[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

187 / LUGLIO 2023 (CCXVIII)


attualità

il Giorno più Lungo della Russia
lA RIVOLTA DEL Gruppo Wagner

di Gian Marco Boellisi

 

Tra tutte le catastrofi che possono avvenire all’interno del contesto internazionale odierno, se il primo posto è detenuto a mani basse da un conflitto mondiale tra suporpotenze, la medaglia d’argento appartiene sicuramente a una guerra civile in Russia. Ed è proprio a questo scenario che si è andati terribilmente vicini, o a qualcosa di comunque molto simile, tra il 23 e il 24 giugno quando i mercenari del Gruppo Wagner e il loro comandante in capo, Evgenij Prigožin, hanno deciso di marciare su Mosca per la loro cosiddetta “marcia per la giustizia”. Per quanto sin dalle prime ore i movimenti della Wagner facessero intendere che quello in atto in Russia altri non fosse che un colpo di stato, la vicenda si è risolta nell’arco appena di 24 ore e senza lo spargimento di sangue alle porte della capitale come molti analisti invece si aspettavano. Il “giorno più lungo” della Russia quindi è finito così come è iniziato, nella tranquillità. Ciò non significa che qualcosa dietro il sipario non sia effettivamente successo, è quindi di enorme interesse analizzare quanto accaduto in quelle ore drammatiche e quale può essere un bilancio di una vicenda i cui strascichi si faranno avvertire in Russia e nel mondo per i mesi e gli anni a venire.

 

Partiamo da quella che con grande probabilità è stata la scintilla, o le scintille, della ribellione armata dei mercenari della Wagner. Dopo mesi e mesi di proteste e appelli lanciati dal fronte ai vertici militari russi, i rapporti tra Prigožin e il Ministero della Difesa russo erano ormai deteriorati irreversibilmente. Unica unità a ottenere risultati concreti sul fronte ucraino, la Wagner ha sempre lamentato di come non vi fosse un supporto adeguato da parte dello stato russo nei confronti delle truppe al fronte, e in particolar modo nei confronti dei mercenari o “milizie armate” come si preferisce chiamarle. Che sia stato per un preciso calcolo politico atto a depotenziare tali milizie anche da un punto di vista politico o che sia stato per una generale inefficienza della macchina militare russa, Prigožin ha sempre portato i bisogni e le esigenze dei propri uomini all’occhio dei grandi riflettori, guadagnandosi una certa nomea, sia in patria che all’estero. Il fondatore della Wagner infatti, con un abile uso dei social media, ha saputo costruire abilmente un personaggio anti-establishment, che ha riscosso un discreto successo presso tutte quelle frange di popolazione russa che diventano di giorno in giorno scontente sull’andamento della guerra.

 

Vista la situazione, Putin ha avvertito un potenziale pericolo, forse più politico che militare, derivante dai suoi una volta fidati mercenari, motivo per cui si è mosso insieme ai generali per inquadrare nell’esercito regolare e sotto il Ministero della Difesa i cosiddetti “distaccamenti di volontari” presenti sul fronte ucraino. Questo ordine è avvenuto a valle della presa da parte della Wagner della città di Bakhmut, unica vittoria simbolica russa nell’arco di mesi. Ovviamente la decisione di Putin è stata avvertita da Prigožin come un attacco diretto alla sua compagnia, cosa che di fatto era, motivo per il quale il cosiddetto “chef di Putin” ha architettato la sua mossa nell’arco di poche settimane.

 

Nella notte tra il 23 e il 24 giugno i mercenari della Wagner hanno fatto la loro mossa. Ai primi movimenti sospetti di truppe che si assistevano già dalla sera del 23 è seguito poi un annuncio ufficiale da parte dei canali Wagner dove si affermava che le truppe comandate da Prigožin si fossero insediate Rostov sul Don, città non causale poiché principale crocevia di rifornimento delle truppe al fronte in Ucraina e anche sede del comando generale delle operazioni. Sin dalle prime ore Prigožin annuncia di non volersi fermare a Rostov e afferma di andare avanti fino a quando i vertici militari del Cremlino non decideranno di vederlo, con particolare riferimento a Valerij Gerasimov, capo di Stato Maggiore, e Sergej Shoigu, ministro della Difesa. Quello che ha tutto l’aria di essere un colpo di stato viene chiamata da Prigožin come “marcia della giustizia”. Per quanto questa terminologia possa sembrare superba, non dobbiamo dimenticarci che ci troviamo in Russia e quindi nulla è come sembra. Soprattutto in politica. Ma torneremo su questo aspetto più avanti.

