[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

198 / GIUGNO 2024 (CCXXIX)


contemporanea

RUSSIA, 1917
STORIA DI UNA (DOPPIA) RIVOLUZIONE
di Matteo Liberti


“Erano le tre del mattino. Sulla Nevski tutti i lampioni a gas erano accesi [...]. La città era calma, calma come forse non era stata mai nel corso della sua storia; in quella notte non fu commesso un delitto, non un furto”. Con queste parole il giornalista statunitense John Reed descrisse le ultime ore della cosiddetta rivoluzione d’ottobre, il cui momento clou fu l’assalto al Palazzo d’Inverno. Si conclusero così quelli che lo stesso Reed, lì presente, definì i “dieci giorni che sconvolsero il mondo” (titolo di un suo celebre reportage). L’epilogo si ebbe a Pietrogrado, odierna San Pietroburgo, tra il 25 e il 26 ottobre 1917 (secondo il calendario giuliano usato in Russia, in “anticipo” sul nostro di 13 giorni), e determinò la nascita della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, nucleo di quella che nel 1922 sarà l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, o più semplicemente URSS.


Un ritorno speciale

 

Uno dei momenti topici nella genesi della rivoluzione fu l’arrivo, il 3 aprile 1917, di un treno molto speciale alla stazione Finlandia di Pietrogrado: una carrozza con quasi tutti i portelloni e i finestrini sigillati, per evitare sguardi indiscreti, passata alle cronache come “vagone piombato”. A bordo c’era Vladimir Lenin, carismatico capo del partito bolscevico e teorico del comunismo. Di ritorno in patria dopo anni di esilio, era determinato ad assumere la guida della scena politica russa, intenzione esplicitata in una serie di scritti noti come “tesi di aprile”. In essi Lenin teorizzava la necessità di dare una svolta “proletaria” al processo rivoluzionario in corso nel Paese: eh già, perché prima che scoppiasse la rivoluzione di ottobre, c’era stata quella di febbraio, con altri protagonisti ed esiti altrettanto rilevanti. La rivolta, di matrice socialista, aveva tra l’altro scalzato lo zar Nicola II.


Germi della rivolta

 

A dettare i bruschi cambiamenti del 1917 fu in primo luogo il dramma della Grande Guerra, in cui i russi erano impegnati contro gli imperi centrali: Germania, Austria-Ungheria, Impero Ottomano e Bulgaria. Il Paese era da tempo allo stremo, e sempre più voci iniziarono a chiedere l’uscita dal conflitto. Ma Nicola II se ne infischiò, abituato come altri zar a esercitare un potere assoluto senza ascoltare la voce del popolo. Suo nonno, Alessandro II, aveva abolito la schiavitù della gleba (1861), ma la Russia era rimasta arretrata e sul finire del secolo il malcontento popolare aveva trovato sfogo nella nascita di vari gruppi politici marxisti. Come il Partito Operaio Socialdemocratico Russo, nato nel 1898 e divisosi nel 1903 in due fazioni: bolscevichi (maggioritari) e menscevichi (minoritari), con i primi che criticavano nei compagni un’eccessiva moderazione e un retaggio borghese. Attorno ai bolscevichi si coagulò presto la classe operaia (e in parte quella contadina), dando vita ai primi Soviet, “consigli” di lavoratori impregnati di spirito sovversivo.


Febbraio “bollente”

 

Oltre a svolgere funzioni di rappresentanza, i Soviet parteciparono a una serie di rivolte nel 1905 ed ebbero un ruolo di primo piano anche negli eventi del 1917. L’anno iniziò con l’ennesima manifestazione di protesta antizarista, repressa con violenza da Nicola II. In risposta, si registrarono ripetuti scioperi nelle fabbriche di Pietrogrado, e a febbraio alle proteste si unirono anche i soldati. L’insurrezione, coordinata dai socialisti di stampo moderato (i bolscevichi rimasero ai margini), deflagrò a partire dal giorno 23 e terminò con l’abdicazione di Nicola II. Questi il 2 marzo lasciò il trono al fratello Michail, il quale rinunciò però all’incarico affidando li potere a un governo provvisorio affiancato dai Soviet e intenzionato a dar vita a un sistema parlamentare. Frattanto, una delle prime mosse fu quella di far arrestare l’ex zar e l’intera famiglia imperiale, trasportata in Siberia e poi a Ekaterinburg, negli Urali (dove nel 1918 sarà sterminata).

