N°
178
/ OTTOBRE 2022 (CCIX)
attualità
SUL GASDOTTO NORD STREAM
QUAL FUTURO ENERGETICO PER L'EUROPA?
di Gian Marco Boellisi
Il dibattito sulla sicurezza
energetica europea e sul prezzo che
deve essere pagato per ottenerla è
ormai cosa di tutti i giorni.
Infatti dallo scoppio della guerra
in Ucraina l’Europa e i suoi stati
membri hanno visto messe in forse le
proprie politiche energetiche e le
proprie classiche fonti di
approvigionamento, cercando così
delle rotte alternative di
fornitura.
Tuttavia i gasdotti che per anni
hanno letteralmente scaldato il
Vecchio Continente rimangono ancora
in piedi e, sanzioni permettendo,
sono ancora in grado di portare gas
ai suoi clienti europei. O almeno
questo era vero prima della fine di
qualche settimana fa. Infatti tra il
26 e il 27 settembre 2022 alcune
eplosioni ad alto potenziale hanno
danneggiato forse in maniera
irreparabile il gasdotto Nord
Stream, arteria principale di
fornitura di gas combustibile dalla
Russia alla Germania.
Premettendo che i responsabili di
questa azione non sono ancora stati
individuati (e difficilmente
verranno mai identificati), le
conseguenze economiche e soprattutto
politiche del danneggiamento non si
sono fatte attendere. È quindi
importante capire l’importanza che
ricoprono queste vie di rifornimento
tuttoggi esistenti e quali
conseguenze avranno in futuro
attacchi similari alle
infrastrutture internazionali di
approvvigionamento.
Il Nord Stream è uno tra i gasdotti
più importanti, se non il più
importante, tra quelli che
trasportano gas combustile verso il
Vecchio Continente. Nello specifico
esso è composto da due linee, ognuna
con una capacità di 27,5 miliardi di
metri cubi, per un totale di 55
miliardi di metri cubi annui di gas.
La sua lunghezza è di circa 1.220
km, partendo da Vyborg in Russia per
giungere a Greifswald in Germania.
Una volta arrivato qui esso si
collega alla rete di distribuzione
tedesca e quindi poi a quella
europea.
Dei centinaia di km sopramenzionati
solo pochi sono sulla terraferma,
mentre la maggior parte si trovano
sotto il mare, specialmente nel Mar
Baltico. Qui il percorso della
pipeline evita di proposito acque
territoriali e ZEE (zona economica
esclusiva) di Polonia, Lettonia,
Lituania ed Estonia, stati che
storicamente non sono molto vicini a
Mosca. Nel corso degli anni il Nord
Stream è stato oggetto di molte
critiche sia da parte degli Stati
Uniti sia da parte di vari esponenti
politici europei. In particolare
Washington affermava che
l’importanza della fornitura di gas
del Nord Stream rendeva de facto
l’Europa dipendente dal gas russo,
con tutto ciò che ne consegue a
livello politico. Su questo punto
tuttavia torneremo più avanti.
Quanto descritto sopra può far
comprendere quindi la sorpresa
generale all’indomani del 27
settembre 2022 quando tutte le
testate internazionali hanno
riportato i fatti avvenuti nel Mar
Baltico. Da quanto si sa finora, tra
il 26 e il 27 settembre, tre
esplosioni di notevole entità sono
state riportate a 80 m di profondità
a largo dell’isola danese di
Bornholm, proprio in corrispondenza
del gasdotto Nord Stream. Per
svariati giorni dopo l’attentato,
perché di questo si è trattato, si è
osservata un’enorme massa di gas
fuoriuscire dalle profondità del
mare, contaminando l’intera area con
un’enorme bolla di metano.
I segni del sabotaggio sono stati
scoperti il 27 settembre, quando gli
strumenti hanno rilevato una
repentina perdita di pressione lungo
un particolare tratto della linea. A
seguito di una prima analisi le
falle registrate sono almeno
quattro, causate da una detonazione
che ha avuto un grado di magnitudine
di 2,3 registrate da molte stazioni
di monitoraggio a sud della Svezia.
Il gasdotto non era in funzione al
momento delle esplosioni, tuttavia
conteneva comunque grandi
quantitativi di gas. Il Nord Stream
era infatti chiuso per lavori di
manutenzione da agosto del 2022 (si
ricorderà il tira e molla sulla
turbina inviata in Canada). Il fermo
tuttavia si era tramutato in
settembre in uno stop a tempo
indeterminato delle forniture,
causato a detta di Gazprom da “una
perdita d’olio presso l’unica
turbina in funzione presso la
stazione di compressione di
Portovaya”. Molti hanno visto questa
comunicazione come una chiusura
ufficiosa delle forniture di gas
russo all’Europa in risposta alle
sanzioni occidentali. La cosa
comunque non è durata a lungo.
