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attualità


N. 21 - Settembre 2009 (LII)

GRAZIE FERNANDA
una protagonista della cultura del nostro secolo

di Laura Novak

 

Fernanda se ne è andata a 92 anni.
Nel corso di questo lungo percorso di vita ha letto, studiato, interpretato e compreso moltissimo, molto di più di quanto ognuno di noi farà mai.

Avevo sedici anni quando per curiosità, per caso o semplicemente per noia, non ricordo, comprai un libro, insostituibile nella mia mente: “Jukebox All’Idrogeno” di Allen Ginsberg. Lo presi, lo lasciai, lo ripresi, cercando di comprenderne il senso e la prospettiva. Alla fine lo amai.

Grazie a lei e lei soltanto è custodito gelosamente nella mia libreria.
Fernanda nasce genovese nel 1917 e vive la sua giovinezza a Torino, sotto la dittatura mussoliniana.

La sua vita di donna comune, ma dall’intelligenza raffinata, cambia quando all’università conosce Cesare Pavese, suo professore.
Da lì comprende come le parole possano divenire, essere e perdurare come la più grande forma d’arte umana.

Nel 1941 si laurea in Lettere a Torino; la sua tesi su “Moby Dick” di Melville, le aprirà le porte per la conoscenza della grande letteratura d’oltreoceano.
Poi un’altra laurea in filosofia nel 1943.

Inizia quindi, sotto la guida dei suoi mentori Pavese e Abbagnano (docente di Filosofia da lei amatissimo), la ricerca, lo studio e l’approfondimento per questo mondo sconosciuto ma luminoso, che era la nuova letteratura americana.
Ed il buio di anni chiusi e crudeli come quelli della dittatura fascista si squarcia all’improvviso.

La sua prima pubblicazione è del 1943, anno in cui traduce, seppur in parte, “Spoon River Anthology” di Edgar Lee Masters.
In quegl’anni dittatoriali quel libro era al bando: troppo eversivo parlare d’amore fisico, di lotta alla guerra e al bieco capitalismo.
Fernanda, colpevole di leggere e diffondere parole proibite, viene incarcerata, per poi essere rilasciata.

Il suo essere donna in un universo ancora profondamente sessista e maschilista, non le sbarra le porte della conoscenza. Con molta probabilità quelle stesse porte devono esserle state chiuse molte volte, ma con altrettanta probabilità Fernanda le ha scardinate dalla base, per poi attraversarle trionfalmente.

Subito dopo la fine della guerra Fernanda conosce Ernest Hemingway; con lui il suo rapporto sarà di profondo rispetto e corrisposta amicizia.
Sarà proprio lei a dare alla stampa, curandone traduzione ed edizione, i più grandi capolavori di Hemingway, di Francis Scott Fitzgerald, fino ai big della Beat Generation.
Questa nuova corrente americana, beffarda e rivoluzionaria, che stava sconvolgendo i canoni letterari e di costume nell’America negli anni ‘50, in Italia era praticamente sconosciuta.

Fernanda la vive a suo modo, come ha sempre vissuto ogni aspetto magnifico della cultura: la diffonde, la rende viva, la pone delicatamente sulle mani del lettore italiano, convinta della grandezza del suo messaggio.

Beat significava molto, troppo: Beatitude, dalla beatitudine derivante da un avvicinamento a pratiche zen, o dall’estasi sintetica delle nuove droghe, o semplicemente battito umano, ribellione del corpo rinchiuso in stringenti regole sociali, o ancora beat come colpo, tempo musicale di quella magnifica musica jazz dei primi anni ’50, passando per il blues, fino alla prima mescolata psichedelica e tribale della fine degli anni ’60.

Fernanda studia il fenomeno e lo ama immensamente.
Il suo più grande tributo sarà una magnifica prefazione all’opera simbolo della Beat Generation: “Sulla Strada “ di Jack Kerouac.

Inizia con il tempo e con il finire degli anni ’70 a scrivere meravigliosi saggi sui suoi incontri più importanti della vita: incontri spirituali, mentali, d’anime…
Nel 1976 pubblica il saggio “I Mostri degli anni Venti”, dove ritrae un affresco accorato delle più grandi penne americane degli anni Venti: Dorothy Parker, il suo grande amico Hemingway, Fitzgerald, Faulkner…

Gli anni ’70, pieni di pathos umano, di contestazione fisica alle ingiustizie del mondo, di fratellanza e libertà sessuale, sono in Italia lo scenario per un altro grande poeta, amato immensamente dalla Pivano: Fabrizio de Andrè, di cui lei stessa dirà: è il più grande poeta dell’Italia della seconda metà del novecento.

Fabrizio morirà troppo giovane, dopo lunghi anni di profonda carriera, lasciando, purtroppo, il suo viaggio compassionevole nelle viltà e nelle virtù dell’uomo incompiuto.

Fernanda, nei suoi 92 anni di vita, non ha ceduto un solo secondo.
Ci ha introdotto con prefazioni opere d’arte, asciutte e toccanti, Burroughs, Carver fino al gigante Don DeLillo.

Ed è ancora solo grazie a lei ed alla sua fine opera di ricerca e diffusione, che ci siamo scontrati nel corso della nostre letture (chi più chi meno) in Bret Easton Ellis ed il suo Bateman, psicopatico americano, o Chuck Palahniuk con il suo segretissimo Fight Club, dove c’è un’unica regola: la sua inesistenza.

L’obiettivo lucido e leggiadro di Fernanda, in tutti questi anni, non si è mai offuscato.
La fame di conoscere e l’amore per il prossimo, a cui donare parte di quella conoscenza, l’ha sempre condotta ai vertici della cultura del nostro paese, un Italia spesso così ottusa ed impaurita da esiliare ed umiliare geni scapigliati e menti d’avanguardia.

La cultura, in ogni sua metamorfosi moderna o post moderna, è piena di contraddizioni, è viscerale e profonda, così densa da produrre alimento essenziale per tutti i tipi di palati.
Le parole vincono sul silenzio, possono condurci in luoghi metafisici, in esperienze acide o realistiche.
Fernanda ha visto molti luoghi e grazie al suo vastissimo lavoro di una vita, anche noi ne abbiamo ancora molti da visitare nel nostro futuro.


 

 

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