SULLA RUSSOFOBIA
STORIA DI UN TIMORE OGGI NUOVAMENTE
DIFFUSO
di Francesco Biscardi
A causa del conflitto scoppiato in
Ucraina nel febbraio 2022, triste
epilogo di una crisi iniziata nel
2014, ma le cui cause affondano le
radici in una complessa sequela di
eventi susseguitisi al crollo
dell’URSS, la cultura europea sembra
essere ripiombata in un timore dalla
lunga storia che possiamo riassumere
come “russofobia”, oggi
sostanzialmente coincidente con una
sorta di “Putinofobia”. Se questa
seconda paura per l’attuale
Presidente della Federazione russa è
relativa al tempo e alle vicende
geopolitiche presenti, non così il
sentimento commisto di ostilità e di
apprensione per il colosso
orientale.
Esso ha la sua origine in una
determinata circostanza storica: la
campagna napoleonica in Russia del
1812. In quel frangente Napoleone,
per cercare di canalizzare il
consenso nazionale nei suoi
confronti, si premurò di anteporre
all’inizio delle operazioni militari
la circolazione di un vecchio
documento, il cosiddetto Testamento
di Pietro il Grande, un raccontino
in cui venivano messi alla luce i
presunti piani del celebre zar,
scomparso nel 1725, di conquistare
tutto il Vecchio Continente
marciando dal Bassopiano Orientale
fino alle coste ispano-lusitane.
Nell’opera si denunciava altresì il
pericolo rappresentato da questo
paese sconfinato, asiatico e
“barbaro”, il più assolutista fra
quelli rimasti in Europa.
All’epoca di Napoleone non si sapeva
ancora che il Testamento fosse in
realtà un falso (probabilmente il
più significativo falso storico dopo
la Donazione di Costantino e i
Protocolli dei Savi di Sion),
redatto negli anni di Luigi XV, la
cui inautenticità sarà provata solo
nel 1879, ma tanto bastò per
fomentare centinaia di migliaia di
sudditi e militi della Grande Armée
a considerare la guerra come
necessaria.
La sconfitta francese, il ruolo da
protagonista svolto dalla Russia nel
corso della Restaurazione,
l’adesione alla Santa Alleanza e la
ferma posizione tenuta contro i moti
rivoluzionari ottocenteschi (fatta
eccezione per quello
dell’indipendenza greca dall’Impero
Ottomano, fortemente sostenuto
proprio dallo zar), comportarono
un’attenuazione delle diffuse
diffidenze.
La principale potenza che non vedeva
di buon occhio i russi era la Gran
Bretagna, di cui ne paventava il
dispotismo e la natura “asiatica”.
Non è un caso che nel 1815 fu
tradotto in inglese il Testamento e
che due anni dopo il periodico
“Morning Chronicle” pubblicò un
articolo in cui veniva denunciata
una segreta, quanto fantasiosa,
trattativa fra Russia e Spagna, in
cui la prima riceveva il beneplacito
madrileno nelle sue aspirazioni a
uno sbocco sul Mediterraneo, mentre
la seconda supporto in Sudafrica,
dove Londra aveva già avviato la sua
penetrazione.
Fu il successivo scoppio della
Guerra di Crimea fra 1853 e 1854 a
far emergere nuovamente un diffuso
sentimento di ostilità antirusso. La
vittoria zarista a Sinope contro i
turchi spinse Inghilterra e Francia,
con un modesto sostegno sabaudo, a
schierarsi a favore dell’Impero
Ottomano, storico nemico delle
potenze cristiane europee, ma ormai
in totale declino.
Il conflitto comportò un
rinfocolamento delle accuse alla
Russia di oppressione, dispotismo e
minaccia alla libertà dei popoli
europei. La sua sconfitta fu
salutata come la vittoria del mondo
liberale, riuscito a tenere il
nemico lontano dal Mare Nostrum,
ricacciandolo nella sua barbarie
asiatica, dove frattanto prendeva
corpo fra quest’ultima e la Gran
Bretagna quello che è stato definito
Great Game: un “gioco” volto
all’accaparramento del maggior
numero possibile di terre nell’area
compresa fra il Medio Oriente e il
centro dell’Asia. Una contesa che
non sfociò in una vera e propria
guerra generale fra le due potenze,
ma che contribuì a esacerbare odi e
rivalità.
Nel contempo la formazione del Reich
tedesco si veniva a costituire come
il principale fattore
destabilizzante degli equilibri
usciti dal Congresso di Vienna: al
vecchio “concerto” europeo dominato
da Francia, Russia e
Austria-Ungheria si venne ad
affermare un equilibrio che aveva
come centro Berlino. Il Grande
Cancelliere Bismarck fece
dell’isolamento della Francia,
sconfitta nel 1870-1871 e amputata
dell’Alsazia e della Lorena, il
perno della sua politica estera.