 

Non appena la notizia che la Wagner sia intenzionata a dirigersi verso Mosca, il panico inizia a diffondersi in Russia e all’estero. Quasi immediatamente Ramzan Kadyrov, redivivo da mesi di assenza mediatica, annuncia subito di inviare le proprie milizie a fronteggiare i rivoltosi, come a voler comunicare a Mosca che non tutte le formazioni irregolari e i relativi signori della guerra siano in guerra con il Cremlino. L’esercito regolare e l’FSB sembrano rimanere fedeli a Mosca, tant’è vero che non si vedono golpisti aggirarsi per le strade della capitale o assalti di blindati ai palazzi del potere. Dubbi tuttavia iniziano a emergere sulla fedeltà dell’esercito dopo che Prigožin mostra un video dove parla a Rostov con Yunus-Bek Yevkurov, vice ministro della Difesa, e Vladimir Alexeyev, vice capo del Gru. Ed effettivamente ancora oggi non è completamente chiaro il ruolo dell’esercito nell’intera faccenda, non essendoci stata un’effettiva resistenza da parte dei regolari fedeli a Mosca come invece annunciato da Putin. Proprio questi, dopo poche ore dal discorso di Prigožin, parla alla nazione affermando che “Tutti coloro che sono andati sulla via del tradimento saranno puniti e ritenuti responsabili. Le forze armate hanno ricevuto gli ordini necessari”. Non solo ciò che accadrà sarà del tutto diverso, ma si è avuta prova lungo il percorso della Wagner verso Mosca che molti reparti regolari abbiano lasciato passare deliberatamente i mercenari e i loro convogli, seppur non unendosi a loro come probabilmente sperato da Prigožin stesso all’inizio della marcia.

 

Mentre tutto il mondo segue accorato l’evolversi della vicenda, verso il tardo pomeriggio arriva una notizia ufficiale da parte dei media russi: la Wagner si sarebbe fermata a 200 km da Mosca e sarebbe in procinto di tornare indietro a seguito di una mediazione del presidente bielorusso Lukashenko. L’accordo prevede l’esilio della Wagner in Bielorussia e la caduta di tutte le accuse di tradimento nei confronti di Prigožin e dei suoi uomini. D’altro canto si riporta che Putin avrebbe affidato le sorti della mediazione al suo alleato nell’ottica di evitare uno spargimento di sangue per le strade di Mosca. Per quanto se ne possa dire, questo è l’ultimo degli epiloghi che la maggior parte degli analisti si potesse aspettare da uno scenario simile. La prima impressione che emerge a mente fredda da questi eventi è una debolezza intrinseca nel sistema politico-militare russo, il quale soffre il proseguimento per oltre un anno e mezzo di una guerra senza una direzione strategica chiara, motivo per il quale lo scontento era inevitabile che fuoriuscisse. Proprio in virtù di questo scontento, è doveroso ricordare che vi sono le elezioni nel 2024 in Russia, le quali possono essere una ghiotta occasione per quei gruppi di potere rimasti all’ombra di Putin per anni e che ora sentendone la debolezza sono tentati di fare il “grande balzo in avanti”.

 

Analizzando per come si sono concluse le cose, è evidente come non vi siano vincenti da una situazione similare ma solamente sconfitti. Per Putin è ovviamente uno smacco immenso il vedere marciare sulla capitale alcune tra le proprie truppe di maggior successo, truppe irregolari che sono state create dallo stesso Putin nel corso degli anni per alimentare l’influenza di Mosca in giro per il globo. Per quanto sia stato effettivamente uno spargimento di sangue, i mercenari della Wagner sono arrivati a 200 km da Mosca con nessuno che abbia osato fermarli. Forse questo la dice più lunga di quanto si pensi sull’efficienza della catena di comando russa o su quanto Putin abbia detto al popolo russo di agire in un modo e poi effettivamente abbia fatto in un altro. La domanda che ronza in testa a tutti è cosa abbia ottenuto effettivamente Prigožin dall’accordo per farlo desistere, per quanto una sua presa della capitale fosse altamente improbabile anche con tutti gli uomini della Wagner al suo fianco (stime approssimate parlano di 35.000 uomini).