Subito dopo le esplosioni, il
governo danese e quello svedese
hanno chiaramente parlato di
sabotaggio e di esplosioni generate
da azioni umane, non da un incidente
di funzionamento. Come era ovvio
aspettarsi, uno scambio di accuse
incrociate poteva essere l’unico
risultato attendibile da un evento
similare. Ucraina, Lituania e
Polonia hanno accusato subito in
blocco il Cremlino, colpevole a loro
detta di voler ricattare
ulteriormente l’Europa con l’assenza
del proprio gas ora che si sta
arrivando all’inverno. A queste
affermazioni hanno fatto seguito
gran parte dei paesi occidentali, i
quali se non completamente d’accordo
con questa versione quanto meno
hanno aumentato ancora di più il
grado di sospetto nei confronti di
Mosca e hanno dichiarato di essere
all’erta e di monitorare la
situazione con attenzione.
Dall’altro canto la Russia ha
accusato i governi occidentali del
vile attacco, chiedendo un
intervento del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite e
cercando di dimostrare come la
volontà di un’escalation sia per lo
più da parte occidentale e non
russa.
Al netto di tutte queste parole vi è
solo un enorme velo di ipocrisia che
ricopre entrambe le versioni,
tuttavia è interessante cercare di
rispondere alla famosa domanda cui
prodest per verificare quale parte
potrebbe averci guadagnato
maggiormente dalla distruzione di
una simile risorsa energetica. Prima
le cose ovvie.
Da un punto di vista meramente
economico, ha molto poco senso che
Mosca si sia distrutta da sola il
proprio gasdotto. Infatti le fonti
di introiti derivanti dai propri
carburanti fossili sono ormai molto
più limitate rispetto a un anno fa,
quindi se Mosca vuol cercare di
rientrare economicamente deve
cercare di incassare ogni dollaro
possibile dai propri partner
internazionali, i quali ancora per
svariato tempo avranno bisogno del
gas russo. Sebbene il gasdotto fosse
chiuso, esso comunque ha
rappresentato fino a poco tempo fa e
avrebbe ancora rappresentato in
futuro un importante fonte di
guadagno per lo stato russo, il
quale ha un disperato bisogno di
denaro per continuare quell’enorme
insensatezza che è la guerra in
Ucraina.
Molti analisti, all’indomani
dell’attentato, hanno ricondiviso in
massa delle vecchie affermazioni di
Biden, il quale prima dell’inizio
del conflitto avvisava Mosca di non
attaccare l’Ucraina, altrimenti
avrebbe visto il gasdotto Nord
Stream distrutto. Per quanto queste
affermazioni non provino di fatto
nulla, fa sicuramente riflettere la
casualità temporale
dell’avvenimento. Ed è anche
innegabile che, da quando è
scoppiato il conflitto, i produttori
di Gas Naturale Liquefatto
statunitensi hanno visto crescere in
maniera vertiginosa i propri
profitti verso l’Europa.
È importante anche ricordare che gli
Stati Uniti sono stati da sempre
critici nei confronti della
sistemica dipendenza da parte
dell’Europa, e in particolare della
Germania, nei confronti del gas
russo. Il timore che ha turbato i
sonni degli analisti americani per
anni è stato che, in caso di crisi
politica con la Russia, gli stati
europei si sarebbero trovati di
fronte all’incapacità di mantenere i
propri patti con la N.A.T.O. e in
generale con gli Stati Uniti proprio
perché dipendenti sistemicamente da
Mosca. Cosa che si è parzialmente
verificata a seguito della guerra in
Ucraina, anche se in maniera meno
drastica rispetto a quanto
inizialmente prospettato.
Poche ore dopo l’annuncio
dell’esplosione si è tenuta in
Polonia l’inaugurazione del Baltic
Pipe, un nuovo gasdotto che
trasporterà in futuro il gas dalla
Norvegia alla Polonia attraverso la
Danimarca, bypassando quindi in toto
le forniture russe. Ovviamente
neanche questo vuol dire nulla nei
confronti dell’attentato al Nord
Stream, tuttavia l’avvio di questa
nuova infrastruttura avrà
sicuramente un’influenza negli anni
a venire verso l’equilibrio
energetico del Vecchio Continente, e
in particolare per i paesi dell’Est
Europa. Paesi questi che hanno
sempre sentito più di tutti il
timore di un’invasione russa o
comunque di azioni provocatorie del
Cremlino nei loro confronti, e che
oggi rappresentano quelli che sono
considerati i “falchi” nelle
politiche sanzionatorie europee
verso Mosca.
