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N. 125 - Maggio 2018 (CLVI)

ascesa dei vescovi in epoca tardoantica

una nuova figura di riferimento nella civitas
di Vittorio Petrella

 

La crescita del potere temporale della figura vescovile avvenne in quel periodo definito dagli studiosi come “Tardoantico”, il quale vede il passaggio dall’età antica all’Altomedioevo e, quindi, compreso tra il III-IV secolo e il VII.

 

In origine, i vescovi a capo delle prime comunità cristiane si occupavano della cura spirituale dei fedeli, dell’assistenza dei poveri e dei malati e di seguire gli insegnamenti delle Sacre Scritture.

 

Con il Concilio di Nicea del 325 d.C. e il conseguente raggiungimento dell’ unità dogmatica della Chiesa che si consolida come istituzione, il vescovo, visto dalle comunità come tramite tra l’uomo e Dio, diviene quel funzionario rivestito di una sorta di “mandato popolare”.

 

La dimostrazione di come la comunità civica rivestisse un ruolo importante nell’elezione del vescovo è evidente nel caso di Sant’Ambrogio, eletto vescovo di Milano su acclamazione popolare per aver sedato lo scontro tra ariani e cattolici nella città meneghina. Dunque il vescovo diviene interlocutore privilegiato del "corrector". Questo status socialmente riconosciuto dalla comunità cristiana si rafforza anche grazie alla diffusione, nel IV secolo, del culto delle reliquie. Il possesso di una reliquia diviene motivo di orgoglio per i cittadini, nonché fattore identitario.

 

Da segnalare che la politica di Costantino (307-334) accrebbe il potere e i privilegi dei vescovi perché garantì loro un costante diritto di accesso all’imperatore oltre al non poter essere citati in giudizio davanti ai tribunali civili. Proprio in funzione della politica costantiniana a favore dei cristiani, cominciò quel processo di “cristianizzazione” delle città con il conseguente sviluppo dell’edilizia cristiana.

 

Alla costruzione delle chiese, su iniziativa del vescovo, potevano partecipare tutti i membri della comunità a seconda della propria disponibilità economica. Dunque, la Chiesa iniziò a beneficiare di tutta una serie di donazioni che accrebbero enormemente il suo patrimonio. Il peso sociale, economico e quindi politico dei membri del clero, risulta chiaro nel caso dell’incontro tra Leone I e Attila nel 452 d.C. in cui il papa riuscì a distogliere il condottiero unno dall’invadere l’Italia pagando una grande somma. Lo stesso papa Leone I, nel 455 d.C., intercesse con successo presso il re vandalo Genserico affinché mitigasse il sacco di Roma.

 

È evidente come questo ruolo di “leader cittadino”, assunto dai vescovi, fosse conseguente all’impoverimento del potere dei funzionari statali, anche perché sempre più clienti si rivolgevano ai vescovi al fine di ottenere protezione giuridica, economica, ma anche assistenziale. Altro caso in cui il vescovo dovette negoziare diplomaticamente per l’incolumità della propria comunità, avvenne a Pavia, dove il vescovo Epifanio patteggiò l’entrata di Teodorico e degli Ostrogoti nella città, rivestendo, in seguito, il ruolo di diplomatico al servizio del nuovo sovrano.

 

Il nuovo status è testimoniato anche dalla volontà da parte di alcuni vescovi di costruire chiese in aree della città fondamentali per la vita pubblica. Tale fenomeno si sviluppò solamente dal V secolo in seguito all’abbandono di alcuni edifici pubblici che lasciarono spazio all’edificazione di chiese dalle notevoli dimensioni, destinate a diventare i nuovi punti centrali della vita cittadina avviando un processo di conquista dello spazio urbano.

 

Fondamentale nel processo di crescita del potere dei vescovi fu la figura di Giustiniano (527-565) il quale decise di riconquistare l’Italia, in mano agli Ostrogoti, con la guerra greco-gotica (535-553). Giustiniano aveva assegnato ai vescovi orientali un significativo ruolo di supervisione nel governo delle città e delle rispettive zone rurali, in particolare riguardo al prelievo fiscale.

