attualità
il
Giorno più Lungo della Russia
lA RIVOLTA DEL Gruppo Wagner
di Gian Marco Boellisi
Tra tutte le catastrofi che possono avvenire
all’interno del contesto internazionale odierno, se
il primo posto è detenuto a mani basse da un
conflitto mondiale tra suporpotenze, la medaglia
d’argento appartiene sicuramente a una guerra civile
in Russia. Ed è proprio a questo scenario che si è
andati terribilmente vicini, o a qualcosa di
comunque molto simile, tra il 23 e il 24 giugno
quando i mercenari del Gruppo Wagner e il loro
comandante in capo, Evgenij Prigožin, hanno deciso
di marciare su Mosca per la loro cosiddetta “marcia
per la giustizia”. Per quanto sin dalle prime ore i
movimenti della Wagner facessero intendere che
quello in atto in Russia altri non fosse che un
colpo di stato, la vicenda si è risolta nell’arco
appena di 24 ore e senza lo spargimento di sangue
alle porte della capitale come molti analisti invece
si aspettavano. Il “giorno più lungo” della Russia
quindi è finito così come è iniziato, nella
tranquillità. Ciò non significa che qualcosa dietro
il sipario non sia effettivamente successo, è quindi
di enorme interesse analizzare quanto accaduto in
quelle ore drammatiche e quale può essere un
bilancio di una vicenda i cui strascichi si faranno
avvertire in Russia e nel mondo per i mesi e gli
anni a venire.
Partiamo da quella che con grande probabilità è
stata la scintilla, o le scintille, della ribellione
armata dei mercenari della Wagner. Dopo mesi e mesi
di proteste e appelli lanciati dal fronte ai vertici
militari russi, i rapporti tra Prigožin e il
Ministero della Difesa russo erano ormai deteriorati
irreversibilmente. Unica unità a ottenere risultati
concreti sul fronte ucraino, la Wagner ha sempre
lamentato di come non vi fosse un supporto adeguato
da parte dello stato russo nei confronti delle
truppe al fronte, e in particolar modo nei confronti
dei mercenari o “milizie armate” come si preferisce
chiamarle. Che sia stato per un preciso calcolo
politico atto a depotenziare tali milizie anche da
un punto di vista politico o che sia stato per una
generale inefficienza della macchina militare russa,
Prigožin ha sempre portato i bisogni e le esigenze
dei propri uomini all’occhio dei grandi riflettori,
guadagnandosi una certa nomea, sia in patria che
all’estero. Il fondatore della Wagner infatti, con
un abile uso dei social media, ha saputo costruire
abilmente un personaggio anti-establishment, che ha
riscosso un discreto successo presso tutte quelle
frange di popolazione russa che diventano di giorno
in giorno scontente sull’andamento della guerra.
Vista la situazione, Putin ha avvertito un
potenziale pericolo, forse più politico che
militare, derivante dai suoi una volta fidati
mercenari, motivo per cui si è mosso insieme ai
generali per inquadrare nell’esercito regolare e
sotto il Ministero della Difesa i cosiddetti
“distaccamenti di volontari” presenti sul fronte
ucraino. Questo ordine è avvenuto a valle della
presa da parte della Wagner della città di Bakhmut,
unica vittoria simbolica russa nell’arco di mesi.
Ovviamente la decisione di Putin è stata avvertita
da Prigožin come un attacco diretto alla sua
compagnia, cosa che di fatto era, motivo per il
quale il cosiddetto “chef di Putin” ha architettato
la sua mossa nell’arco di poche settimane.
