N. 94 - Ottobre 2015
(CXXV)
SANGUE DEL MIO SANGUE
Vampiri di ieri e di oggi
di Giovanna D'Arbitrio
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2015, il film di Bellocchio “Sangue del mio sangue”, pur suscitando qualche perplessità da parte del pubblico e della critica, si è aggiudicato il Premio FRIPRESCI.
Come
ha
spiegato
lo
stesso
regista
in
diverse
interviste,
il
film
è
scaturito
da
vari
input
nel
corso
di
circa
sei
anni
in
cui,
lavorando
insieme
ad
un
gruppo
di
giovani
in
un
laboratorio
da
lui
diretto
a
Bobbio,
cercava
una
location
per
una
storia
centrata
sulla
figura
di
una
suora,
molto
simile
alla
manzoniana
monaca
di
Monza.
La
scoperta
casuale
delle
antiche
prigioni
di
Bobbio,
gli
sembrò
allora
il
luogo
ideale
per
raccontare
la storia
seicentesca
di
suor
Benedetta
(Lidiya
Liberman)
che
dopo
aver
sedotto
il
suo
confessore,
tenta
di
conquistare
anche
il
suo
gemello,
Federico
(Pier
Giorgio
Bellocchio),
uomo
d’armi
determinato
a
salvare
l’onore
di
famiglia
ottenendo
la
sepoltura
in
terra
consacrata
del
fratello,
morto
suicida.
Per
far
ciò
occorre
una
confessione
da
parte
di
Benedetta
del
suo
patto
col
diavolo,
per
poter
scagionare
il
prete
costretto
a
peccare
contro
la
sua
volontà.
Torturata
dal
clero
che
con
mezzi
violenti
cerca
inutilmente
di
ottenere
una
confessione,
ella
viene
murata
viva
nel carcere
dell’antico convento
di
Santa
Chiara.
Un
improvviso
salto
temporale
riporta
lo
spettatore
all'Italia
di
oggi,
in
particolare
alle
piccole
città
come
Bobbio
che
le
nuove
tecnologie
e la
globalizzazione
stanno
cancellando.
Il
Federico
del
passato,
vile
ed
ipocrita,
si è
trasformato
ora
in
un
intrallazzatore
moderno
(di
nuovo
P.G.
Bellocchio),
falso
ispettore
ministeriale
che
cerca
di
favorire
l’acquisto
delle
antiche
prigioni
del
convento
da
parte
di
un
affarista
russo.
A
lui
si
oppone
una
sorta
di
vampiro
moderno
(R.
Herlitzka),
un
conte
che
gestisce
il
suo
potere
di
notte
tessendo
in
segreto
le
sue
trame,
nascosto
nell’antico
convento,
insieme
ad
un
“comitato
cittadino”
che
regola
la
vita
di
Bobbio,
simbolo
della
vecchia
Italia
clientelare
che
teme
di
perdere
i
suoi
privilegi
con
l’avanzata
dei
nuovi
arraffatori
globalizzati.
Film
davvero
complesso,
con
tanti
personaggi
del
passato
e
del
presente
(oltre
a
quelli
principali
già
citati),
come
le
sorelle
Perletti,
due
zitelle
desiderose
di
amplessi
amorosi
(A.
Rorhwacher,
F.
Fracassi),
il
pazzo
del
villaggio
(F.
Timi),
il
dentista
amico
del
conte
(T.
Bertorelli)
e il
popolo
dei
falsi
invalidi
ed
evasori
fiscali
che
ha
improvvisi
attacchi
di
panico
di
fronte
ai
probabili
controlli
dell’
ispettore.
Non
è
facile
per
lo
spettatore
destreggiarsi
tra
il
passato
e un
presente
in
cui
al
potere
ecclesiastico
di
un
tempo
si
sostituisce
quello
vampiresco
dei
nuovi
corrotti
e
corruttori
locali
e
internazionali.
Il
messaggio
sotteso
arriva
comunque
allo
spettatore,
anche
se
con
difficoltà:
ogni
epoca
ha
il
“suo
particolare
oscurantismo”
che
cerca
di
distruggere
la
libertà,
tema
ricorrente
nei
film
di
Bellocchio,
insieme
alla
lotta
contro
tutte
le
ipocrisie,
le
paure,
le
repressioni
sessuali,
i
condizionamenti.
Dalle
interviste
rilasciate,
a
quanto
pare
egli
non
intende
attaccare
la
Chiesa
cattolica
attuale
che
grazie
a
Papa
Francesco
appare
in
una
fase
di
trasformazione
epocale,
bensì
quella
del
passato.
Nel
film
egli
ha
cercato
piuttosto
di
metterne
in
rilievo
caratteristiche
ed
obiettivi
e
pertanto
ha
affermato:
"La
libertà
è lo
spirito
di
questo
film.
Non
mi
interessava
stabilire
connessioni
rigide
tra
presente
e
passato.
Il
mio
non
è un
film
all’americana,
dove
tutto
è
razionalistico
e
consequenziale….
Benedetta
è
l'immagine
di
una
bella
libertà
che
non
vuole
arrendersi". E
in
effetti
il
film
si
conclude
con
l’immagine
simbolica
di
Benedetta
che
esce
dalla
sua
prigione
dopo
tanti
anni,
non
invecchiata
e
debilitata
dalla
sofferenza,
ma
risplendente
di
gioventù
e
bellezza.
Un
film
da
vedere
che
suscita
molte
discussioni
e
che
si
avvale
di
bravi
attori,
della
sceneggiatura
di
Marco
Bellocchio,
della
colonna
sonora
di
Carlo
Crivelli,
della
fotografia
di
Daniele
Ciprì.