contemporanea
IL GENERALE SALAN E IL COLONNELLO KURTZ
UN (“IMPOSSIBILE”) CONFRONTO
di Alessio Guglielmini
Raoul Salan e Walter E. Kurtz: due
leader militari, uno vissuto nella
storia del Novecento, uno vissuto solo
in quel mito cinematografico che è l’Apocalypse
Now di Francis Ford Coppola. Due
personalità chiaramente inconciliabili
ma con un principale tratto in comune:
la ribellione al proprio governo durante
un’operazione di guerra.
La rivolta di Salan al suo governo,
quello francese, si inserisce nella
complicata Guerra d’Algeria (1954-1962)
ed è stata approfondita per le sue
rilevanze giuridiche da Carl Schmitt che
in Teoria del partigiano (1963)
commenta quasi in diretta le vicende del
generale francese. Salan, iniziale
sostenitore di de Gaulle e comandante in
capo in Algeria dal 1956 al 1958,
abbandona le posizioni di partenza nel
momento in cui si rende conto che de
Gaulle punta a concedere agli algerini
l’autodeterminazione.
Messo forzatamente a riposo, Salan,
sentendosi tradito dalla linea gollista,
torna nel paese nordafricano. Qui inizia
la sua carriera di “partigiano” e, in
compagnia degli altri generali
disertori, Challe, Jouhaud e Zeller,
organizza il putsch di Algeri
dell’aprile 1961. Salan assume inoltre
il comando dell’OAS, Organisation
armée secrète, gruppo paramilitare
nato da poco che ha tra i suoi maggiori
obiettivi la conservazione dell’egemonia
francese in Algeria.
Salan si trova così all’improvviso ad
avere due nemici: il Fronte di
Liberazione Nazionale algerino e il
governo francese guidato da de Gaulle.
Per Schmitt è l’inizio di un
fondamentale cortocircuito: «Non è
forse un segno di scissione l’aver più
di un solo vero nemico? Il nemico è la
messa in questione di noi come figure.
Se la nostra figura è determinata con
chiarezza, come si crea questa duplicità
del nemico? Il nemico non è qualcosa che
si debba eliminare per un qualsiasi
motivo, o che si debba annientare per il
suo disvalore. Il nemico si situa sul
mio stesso piano. Per questa ragione mi
devo scontrare con lui: per acquisire la
mia misura, il mio limite, la mia figura».
E ancora, tanto per sancire la
complessità della faccenda: «Salan
considerava il partigiano algerino come
il nemico assoluto. Ma improvvisamente
apparve alle sue spalle un nemico per
lui assai peggiore, e molto più
accanito: il proprio governo, il proprio
superiore, il proprio fratello. Nei suoi
fratelli di ieri vide improvvisamente un
nuovo nemico. È questa la sostanza del
caso Salan».
È questa, in buona parte, anche la
sostanza del caso Kurtz in Apocalypse
Now. Il colonnello dei Berretti
Verdi Walter E. Kurtz, anch’egli
pluridecorato, all’improvviso si ritrova
ad avere un nemico peggiore dei Vietcong
che sta affrontando sul campo: il suo
governo, il governo degli Stati Uniti.
La duplicità del nemico, come per Salan,
diventa occasione di scissione,
straniamento, di perdita della propria
misura, del proprio limite e della
propria figura. Dietro tale distorsione,
Kurtz, ricalcando la discesa negli
abissi del suo personaggio ispiratore,
il Kurtz di Conrad in Cuore di
Tenebra, crea il suo regno illegale
e illegittimo in un angolo sperduto
della Cambogia. Qui viene sostenuto da
un manipolo di disertori e di sbandati,
figure incerte dal punto di vista
giuridico come i combattenti analizzati
da Schmitt. Questi “partigiani” sono in
verità una compagine eterogenea di
seguaci: tra di essi, alcuni soldati,
hippie invasati come il fotoreporter
interpretato da Dennis Hopper e,
soprattutto, gli indigeni della giungla
che hanno creato attorno a Kurtz un
culto idolatrico.
Il suo stesso sicario, il capitano
Willard (Martin Sheen), viene irretito
dalla mistica di Kurtz (Marlon Brando),
ma alla fine lo uccide, di fatto
liberandolo dalla “possessione” imposta
dalla giungla.
Tra l’altro, questo “duello finale” è
simmetrico alle modalità di successione
del Rex Nemorensis, antico re
sacerdote nel bosco di Diana presso il
lago laziale di Nemi. Il Rex
Nemorensis restava in carica fino a
quando non si presentava un contendente
che riusciva a ucciderlo e a
succedergli: la dinamica è la medesima
che intercorre tra Willard e Kurtz. Del
Rex Nemorensis parla
l’antropologo e storico delle religioni
James G. Frazer, autore del monumentale
Il ramo d’oro (originale The
Golden Bough), opera posseduta
proprio da Kurtz nell’antro del tempio
in cui ha fissato il suo quartier
generale.
Al di là
dell’alone mitologico che lo circonda,
il Kurtz plasmato da Coppola e da Milius
è un ufficiale che si confronta con la
caparbietà del nemico, preferendola di
gran lunga alla mollezza dei propri
ranghi. Kurtz, nel confessarsi a Willard,
rimpiange di non avere a disposizione
soldati come i guerriglieri vietnamiti:
«Se avessi avuto dieci divisioni di
quegli uomini, i nostri problemi in
questo posto sarebbero finiti molto
presto. Devi avere uomini dotati di
moralità e al tempo stesso capaci di
utilizzare i propri istinti primordiali
per uccidere senza provare nulla, senza
passione. Senza dare giudizi. Senza dare
giudizi. Perché sono i giudizi a
sconfiggerci».
