N. 115 - Luglio 2017
(CXLVI)
sulle descrizioni arabe dei russi
piccola indagine sulle fonti musulmane medievali sulla russia
di Vincenzo La Salandra
Gli
storici
e i
geografi
arabi
del
Medioevo
menzionano
i
Rùs,
ne
discutono
e li
descrivono
nei
loro
libri:
in
effetti
le
loro
affermazioni
e
valutazioni
sono
state
variamente
interpretate
dagli
studiosi.
Generalmente
i
Rùs
descritti
dagli
scrittori
arabi
appaiono
come
una
schiatta
numerosa
piuttosto
che
un
semplice
gruppo
vichingo.
Secondo
Ibn
Khurdàdhbih
si
trattava
di
una
‘tribù
degli
slavi’.
I
Rùs
avevano
molte
città
e il
loro
sovrano
portava
il
titolo
di
Khàqàn.
Sicuramente
alcuni
costumi
e
usanze
dei
Rùs,
come
vengono
descritte
in
fonti
arabe,
sembrerebbero
più
slave
che
normanne:
come
nel
caso
del
matrimonio
postumo
di
celibi,
e
del
suicidio
delle
mogli
in
seguito
alla
morte
del
marito.
I
Rùs
noti
e
descritti
dagli
arabi
vivevano
stanziati
nella
fascia
meridionale
della
Russia:
le
fonti
arabe
sono
del
IX
secolo
ma
certamente
i
rapporti
già
ampi
e
saldi
che
i
Rùs
intrattenevano
all’epoca
con
l’Oriente
erano
già
di
‘lunga
data’.
Anche
nel
X
secolo
le
fonti
parlano,
e lo
fanno
attraverso
le
forme
della
ufficiale
ambasciata
abbàside
ai
Bulghàr
del
Volga,
di
Ahmed
Ibn
Fadlàn.
Il
califfo
al-Mùqtadir
(908-932)
inviò
Ibn
Fdlàn
in
ambasceria
ai
Bulghàr,
incaricandolo
di
una
relazione
per
quella
che
era
in
effetti
una
velata
missione
di
conversione
all’Islàm.
Ibn
Fadlàn
scrisse
una
preziosa
relazione
geografica
ed
etnografica,
quasi
‘unica’
nel
suo
genere.
In
effetti
nel
periodo
classico
di
fioritura
dell’Islàm
medioevale
dall’Europa
orientale
e
settentrionale
arrivavano
in
Oriente,
attraverso
i
canali
del
commercio,
pellicce
ed
ambra:
alcune
relazioni
dei
geografi
arabi
parlano
di
questi
contatti
e i
ritrovamenti
di
monete
musulmane
fin
nella
Penisola
Scandinava
hanno
confermato
le
relazioni.
Non
è
possibile
attestare
con
certezza
la
presenza
di
mercanti
musulmani
fino
al
Baltico,
ma
le
loro
merci
e
monete
raggiunsero
l’Europa
settentrionale
attraverso
le
mediazioni
degli
Slavi,
dei
Bulgari
e
dei
Khazari
del
Volga,
come
largamente
attestato
da
Ibn
Fadlàn,
piccolo
anello
di
congiunzione
tra
queste
popolazioni
e l’Iràq
abbàside
del
califfo
al-Mùqtadir.
È
utile
ricordare
che
tra
le
grandi
città
medioevali
dell’Iran,
assieme
a
Zangiàn,
Qazwìn,
Dàmgàn
e
Bistàm,
la
più
importante
era
Rayy.
Rayy
era
il
grande
emporio
il
grande
‘incrocio’
e
punto
di
partenza
e
d’arrivo
delle
carovane
verso
il
Khuràsàn,
verso
Bagdàd
e
verso
il
Fàrs.
La
città
era
famosa
per
lo
splendore
delle
sue
ceramiche
e
aveva
notevole
importanza
politica
ed
economica.
Scomparve
nel
XIII
secolo
in
seguito
alle
invasioni
mongole
e
venne
sotituita
da
Teheran,
suo
sobborgo.
Per
quanto
a
noi
interessa
dall’VIII
e
fino
all’XI
secolo
Rayy
è un
nodo
strategico
del
commercio
con
i
Rùs,
e lo
attesta
Ibn
Khurdàdhbih
per
la
metà
del
IX
secolo.
I
mercanti
Rùs,
vale
a
dire
slavi
e
scandinavi,
portavano
a
Rayy
spade,
pellicce
e
schiavi.
Inoltre
questi
Rùs
(rus’)
o
magiùs
compiono
verso
sud
alcune
incursioni
a
scopo
di
saccheggio:
come
negli
anni
913
e
944
a
danno
di
Bardha’a.
Soffermiamoci
ancora
sulla
figura
di
Ibn
Khurdàdhbih:
egli
era
mastro
di
posta,
in
arabo
sàhib
al-barìd,
dei
Gibàl,
una
provincia
di
grandissima
importanza
per
le
comunicazioni
del
califfato
abbaside
con
l’Iran.
A
nominarlo
sàhib
al-barìd
dei
Gibàl
(le
Montagne)
fu
il
califfo
al-Mu’tamid
(870-892).
