.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

antica


N. 146 - Febbraio 2020 (CLXXVII)

costume e diritto nellantichità

la condizione giuridica e sociale della donna nel mondo etrusco

di Luca Cherchi

 

Ricostruire lo status giuridico e sociale della donna etrusca è un’operazione che presenta molte incognite e variabili. Anzitutto è bene sottolineare che per il mondo etrusco non esiste una quantità di reperti paragonabile a quella della civiltà greca e romana e la maggior parte delle testimonianze pervenuteci si rifanno al contesto dell’arte funeraria. È inoltre doveroso aggiungere che la stessa lingua etrusca cela ancora molti segreti e, data la scarsità e la complessità dei testi giunti fino a noi, il lavoro interpretativo richiede parecchi sforzi.

 

La condizione della donna inoltre non era sempre identica all’interno della società etrusca ma, poiché tale civiltà era organizzata in una federazione di città-stato, era facile che vi fossero delle difformità negli usi e nei costumi a seconda della comunità di riferimento e, oltretutto, che vi fossero delle disparità di trattamento in base al ceto di appartenenza.

 

Le teorie sulla vigenza di un sistema matriarcale nell’antica Etruria paiono ormai superate, tuttavia è innegabile che la donna etrusca godesse di uno status per certi versi privilegiato rispetto alla condizione femminile nell’antica Grecia e a quella della società romana a loro contemporanea.

 

È bene a tal proposito evidenziare il fatto che le donne etrusche possedevano al pari degli uomini, sin dal 700 a.C., una denominazione bimembre composta dal praenomen e dal nomen; un fenomeno impensabile per la società romana (almeno quella precedente al principato e comunque contemporanea alla civiltà etrusca), dove la donna veniva comunemente chiamata solo con il nome gentilizio e al più poteva essere insignita di un nome riferito al sistema numerale ordinale (Prima, Secunda, ecc.) oppure con appellativi quali Maior o Minor.

 

Emblematico poi è l’affermarsi nel sistema onomastico etrusco dell’uso, oltre al patronimico, del matronimico. Ovviamente, trattandosi comunque di una società spiccatamente patriarcale, il matronimico seguiva sempre il patronimico tanto è vero che il nome gentilizio veniva trasmesso in linea maschile, tuttavia sono anche presenti dei casi in cui il patronimico pare essere completamente assente. Dal IV secolo a.C. fino agli albori del periodo imperiale, il patronimico e il matronimico risultano essere utilizzati non solo dalle grandi famiglie etrusche, ma anche dai ceti sociali intermedi.

 

Le fonti letterarie antiche, soprattutto di matrice greca, riguardanti la donna etrusca, seppur abbastanza cospicue, sono spesso ricostruzioni ipocrite e faziose, ma ciò nonostante ricche di indizi circa gli usi e i costumi femminili etruschi. Diversi sono i passi, tra cui quelli di Teopompo, Timeo, Aristotele e anche Plauto, che si fanno beffa delle “scostumate” abitudini delle donne etrusche. La maggior parte dei rimproveri riguardava la loro partecipazione ai banchetti in qualità di mogli (e quindi non come serve, musiciste, danzatrici o cortigiane) o ancora la loro usanza di sdraiarsi sullo stesso kline con il marito o con altri convitati e poi la loro attitudine a bere vino.

 

Tale settarismo degli antichi letterati non è solo sintomo di antichi rancori e rivalità, ma anche di profonde divergenze culturali. Molte furono le tradizioni greche che vennero esportate per tutto il Mediterraneo diffondendosi ampiamente anche in Etruria, ma molte di esse furono assimilate dalle società autoctone attraverso i propri schemi culturali. Il symposion etrusco dunque, che negli usi greci costituiva la seconda parte del banchetto durante il quale i convitati bevevano vini, spesso diversi da quelli utilizzati per il pasto e più inebrianti, e che consisteva in musiche, giochi e improvvisazioni poetiche, vedeva le donne come attive protagoniste verosimilmente al pari degli uomini. Il banchetto era inoltre considerato come un avvenimento sociale molto importante all’interno della comunità e il fatto che vi prendessero attivamente parte le donne è anche paradigmatico della loro importanza all’interno della società.

 

Secondo la mentalità greca la partecipazione al banchetto e quindi al simposio della propria moglie era considerata una cosa indegna. Le donne nell’antica Grecia, così come nella Roma monarchica e repubblicana, avevano una vita sociale molto più ristretta e venivano spesso confinate in casa custodendo il focolare domestico e filando la lana; attività quest’ultime comunque addebitabili anche alle donne etrusche ma, come è possibile vedere in molte raffigurazioni, esse godevano di maggiore libertà di movimento e partecipavano vivacemente all’interno della comunità a differenza di quelle greche e romane.

 

Il fatto per giunta che esse potessero bere vino doveva apparire particolarmente bizzarro e stravagante visto che nella cultura romana, secondo quanto riportato da Plinio il Vecchio, si usava che i parenti baciassero le donne per sentire se sapessero di vino puro (era a loro consentito bere solo certi tipi di vino dolci e non fermentati), una trasgressione questa paragonabile all’adulterio e quindi punibile con la morte. Pudica, lanifica e domiseda: questi sono gli appellativi con cui gli uomini romani lodavano le proprie mogli.

