[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

163 / LUGLIO 2021 (CXCIV)


contemporanea

IL GENERALE SALAN E IL COLONNELLO KURTZ

UN (“IMPOSSIBILE”) CONFRONTO

di Alessio Guglielmini

 

Raoul Salan e Walter E. Kurtz: due leader militari, uno vissuto nella storia del Novecento, uno vissuto solo in quel mito cinematografico che è l’Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. Due personalità chiaramente inconciliabili ma con un principale tratto in comune: la ribellione al proprio governo durante un’operazione di guerra.

 

La rivolta di Salan al suo governo, quello francese, si inserisce nella complicata Guerra d’Algeria (1954-1962) ed è stata approfondita per le sue rilevanze giuridiche da Carl Schmitt che in Teoria del partigiano (1963) commenta quasi in diretta le vicende del generale francese. Salan, iniziale sostenitore di de Gaulle e comandante in capo in Algeria dal 1956 al 1958, abbandona le posizioni di partenza nel momento in cui si rende conto che de Gaulle punta a concedere agli algerini l’autodeterminazione.

 

Messo forzatamente a riposo, Salan, sentendosi tradito dalla linea gollista, torna nel paese nordafricano. Qui inizia la sua carriera di “partigiano” e, in compagnia degli altri generali disertori, Challe, Jouhaud e Zeller, organizza il putsch di Algeri dell’aprile 1961. Salan assume inoltre il comando dell’OAS, Organisation armée secrète, gruppo paramilitare nato da poco che ha tra i suoi maggiori obiettivi la conservazione dell’egemonia francese in Algeria.

 

Salan si trova così all’improvviso ad avere due nemici: il Fronte di Liberazione Nazionale algerino e il governo francese guidato da de Gaulle. Per Schmitt è l’inizio di un fondamentale cortocircuito: «Non è forse un segno di scissione l’aver più di un solo vero nemico? Il nemico è la messa in questione di noi come figure. Se la nostra figura è determinata con chiarezza, come si crea questa duplicità del nemico? Il nemico non è qualcosa che si debba eliminare per un qualsiasi motivo, o che si debba annientare per il suo disvalore. Il nemico si situa sul mio stesso piano. Per questa ragione mi devo scontrare con lui: per acquisire la mia misura, il mio limite, la mia figura».

 

E ancora, tanto per sancire la complessità della faccenda: «Salan considerava il partigiano algerino come il nemico assoluto. Ma improvvisamente apparve alle sue spalle un nemico per lui assai peggiore, e molto più accanito: il proprio governo, il proprio superiore, il proprio fratello. Nei suoi fratelli di ieri vide improvvisamente un nuovo nemico. È questa la sostanza del caso Salan».

 

È questa, in buona parte, anche la sostanza del caso Kurtz in Apocalypse Now. Il colonnello dei Berretti Verdi Walter E. Kurtz, anch’egli pluridecorato, all’improvviso si ritrova ad avere un nemico peggiore dei Vietcong che sta affrontando sul campo: il suo governo, il governo degli Stati Uniti.

 

La duplicità del nemico, come per Salan, diventa occasione di scissione, straniamento, di perdita della propria misura, del proprio limite e della propria figura. Dietro tale distorsione, Kurtz, ricalcando la discesa negli abissi del suo personaggio ispiratore, il Kurtz di Conrad in Cuore di Tenebra, crea il suo regno illegale e illegittimo in un angolo sperduto della Cambogia. Qui viene sostenuto da un manipolo di disertori e di sbandati, figure incerte dal punto di vista giuridico come i combattenti analizzati da Schmitt. Questi “partigiani” sono in verità una compagine eterogenea di seguaci: tra di essi, alcuni soldati, hippie invasati come il fotoreporter interpretato da Dennis Hopper e, soprattutto, gli indigeni della giungla che hanno creato attorno a Kurtz un culto idolatrico.

 

Il suo stesso sicario, il capitano Willard (Martin Sheen), viene irretito dalla mistica di Kurtz (Marlon Brando), ma alla fine lo uccide, di fatto liberandolo dalla “possessione” imposta dalla giungla.

 

Tra l’altro, questo “duello finale” è simmetrico alle modalità di successione del Rex Nemorensis, antico re sacerdote nel bosco di Diana presso il lago laziale di Nemi. Il Rex Nemorensis restava in carica fino a quando non si presentava un contendente che riusciva a ucciderlo e a succedergli: la dinamica è la medesima che intercorre tra Willard e Kurtz. Del Rex Nemorensis parla l’antropologo e storico delle religioni James G. Frazer, autore del monumentale Il ramo d’oro (originale The Golden Bough), opera posseduta proprio da Kurtz nell’antro del tempio in cui ha fissato il suo quartier generale.

 

Al di là dell’alone mitologico che lo circonda, il Kurtz plasmato da Coppola e da Milius è un ufficiale che si confronta con la caparbietà del nemico, preferendola di gran lunga alla mollezza dei propri ranghi. Kurtz, nel confessarsi a Willard, rimpiange di non avere a disposizione soldati come i guerriglieri vietnamiti: «Se avessi avuto dieci divisioni di quegli uomini, i nostri problemi in questo posto sarebbero finiti molto presto. Devi avere uomini dotati di moralità e al tempo stesso capaci di utilizzare i propri istinti primordiali per uccidere senza provare nulla, senza passione. Senza dare giudizi. Senza dare giudizi. Perché sono i giudizi a sconfiggerci».