 

Alcune fonti interna hanno descritto Putin come evidentemente “non in controllo della situazione”, per quanto poi alla fine ne sia venuto a capo. Una cosa è certa, a seguito di questi eventi Putin è riuscito a vedere chi si è schierato con i rivoltosi e chi no, e da qui ha potuto capire chi gli è veramente fedele. Dalle eventuali epurazioni a cui assisteremo nei prossimi mesi si riuscirà a capire quanto effettivamente esteso fosse il tentato colpo di stato, o qualunque cosa esso sia voluto essere. L’indebolimento del presidente russo è molteplice, specie perché è passato nell’arco di poche ore dal voler reprimere la rivolta al trattare con i mercenari. Che l’eventuale insubordinazione dei regolari abbia influito in questa scelta o che fosse tutta una facciata per sviare l’opinione pubblica estera, questo non è dato saperlo. Inoltre un fattore non indifferente è che dopo quel fatidico week end parte della Russia, e anche del resto del mondo, si è messa a pensare al dopo Putin, fattore che fino a ora era stato dato per lontano e remoto.

 

Dal lato dei mercenari della Wagner, la loro rivolta o presunta tale ha creato più conseguenze di quanto si possa immaginare. Innanzitutto è stato rotto quel velo mediatico che era stato creato sia dal Cremlino sia dagli organi di stampa governativi russi di un esercito unito e coeso, pronto a cogliere la vittoria in Ucraina come un frutto maturo dall’albero. Prigožin è riuscito a salvarsi sia la vita nonostante tutto sia un processo farsa a seguito delle sue azioni, per lui e per i suoi uomini (per il momento quanto meno). Dall’altro lato ha dimostrato come una PMC (Private Military Company) ben addestrata, ben equipaggiata e con un buona esperienza di combattimento alle spalle possa muoversi velocemente verso un obiettivo militare con un’efficienza che a oggi è solo un sogno per le truppe regolari russe. Alcuni analisti hanno ipotizzato che le richieste di Prigožin di ottenere più munizioni per sostenere la presa di Bakhmut in verità fossero un pretesto per accumulare scorte per il tentato golpe. Per quanto plausibile come ipotesi, è un qualcosa che non si accerterà mai. Nonostante questo, lo stesso Prigožin ha dimostrato di essere un uomo solo, senza un seguito politico o militare pronto a seguirlo o a usarlo per provocare un cambiamento radicale in Russia. Questo è stato il motivo del fallimento della sua marcia, motivo per il quale risulta essere uno sconfitto non meno di Putin. Anche nello scenario in cui Prigožin non abbia agito di propria sponte ma su indicazione precisa di una regia ancora oscura all’interno della politica russa, ciò dimostra solamente come lo chef di Putin non sia altro che un pedone sacrificabile sulla scacchiera, nulla più.

Considerando la cosa da un più ampio punto di vista, Prigožin ha effettuato quello che si può definire un vero e proprio suicidio politico. Per chi lo vedeva a capo dei nazionalisti, dei patrioti scontenti e dei militaristi d’intervento oggi si prospetta una dura realtà, ovvero quella di un uomo avido di potere che c’ha provato ma senza neanche esagerare. A oggi tutti i vertici militari russi accusati da Prigožin sono stati confermati, mentre lui stesso e i suoi uomini sono in esilio in un paese straniero. Per quanto voci di corridoio affermino che delle trattative siano in corso tra Prigožin e i vertici russi su vari aspetti (operatività della Wagner all’estero, garanzie securitarie, uso della Wagner in Ucraina), il futuro della compagnia mercenaria è in forse più che mai. Una delle poche ancore di salvezza a cui il capo della Wagner si può ancora aggrappare è il fatto di aver sempre criticato la dirigenza militare della Russia, mai quella politica. In un covo di vipere come possono essere le stanze del potere russo, questo forse può valere ancora qualcosa. Ed è forse proprio questo distinguo che ha portato ampie fasce della popolazione, attratte dalla retorica patriottica ma con uno sguardo “sul reale”, e anche alcuni ranghi militari a essere sedotti da Prigožin. Seduzione di questi ultimi che ha portato alcuni reparti a unirsi alla Wagner nella loro marcia su Mosca, sebbene i numeri sono stati ben più bassi delle probabili attese tanto da non essere una differenza sostanziale nell’equilibrio di forze.