 

Della partecipazione delle donne ai banchetti vi sono, come accennato, parecchie tracce nei dipinti e nei corredi funerari di diverse tombe etrusche, come il famoso sarcofago degli sposi ritrovato a Cerveteri e risalente al VI secolo a.C. Grazie all’arte funeraria è possibile inoltre constatare altre “originali” abitudini delle donne etrusche come la partecipazione, almeno da spettatrici, ai giochi: più difficile è invece appurare se vi prendessero anche parte.

 

Il rinvenimento di numerosi oggetti recanti scritte con nomi propri femminili nel corredo funebre delle tombe di alcune donne etrusche ha dato luogo a importanti riflessioni.

 

Una è strettamente legata alla padronanza della scrittura da parte delle donne etrusche (o almeno quelle appartenenti a classi più privilegiate); fatto che ancora una volta esalta il ruolo che esse avrebbero dovuto avere all’interno di quest’antica civiltà.

 

Un altro spunto interessante è invece correlato alla capacità giuridica delle donne etrusche. Infatti per il diritto romano, almeno quello più arcaico, la donna non era considerata come persona giuridica a se stante e doveva essere sempre costretta ad avere un tutore che ne gestisse o curasse gli affari e che la rappresentasse. Pertanto la donna romana non possedeva alcun diritto di proprietà (fatta eccezione in alcuni casi per la dote) e anzi veniva essa stessa considerata di proprietà, con conseguente diritto di vita e di morte da parte del pater familias o, una volta sposata, del marito (attraverso il matrimonio cum manu, in uso nel periodo più antico). Simile era la situazione della donna greca la quale alla stregua di un incapace o di un minore era costantemente sotto la “custodia” del padre, del marito, di un familiare o comunque di un tutore nonostante il diritto di vita e di morte sembra fosse più attenuato.

 

Ricostruire un ipotetico ius Etruriae è invero molto arduo, difatti pochi sono i riferimenti alla legislazione etrusca e poche sono anche le informazioni riguardanti gli effetti giuridici del matrimonio etrusco, tuttavia vi sono elementi a sostegno di una diffusa capacità giuridica femminile. I ritrovamenti, come detto, di numerosi supporti con il nome proprio di persona di alcune donne fa pensare che la donna etrusca fosse dotata di personalità giuridica e che potesse esserle riconosciuto il diritto di proprietà.

 

Alcuni reperti quali ad esempio la pisside-cratere custodita presso il Louvre recante la scritta kusnailise, che secondo l’etruscologo Giovanni Colonna indica l’appartenenza di una bottega a una certa Kusnai (una donna etrusca), e i ritrovamenti presso la tomba di Casalecchio, suggeriscono che la donna fosse anche titolare di attività economiche e artigiane.

 

Fondamentale a tal proposito è la tavola di Cortona, una tabula di bronzo, databile tra la fine del III terzo secolo a.C. e gli inizi del II secolo a.C., che si ritiene descriva un negozio giuridico avvenuto tra più contraenti dove, tra questi, si menziona oltre a un certo Petru Skevas anche la moglie Arntlei. Ciò fa credere che vi fosse un’assunzione di responsabilità anche da parte della moglie e che quindi in caso di inadempimento si sarebbe potuto legittimamente aggredire anche i beni della donna avvallando quindi la tesi dell’esistenza di un diritto di proprietà femminile. Arntlei sembra essere menzionata come un soggetto giuridico a se stante al pari degli altri, elemento che fa pensare all’assenza di poteri tutori sulla donna quindi detentrice di una condizione giuridica sui iuris.

 

Analogamente a quanto avveniva nella civiltà greca e romana, anche nel mondo etrusco le donne sembrerebbero prive di personalità giuridica di diritto pubblico, infatti le cariche politiche e amministrative più rilevanti erano ricoperte dagli uomini a eccezione di alcune funzioni minori per lo più di natura religiosa.

 

Concludendo, si può dunque decisamente affermare che la donna nell’antica Etruria poteva godere di maggiori libertà e diritti rispetto a quanto avveniva in altre civiltà antiche (invero non tutte), ma certo sempre all’interno di una società marcatamente androcentrica. Si è quindi ben lontani da una forma di matriarcato o da una figura di donna modernamente emancipata.

 

Con il graduale assoggettamento della civiltà etrusca a quella romana tali libertà andranno comunque via via assopendosi mischiandosi con i mores romani fino alla loro completa fusione.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Cantarella E., Passato prossimo: donne romane da Tacita a Sulpicia, Feltrinelli Editore, Milano 1996.

Colonna G., Ceramisti e donne padrone di bottega nell’Etruria arcaica, in Indogermanica ed Italica. Festschrift für Helmut Rix zum 65 Geburstag, Innsbruck 1993.

Colonna G., I caratteri originali della civiltà etrusca, in Gli Etruschi, Catalogo della mostra, Venezia 2000.

Facchetti G.M., Frammenti di diritto privato etrusco, Leo S. Olschki Editore, Firenze 2000.

Kruta Poppi L., Neri D. (a cura di), Donne dell’Etruria padana dal VIII al VII secolo a.C. tra gestione domestica e produzione artigianale, Edizioni All’insegna del giglio, Sesto Fiorentino 2015.

Pallottino M., Etruscologia, Hoepli, Milano 1984.

Pecora B., Donna e diritti, Aspetti storico giuridici del lavoro femminile con analisi del fenomeno dello stalking, mobbing e straining, Key Editore, Vicalvi 2017.

Quilici M., Storia della paternità. Dal pater familias al mammo, Fazi Editore, Roma 2010.

Rallo A., Le donne in Etruria, “L’erma” di Bretschneider, Roma 1989.



 

 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.