RUSSIA,
1917
STORIA DI UNA (DOPPIA) RIVOLUZIONE
di Matteo Liberti
“Erano le tre del mattino. Sulla
Nevski tutti i lampioni a gas erano
accesi [...]. La città era calma,
calma come forse non era stata mai
nel corso della sua storia; in
quella notte non fu commesso un
delitto, non un furto”. Con queste
parole il giornalista statunitense
John Reed descrisse le ultime ore
della cosiddetta rivoluzione
d’ottobre, il cui momento clou fu
l’assalto al Palazzo d’Inverno. Si
conclusero così quelli che lo stesso
Reed, lì presente, definì i “dieci
giorni che sconvolsero il mondo”
(titolo di un suo celebre
reportage). L’epilogo si ebbe a
Pietrogrado, odierna San Pietroburgo,
tra il 25 e il 26 ottobre 1917
(secondo il calendario giuliano
usato in Russia, in “anticipo” sul
nostro di 13 giorni), e determinò la
nascita della Repubblica Socialista
Federativa Sovietica Russa, nucleo
di quella che nel 1922 sarà l’Unione
delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche, o più semplicemente
URSS.
Un ritorno speciale
Uno dei momenti topici nella genesi
della rivoluzione fu l’arrivo, il 3
aprile 1917, di un treno molto
speciale alla stazione Finlandia di
Pietrogrado: una carrozza con quasi
tutti i portelloni e i finestrini
sigillati, per evitare sguardi
indiscreti, passata alle cronache
come “vagone piombato”. A bordo
c’era Vladimir Lenin, carismatico
capo del partito bolscevico e
teorico del comunismo. Di ritorno in
patria dopo anni di esilio, era
determinato ad assumere la guida
della scena politica russa,
intenzione esplicitata in una serie
di scritti noti come “tesi di
aprile”. In essi Lenin teorizzava la
necessità di dare una svolta
“proletaria” al processo
rivoluzionario in corso nel Paese:
eh già, perché prima che scoppiasse
la rivoluzione di ottobre, c’era
stata quella di febbraio, con altri
protagonisti ed esiti altrettanto
rilevanti. La rivolta, di matrice
socialista, aveva tra l’altro
scalzato lo zar Nicola II.
Germi della rivolta
A dettare i bruschi cambiamenti del
1917 fu in primo luogo il dramma
della Grande Guerra, in cui i russi
erano impegnati contro gli imperi
centrali: Germania, Austria-Ungheria,
Impero Ottomano e Bulgaria. Il Paese
era da tempo allo stremo, e sempre
più voci iniziarono a chiedere
l’uscita dal conflitto. Ma Nicola II
se ne infischiò, abituato come altri
zar a esercitare un potere assoluto
senza ascoltare la voce del popolo.
Suo nonno, Alessandro II, aveva
abolito la schiavitù della gleba
(1861), ma la Russia era rimasta
arretrata e sul finire del secolo il
malcontento popolare aveva trovato
sfogo nella nascita di vari gruppi
politici marxisti. Come il Partito
Operaio Socialdemocratico Russo,
nato nel 1898 e divisosi nel 1903 in
due fazioni: bolscevichi
(maggioritari) e menscevichi
(minoritari), con i primi che
criticavano nei compagni
un’eccessiva moderazione e un
retaggio borghese. Attorno ai
bolscevichi si coagulò presto la
classe operaia (e in parte quella
contadina), dando vita ai primi
Soviet, “consigli” di lavoratori
impregnati di spirito sovversivo.
Febbraio “bollente”
Oltre a svolgere funzioni di
rappresentanza, i Soviet
parteciparono a una serie di rivolte
nel 1905 ed ebbero un ruolo di primo
piano anche negli eventi del 1917.
L’anno iniziò con l’ennesima
manifestazione di protesta
antizarista, repressa con violenza
da Nicola II. In risposta, si
registrarono ripetuti scioperi nelle
fabbriche di Pietrogrado, e a
febbraio alle proteste si unirono
anche i soldati. L’insurrezione,
coordinata dai socialisti di stampo
moderato (i bolscevichi rimasero ai
margini), deflagrò a partire dal
giorno 23 e terminò con
l’abdicazione di Nicola II. Questi
il 2 marzo lasciò il trono al
fratello Michail, il quale rinunciò
però all’incarico affidando li
potere a un governo provvisorio
affiancato dai Soviet e intenzionato
a dar vita a un sistema
parlamentare. Frattanto, una delle
prime mosse fu quella di far
arrestare l’ex zar e l’intera
famiglia imperiale, trasportata in
Siberia e poi a Ekaterinburg, negli
Urali (dove nel 1918 sarà
sterminata).
Nuovo esilio, nuovo ritorno
Uomo forte della politica russa
divenne in quei giorni Aleksandr
Kerenskij, ministro della guerra e
poi leader del governo provvisorio.