Nella notte tra il 23 e il 24 giugno i mercenari
della Wagner hanno fatto la loro mossa. Ai primi
movimenti sospetti di truppe che si assistevano già
dalla sera del 23 è seguito poi un annuncio
ufficiale da parte dei canali Wagner dove si
affermava che le truppe comandate da Prigožin si
fossero insediate Rostov sul Don, città non causale
poiché principale crocevia di rifornimento delle
truppe al fronte in Ucraina e anche sede del comando
generale delle operazioni. Sin dalle prime ore
Prigožin annuncia di non volersi fermare a Rostov e
afferma di andare avanti fino a quando i vertici
militari del Cremlino non decideranno di vederlo,
con particolare riferimento a Valerij Gerasimov,
capo di Stato Maggiore, e Sergej Shoigu, ministro
della Difesa. Quello che ha tutto l’aria di essere
un colpo di stato viene chiamata da Prigožin come
“marcia della giustizia”. Per quanto questa
terminologia possa sembrare superba, non dobbiamo
dimenticarci che ci troviamo in Russia e quindi
nulla è come sembra. Soprattutto in politica. Ma
torneremo su questo aspetto più avanti.
Non appena la notizia che la Wagner sia intenzionata
a dirigersi verso Mosca, il panico inizia a
diffondersi in Russia e all’estero. Quasi
immediatamente Ramzan Kadyrov, redivivo da mesi di
assenza mediatica, annuncia subito di inviare le
proprie milizie a fronteggiare i rivoltosi, come a
voler comunicare a Mosca che non tutte le formazioni
irregolari e i relativi signori della guerra siano
in guerra con il Cremlino. L’esercito regolare e l’FSB
sembrano rimanere fedeli a Mosca, tant’è vero che
non si vedono golpisti aggirarsi per le strade della
capitale o assalti di blindati ai palazzi del
potere. Dubbi tuttavia iniziano a emergere sulla
fedeltà dell’esercito dopo che Prigožin mostra un
video dove parla a Rostov con Yunus-Bek Yevkurov,
vice ministro della Difesa, e Vladimir Alexeyev,
vice capo del Gru. Ed effettivamente ancora oggi non
è completamente chiaro il ruolo dell’esercito
nell’intera faccenda, non essendoci stata
un’effettiva resistenza da parte dei regolari fedeli
a Mosca come invece annunciato da Putin. Proprio
questi, dopo poche ore dal discorso di Prigožin,
parla alla nazione affermando che “Tutti coloro che
sono andati sulla via del tradimento saranno puniti
e ritenuti responsabili. Le forze armate hanno
ricevuto gli ordini necessari”. Non solo ciò che
accadrà sarà del tutto diverso, ma si è avuta prova
lungo il percorso della Wagner verso Mosca che molti
reparti regolari abbiano lasciato passare
deliberatamente i mercenari e i loro convogli,
seppur non unendosi a loro come probabilmente
sperato da Prigožin stesso all’inizio della marcia.
Mentre tutto il mondo segue accorato l’evolversi
della vicenda, verso il tardo pomeriggio arriva una
notizia ufficiale da parte dei media russi: la
Wagner si sarebbe fermata a 200 km da Mosca e
sarebbe in procinto di tornare indietro a seguito di
una mediazione del presidente bielorusso Lukashenko.
L’accordo prevede l’esilio della Wagner in
Bielorussia e la caduta di tutte le accuse di
tradimento nei confronti di Prigožin e dei suoi
uomini. D’altro canto si riporta che Putin avrebbe
affidato le sorti della mediazione al suo alleato
nell’ottica di evitare uno spargimento di sangue per
le strade di Mosca. Per quanto se ne possa dire,
questo è l’ultimo degli epiloghi che la maggior
parte degli analisti si potesse aspettare da uno
scenario simile. La prima impressione che emerge a
mente fredda da questi eventi è una debolezza
intrinseca nel sistema politico-militare russo, il
quale soffre il proseguimento per oltre un anno e
mezzo di una guerra senza una direzione strategica
chiara, motivo per il quale lo scontento era
inevitabile che fuoriuscisse. Proprio in virtù di
questo scontento, è doveroso ricordare che vi sono
le elezioni nel 2024 in Russia, le quali possono
essere una ghiotta occasione per quei gruppi di
potere rimasti all’ombra di Putin per anni e che ora
sentendone la debolezza sono tentati di fare il
“grande balzo in avanti”.