Da un punto di vista meramente
tecnico, le tubazioni del Nord
Stream si trovano a una profondità
tra gli 80 e i 110 m sotto il
livello del mare. Per effettuare il
sabotaggio saranno stati necessari
dei piccoli veicoli sommergibili, a
pilotaggio remoto o comandati
direttamente dall’uomo, disponibili
al giorno d’oggi praticamente presso
tutti i governi occidentali. Anche
l’ipotesi di una piccola squadra di
personale specializzato che abbia
piazzato le cariche direttamente a
quella profondità non è da
escludere. Ciò ci fa comprendere
quanto l’esecutore di questo
sabotaggio possa essere stato
chiunque all’interno del concerto
degli Stati coinvolto nelle vicende
europee o in generale dalla guerra
in Ucraina.
Oltre alle prevedibili conseguenze
politiche, le ripercussioni
economiche di un simile attentato
non si sono fatte attendere. Il
prezzo del gas è subito volato alle
stelle, mentre le borse sentendo una
nuova ventata di crisi sono subito
crollate. Il colpo è stato anche
peggiore del previsto poiché,
secondo quanto riporta Tagesspiegel,
fonti del governo tedesco ritengono
che l’azione dell’esplosione
combinata all’azione corrosiva
dell’acqua salata abbia danneggiato
in maniera irreparabile le tubazioni
del gasdotto.
Sebbene l’entità dei danni sia
ancora da verificare, non è escluso
che le riparazioni, se possibili,
potrebbero impiegare anni per essere
effettuate. Il maggiore stress
economico è stato generato dalla
crisi già in atto, ma ora accentuata
della ridistribuzione sul mercato
interno europeo delle forniture di
gas russo che transitavano
attraverso la Germania. Ciò infatti
porterà molte aziende ad affrontare
scenari ancora più incerti dal punto
di vista energetico, aggravando le
stime di recessione in primis per la
Germania ma anche per svariati altri
paesi europei.
Alcune previsioni degli economisti
del Meccanismo Europeo di Stabilità
hanno affermato che per la Germania
senza gas russo la recessione
raggiungerà un livello intorno al
2,5%, con un effetto contagio sugli
altri paesi, Italia in primis.
Sebbene questo possa essere il
momento perfetto per il Baltic
Pipeline appena inaugurato, esso
sicuramente non riuscirebbe mai da
solo a compensare le mancate
importazioni russe, portando
potenzialmente a un effetto domino
in borsa e poi anche nell’economia
reale di difficile stima.
Ciò ci può far capire come mentre ci
siano dei ragionevoli dubbi sui
responsabili o su chi potrebbe aver
maggiori vantaggi a seguito di
questo sabotaggio, la principale
vittima di questa manovra non è
altri che la Germania. Che sia per
indebolire l’economia più forte
d’Europa o per farla rientrare nei
propri ranghi e renderla meno
indipendente, si prospettano dei
mesi molto difficili per il governo
di Olaf Scholz, il quale ha già
vacillato numerose volte nell’arco
di tutta la crisi d’Ucraina.
In conclusione, il sabotaggio al
gasdotto Nord Stream è stato un
episodio gravissimo che alimenterà
nei mesi a venire le tensioni tra la
Russia e l’Europa. Certo è che
questo atto deliberato ha
rappresentato un precedente storico,
dove si ammette l’utilizzo di
tecniche di sabotaggio anche per
grandi opere infrastrutturali a
carattere internazionale. E qui non
si parla di un ponte o di una
raffineria, ma di una gasdotto che
porta in ultima istanza al
riscaldamento e alla produzione
dell’energia elettrica di buona
parte del continente europeo.
Che questo sia un episodio isolato o
l’apertura del Vaso di Pandora,
ancora non ci è dato saperlo.
Tuttavia la situazione di stallo
energetico in cui l’Europa
imperversa è da imputare meramente
all’Europa stessa. Infatti se in
tempi non sospetti si fosse deciso
di comune accordo di differenziare
le proprie fonti di
approvigionamento, a costo di un
maggiore investimento iniziale,
ovviamente, forse la situazione oggi
sarebbe diversa.
Tuttavia numerosi sono stati gli
elementi mancanti, assenti purtroppo
ancora tuttoggi, che non hanno
portato a simili decisioni
lungimiranti: politiche comuni
energetiche, differenziazione dei
partner energetici, indipendenza
decisionale nei confronti dei
partner esteri. Quando verrà
compreso che il miglior prezzo da
pagare non è quello più basso ma
quello che garantisce maggiore
autonomia strategica, decisionale,
economica e soprattutto politica,
forse allora si potrà parlare
veramente di un’unica e unita
Europa.
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