Ma Lenin, dal suo esilio in Svizzera
(a causa di pregresse attività
sovversive), era pronto a rubargli
la scena. A dargli una mano fu il
Kaiser Guglielmo II, imperatore
tedesco che gli lasciò attraversare
la Germania e lo finanziò sebbene
tedeschi e russi fossero rivali.
Motivo? Lenin voleva far uscire il
suo Paese dalla guerra, prospettiva
lieta per il Kaiser che avrebbe così
recuperato le truppe impegnate
contro le forze russe. Detto fatto,
Lenin tornò in patria sul vagone
piombato e illustrò le sue tesi, i
cui concetti di fondo erano
l’abbattimento del governo nato a
febbraio, la nazionalizzazione di
banche e terre e il trasferimento di
“tutto il potere ai Soviet”
(recitava così uno slogan del
tempo), vera espressione del
proletariato. Gli animi di molti si
infervorarono e a inizio luglio si
registrarono manifestazioni di
operai e militari filo bolscevichi.
I tumulti furono però domati e Lenin
riparò ancora all’estero, in
Finlandia, adottando per l’occasione
un nuovo look: volto sbarbato (via
il celebre “pizzetto”) e parrucca in
testa (“cancellata” dall’iconografia
ufficiale), onde camuffarsi un po’.
Nel frattempo le sue tesi
continuarono a mietere consensi e la
forza del suo partito ad aumentare.
Così, quando a fine agosto il
generale Kornilov, capo
dell’esercito, tentò di prendere il
potere per dare una svolta
conservatrice alla politica
nazionale, Kerenskij chiese aiuto
proprio ai “rivali” bolscevichi, che
con un esercito popolare misero in
fuga i golpisti. Lenin ritornò
quindi in Russia, dove giunse il 9
ottobre pianificando in poche ore
una sollevazione contro il governo
provvisorio.
Rivoluzione o colpo di Stato?
L’organizzazione della rivolta fu
affidata da Lenin a Lev Trotsky,
presidente del Soviet di Pietrogrado,
capace di allestire una forza armata
di decine di migliaia di uomini tra
contadini, operai (le celebri
“Guardie Rosse”), soldati e marinai
di stanza nel Baltico. Il clima si
fece ogni giorno più teso, finché il
25 ottobre, dopo che i rivoltosi
ebbero occupato i punti nevralgici
di Pietrogrado (banche, poste,
stazioni), un doppio colpo di
cannone dell’incrociatore Aurora
annunciò che l’insurrezione entrava
nella fase decisiva con l’assalto al
Palazzo d’Inverno, sede del governo
provvisorio ed ex residenza zarista.
L’operazione fu indolore (vi fu
scarsissima resistenza), ma libri e
film di propaganda deformeranno
l’evento fino a creare un “falso”,
descrivendo un’appassionata
partecipazione popolare che in
realtà non vi fu. Conquistato il
palazzo, i rivoluzionari riunirono
un congresso dei Soviet affidandogli
ogni potere. Nacque quindi un nuovo
governo (Consiglio dei commissari
del popolo) presieduto da Lenin con
al fianco Trotsky e Iosif Stalin,
altro membro di spicco dei
bolscevichi. Primi atti ufficiali:
annuncio dell’armistizio (il
trattato di pace sarà siglato nel
1918) e assegnazione della terra ai
contadini. La rivolta si spostò poi
a Mosca e il Paese iniziò di fatto a
passare ai bolscevichi, che con
abile mossa – definita da alcuni un
cinico colpo di Stato – si
appropriarono di una rivoluzione
nata spontaneamente otto mesi prima
non per merito loro.
Verso la dittatura
Dopo aver emanato nuove riforme
(dall’affidamento delle fabbriche
agli operai alla separazione tra
Stato e Chiesa), i bolscevichi si
ritrovarono in minoranza alle
elezioni di novembre per l’assemblea
costituente, dove trionfarono i
socialisti rivoluzionari di
Kerenskij. In risposta, gli uomini
di Lenin fecero sì che l’assemblea
stessa si sciogliesse, rompendo dal
gennaio 1918 con ogni confronto
democratico. Prima di poter
controllare l’intero Paese dovettero
peraltro pazientare: in molte aree
si registrò infatti una strenua
opposizione al bolscevismo, e le
tensioni sfociarono in una guerra
civile tra “rossi” e “bianchi”,
ossia tra rivoluzionari bolscevichi
e truppe monarchico-conservatrici
(supportate da varie potenze
occidentali). Si imposero i rossi, e
il 30 dicembre 1922 Lenin poté
annunciare la nascita dell’URSS.
“Qualunque giudizio si dia del
bolscevismo, è certo che la
rivoluzione russa è uno dei grandi
avvenimenti della storia”, scrisse
entusiasta Reed (attivista
comunista) nel suo reportage, non
sapendo che nel 1924, dopo la morte
di Lenin, il ruolo da leader sarebbe
andato al segretario del partito
Stalin, con cui il sogno libertario
della rivoluzione avrebbe conosciuto
una deriva autoritaria sfociata in
spietata dittatura.