dove aveva fatto
innalzare un primo edificio sacro sul
luogo del ritrovamento dei resti
dell’apostolo.
Quello Inglese era invece il Cammino di
chi proveniva dall’Inghilterra, il più
breve (solo 118 Km): partendo dai porti
di Ferrol o di A Coruna si addentrava
fra i monti della Galizia sino a
Santiago, ma dopo la nascita della
chiesa anglicana e il diffondersi della
Riforma protestante cadrà per molto
tempo in abbandono.
Quello che era il Cammino del Nord,
invece, partendo dal confine francese,
correva inizialmente a ridosso del primo
corrugamento della catena cantabrica,
con scorci improvvisi e inaspettati
sull’Atlantico e su alcune rientranze
della costa, simili a brevi “rias”.
Sulle pendici dei monti vicini le
macchie scure dei boschi di eucalipti,
introdotti da un monaco missionario in
Australia, e contestati dagli
ambientalisti perché estranei alla flora
locale, vengono incontro al viandante
ingannandolo in quanto simili da lontano
alle nostre pinete. Il paesaggio agreste
all’intorno ci fa percepire la
laboriosità dei suoi abitanti
traspirando compostezza, ordine, quiete.
Questo, come gli altri, sono tutti
percorsi affascinanti che appagano chi è
alla ricerca di emozioni spirituali e il
numero crescente dei pellegrini ci
conferma ciò: essi sono stati più di
347mila nel 2019 (erano 1.245 nel 1985)
con la predominanza degli spagnoli,
seguiti dagli italiani, tedeschi,
statunitensi e portoghesi. Purtroppo la
pandemia dalla quale non ci siamo ancora
liberati ha fatto segnare una battuta
d’arresto, ma il desiderio di
raggiungere quel luogo santo sembra sia
ancora molto vivo nei credenti e in
quest’anno giubilare più che mai. Un
anno questo in cui si celebrerà anche il
ventennale della riattivazione del
tracciato italiano di un altro percorso
spirituale, quella Via Francigena,
seppur ora giovane, antichissima, che
conduceva a Roma i pellegrini d’oltralpe
e i cui promotori guardano all’esempio
spagnolo per promuoverla meglio.
Il notevole sviluppo di quella rete
viaria jacobea e l’enfasi attribuita a
tale pellegrinaggio sin dai tempi
antichi trova la sua giustificazione
storica in quel movimento di
“reconquista” del territorio spagnolo,
allora occupato dagli Arabi, fortemente
sollecitato dalla Chiesa di Roma a
partire dal IX secolo.
Ricordiamo che la rapida conquista nel
corso del secondo decennio del VIII
secolo dell’al-Andalus, ovvero della
Spagna, da parte di quegli invasori
aveva provocato anche qui la diffusione
della religione islamica inducendo molti
dei suoi abitanti a fuggire verso il
nord del Paese, oltre il Duero, sino
alla cordigliera cantabrica e ai monti
Pirenei, dove si diede vita a un
Cristianesimo fortemente identitario. La
fede di quelle genti sarà destinata in
futuro a saldarsi fortemente con il
carattere iberico, ma prima ancora
genererà quell’inventio (così la
definisce Franco Cardini in Europa e
Islam) del ritrovamento nel 813 dei
resti del corpo dell’apostolo Giacomo
che tanto contribuirà alla “Reconquista”
cristiana.
All’apostolo Giacomo la tradizione
attribuiva l’evangelizzazione della
penisola iberica cosicché il supposto
ritrovamento, secoli dopo, delle sue
spoglie in Galizia venne a conferire
alla Chiesa del piccolo regno delle
Asturie, uno di quelli allora in via di
formazione in quell’impenetrabile
territorio, una notevole dignità. Il
rinnovato culto dell’apostolo Giacomo,
divenuto nel frattempo “Santiago” per
contrazione neolatina di sanctus Jacopus,
verrà utilizzato dai regnanti asturiani
per dare forza alla loro vigorosa
politica contro il califfato mussulmano
sostituendosi in ciò all’ormai morente
regno visigoto che un tempo aveva
dominato la penisola iberica.