Analizzando per come si sono concluse le cose, è
evidente come non vi siano vincenti da una
situazione similare ma solamente sconfitti. Per
Putin è ovviamente uno smacco immenso il vedere
marciare sulla capitale alcune tra le proprie truppe
di maggior successo, truppe irregolari che sono
state create dallo stesso Putin nel corso degli anni
per alimentare l’influenza di Mosca in giro per il
globo. Per quanto sia stato effettivamente uno
spargimento di sangue, i mercenari della Wagner sono
arrivati a 200 km da Mosca con nessuno che abbia
osato fermarli. Forse questo la dice più lunga di
quanto si pensi sull’efficienza della catena di
comando russa o su quanto Putin abbia detto al
popolo russo di agire in un modo e poi
effettivamente abbia fatto in un altro. La domanda
che ronza in testa a tutti è cosa abbia ottenuto
effettivamente Prigožin dall’accordo per farlo
desistere, per quanto una sua presa della capitale
fosse altamente improbabile anche con tutti gli
uomini della Wagner al suo fianco (stime
approssimate parlano di 35.000 uomini).
Alcune fonti interna hanno descritto Putin come
evidentemente “non in controllo della situazione”,
per quanto poi alla fine ne sia venuto a capo. Una
cosa è certa, a seguito di questi eventi Putin è
riuscito a vedere chi si è schierato con i rivoltosi
e chi no, e da qui ha potuto capire chi gli è
veramente fedele. Dalle eventuali epurazioni a cui
assisteremo nei prossimi mesi si riuscirà a capire
quanto effettivamente esteso fosse il tentato colpo
di stato, o qualunque cosa esso sia voluto essere.
L’indebolimento del presidente russo è molteplice,
specie perché è passato nell’arco di poche ore dal
voler reprimere la rivolta al trattare con i
mercenari. Che l’eventuale insubordinazione dei
regolari abbia influito in questa scelta o che fosse
tutta una facciata per sviare l’opinione pubblica
estera, questo non è dato saperlo. Inoltre un
fattore non indifferente è che dopo quel fatidico
week end parte della Russia, e anche del resto del
mondo, si è messa a pensare al dopo Putin, fattore
che fino a ora era stato dato per lontano e remoto.
Dal lato dei mercenari della Wagner, la loro rivolta
o presunta tale ha creato più conseguenze di quanto
si possa immaginare. Innanzitutto è stato rotto quel
velo mediatico che era stato creato sia dal Cremlino
sia dagli organi di stampa governativi russi di un
esercito unito e coeso, pronto a cogliere la
vittoria in Ucraina come un frutto maturo
dall’albero. Prigožin è riuscito a salvarsi sia la
vita nonostante tutto sia un processo farsa a
seguito delle sue azioni, per lui e per i suoi
uomini (per il momento quanto meno). Dall’altro lato
ha dimostrato come una PMC (Private Military
Company) ben addestrata, ben equipaggiata e con un
buona esperienza di combattimento alle spalle possa
muoversi velocemente verso un obiettivo militare con
un’efficienza che a oggi è solo un sogno per le
truppe regolari russe. Alcuni analisti hanno
ipotizzato che le richieste di Prigožin di ottenere
più munizioni per sostenere la presa di Bakhmut in
verità fossero un pretesto per accumulare scorte per
il tentato golpe. Per quanto plausibile come
ipotesi, è un qualcosa che non si accerterà mai.
Nonostante questo, lo stesso Prigožin ha dimostrato
di essere un uomo solo, senza un seguito politico o
militare pronto a seguirlo o a usarlo per provocare
un cambiamento radicale in Russia. Questo è stato il
motivo del fallimento della sua marcia, motivo per
il quale risulta essere uno sconfitto non meno di
Putin. Anche nello scenario in cui Prigožin non
abbia agito di propria sponte ma su indicazione
precisa di una regia ancora oscura all’interno della
politica russa, ciò dimostra solamente come lo chef
di Putin non sia altro che un pedone sacrificabile
sulla scacchiera, nulla più.