Allo scopo guardò alla Russia e, nel
1873, stipulò con questa e il
sovrano asburgico la “Lega dei tre
imperatori”, una sorta di intesa
contro socialismo e anarchismo.
Se da un lato in questo frangente la
Russia trovò un prezioso “amico” a
ovest, dall’altro riprese le
ostilità con gli ottomani: essendo
scoppiata l’ennesima rivolta in
Bosnia ed Erzegovina e volendo
approfittare dell’inarrestabile
declino turco, nel 1876, lo zar,
innalzandosi a protettore dei popoli
slavi, dichiarò guerra al sultano e
lo sconfisse.
Di nuovo entrò in scena con la sua
flotta l’Inghilterra intenzionata ad
arrestare l’avanzata russa nel
Mediterraneo. Si giunse al Trattato
di Santo Stefano (1878) con cui i
turchi furono costretti ad accettare
la creazione di una grande Bulgaria
filorussa, ma era un diktat che non
poteva essere avallato dalle potenze
occidentali. Bismarck offrì la sua
mediazione e il successivo Congresso
di Berlino dette una nuova
sistemazione ai Balcani destinata
sostanzialmente a durare fino al
1912-1913.
La Russia fu nell’occasione umiliata
nelle sue aspirazioni e si trovò a
essere politicamente sempre più
isolata in Europa, mentre perdurava
la sua rivalità con l’Inghilterra in
Asia. Fu la caduta di Bismarck nel
1890 a rimettere sul tavolo la
questione delle alleanze, giacché il
suo successore, Leo von Caprivi,
commise l’errore di non rinnovare
l’intesa con lo zar. Si verificò ciò
che il suo predecessore aveva
scongiurato, ossia l’avvicinamento
fra Russia e Francia, potenza che
aveva tutto l’interesse a trovare un
alleato a est allo scopo di
accerchiare l’impero tedesco.
Russia che nel 1905 fu vinta dal
Giappone in una guerra che aveva
come principale contesa la
Manciuria. La sua sconfitta ebbe un
forte impatto simbolico: per la
prima volta nell’epoca moderna una
potenza “asiatica” sconfiggeva una
“europea”, mostrando come il gigante
russo non fosse dopotutto così
temibile e pericoloso. L’esito
indusse il governo londinese, che
pure aveva appoggiato i nipponici,
ad abbandonare l’antica inimicizia
con Russia e Francia allo scopo di
dare vita a una coalizione contro la
Germania, i cui progressi economici
e industriali rischiavano di mettere
in discussione il primato planetario
inglese. Questa alleanza, l’Intesa,
fu realizzata fra 1904 e 1907, una
volta appianate le non poche contese
imperialiste.
Da allora fino alla Prima Guerra
Mondiale si ebbe un’attenuazione
della russofobia: pur senza
rinnegare i mai sopiti timori, la
Guerra di Crimea venne obliata e si
cominciò a ritenere possibile un
cambiamento nelle ferree istituzioni
di questo paese, cui veniva offerta
la grande occasione di emendarsi
dalle sue passate colpe,
ammodernarsi e avviarsi su quel
cammino di occidentalizzazione che
era già stato vagheggiato da Pietro
il Grande. Ovviamente non così nelle
terre nemiche, Austria e Germania,
dove la Russia continuava a essere
descritta come un terribile
avversario illiberale bramoso di
guerra. Ma questo non deve
sorprendere: è tipico della
propaganda politica, di ieri come di
oggi, addossare colpe e accuse verso
gli altri quando questi sono
schierati nella fazione opposta o
non sono in linea con la propria
ideologia dominante, salvo poi
mutare all’occorrenza.
La rivolta anti zarista e la
Rivoluzione d’ottobre portarono nel
1922 alla proclamazione di una nuova
realtà geopolitica: l’Unione delle
Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Fu allora che su Mosca si
concentrarono le attenzioni del
mondo intero: per quello di sinistra
essa rappresentava la vittoria del
socialismo, il segno che la
rivoluzione poteva essere compiuta e
che il capitalismo era entrato nella
sua ultima morente fase, mentre per
quelle avversarie la presa del
potere dei bolscevichi, i “vampiri
comunisti”, era l’incarnazione del
male supremo.
Se i primi furono portati a gioire
per le “mirabili conquiste
socialiste” propagandate da Stalin,
ignari spesso di quanto stava
accadendo in termini di vite umane,
internamenti, gulag e repressioni,
le potenze occidentali tentarono di
avversare da subito l’Urss
appoggiando i Bianchi durante la
guerra civile e isolando l’Unione
sovietica il più possibile.