 

Kurtz, sedotto dal nemico e sconfessato dal suo governo per i suoi metodi non ortodossi, esce dai quadri regolari dell’esercito e comincia una guerra irregolare all’interno del conflitto vietnamita, proprio come fa Salan in Algeria: in questo risiede la più grande somiglianza nel confronto impossibile che stiamo delineando. Kurtz, nascondendosi nella giungla e diventando la preda da stanare, finisce per imitare le tecniche dei guerriglieri a cui precedentemente aveva dato la caccia.

 

Salan, dal canto suo, si mette a capo di un movimento paramilitare, l’OAS, che, pur non rinunciando a combattere il Fronte di Liberazione Nazionale algerino, ne assorbe alcune peculiarità: quelle dell’attentato dinamitardo, della propaganda tra le linee, del sabotaggio e della clandestinità. Salan, prima di essere arrestato nel 1962, cambia rifugio una sessantina di volte, ricalcando appunto le formule care al partigiano.

 

Una formula spiazzante, considerando che Salan passa alla storia come uomo imperscrutabile: emblematico, il tal senso, il soprannome di “Mandarino” che gli viene assegnato molto prima dell’affare algerino. Il Mandarino e il Re Sciamano: sono questi Salan e Kurtz se ci accontentiamo di farli rientrare in una definizione simbolica.

 

Un altro punto di aggancio tra i due comandanti ce lo fornisce la sceneggiatura dell’edizione Redux di Apocalypse Now del 2001. Willard e i suoi, poco prima di approdare nelle terre di Kurtz, sono ospiti della residenza dei De Marais, famiglia coloniale francese insediata nel territorio cambogiano da alcune generazioni.

 

Hubert De Marais (Christian Marquand), il capofamiglia, in un acceso monologo ripercorre la carrellata delle sconfitte francesi nelle colonie: «Perdiamo a Dien Bien Phu! Perdiamo in Algeria! Perdiamo in Indocina! Ma qui non perdiamo! Questo pezzo di terra ce lo teniamo! Non lo perderemo mai! Mai».

 

Per la cronaca, quando i francesi cadono a Dien Bien Phu nel 1954, il comando generale in Indocina non è più nelle mani di Salan, ma in quelle del suo successore, Henri Navarre. Salan, tuttavia, conosce bene quegli scenari di “guerra partigiana moderna nelle boscaglie, nelle giungle e nelle risaie indocinesi” (Schmitt). Nonché è familiare con tutto ciò che accade poi durante la guerra algerina. Ecco perché il fenomeno Apocalypse Now rimane pur sempre una riflessione sulla decolonizzazione e sulle nuove ideologie in guerra.

 

Dien Bien Phu, d’altronde, è la pietra miliare che spiega al mondo dei colonizzati come sia possibile far crollare gli antichi imperi occidentali, ricorrendo appunto alla tattica della guerriglia che da rurale, come in Indocina, si rende urbana ad Algeri.

 

Giorgio Galli in I colonnelli della guerra rivoluzionaria e in La democrazia e il pensiero militare smentisce del resto il luogo comune dell’ufficiale europeo “reazionario”, rinvenendo in molti esponenti delle élites militari del secondo dopoguerra, tra cui lo stesso Salan, una coscienza “progressista”, se non “rivoluzionaria”, maturata sul campo, ad esempio in Indocina e in Algeria.

 

Eppure, il suo principale difensore nel processo del 1962, Tixier-Vignancour, ci tiene a sottolineare come Salan sia un comandante militare, non un militante comunista, questo per far rientrare Salan nell’ordine delle cose spettanti al comportamento di un ufficiale vecchio stampo che ha voluto difendere l’Impero e i pieds-noirs, i francesi d’Algeria. Salvato dalla pena capitale, Salan è condannato all’ergastolo, ma liberato appena sei anni più tardi grazie all’amnistia concessa proprio da de Gaulle. Viene “reintegrato” nell’esercito nel 1982, due anni prima di morire.

 

Dopo la peripezia irregolare in Algeria, la sua storia è riscolpita nel canone ufficiale dell’esercito, anche in virtù delle sue memorie, mentre il ricordo di Walter E. Kurtz continua a vagare come un’ombra indefinita nel regno magico della giungla.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

C.Schmitt, Teoria del partigiano, Adelphi, Milano 2008.

J.G. Frazer, Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione, Bollati Boringhieri, Torino 2012.

G. Galli, I colonnelli della guerra rivoluzionaria, Il Mulino, Bologna 1962.

G. Galli, La democrazia e il pensiero militare, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2008.

Apocalypse Now REDUX. Sceneggiatura di John Milius e Francis Ford Coppola, Alet, Padova 2006.

J. Conrad, Cuore di tenebra, Feltrinelli, Milano 2003.

R. Salan, Indochine rouge - Le message d’Hô Chi Minh, Presse de la Cite, Paris 1975.

C. Pianciola, La guerra d’Algeria e il “manifesto dei 121”, Edizioni dell’Asino, Roma 2017.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]