 

A oggi qualora vi siano presenti delle fazioni politiche o economiche in Russia che miravano a prendere il potere, queste hanno avuto la dimostrazione che Putin può sanguinare. Ciò era stato dimostrato già durante il conflitto ucraino, ma quello messo in atto dalla Wagner è stata una vera e propria sfida allo stato centrale, e quindi a Vladimir Putin. Tra le altre cose ci si domanda quale sia stato il ruolo dei servizi segreti russi in tutto ciò. Infatti essi potrebbero essere stati sorpresi dalle attività di contro-intelligence della Wagner tanto da non riuscire a scoprire per tempo i piani di Prigožin, oppure ancora peggio lo sapevano ed hanno comunque lasciato svilupparsi gli eventi. Quali dei due scenari sia il peggiore è molto difficile dirlo.

 

È interessante soffermarsi un attimo sul come definire la marcia di Prigožin, al di là del fatto che cosa sia accaduto realmente in quel giorno lunghissimo lo scopriremo tra anni, o forse non lo scopriremo mai. Che sia stato un colpo di stato, una ribellione o una cosiddetta maskirovka, essa è stata senza dubbi un regolamento di conti tra gruppi di potere contrastanti e portatori di interessi, obiettivi e ambizioni diametralmente opposti. In generale quello a cui abbiamo assistito difficilmente può essere considerato un colpo di stato, poiché questi avviene quando una parte considerevole della elite politica e militare si stanca del governo di turno e prende il potere in maniera più o meno rapida e repentina. Della serie, non abbiamo visto un coordinamento tra Prigožin e l’esercito tale per cui carri armati stazionavano di fronte al Cremlino e alla sede del Ministero dell’Interno. Non può neanche essere considerata una rivoluzione o ribellione che dir si voglia, non essendo un cambiamento radicale voluto da una certa parte della elite con un pesante supporto popolare tra le piazze. Anche qui, non si è vista nessuna manifestazione in piazza come quelle che si vedevano nel film “Il Santo” con Val Kilmer nel 1997. La marcia della giustizia di Prigožin si avvicina di più a un ammutinamento, essendo quelli della Wagner reparti che decidono unilateralmente di ribellarsi al potere centrale, senza però trovare appoggio politico o militare in tutto il paese. Ed è qui che Prigožin ha fallito, non ha saputo tramutare l’ammutinamento in colpo di stato. Vi è un unico scenario in cui la sua marcia avrebbe avuto successo: popolazione, oligarchi ribelli e membri dell’esercito scontenti scesi in piazza e nei propri carri armati a manifestare davanti ai palazzi del potere in attesa dell’arrivo di Prigožin. Ma gli oligarchi non hanno alzato un dito, la popolazione ha vissuto la cosa come un regolamento di conti interno tra Difesa e Wagner e gli ambienti militari hanno lasciato scorrere, senza prendere posizione.

 

Realisticamente parlando, era alquanto improbabile che 30.000 uomini riuscissero a prendere il potere in una capitale da 14 milioni di persone come Mosca dovendo coprire con i carri armati più di 1000 km. È molto più probabile che invece vi fosse un copertura politica di qualche genere e che, una volta avviata la marcia, vi siano state ampie discussioni nelle stanze del potere per ottenere concessioni dal governo. Una volta raggiunto un accordo, o banalmente raggiunto lo stallo in cui nessuna delle due parti vedeva vantaggioso proseguire sulla strada della pseudo-insurrezione, Prigožin avrà ricevuto una chiamata nella quale gli veniva detto che i giochi erano fatti e quindi doveva fermarsi. Da lì in poi come si dice il resto è storia. Ovviamente queste sono solo ipotesi, ma è uno fra i tanti scenari plausibili che potrebbe fornire una chiave di lettura a questi avvenimenti.

L’unica certezza è che anche questo ammutinamento sia stato fatto e comunicato al mondo come solo il governo russo sa fare. La disinformazione a riguardo è stata fittissima, tanto da mostrare i servizi segreti russi quasi come troppo efficienti rispetto alle loro recenti performance nel conflitto ucraino. Sono stati sviati tutti: cancellerie, analisti, giornalisti, capi di stato. La disinformazione è stata così efficiente che si è pensato che il tutto fosse addirittura un’enorme maskirovka pensata a monte per ingannare il mondo intero. L’opzione più plausibile rimane che, nell’ottica delle elezioni del 2024, quella di Prigožin sia stata la dimostrazione di come gruppi di potere stiano cercando di regolare i conti tra loro e di accaparrarsi il futuro della Russia. Tuttavia non è sbagliato ipotizzare che questa potrebbe essere stata anche un’azione in accordo con Putin tale per cui miliardari esiliati, oligarchi ribelli e membri dell’FSB scontenti si sarebbero esposti nell’ottica di un potenziale colpo di stato a Mosca, dando così tutti i mezzi al presidente russo di scoprire i suoi nemici e quindi falciare l’erba troppo alta nel giardino di casa. Un esempio nella storia recente è il tentato golpe in Turchia nel 2016, questi molto più esteso e pericoloso di quello in Russia. In Turchia infatti Erdoğan si dice che sapesse della possibilità di un colpo di stato. Tuttavia non lo impedì poiché preferì che i kemalisti avversari tentassero l’azzardo, così da assicurarsi un’ampia repressione a valle degli eventi oltre che un nuovo mandato alle elezioni presidenziali per aver difeso la nazioni da ribelli interni allo stato.