Considerando la cosa da un più ampio punto di vista,
Prigožin ha effettuato quello che si può definire un
vero e proprio suicidio politico. Per chi lo vedeva
a capo dei nazionalisti, dei patrioti scontenti e
dei militaristi d’intervento oggi si prospetta una
dura realtà, ovvero quella di un uomo avido di
potere che c’ha provato ma senza neanche esagerare.
A oggi tutti i vertici militari russi accusati da
Prigožin sono stati confermati, mentre lui stesso e
i suoi uomini sono in esilio in un paese straniero.
Per quanto voci di corridoio affermino che delle
trattative siano in corso tra Prigožin e i vertici
russi su vari aspetti (operatività della Wagner
all’estero, garanzie securitarie, uso della Wagner
in Ucraina), il futuro della compagnia mercenaria è
in forse più che mai. Una delle poche ancore di
salvezza a cui il capo della Wagner si può ancora
aggrappare è il fatto di aver sempre criticato la
dirigenza militare della Russia, mai quella
politica. In un covo di vipere come possono essere
le stanze del potere russo, questo forse può valere
ancora qualcosa. Ed è forse proprio questo distinguo
che ha portato ampie fasce della popolazione,
attratte dalla retorica patriottica ma con uno
sguardo “sul reale”, e anche alcuni ranghi militari
a essere sedotti da Prigožin. Seduzione di questi
ultimi che ha portato alcuni reparti a unirsi alla
Wagner nella loro marcia su Mosca, sebbene i numeri
sono stati ben più bassi delle probabili attese
tanto da non essere una differenza sostanziale
nell’equilibrio di forze.
A oggi qualora vi siano presenti delle fazioni
politiche o economiche in Russia che miravano a
prendere il potere, queste hanno avuto la
dimostrazione che Putin può sanguinare. Ciò era
stato dimostrato già durante il conflitto ucraino,
ma quello messo in atto dalla Wagner è stata una
vera e propria sfida allo stato centrale, e quindi a
Vladimir Putin. Tra le altre cose ci si domanda
quale sia stato il ruolo dei servizi segreti russi
in tutto ciò. Infatti essi potrebbero essere stati
sorpresi dalle attività di contro-intelligence della
Wagner tanto da non riuscire a scoprire per tempo i
piani di Prigožin, oppure ancora peggio lo sapevano
ed hanno comunque lasciato svilupparsi gli eventi.
Quali dei due scenari sia il peggiore è molto
difficile dirlo.
È interessante soffermarsi un attimo sul come
definire la marcia di Prigožin, al di là del fatto
che cosa sia accaduto realmente in quel giorno
lunghissimo lo scopriremo tra anni, o forse non lo
scopriremo mai. Che sia stato un colpo di stato, una
ribellione o una cosiddetta maskirovka, essa è stata
senza dubbi un regolamento di conti tra gruppi di
potere contrastanti e portatori di interessi,
obiettivi e ambizioni diametralmente opposti. In
generale quello a cui abbiamo assistito
difficilmente può essere considerato un colpo di
stato, poiché questi avviene quando una parte
considerevole della elite politica e militare si
stanca del governo di turno e prende il potere in
maniera più o meno rapida e repentina. Della serie,
non abbiamo visto un coordinamento tra Prigožin e
l’esercito tale per cui carri armati stazionavano di
fronte al Cremlino e alla sede del Ministero
dell’Interno. Non può neanche essere considerata una
rivoluzione o ribellione che dir si voglia, non
essendo un cambiamento radicale voluto da una certa
parte della elite con un pesante supporto popolare
tra le piazze. Anche qui, non si è vista nessuna
manifestazione in piazza come quelle che si vedevano
nel film “Il Santo” con Val Kilmer nel 1997. La
marcia della giustizia di Prigožin si avvicina di
più a un ammutinamento, essendo quelli della Wagner
reparti che decidono unilateralmente di ribellarsi
al potere centrale, senza però trovare appoggio
politico o militare in tutto il paese. Ed è qui che
Prigožin ha fallito, non ha saputo tramutare
l’ammutinamento in colpo di stato. Vi è un unico
scenario in cui la sua marcia avrebbe avuto
successo: popolazione, oligarchi ribelli e membri
dell’esercito scontenti scesi in piazza e nei propri
carri armati a manifestare davanti ai palazzi del
potere in attesa dell’arrivo di Prigožin. Ma gli
oligarchi non hanno alzato un dito, la popolazione
ha vissuto la cosa come un regolamento di conti
interno tra Difesa e Wagner e gli ambienti militari
hanno lasciato scorrere, senza prendere posizione.