Nuovo esilio, nuovo ritorno

 

Uomo forte della politica russa divenne in quei giorni Aleksandr Kerenskij, ministro della guerra e poi leader del governo provvisorio. Ma Lenin, dal suo esilio in Svizzera (a causa di pregresse attività sovversive), era pronto a rubargli la scena. A dargli una mano fu il Kaiser Guglielmo II, imperatore tedesco che gli lasciò attraversare la Germania e lo finanziò sebbene tedeschi e russi fossero rivali. Motivo? Lenin voleva far uscire il suo Paese dalla guerra, prospettiva lieta per il Kaiser che avrebbe così recuperato le truppe impegnate contro le forze russe. Detto fatto, Lenin tornò in patria sul vagone piombato e illustrò le sue tesi, i cui concetti di fondo erano l’abbattimento del governo nato a febbraio, la nazionalizzazione di banche e terre e il trasferimento di “tutto il potere ai Soviet” (recitava così uno slogan del tempo), vera espressione del proletariato. Gli animi di molti si infervorarono e a inizio luglio si registrarono manifestazioni di operai e militari filo bolscevichi. I tumulti furono però domati e Lenin riparò ancora all’estero, in Finlandia, adottando per l’occasione un nuovo look: volto sbarbato (via il celebre “pizzetto”) e parrucca in testa (“cancellata” dall’iconografia ufficiale), onde camuffarsi un po’. Nel frattempo le sue tesi continuarono a mietere consensi e la forza del suo partito ad aumentare. Così, quando a fine agosto il generale Kornilov, capo dell’esercito, tentò di prendere il potere per dare una svolta conservatrice alla politica nazionale, Kerenskij chiese aiuto proprio ai “rivali” bolscevichi, che con un esercito popolare misero in fuga i golpisti. Lenin ritornò quindi in Russia, dove giunse il 9 ottobre pianificando in poche ore una sollevazione contro il governo provvisorio.


Rivoluzione o colpo di Stato?

 

L’organizzazione della rivolta fu affidata da Lenin a Lev Trotsky, presidente del Soviet di Pietrogrado, capace di allestire una forza armata di decine di migliaia di uomini tra contadini, operai (le celebri “Guardie Rosse”), soldati e marinai di stanza nel Baltico. Il clima si fece ogni giorno più teso, finché il 25 ottobre, dopo che i rivoltosi ebbero occupato i punti nevralgici di Pietrogrado (banche, poste, stazioni), un doppio colpo di cannone dell’incrociatore Aurora annunciò che l’insurrezione entrava nella fase decisiva con l’assalto al Palazzo d’Inverno, sede del governo provvisorio ed ex residenza zarista. L’operazione fu indolore (vi fu scarsissima resistenza), ma libri e film di propaganda deformeranno l’evento fino a creare un “falso”, descrivendo un’appassionata partecipazione popolare che in realtà non vi fu. Conquistato il palazzo, i rivoluzionari riunirono un congresso dei Soviet affidandogli ogni potere. Nacque quindi un nuovo governo (Consiglio dei commissari del popolo) presieduto da Lenin con al fianco Trotsky e Iosif Stalin, altro membro di spicco dei bolscevichi. Primi atti ufficiali: annuncio dell’armistizio (il trattato di pace sarà siglato nel 1918) e assegnazione della terra ai contadini. La rivolta si spostò poi a Mosca e il Paese iniziò di fatto a passare ai bolscevichi, che con abile mossa – definita da alcuni un cinico colpo di Stato – si appropriarono di una rivoluzione nata spontaneamente otto mesi prima non per merito loro.


Verso la dittatura

 

Dopo aver emanato nuove riforme (dall’affidamento delle fabbriche agli operai alla separazione tra Stato e Chiesa), i bolscevichi si ritrovarono in minoranza alle elezioni di novembre per l’assemblea costituente, dove trionfarono i socialisti rivoluzionari di Kerenskij. In risposta, gli uomini di Lenin fecero sì che l’assemblea stessa si sciogliesse, rompendo dal gennaio 1918 con ogni confronto democratico. Prima di poter controllare l’intero Paese dovettero peraltro pazientare: in molte aree si registrò infatti una strenua opposizione al bolscevismo, e le tensioni sfociarono in una guerra civile tra “rossi” e “bianchi”, ossia tra rivoluzionari bolscevichi e truppe monarchico-conservatrici (supportate da varie potenze occidentali). Si imposero i rossi, e il 30 dicembre 1922 Lenin poté annunciare la nascita dell’URSS. “Qualunque giudizio si dia del bolscevismo, è certo che la rivoluzione russa è uno dei grandi avvenimenti della storia”, scrisse entusiasta Reed (attivista comunista) nel suo reportage, non sapendo che nel 1924, dopo la morte di Lenin, il ruolo da leader sarebbe andato al segretario del partito Stalin, con cui il sogno libertario della rivoluzione avrebbe conosciuto una deriva autoritaria sfociata in spietata dittatura.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]