Il regno delle Asturie fu la più antica
entità politica cristiana che sorse dopo
il collasso di quel regno barbarico
conservandone l’ultima capitale, Oviedo.
Della dinastia asturiana, costituita
dapprima da principi (718-739) e quindi
da re (739–925), si ricorda in
particolare la figura di Alfonso III il
Grande che associato al trono dal padre
nel 853 e divenutone poi il successore,
si trovò a contrastare a più riprese
l’emiro di Cordova. Egli morirà
nell’anno 910, ma già negli anni
precedenti la località della Galizia
dove si diceva fosse avvenuto il
miracoloso ritrovamento, nel frattempo
denominata Compostela, da campus
stellae, a seguito della supposta
segnalazione del luogo attraverso una
stella, aveva cominciato ad acquisire
sempre maggior rinomanza tra i cristiani
e soprattutto a diventare meta di un
crescente pellegrinaggio.
Alla morte di Alfonso III il regno delle
Asturie, per difendere meglio il proprio
territorio dalle incursioni dei mori,
trasferirà la propria capitale a Leon,
centro di origine romana ubicato più a
sud e a partire dal 1230 diverrà parte
della Corona di Castiglia sino al 1833.
Tra offensive e controffensive nel 988
la stessa capitale asturiana subirà un
pesante attacco da parte dei musulmani,
ma nei primi anni del nuovo millennio
essa verrà ricostruita e la sua
importanza si accrescerà grazie
soprattutto alla sua ubicazione
sull’ormai delineato Cammino di
Santiago. Essa era l’ottava tappa di
quella succitata “Guida del Pellegrino”
da cui emerge essere la città divenuta
ormai un fiorente centro commerciale
“pieno di ogni ben di Dio”.
D’altra parte sappiamo che lungo le
“rutas jacobee” i pellegrini
incontravano tutta una serie di luoghi
di culto, certamente di minor
importanza, ma ciascuno con le sue
reliquie, le sue leggende, la sua fama
miracolosa e anche l’immancabile “feria”
con relativo mercato, offrendo così nel
tempo a ognuna di quelle tappe grandi
vantaggi economici.
Nel 996-997 ci fu un altro assalto da
parte dei mussulmani al regno delle
Asturie, questa volta addirittura alla
cittadina stessa di Santiago de
Compostela che fu saccheggiata e
danneggiata senza però che le reliquie
del santo venissero profanate. Il
Califfato di Cordova non si capacitava
del fatto che la tomba di quell’apostolo
nel giro di pochi decenni avesse
richiamato un numero sempre crescente di
pellegrini dalle regioni poste anche al
di là dei Pirenei, complice una serie di
supposti miracoli che l’avevano resa
celebre.
La sua azione dimostrativa sortirà,
però, l’effetto contrario suscitando
l’indignazione dei cristiani tutti che
al desiderio di poter continuare a
effettuare quel percorso votivo
assoceranno l’impegno nella difesa di
quella tomba dagli infedeli. Così
l’immagine di Santiago apostolo nel giro
di pochi anni si trasformerà da quella
iniziale di pellegrino e taumaturgo in
quella di santo guerriero, un “mata
moros” alla guida della “Reconquista”
della penisola iberica. Verso il 1055
Ferdinando I, a partire dal 1037
divenuto re di Castiglia e di Leon, si
sentì a sua volta in grado di scatenare
un’offensiva contro i mussulmani e ciò
gli permise di acquisire la bassa valle
del Duero affidandola ad agricoltori che
erano al tempo stesso, dati i tempi,
anche guerrieri. Quindi egli conquisterà
anche Coimbra avendo, si dice, compiuto
prima un pellegrinaggio a Santiago de
Compostela per chiedere l’aiuto
dell’apostolo. Il figlio Alfonso VI
continuerà l’opera paterna cosicché
l’inaugurazione, avvenuta nel 1075,
della attuale Cattedrale di Santiago de
Compostela si può associare ai successi
militari conseguiti in quegli anni dalle
forze cristiane.