Realisticamente parlando, era alquanto improbabile
che 30.000 uomini riuscissero a prendere il potere
in una capitale da 14 milioni di persone come Mosca
dovendo coprire con i carri armati più di 1000 km. È
molto più probabile che invece vi fosse un copertura
politica di qualche genere e che, una volta avviata
la marcia, vi siano state ampie discussioni nelle
stanze del potere per ottenere concessioni dal
governo. Una volta raggiunto un accordo, o
banalmente raggiunto lo stallo in cui nessuna delle
due parti vedeva vantaggioso proseguire sulla strada
della pseudo-insurrezione, Prigožin avrà ricevuto
una chiamata nella quale gli veniva detto che i
giochi erano fatti e quindi doveva fermarsi. Da lì
in poi come si dice il resto è storia. Ovviamente
queste sono solo ipotesi, ma è uno fra i tanti
scenari plausibili che potrebbe fornire una chiave
di lettura a questi avvenimenti.
L’unica certezza è che anche questo ammutinamento
sia stato fatto e comunicato al mondo come solo il
governo russo sa fare. La disinformazione a riguardo
è stata fittissima, tanto da mostrare i servizi
segreti russi quasi come troppo efficienti rispetto
alle loro recenti performance nel conflitto ucraino.
Sono stati sviati tutti: cancellerie, analisti,
giornalisti, capi di stato. La disinformazione è
stata così efficiente che si è pensato che il tutto
fosse addirittura un’enorme maskirovka pensata a
monte per ingannare il mondo intero. L’opzione più
plausibile rimane che, nell’ottica delle elezioni
del 2024, quella di Prigožin sia stata la
dimostrazione di come gruppi di potere stiano
cercando di regolare i conti tra loro e di
accaparrarsi il futuro della Russia. Tuttavia non è
sbagliato ipotizzare che questa potrebbe essere
stata anche un’azione in accordo con Putin tale per
cui miliardari esiliati, oligarchi ribelli e membri
dell’FSB scontenti si sarebbero esposti nell’ottica
di un potenziale colpo di stato a Mosca, dando così
tutti i mezzi al presidente russo di scoprire i suoi
nemici e quindi falciare l’erba troppo alta nel
giardino di casa. Un esempio nella storia recente è
il tentato golpe in Turchia nel 2016, questi molto
più esteso e pericoloso di quello in Russia. In
Turchia infatti Erdoğan si dice che sapesse della
possibilità di un colpo di stato. Tuttavia non lo
impedì poiché preferì che i kemalisti avversari
tentassero l’azzardo, così da assicurarsi un’ampia
repressione a valle degli eventi oltre che un nuovo
mandato alle elezioni presidenziali per aver difeso
la nazioni da ribelli interni allo stato.