 

Un aspetto di questa vicenda che ha del sorprendente è il ritorno alle cronache del buon vecchio Lukashenko. Da sempre considerato una mera pedina senza spina dorsale del Cremlino, in questa occasione Lukashenko è stato innalzato a mediatore internazionale nonché salvatore della Russia. Sin dal primo momento molti analisti hanno concordato che egli probabilmente non avrà contato nulla nella mediazione, ma che il vero mediatore sia stato un altro. Ed è sull’identità di quest’uomo che ci si sta scervellando da settimane. Infatti probabilmente il mediatore appartiene a quel mondo grigio, a quel mondo di mezzo che cerca di far affari sotto Putin, aspettando la buona occasione per scalzarlo. Che il mediatore poi sia stato effettivamente la mente politica dietro le azioni di Prigožin questo è ancora meno certo. Magari tutta la faccenda del mediatore è stata una grande menzogna, necessaria per corpire il fatto che lo stesso Putin sia sceso a patti con un mercenario creato da lui stesso, onta questa da coprire all’opinione pubblica russa per non sembrar debole. A oggi la Wagner si trova in esilio proprio nella Bielorussia di Lukashenko mentre addestra le truppe ivi stanziate, ma sulle sue attività o sul suo futuro si sa molto poco. Il timore delle agenzie di intelligence occidentali è che questo del colpo di stato possa essere un grande pretesto per effettuare una nuova offensiva partendo dalla Bielorussia, usando le truppe della Wagner. Questo implicherebbe però che l’ammutinamento sia stato pianificato a monte e che la Wagner sia ancora agli ordini di Mosca, smontando molte delle ipotesi qui riportate inerenti alle motivazioni dello stesso. Come si può notare, le possibilità sono veramente infinite e sembra impossibile districare un così fitta matassa.

 

La parte dove forse il numero di speculazioni è ancora maggiore riguarda il futuro della Wagner. Dopo i fatti del 24 giugno, Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino, ha annunciato lo scioglimento della Wagner a seguito della mediazione di Lukashenko. Nel concreto, si era parlato di un salvacondotto per Prigožin in Bielorussia, della smobilitazione della Wagner e della possibilità di inglobamento nell’esercito russo dei membri che non avessero preso parte all’ammutinamento. Tuttavia a oggi la compagnia sembra in esilio, non di certo sciolta o smembrata. Questo può essere spiegato con l’impegno internazionale svolto negli scorsi anni e anche attualmente in molti paesi del globo dalla stessa compagnia mercenaria. In particolar modo in Africa, la Wagner è presente da anni a supporto di vari governi e coinvolta in varie attività più o meno lecite, diventando de facto la proiezione dell’hard power russo in tutto il continente. Non sapendo nulla sugli accordi reali presi tra i mercenari e il governo centrale, a oggi non si sa se vi sarà un ridimensionamento delle attività a livello globale, con annessa perdita di influenza estera per la Russia, o semplicemente le cose continueranno a fluire come sempre hanno fatto. Nonostante i vari proclami, è altamente improbabile che la Russia smetta di usufruire della Wagner, specie perché il Cremlino è arrivato a dipendere vitalmente in politica estera dalle attività della compagnia mercenaria. Solo per rendere un’idea degli scenari in cui è presente la Wagner, i paesi dove si sono viste le maggiori attività negli ultimi anni sono Libia, Mali, Repubblica Centrafricana, Mozambico, Sudan, Siria. I compiti della compagnia non sono solo legati all’ambito strettamente militare, ma anche quello logistico, della gestione delle risorse naturali in loco (oro, uranio, petrolio, diamanti), con tutti i proventi che la gestione di risorse così importanti può comportare. Una delle questioni a oggi ancora aperte è lo scenario in cui i miliziani in questi stati vengano sciolti o lasciati liberi da parte del governo russo. In questo caso ci si troverebbe ad avere delle truppe altamente specializzate lasciate free-lance, che con grande probabilità si venderebbero al miglior offerente pur di non perdere i vantaggi economici acquisiti negli anni. Ciò non solo porterebbe a una perdita di influenza di Mosca nella sua politica estera, ma soprattutto a una destabilizzazione di tutto il continente africano dal giorno alla notte, con tutte le conseguenze a cui questo potrebbe portare.