 

Tali compiti vennero affidati anche ai vescovi dell’Italia bizantina, dove l’amministrazione aveva assunto un carattere fortemente militaristico, per cui erano tenuti a cooperare con l’ esarca (comandante in capo delle truppe bizantine) e con i comandanti militari locali. Un esempio di tali funzioni è rappresentato dal caso del complesso rurale di San Giusto (FG) dove il rinvenimento di un gruzzolo di monete e di pesi monetari, si pone in linea proprio con le disposizioni dell’ imperatore Giustiniano. In realtà, la crescita del potere vescovile non fu affatto un fenomeno omogeneo, ma soggetto alle circostanze regionali. Infatti, sembra che il prelievo fiscale fosse un compito di alcuni vescovi già dall’impero di Valentiniano I (364-375).

 

In altri casi, gli studiosi hanno riscontrato come i vescovi avessero il controllo dell’ intero processo produttivo dei materiali, dalla fabbricazione, alla circolazione, come dimostra il caso del vescovo Sabino di Canosa (BAT), dove gli archeologi hanno ritrovato una fornace e diversi laterizi con il bollo vescovile in diverse zone della diocesi. Con l’ invasione longobarda nel 568 d.C, i vescovi nell’ Italia longobarda non influenzarono la legislazione perché i Longobardi erano pagani e/o ariani. Inoltre, la compattezza del loro regno gli permise di raggiungere una certa stabilità senza ricorrere all’ausilio della Chiesa, anche se finirono ugualmente per divenire cattolici.

 

A Roma, invece, la gestione e il controllo della città fu compito del senato fino alla seconda metà del VI secolo, quando perse il proprio potere e il suo posto venne occupato dalla Chiesa e dal papa. Nell’Urbe, la maggior parte dei vescovi continuò ad essere reclutata tra l’aristocrazia almeno fino alla fine del VI secolo. Ciò fu possibile perché la carriera ecclesiastica cominciò ad essere vista come la possibile alternativa alla non più percorribile carriera al servizio dell’ Impero.

 

Tali vescovi riassumevano in sé il prestigio, ormai consolidato, della carica vescovile con quello della nobiltà. Inoltre, divennero gli effettivi depositari della cultura classica.

 

In Gallia, in particolare, vi fu un vero e proprio processo di monopolizzazione della guida della Chiesa da parte delle famiglie di rango senatorio tra V e VI secolo, come dimostra la figura di Sidonio Apollinare.

 

Nella penisola iberica dominata dai Visigoti, i vescovi sembrano avere origini più umili ed erano nominati dal re. Qui la figura vescovile favorì la coesistenza tra Goti e Romani, favorendo la stabilità del regno.

 

I Franchi, invece, vigilarono attentamente sull’elezione dei vescovi per assicurarsi che fossero eletti uomini con i quali fosse possibile collaborare, dal momento che i propri territori erano amministrati da funzionari detti conti, i quali potevano essere franchi o romani. In definitiva, in un periodo di frequenti e spesso violenti cambiamenti politici, i vescovi divennero le figure di riferimento stabili all’ interno della civitas.

 

 

Riferimenti bibliografici:


W. Liebeschuetz, L’ascesa dei vescovi nella Tarda Antichità, in G.P. Brogiolo, A. Chavarrìa Arnau, I Longobardi dalla caduta dell’impero all’alba dell’Italia, Milano 2007;
Chavarría Arnau, Archeologia delle chiese. Dalle origini all’anno Mille, Roma 2009;
G. Volpe, Il ruolo dei vescovi nei processi di trasformazione del paesaggio urbano e rurale, in G. P. Brogiolo, A. Chavarría Arnau, Archeologia e società tra Tardo Antico e Alto Medioevo, Atti del 12° Seminario sul Tardo Antico e l'Alto Medioevo (Padova 29 settembre-1 ottobre 2005), Mantova 2007;
G. Cantino Wataghin, V. Fiocchi Nicolai, G. Volpe, Aspetti della cristianizzazione degli agglomerati secondari, in R.M. Carra Bonacasa, E. Vitale, La cristianizzazione in Italia fra tardoantico e altomedieovo, Atti del IX Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana (Agrigento, 20-25 novembre 2004), Palermo 2007;
G. Cipriani, Storia della Letteratura Latina, Il Castello Edizioni, Campobasso - Foggia 2015.



 

 

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