Un aspetto di questa vicenda che ha del sorprendente
è il ritorno alle cronache del buon vecchio
Lukashenko. Da sempre considerato una mera pedina
senza spina dorsale del Cremlino, in questa
occasione Lukashenko è stato innalzato a mediatore
internazionale nonché salvatore della Russia. Sin
dal primo momento molti analisti hanno concordato
che egli probabilmente non avrà contato nulla nella
mediazione, ma che il vero mediatore sia stato un
altro. Ed è sull’identità di quest’uomo che ci si
sta scervellando da settimane. Infatti probabilmente
il mediatore appartiene a quel mondo grigio, a quel
mondo di mezzo che cerca di far affari sotto Putin,
aspettando la buona occasione per scalzarlo. Che il
mediatore poi sia stato effettivamente la mente
politica dietro le azioni di Prigožin questo è
ancora meno certo. Magari tutta la faccenda del
mediatore è stata una grande menzogna, necessaria
per corpire il fatto che lo stesso Putin sia sceso a
patti con un mercenario creato da lui stesso, onta
questa da coprire all’opinione pubblica russa per
non sembrar debole. A oggi la Wagner si trova in
esilio proprio nella Bielorussia di Lukashenko
mentre addestra le truppe ivi stanziate, ma sulle
sue attività o sul suo futuro si sa molto poco. Il
timore delle agenzie di intelligence occidentali è
che questo del colpo di stato possa essere un grande
pretesto per effettuare una nuova offensiva partendo
dalla Bielorussia, usando le truppe della Wagner.
Questo implicherebbe però che l’ammutinamento sia
stato pianificato a monte e che la Wagner sia ancora
agli ordini di Mosca, smontando molte delle ipotesi
qui riportate inerenti alle motivazioni dello
stesso. Come si può notare, le possibilità sono
veramente infinite e sembra impossibile districare
un così fitta matassa.
La parte dove forse il numero di speculazioni è
ancora maggiore riguarda il futuro della Wagner.
Dopo i fatti del 24 giugno, Dmitri Peskov, portavoce
del Cremlino, ha annunciato lo scioglimento della
Wagner a seguito della mediazione di Lukashenko. Nel
concreto, si era parlato di un salvacondotto per
Prigožin in Bielorussia, della smobilitazione della
Wagner e della possibilità di inglobamento
nell’esercito russo dei membri che non avessero
preso parte all’ammutinamento. Tuttavia a oggi la
compagnia sembra in esilio, non di certo sciolta o
smembrata. Questo può essere spiegato con l’impegno
internazionale svolto negli scorsi anni e anche
attualmente in molti paesi del globo dalla stessa
compagnia mercenaria. In particolar modo in Africa,
la Wagner è presente da anni a supporto di vari
governi e coinvolta in varie attività più o meno
lecite, diventando de facto la proiezione dell’hard
power russo in tutto il continente. Non sapendo
nulla sugli accordi reali presi tra i mercenari e il
governo centrale, a oggi non si sa se vi sarà un
ridimensionamento delle attività a livello globale,
con annessa perdita di influenza estera per la
Russia, o semplicemente le cose continueranno a
fluire come sempre hanno fatto. Nonostante i vari
proclami, è altamente improbabile che la Russia
smetta di usufruire della Wagner, specie perché il
Cremlino è arrivato a dipendere vitalmente in
politica estera dalle attività della compagnia
mercenaria. Solo per rendere un’idea degli scenari
in cui è presente la Wagner, i paesi dove si sono
viste le maggiori attività negli ultimi anni sono
Libia, Mali, Repubblica Centrafricana, Mozambico,
Sudan, Siria. I compiti della compagnia non sono
solo legati all’ambito strettamente militare, ma
anche quello logistico, della gestione delle risorse
naturali in loco (oro, uranio, petrolio, diamanti),
con tutti i proventi che la gestione di risorse così
importanti può comportare. Una delle questioni a
oggi ancora aperte è lo scenario in cui i miliziani
in questi stati vengano sciolti o lasciati liberi da
parte del governo russo. In questo caso ci si
troverebbe ad avere delle truppe altamente
specializzate lasciate free-lance, che con grande
probabilità si venderebbero al miglior offerente pur
di non perdere i vantaggi economici acquisiti negli
anni. Ciò non solo porterebbe a una perdita di
influenza di Mosca nella sua politica estera, ma
soprattutto a una destabilizzazione di tutto il
continente africano dal giorno alla notte, con tutte
le conseguenze a cui questo potrebbe portare.