Kurtz, sedotto dal nemico e sconfessato
dal suo governo per i suoi metodi non
ortodossi, esce dai quadri regolari
dell’esercito e comincia una guerra
irregolare all’interno del conflitto
vietnamita, proprio come fa Salan in
Algeria: in questo risiede la più grande
somiglianza nel confronto impossibile
che stiamo delineando. Kurtz,
nascondendosi nella giungla e diventando
la preda da stanare, finisce per imitare
le tecniche dei guerriglieri a cui
precedentemente aveva dato la caccia.
Salan, dal canto suo, si mette a capo di
un movimento paramilitare, l’OAS, che,
pur non rinunciando a combattere il
Fronte di Liberazione Nazionale
algerino, ne assorbe alcune peculiarità:
quelle dell’attentato dinamitardo, della
propaganda tra le linee, del sabotaggio
e della clandestinità. Salan, prima di
essere arrestato nel 1962, cambia
rifugio una sessantina di volte,
ricalcando appunto le formule care al
partigiano.
Una formula spiazzante, considerando che
Salan passa alla storia come uomo
imperscrutabile: emblematico, il tal
senso, il soprannome di “Mandarino” che
gli viene assegnato molto prima
dell’affare algerino. Il Mandarino e il
Re Sciamano: sono questi Salan e Kurtz
se ci accontentiamo di farli rientrare
in una definizione simbolica.
Un altro punto di aggancio tra i due
comandanti ce lo fornisce la
sceneggiatura dell’edizione Redux
di Apocalypse Now del 2001.
Willard e i suoi, poco prima di
approdare nelle terre di Kurtz, sono
ospiti della residenza dei De Marais,
famiglia coloniale francese insediata
nel territorio cambogiano da alcune
generazioni.
Hubert De Marais (Christian Marquand),
il capofamiglia, in un acceso monologo
ripercorre la carrellata delle sconfitte
francesi nelle colonie: «Perdiamo a
Dien Bien Phu! Perdiamo in Algeria!
Perdiamo in Indocina! Ma qui non
perdiamo! Questo pezzo di terra ce lo
teniamo! Non lo perderemo mai! Mai».
Per la cronaca, quando i francesi cadono
a Dien Bien Phu nel 1954, il comando
generale in Indocina non è più nelle
mani di Salan, ma in quelle del suo
successore, Henri Navarre. Salan,
tuttavia, conosce bene quegli scenari di
“guerra partigiana moderna nelle
boscaglie, nelle giungle e nelle risaie
indocinesi” (Schmitt). Nonché è
familiare con tutto ciò che accade poi
durante la guerra algerina. Ecco perché
il fenomeno Apocalypse Now rimane
pur sempre una riflessione sulla
decolonizzazione e sulle nuove ideologie
in guerra.
Dien Bien Phu, d’altronde, è la pietra
miliare che spiega al mondo dei
colonizzati come sia possibile far
crollare gli antichi imperi occidentali,
ricorrendo appunto alla tattica della
guerriglia che da rurale, come in
Indocina, si rende urbana ad Algeri.
Giorgio Galli in I colonnelli della
guerra rivoluzionaria e in
La
democrazia e il pensiero militare
smentisce del resto il luogo comune
dell’ufficiale europeo “reazionario”,
rinvenendo in molti esponenti delle
élites militari del secondo dopoguerra,
tra cui lo stesso Salan, una coscienza
“progressista”, se non “rivoluzionaria”,
maturata sul campo, ad esempio in
Indocina e in Algeria.
Eppure, il suo principale difensore nel
processo del 1962, Tixier-Vignancour, ci
tiene a sottolineare come Salan sia un
comandante militare, non un militante
comunista, questo per far rientrare
Salan nell’ordine delle cose spettanti
al comportamento di un ufficiale vecchio
stampo che ha voluto difendere l’Impero
e i pieds-noirs, i francesi
d’Algeria. Salvato dalla pena capitale,
Salan è condannato all’ergastolo, ma
liberato appena sei anni più tardi
grazie all’amnistia concessa proprio da
de Gaulle. Viene “reintegrato”
nell’esercito nel 1982, due anni prima
di morire.
Dopo la peripezia irregolare in Algeria,
la sua storia è riscolpita nel canone
ufficiale dell’esercito, anche in virtù
delle sue memorie, mentre il ricordo di
Walter E. Kurtz continua a vagare come
un’ombra indefinita nel regno magico
della giungla.
Riferimenti bibliografici:
C.Schmitt, Teoria del partigiano,
Adelphi, Milano 2008.
J.G. Frazer, Il ramo d’oro. Studio
sulla magia e la religione, Bollati
Boringhieri, Torino 2012.
G. Galli, I colonnelli della guerra
rivoluzionaria, Il Mulino, Bologna
1962.
G. Galli, La democrazia e il pensiero
militare, Libreria Editrice
Goriziana, Gorizia 2008.
Apocalypse Now REDUX. Sceneggiatura di
John Milius e Francis Ford Coppola,
Alet, Padova 2006.
J. Conrad, Cuore di tenebra,
Feltrinelli, Milano 2003.
R. Salan, Indochine rouge - Le
message d’Hô Chi Minh, Presse de la
Cite, Paris 1975.
C. Pianciola, La guerra d’Algeria e
il “manifesto dei 121”, Edizioni
dell’Asino, Roma 2017. |