 

Proprio in virtù di quest’ultimo punto, è altamente improbabile che alla Wagner venga reciso il cordone ombelicale che la lega al Cremlino. Infatti è opinione comune che a Prigožin sia stato concesso di gestire in maniera indipendente i propri uomini in Africa, non tanto politicamente, il cui timone rimane fermo nella mani di Mosca, ma quanto meno da un punto di vista economico e della gestione di metodi e logistica con cui raggiungere i propri obiettivi. Fintanto che la Wagner continuerà a operare in Africa sotto questi presupposti, la compagnia non potrà considerarsi sciolta, contravvenendo e mettendo in forse quindi la veridicità di ogni parola di Peskov fatta a valle della fallita marcia della giustizia. Vi è infatti un legame biunivoco tra la Wagner e Mosca, imprescindibile per entrambi: La Russia senza la Wagner non potrebbe proiettare la propria potenza in Africa, e in generale, nel globo; la Wagner senza la Russia non avrebbe le tutele politiche né quelle securitarie tali per cui da giustificare e mantenere una propria presenza in Africa stessa. Uno scenario plausibile è che il Ministero della Difesa russo crei altre società mercenarie, così da sostituire con il tempo i miliziani della Wagner. Questo però richiederebbe sicuramente del tempo e non è detto che i nuovi mercenari siano così efficienti come la milizia di Prigožin.

 

Nelle settimane successive alcune testate internazionali, tra cui Le Monde, hanno riportato ricollocamenti delle truppe Wagner dai vari scenari in cui sono impegnate. Pare che circa 500 uomini si siano spostati dalla Repubblica Centrafricana alla Libia mentre sempre nella Repubblica Centrafricana sia in atto lo smantellamento di 14 siti poco strategici. Da qui l’interrogativo posto già in precendenza, ovvero se i miliziani si stiano solo riorganizzando internamente o se vi è qualcosa ancora più ampio in ballo che sfugge a un primo sguardo. Solo il tempo (forse) ce lo saprà dire.

 

In conclusione, ciò che è successo tra il 23 e il 24 giugno ha dell’incredibile, perfino per quest’epoca dove sembrava di averle viste tutte in politica estera. L’ammutinamento di Prigožin è stato un fulmine a ciel sereno, tuttavia bisogna cercare di inquadrarlo nel contesto politico che sta attraversando la Russia di oggi, dopo un anno e mezzo di una guerra mal pianificata e ben lontana dall’essere vinta. All’ombra del Cremlino vi sono un’infinità di centri potere in lotta tra di loro, sia per guadagnare maggior influenza economica sia per cercare di accaparrarsi il “dopo Putin”, quandunque questo momento verrà. Certo è che la Wagner a oggi risulta essere un mezzo indispensabile per la Russia per poter esercitare la propria influenza all’estero e difficilmente questa situazione cambierà nel breve-medio termine, con buona pace delle dichiarazioni di Peskov. Ed è proprio questo forse l’aspetto più cruciale dell’intera faccenda: di come una compagnia mercenaria abbia avuto e abbia un peso così preponderante all’interno della politica di uno stato.

 

Vi sono numerosi analisti che ritengono che nell’arco di 20-30 anni la guerra, così come anche la politica, sarà interamente privatizzata, combattuta da un’infinità di milizie mercenarie perché gli stati non potranno più permettersi politicamente di mandare a morire i propri soldati al fronte. Che questo sia un ennesimo scenario da libro fantapolitico o che sia l’amara realtà, i fatti del 23-24 giugno hanno mostrato al mondo quanto la Russia abbia un percorso lungo e tortuoso dinanzi a sé e quanto il subappalto della sicurezza di uno stato a una compagnia privata possa portare sì alla destabilizzazione dello stato stesso ma in particolar modo alla sopravvento di ciò su cui una compagnia mercenaria basa la propria esistenza: l’amore per i soldi e, dulcis in fundo, per il potere.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]