Proprio in virtù di quest’ultimo punto, è altamente
improbabile che alla Wagner venga reciso il cordone
ombelicale che la lega al Cremlino. Infatti è
opinione comune che a Prigožin sia stato concesso di
gestire in maniera indipendente i propri uomini in
Africa, non tanto politicamente, il cui timone
rimane fermo nella mani di Mosca, ma quanto meno da
un punto di vista economico e della gestione di
metodi e logistica con cui raggiungere i propri
obiettivi. Fintanto che la Wagner continuerà a
operare in Africa sotto questi presupposti, la
compagnia non potrà considerarsi sciolta,
contravvenendo e mettendo in forse quindi la
veridicità di ogni parola di Peskov fatta a valle
della fallita marcia della giustizia. Vi è infatti
un legame biunivoco tra la Wagner e Mosca,
imprescindibile per entrambi: La Russia senza la
Wagner non potrebbe proiettare la propria potenza in
Africa, e in generale, nel globo; la Wagner senza la
Russia non avrebbe le tutele politiche né quelle
securitarie tali per cui da giustificare e mantenere
una propria presenza in Africa stessa. Uno scenario
plausibile è che il Ministero della Difesa russo
crei altre società mercenarie, così da sostituire
con il tempo i miliziani della Wagner. Questo però
richiederebbe sicuramente del tempo e non è detto
che i nuovi mercenari siano così efficienti come la
milizia di Prigožin.
Nelle settimane successive alcune testate
internazionali, tra cui Le Monde, hanno riportato
ricollocamenti delle truppe Wagner dai vari scenari
in cui sono impegnate. Pare che circa 500 uomini si
siano spostati dalla Repubblica Centrafricana alla
Libia mentre sempre nella Repubblica Centrafricana
sia in atto lo smantellamento di 14 siti poco
strategici. Da qui l’interrogativo posto già in
precendenza, ovvero se i miliziani si stiano solo
riorganizzando internamente o se vi è qualcosa
ancora più ampio in ballo che sfugge a un primo
sguardo. Solo il tempo (forse) ce lo saprà dire.
In conclusione, ciò che è successo tra il 23 e il 24
giugno ha dell’incredibile, perfino per quest’epoca
dove sembrava di averle viste tutte in politica
estera. L’ammutinamento di Prigožin è stato un
fulmine a ciel sereno, tuttavia bisogna cercare di
inquadrarlo nel contesto politico che sta
attraversando la Russia di oggi, dopo un anno e
mezzo di una guerra mal pianificata e ben lontana
dall’essere vinta. All’ombra del Cremlino vi sono
un’infinità di centri potere in lotta tra di loro,
sia per guadagnare maggior influenza economica sia
per cercare di accaparrarsi il “dopo Putin”,
quandunque questo momento verrà. Certo è che la
Wagner a oggi risulta essere un mezzo indispensabile
per la Russia per poter esercitare la propria
influenza all’estero e difficilmente questa
situazione cambierà nel breve-medio termine, con
buona pace delle dichiarazioni di Peskov. Ed è
proprio questo forse l’aspetto più cruciale
dell’intera faccenda: di come una compagnia
mercenaria abbia avuto e abbia un peso così
preponderante all’interno della politica di uno
stato.
Vi sono numerosi analisti che ritengono che
nell’arco di 20-30 anni la guerra, così come anche
la politica, sarà interamente privatizzata,
combattuta da un’infinità di milizie mercenarie
perché gli stati non potranno più permettersi
politicamente di mandare a morire i propri soldati
al fronte. Che questo sia un ennesimo scenario da
libro fantapolitico o che sia l’amara realtà, i
fatti del 23-24 giugno hanno mostrato al mondo
quanto la Russia abbia un percorso lungo e tortuoso
dinanzi a sé e quanto il subappalto della sicurezza
di uno stato a una compagnia privata possa portare
sì alla destabilizzazione dello stato stesso ma in
particolar modo alla sopravvento di ciò su cui una
compagnia mercenaria basa la propria esistenza:
l’amore per i soldi e, dulcis in fundo, per il
potere. |