N. 86 - Febbraio 2015
(CXVII)
I sogni delle bambine
le donne nell’epoca fascista
di Elisa Temellini
La
donna
durante
il
ventennio
fascista
non
ebbe
di
certo
un
ruolo
da
protagonista.
Ritenuta
incapace
di
partecipare
alla
vita
civile,
aveva
come
unico
spazio
in
cui
muoversi
la
casa,
prima
come
figlia
giudiziosa
ed
obbediente
poi
come
moglie,
devota
massaia.
Dopo
la
funzione
di
fidanzata
e
sposa,
alla
donna
spettava
quella
di
madre
di
tanti
figli
sani.
Solo
in
questo
momento
la
figura
femminile
assumeva
notevole
importanza
perché
divenuta
indispensabile
per
la
continuazione
della
razza.
Emblematico
è
l’esempio
di
Antonietta,
la
protagonista,
interpretata
da
Sofia
Loren,
del
film
Una
giornata
particolare
di
Ettore
Scola,
del
1977.
Madre
di
sei
figli
e
moglie
di
un
ignorante
funzionario
di
partito,
limita
tutta
la
sua
vita
alla
casa
e
alla
cura
dei
figli.
Il
pochissimo
tempo
libero
lo
dedica
alla
raccolta
di
foto
di
Mussolini,
trovate
sui
giornali,
da
attaccare
ad
un
album
che
tiene
con
la
massima
attenzione.
Non
si
rende
conto
di
ciò
che
la
circonda
e
nemmeno
di
quello
che
è
diventata.
Se
per
un
giorno,
durante
l’arrivo
di
Hitler
a
Roma,
quando
tutta
la
sua
famiglia
è
alla
parata,
si
accorge,
percepisce
l’esistenza
di
qualcosa
che
non
va
nel
momento
storico
che
sta
vivendo,
alla
sera
sarà
costretta
– o
peggio
ancora
sceglierà
– di
ritornare
alla
sua
vita
di
prima
che
la
vuole
al
margine
di
una
società
maschilista.
L’incontro
con
Gabriele,
un
omosessuale
intellettuale,
costretto
al
confino,
le
farà
aprire
gli
occhi.
Le
viene
regalato
il
libro
"I
tre
moschettieri"
di
Dumas,
l’emblema
di
una
cultura
che
le
donne
non
devono
avere,
che
lei
riporrà
per
sempre
nell’armadio
prima
di
andare
a
letto
con
il
marito.
Il
peggio
di
tutto
è
che,
sebbene
sia
obbligata
a
vivere
una
vita
da
schiava,
Antonietta
venera
il
suo
padrone…
Il
film
descrive
la
situazione
della
donna
fascista
alla
perfezione.
Le
bambine
si
dovevano
preparare
a
questa
vita,
volenti
o
nolenti.
Sin
dai
banchi
della
scuola
elementare
le
bimbe
imparavano
che
il
loro
futuro
era
quello
di
ancelle
del
regime.
I
temi
originali
dell’epoca
raccolti
da
Noris
De
Rocco
nel
libro
"Plagiati
e
contenti:
un
anno
di
scuola
con
il
Duce"
edito
nel
1994,
mostrano
i
risultati
ottenuti
dall’indottrinamento,
messo
in
pratica
dal
regime:
orgogliosissime
di
indossare
la
divisa
di
Piccola
Italiana,
queste
povere
ragazzine
non
vedevano
l’ora
di
diventare
adulte
e
servire
la
patria.
A
dir
la
verità,
durante
il
ventennio,
anche
le
bambine
ebbero
il
loro
momento
di
trasgressione
dalla
claustrofobica
quotidianità.
La
partecipazione
alle
parate
in
divisa
le
illudeva
di
un’emancipazione
che
in
realtà
era
ben
lontana.
Non
dimentichiamoci
che
ciò
che
voleva
il
fascismo
era
che
questi
bambini
(maschi
e
femmine)
avessero
bene
in
mente
che
lo
Stato
era
l’unico
padrone
da
servire:
prima
di
tutto
doveva
esserci
l’impero
italiano
al
quale
dedicare
l’intera
vita,
solo
dopo
gli
altri
affetti.
Dal
punto
di
vista
caratteriale,
la
bambina
doveva
imparare
ad
essere
umile
e
tranquilla,
non
si
doveva
mai
lamentare
e
disperare,
non
doveva
essere
impicciona
e
doveva
rimandare,
o
meglio
dimenticare,
i
propri
desideri
e le
proprie
esigenze,
doveva
autocontrollarsi
e
stare
sempre
al
proprio
posto.
Il
“Decalogo
della
Piccola
Italiana”
recitava
che
La
Patria
si
serve
anche
spazzando
la
casa.
La
vera
fascista
si
doveva
occupare
della
famiglia,
cucinare
e
accudire
i
figli,
meglio
se
maschi
da
regalare,
una
volta
cresciuti,
al
duce.