Risulta chiaro che la devozione
all’apostolo Giacomo e la lotta contro
l’islam iberico in quegli anni si erano
andati saldando. Il papa Urbano II nel
1096 aveva dissuaso gli Spagnoli dal
partecipare alla I crociata per tenerli
impegnati nella Reconquista del proprio
Paese, mentre Callisto II nel 1120
accorderà ai combattenti in Spagna le
stesse indulgenze di quelli di Terra
Santa.
La città di Santiago de Compostela, una
delle più belle della Spagna oggi
facente parte del Patrimonio Unesco,
crebbe lentamente attorno a quella sua
chiesa. Città di fede e di cultura: di
una fede antica che non è mai venuta
meno e si è materializzata nel tempo
attraverso i numerosi conventi e le
cento chiese che movimentano con i loro
pinnacoli, le cupole, i campanili e i
gruppi scultorei il suo tessuto urbano.
Città anche di cultura grazie alla sua
antica Università, ardentemente voluta
nel XVI secolo dalla borghesia laica
gallega, a cui è connessa l’attuale
vivace vita studentesca. Suggestiva,
soprattutto la sera, la sua piazza
centrale d’Obradoiro su cui la
Cattedrale si affaccia, con le sue
fioche luci gialle, il silenzio diffuso,
la successione delle facciate
rinascimentali dei palazzi connotati dal
granito rosa che inquadra il bianco
delle facciate, gli imponenti portoni
sormontati da stemmi nobiliari e
all’intorno alberi secolari e tappeti di
umido verde.
Il polo d’attrazione è, però, da sempre
la Cattedrale che dopo la metà del
secolo XVII ha assunto un imponente
aspetto barocco il quale cela quasi del
tutto la sua originaria struttura
romanica, così come anche la città,
connotata da un originario impianto
medievale, fu ripensata dagli architetti
di quell’epoca creando spazi più o meno
ampi davanti ai principali edifici e
dando luogo a quegli effetti teatrali
che erano in sintonia con il gusto di
allora. Ma dietro la veste barocca della
facciata il pellegrino scopre ancor oggi
improvvisamente un inno alla gloria di
Dio: è quel magnifico “Portico della
gloria” che in epoca medievale
costituiva l’ingresso originario della
Cattedrale.
È opera di un certo maestro Matteo dalle
grandi capacità scultoree che prese
spunto da una immagine apocalittica,
quella della Gerusalemme celeste, per
creare una delle manifestazioni
iconografiche più sontuose del Medioevo.
Al centro domina la figura del Cristo
Redentore circondato dagli evangelisti
ritratti secondo la simbologia
medievale, mentre sull’archivolto si
stagliano ventiquattro vegliardi.
Dice Giovanni nell’Apocalisse (IV,2-4):
“Io vidi ventiquattro troni attorno
al trono e ventiquattro anziani vestiti
d’abiti sacerdotali bianchi e con delle
corone d’oro sulla testa (…) ciascun
vecchio aveva una cetra e delle coppe
piene di profumo che sono le orazioni
dei santi”. I ventiquattro anziani
che circondano il Cristo stanno
accordando i loro strumenti, vale a dire
che simbolicamente preparano le loro
anime a ricevere la grazia. Al centro,
al di sopra della figura del Cristo, si
nota uno strumento, l’organistrum,
che dà la nota con cui si accordano le
altre, il solo a essere sostenuto da due
anziani simboleggianti la concordia tra
chiesa cristiana e la sinagoga.
Gli strumenti a corda, le cetre, le
viole, i liuti rappresentano invece le
lodi degli anziani rivolte a Dio, ma
anche “la musica mondana”, l’armonia del
mondo e la pace degli eletti ristabilita
dal Cristo. Al di sotto di quest’ultimo
ecco la figura di san Giacomo ritratto
in veste di pellegrino venuto
dall’Oriente fino al limite
dell’Occidente, con la scritta “Misit
me Dominus”.
È la meta finale del pellegrinaggio
jacobeo, cammino rituale di
purificazione verso un segno visibile di
contatto tra l’umano e il divino.
Raggiuntala, dopo quel percorso che può
essere inteso come metafora della vita
terrena, il credente rinasce trasformato
in un uomo nuovo. |