Tornò in auge la figura mitica del
cosacco selvaggio e sanguinario,
nemico della proprietà privata,
pronto a requisire ricchezze, terre,
finanche donne e bambini. Nemmeno
l’ascesa al potere di Hitler
inizialmente mutò più di tanto
l’ostilità verso i russi che,
soprattutto per gli inglesi,
apparivano più pericolosi dei
nazisti. Diverso il discorso per i
francesi, i quali, secondo l’antica
consuetudine, avevano tutto da
guadagnare da un’intesa atta ad
accerchiare la Germania (nel 1935 fu
stipulato un trattato di mutua
assistenza).
La politica di appeasement del
premier Chamberlain, la neutralità
nella guerra civile spagnola e
l’accondiscendenza mostrata verso il
führer preoccuparono Stalin al punto
da fargli immaginare un Occidente
eventualmente disposto ad avallare
un attacco tedesco al suo paese. Si
sganciò così dall’intesa con la
Francia e si alleò con Berlino
(patto Molotov-Ribbentrop
dell’agosto 1939).
La rottura della collaborazione e
l’hitleriana Operazione Barbarossa
collocarono l’Urss a fianco di Gran
Bretagna e Stati Uniti. A guerra
vinta i russi, che avevano pagato un
prezzo altissimo in termini di
distruzioni materiali e perdite di
vite umane, pretendevano la
punizione degli aggressori, adeguate
riparazioni e garanzie territoriali
contro ogni possibile attacco da
ovest (come accaduto con Napoleone e
i tedeschi nei due conflitti
mondiali), mentre gli americani
puntavano a una ricostruzione nel
segno dell’economia di mercato e
della libertà negli scambi
internazionali.
I progetti di Churchill, Stalin e
Roosevelt erano tesi a creare un
nuovo ordine in cui, ferma restando
l’egemonia di Washinton, Mosca
sarebbe stata adeguata
deuteragonista.
Tuttavia nel 1945 Roosevelt morì e
con lui tramontò questo disegno di
collaborazione fra Est e Ovest. Non
sono mancate e non mancano ancora
oggi le accuse fra russi e americani
su chi sia stato il principale
responsabile della divisione
dell’Europa prima e del mondo poi in
due blocchi contrapposti: per i
russi le colpe vanno ricercate nella
scellerata politica di aggressività
e “contenimento” portata avanti
dagli Stati Uniti, che sventolarono
la minaccia della bomba atomica
(almeno fino al 1949 quando i
sovietici sperimentarono con
successo la loro) per precludere
ogni possibile apertura alle
richieste di Mosca, riducendo in
propria sudditanza le economie
europee con il Piano Marshall; per
gli statunitensi si trattava di
porre un argine al dilagare del
comunismo, dell’economia pianificata
e dell’oppressione nel mondo
occidentale uscito devastato dal
conflitto.
La Russia tornò così a essere vista
come l’incarnazione del dispotismo e
fino alla fine degli anni Ottanta
l’Occidente rimase ermeticamente
chiuso a qualsiasi attenuazione,
salvo alcune eccezioni, come, ad
esempio, nella Francia della Quarta
Repubblica, quando De Gaulle cercò
di svincolare il suo paese dai
rapporti troppo stretti con gli Usa
(nel 1966 ritirò persino le sue
truppe dalla NATO) e si fece
portavoce della necessità di aprire
delle brecce nella Cortina di ferro.
La fine della Guerra Fredda poteva
inaugurare una nuova era di
distensione, ma, come accaduto alla
fine della Seconda Guerra Mondiale,
l’idea di condominio pacifico delle
due potenze si ruppe: l’Urss crollò
e importanti profferte furono
disattese (come la promessa di non
spostare a est di Berlino le
frontiere della NATO).
Nel groviglio caotico dei vari
avvenimenti geopolitici che si sono
avvicendati una cosa è certa: quando
la Russia risulta utile, come
accaduto contro i tedeschi, allora
viene ritenuta “compatibile” con
l’Occidente, mentre quando essa
appare sgradevole o nemica, come
durante la Guerra di Crimea o oggi,
allora essa incarna dispotismo e
barbarie.
Riferimenti bibliografici:
C. Aydin, Il lungo Ottocento. Una
storia politica internazionale,
Einaudi, Torino 2019.
AA.VV., Ucraina 2022. La storia
in pericolo, a cura di F.
Cardini F., F. Mini, m. Montesano,
La Vela, Lucca 2022.
R. Bartlett, Storia della Russia.
Dalle origini agli anni di Putin,
Oscar Mondadori, Milano 2014.
M. Ferretti, La memoria spezzata.
La Russia e la guerra, in
"Italia Contemporanea", CCXLV,
dicembre 2006, pp. 525-565.