Alle
italiane
(solo
alle
più
altolocate),
veniva
lasciato
un
piccolissimo
e
secondario
posto
nel
mondo
professionale:
dattilografa,
telefonista,
cassiera,
commessa,
lavorante
e
direttrice
nel
campo
della
moda,
annunciatrice
radiofonica,
archivista,
bibliotecaria
e
segretaria
negli
istituti
di
istruzione.
Rigorosamente
le
assunzioni
femminili
non
dovevano
superare
il
10
per
cento
dei
lavoratori
totali.
La
maggior
parte
della
popolazione
femminile
era
quindi
destinata
a
lavori
casalinghi
come
taglio,
cucito,
maglieria,
ricamo,
rattoppo
e
rammendo.
Le
donne
già
nell’infanzia,
venivano
indirizzate
ad
una
scelta
obbligata
disincentivandole
a
frequentare
le
scuole.
La
realizzazione
della
giovane
rimaneva
per
forza
di
cose
subordinata
all’uomo.
Sebbene
le
dichiarazioni
pubbliche
lasciavano
qualche
spazio
al
dubbio,
facendo
credere
alle
ragazzine
(ma
anche
alle
donne
già
adulte),
di
poter
avere
una
parte
attiva
nella
vita
politica
del
paese,
i
fatti
dimostravano
il
contrario.
Il
fascismo
contribuì
ad
accentuare
la
polarità
tra
i
generi.
Se
l’uomo
doveva
rendere
grande
la
patria
dedicando
la
propria
vita
alla
nazione,
alla
donna
restava
il
dovere
di
fornire
al
mondo
quanti
più
eroi
possibile.
La
famiglia
veniva
esaltata
soprattutto
se
numerosa
e
composta
da
tantissimi
figli.
Era
fonte
di
orgoglio
la
prolificità
delle
donne
italiane
che
a
sentire
Lelio
Fiori
nel
1933
nel
manuale
intitolato
"Rinascita
italica:
libro
di
cultura
e di
propaganda
fascista
per
le
scuole
e
per
il
popolo",
erano
le
più
feconde
del
mondo.
Il
tutto
grazie
al
programma
di
risanamento
fisico
e
morale
che
il
fascismo
aveva
regalato
alla
popolazione
italiana.
Venne
addirittura
istituita
la
tassa
sui
celibi
e
premi
per
le
famiglie
più
numerose.
La
vera
famiglia
fascista
era
una
famiglia
patriarcale.
I
figli
e la
moglie
obbedivano
senza
remore
al
padre.
Una
sorta
di
stato
in
miniatura
dove
i
sudditi
dovevano
imparare
sin
da
piccolissimi
a
sottomettersi
senza
mai
dubitare
degli
ordini
ricevuti.
Il
fascismo
si
era
così
insinuato
anche
tra
gli
affetti
domestici,
nella
vita
privata
insegnando
e
predisponendo
per
ogni
componente
familiare
il
ruolo
dal
quale
non
si
poteva
uscire.
Ma
anche
l’arte
era
intrisa
di
insegnamenti
fascisti
per
il
giovane
e
duttile
immaginario
femminile.
Intorno
agli
anni
Venti
e
Trenta,
oltre
ai
romanzi
per
ragazzi,
si
diffuse
in
Italia
una
nuova
forma
di
letteratura:
il
fumetto.
Le
figure
femminili
non
potevano
di
certo
essere
le
protagoniste
in
quanto
l’eroe
era,
per
forza
di
cose,
maschio.
Erano
tutt’al
più
madri,
sorelle,
mogli
pazienti
e
dimesse.
Le
avvenenti
eterne
fidanzate
degli
eroi
americani
non
erano
ben
viste
dal
regime,
il
quale
voleva
la
donna
più
sobria
e
soprattutto
già
sposata.
La
donna
nei
romanzi,
ed
in
generale
nelle
forme
artistiche
dell’epoca,
doveva
essere,
quando
raramente
appare,
coraggiosa.
Alla
ragazza
quindi
spettavano
ruoli
spalla
nei
temi
amorosi
castissimi
che
sono
per
lo
più
celati,
poiché
la
censura
non
permetteva
né
baci
né
carezze.
Lui
era
lontano
a
combattere
per
la
patria
e
lei
lo
aspettava
fiduciosa.
Al
ritorno
l’uomo
nuovo
la
sposerà
e
lei
lo
amerà
anche
se
mutilato.
Sarà
sempre
fedele
al
suo
uomo
e
nel
caso
non
dovessero
sopravvivere
alla
guerra
ne
potrà
andare
fiera:
la
patria
prima
di
tutto.
Grazie
al
proprio
carattere
mite
ma
deciso
avrebbe
dovuto
insegnare
ai
numerosi
figli
la
parte
che
avrebbero
dovuto
ricoprire
nella
società.
Non
solo
come
madre,
ma
anche
come
sposa
e
sorella
doveva
sacrificare
il
proprio
amore.
L’uomo
fascista
era
prima
di
tutto
della
nazione
e la
donna
doveva
accettare
senza
obiezioni,
dignitosamente,
la
perdita
del
compagno,
del
figlio,
del
fratello.