Ibn
Khurdàdhbih
descrisse,
in
qualità
di
mastro
di
posta
del
califfo,
quasi
a
tappa
a
tappa
tutte
le
grandi
vie
di
comunicazione
che
si
irradiavano
intorno
a
Bagdàd,
percepita
come
il
centro
nevralgico
islamico
del
mondo
civile.
Il
suo
Libro
delle
Strade
e
delle
Province,
in
arabo
Kitàb
al
masàlik
wal
mamàlik,
diventerà
un
classico
e
dimostra
con
ampiezza
l’importanza
del
ruolo
amministrativo
svolto
dal
suo
autore:
il
mastro
di
posta
era
una
figura
cruciale
e
necessariamente
ben
informata,
non
solo
controllava
i
corrieri
ufficiali,
ma
anche
‘spiava’
o
supervisionava
gli
altri
funzionari
ed
era,
inoltre,
in
rapporti
diretti
con
il
potere
centrale.
L’opera
di
Ibn
Khurdàdhbih,
che
era
stata
compilata
in
effetti
ad
uso
dei
suoi
subordinati
per
ragioni
davvero
pratiche,
consente
di
seguire
e
ricostruire
con
molta
precisione
le
tracce
della
rete
stradale
abbàside
del
IX
secolo.
Citiamo
infine
un
brano
dal
libro
di
Ibn
Khurdàdhbih
che
è la
vera
testimonianza
scritta
dell’arrivo
di
mercanti
russo-scandinavi
fino
a
Bagdàd
attraverso
i
loro
itinerari:
“I
Rùs,
che
appartengono
ai
popoli
saqàliba,
si
recano
nelle
più
lontane
regioni
di
Saqlaba
[la
Schiavonia]
verso
il
mare
Romano
[il
Mediterraneo]
e vi
vendono
pelli
di
castoro
e di
volpe
nera,
come
pure
spade.
Il
principe
dei
romani
preleva
un
decimo
sulle
loro
merci
(…)
Poi,
ritornando,
vanno
per
mare
a
Samakhars,
la
città
degli
ebrei
[Fanagoria
sul
Mar
Nero]
e di
là
ritornano
nel
paese
degli
slavi.
Oppure
scendono
il
Tanais
(Don),
il
fiume
degli
slavi
[Volga],
e
passano
per
Hamlìg
[Itil],
la
capitale
dei
khazari,
dove
il
sovrano
del
paese
preleva
su
loro
un
decimo.
Là
s’imbarcano
sul
mare
di
Giurgiàn
[Caspio]
e si
dirigono
verso
quel
punto
della
costa
che
hanno
intenzione
di
raggiungere.
Da
Giurgiàn
o da
Rayy
trasportano
le
mercanzie
a
dorso
di
cammello
fino
a
Bagdàd.
Qui
si
servono
degli
eunuchi
slavi
come
interpreti.
Pretendono
d’essere
cristiani
e
come
tali
pagano
testatico”.
Nel
IX
secolo,
assieme
a
questa
testimonianza
di
Ibn
Khurdàdhbih,
altre
fonti
musulmane
attestano
la
presenza,
anche
in
direzione
opposta
quindi,
di
mercanti
musulmani
lungo
gli
itinerari
che
univano
il
mondo
musulamano
alla
rete
dei
fiumi
della
Russia.
È
interessante
segnalare
in
chiusura
come
anche
una
fonte
araba
medioevale
conferma
i
versi
antichi
del
funerale
di
Beowulf
sul
mare:
alle
volte
il
tumulo
stesso
era
una
barca
e lo
racconta
stupefatto
per
aver
assistito
con
i
suoi
propri
occhi
alla
cremazione
sulle
acque
di
un
capo
vichingo,
il
già
ricordato
diplomatico
arabo
Ahmed
Ibn
Fadlàn,
ambasciatore
del
califfo
di
Bagdàd
al-Mùqtadir.
L’epoca
di
al-Mùqtadir
è
quella
di
massima
espansione
dell’impero
Abbàside,
l’epoca
dei
rapporti
internazionali
e
della
gestione
delle
conquiste
vastissime:
dopo
questo
califfo
iniziò
la
decadenza.
È
interessante
sottolineare
che
il
fratello
maggiore
di
al-Mùqtadir,
il
califfo
al-Mùktafi
(902-908),
aveva
ricevuto
profferte
di
matrimonio
e di
alleanza
proprio
dall’Italia
e da
Berta
di
Toscana,
la
figlia
dell’imperatore
Lotario
II,
e
probabilmente
in
funzione
di
una
azione
comune
contro
il
comune
nemico
Bisanzio.
Anche
l’ambasciata
di
Ibn
Fadlàn
ai
Bulghàr
voluta
dal
califfo
aveva
fini
di
conversione
e
politici
in
funzione
comune
anti-bizantina.
L’apertura
degli
abbàsidi
verso
l’Occidente
coincideva
con
il
periodo
di
maggiore
espansione
politica
del
califfato:
risultavano
più
o
meno
sottoposte
all’autorità
califfale
l’Iràq,
la
Persia,
la
Mesopotamia,
la
Siria
e
l’Egitto,
parte
d’Arabia,
l’Armenia
e l’Azrbaigiàn.
I
secoli
successivi
segnarono
il
declino
abbàside
a
partire
da
questa
acme
durante
il
califfato
di
al-Mùqtadir.