N. 137 - Maggio 2019
(CLXVIII)
San Vincenzo al Volturno
storia di un'abbazia medievale
di Alfredo Incollingo
Il
Chronicon
Vulturnense
(1130
circa)
del
monaco
Giovanni
è
per
noi
una
fonte
indispensabile
per
ricostruire
la
storia
dell’abbazia
di
San
Vincenzo
a
Volturno,
nonostante
presenti
caratteristiche
tipiche
della
letteratura
agiografica.
Nel
731,
racconta
il
cronista,
tre
frati
beneventani,
i
cugini
Paldo,
Tato
e
Taso,
lasciarono
le
loro
aristocratiche
dimore
alla
ricerca
di
un
luogo
ameno
dove
vivere
con
serenità
la
loro
vocazione
religiosa.
Lo
trovarono
nei
pressi
delle
sorgenti
del
fiume
Volturno,
un
territorio
selvaggio
e
disabitato,
lontano
dai
grandi
centri
del
ducato
longobardo
di
Benevento.
Il
cenobio
venne
fondato
sulle
rovine
di
antichi
edifici
romani.
Tra
il V
e VI
secolo,
con
molta
probabilità,
la
popolazione
locale
aveva
eretto
una
piccola
chiesa,
dedicata
a
San
Vincenzo
di
Saragozza,
sui
resti
di
una
villa
rustica.
Secondo
il
Chronicon,
fu
l’imperatore
Costantino
il
Grande
a
finanziare
la
costruzione
della
cappella,
le
cui
fondamenta
furono
usate
dai
tre
monaci
beneventani
per
erigere
il
nucleo
originario
del
monastero.
Come
Paldo,
Taso
e
Tato,
anche
il
princeps
romano
rimase
colpito
dalla
bellezza
naturale
delle
sorgenti
del
Volturno.
Impegnarono
buona
parte
dei
loro
ricchi
patrimoni
per
costruire
San
Vincenzo
a
Volturno,
nonostante
la
ferma
opposizione
dei
familiari.
Lasciata
Benevento
e
intenzionati
a
dare
concretezza
alla
loro
vocazione
ascetica,
si
recarono
presso
l’abbazia
di
Farfa,
nell’alto
Lazio.
Fu
l’abate
Tommaso
di
Moriana
a
suggerire
ai
tre
monaci
di
insediarsi
nell’Alta
Valle
del
Volturno,
nel
luogo
dove
nasce
il
più
grande
fiume
del
Meridione
d’Italia.
Il
piccolo
cenobio
crebbe
in
prestigio
e
nel
numero
dei
frati
in
pochi
decenni,
grazie
alla
fortunata
posizione
geografica.
Posto
a
confine
tra
il
Sacro
Romano
Impero
e il
ducato
di
Benevento,
divenne
un
centro
strategico
per
la
diplomazia
franca
e
longobarda.
L’imperatore
Carlo
Magno
e il
duca
Gisulfo
II
soggiornarono
più
volte
a
San
Vincenzo,
diventando
luogo
di
incontro
per
gli
ambasciatori
imperiali
e
beneventani.
La
sua
fama
attirava
da
tutta
Europa
monaci
e
intellettuali,
che
vi
dimoravano
per
anni
o
solo
per
pochi
mesi.
I
conflitti
tra
Carlo
e i
duchi
beneventani
produssero
gravi
ripercussioni
negli
equilibri
di
potere
all’interno
dell’abbazia.
Molti
abati
vennero
deposti
e
altri
furono
esiliati
per
aver
sostenuto
i
franchi
o
per
i
signori
di
Benevento.
Nel
782,
per
esempio,
il
priore
Potone,
di
origini
longobarde,
venne
allontanato
dai
suoi
confratelli
per
aver
abbandonato
una
funzione
religiosa
durante
un
canto
del
coro
in
onore
di
Carlo
Magno.
Onde
riottenere
i
suoi
privilegi,
fu
costretto
a
giurare
fedeltà
all’imperatore
franco.
Il
Carolingio
mostrò
sempre
il
suo
apprezzamento
per
la
lealtà
dei
monaci
di
San
Vincenzo
a
Volturno,
concedendo
privilegi
fiscali
e
giurisdizionali.
Il
monastero
divenne
così
una
delle
maggiori
abbazie
dell’Europa
medievale.
Il
suo
prestigio
e le
sue
ricchezze
crebbero
ulteriormente
nel
tempo,
soprattutto
con
l’abate
Epifanio,
che,
tra
l’824
e
l’842,
si
impegnò
in
una
vasta
ristrutturazione
dell’intero
complesso
monastico.
Durante
i
lavori,
al
di
sotto
della
“chiesa
nord”,
facente
parte
del
nucleo
originale
del
cenobio,
venne
costruita
la
Cripta
Epifanii.
L’eccellente
stato
di
conservazione
ha
permesso
agli
studiosi
di
ammirare
gli
splenditi
affreschi
della
cappella
sotterranea,
una
grandiosa
e
rara
testimonianza
della
pittura
medievale.
I
dipinti
rappresentano
alcune
scene
del
martirio
di
San
Lorenzo
e di
Santo
Stefano,
della
vita
della
Madonna
e di
Gesù
e
dell’Apocalisse
di
San
Giovanni.
All’interno
della
cripta
è
presente
un
sarcofago,
che
probabilmente
accoglieva
le
spoglie
dell’abate
Epifanio.
La
fortuna
di
San
Vincenzo
a
Volturno
declinò
repentinamente
nel
IX
secolo.
Prima
un
terremoto,
nel
848,
e,
successivamente,
diverse
incursioni
saracene
arrecarono
pesanti
danni
all’abbazia.
Furono
costoro
a
devastare
l’intero
complesso
monastico
il
10
ottobre
881.
Il
duca
Atanasio
II
di
Napoli
assoldò
una
banda
di
saraceni
per
distruggere
San
Vincenzo
a
Volturno,
potendo
così
incorporare
parte
dei
suoi
beni.
Il
cenobio
venne
messo
a
ferro
e a
fuoco
e
buona
parte
dei
monaci,
circa
300,
vennero
uccisi
all’istante
o
giustiziati
sulle
rive
del
Volturno
dopo
la
razzia.
I
superstiti
si
salvarono
fuggendo
a
Capua,
dove
rimasero
fino
al
914,
quando
ritornarono
nelle
loro
terre.
Il
cenobio
venne
ricostruito,
usando
il
vecchio
complesso
monastico
come
cava
di
marmi
e
mattoni,
ma
non
riuscirono
più
a
recuperare
l’antico
prestigio.
Riferimenti
bibliografici:
Marazzi
Federico,
San
Vincenzo
a
Volturno.
Guida
alla
città
monastica,
Volturnia
Edizioni,
Cerro
a
Volturno
(IS)
2014;
Oldoni
Massimo
(a
cura
di),
Chronicon
Vulturnense
del
monaco
Giovanni
scritto
intorno
all'anno
1130,
Volturnia
Edizioni,
Cerro
a
Volturno
(IS)
2011.