N. 15 - Agosto 2006
IL RUGGITO DELL'ORSO
La partecipazione della Russia alla Seconda Coalizione antifrancese (1798-1801)
- Parte I
di
Simone Pelizza
Paolo I e la crisi europea
La mattina del 5 aprile 1797 - a dispetto del clima ancora
rigido - le strade di Mosca erano colme di folla.
In mezzo ad essa un folto corteo di dignitari e
soldati a cavallo si muoveva con difficoltà,
spesso imprecando per il freddo e la confusione.
Decine e decine di persone gridavano di gioia,
salutavano o piegavano la schiena in segno di
deferenza. Un uomo pallido e dai lineamenti alteri
rispondeva a queste manifestazioni di affetto
sventolando il cappello con sfrenato entusiamo.
Quell’uomo era il nuovo zar di tutte le Russie,
signore assoluto di un impero immenso, esteso dal
Baltico al Mar Nero, dalle pianure polacche alla
Siberia. Si chiamava Paolo e quel giorno
rappresentava di certo il momento più intenso
della sua vita.
Sei mesi prima sua madre, la grande Caterina II, era morta
all’improvviso, lasciando volontà testamentarie
dubbie. Sembrava che il trono imperiale dovesse
andare ad Alessandro, fratello più giovane di
Paolo, ma alla fine quest’ultimo riuscì a
spuntarla. Dopo anni di isolamento nella tenuta
della Gatchina, era arrivato il momento tanto
atteso: le redini del potere erano finalmente
nelle sue mani.
Lentamente il corteo raggiunse la cattedrale
dell’Assunzione, nel cuore del Cremlino: lì, su un
trono sopraelevato, Paolo si incoronò imperatore
insieme alla moglie Maria Fedorovna, ricevendo
scettro e globo, simboli del potere. Poi, dopo la
comunione e il Te Deum di ringraziamento,
designò ufficialmente come erede il figlio
maggiore Alessandro, presente alla cerimonia.
L’ultima fase di questa lunga giornata di
insediamento fu l’incontro tradizionale con i
membri della nobiltà e gli ufficiali di corte. E
qui il nuovo zar ebbe un’amara sorpresa: poche
persone erano presenti per rendergli omaggio; la
maggior parte degli aristocratici moscoviti
disertò infatti l’evento, chiudendosi in un
silenzio ambiguo e preoccupato.
Troppe incognite pesavano sul futuro della Russia: il paese
aveva urgente bisogno di riforme; soprattutto
doveva affrontare una difficile situazione
politica internazionale. Secondo molti Paolo non
era l’uomo adatto per risolvere tali problemi;
anzi, nelle testimonianze dell’epoca lo zar era
spesso definito come un “bambino” capriccioso e
inaffidabile. Con l’Europa sconvolta da guerre e
tensioni queste asserzioni erano piuttosto
preoccupanti. Quali azioni avrebbe compiuto il
nuovo imperatore per risolvere la crisi europea,
innescata dalla Rivoluzione francese ? Avrebbe
indirizzato le risorse dell’impero verso l’Asia –
come la madre – opppure verso l’Occidente,
seguendo l’esempio di Pietro il Grande ?
In quei giorni tutti gli sguardi erano dunque rivolti a
Mosca. Presto Paolo avrebbe chiarito la propria
posizione. Ma ciò sarebbe stato fonte di ulteriori
preoccupazioni, in Russia e all’estero.
Lo spirito di Gatchina
Le cognizioni di politica estera di Paolo I erano
terribilmente limitate. Prima dell’ascesa al
trono, aveva compiuto solo due viaggi importanti
fuori dal paese, in Prussia e in Francia. A
Potsdam, il ricordo delle imprese di Federico il
Grande lo influenzò in modo indelebile; a
Versailles, invece, imparò il gusto eccessivo per
l’etichetta e il formalismo amministrativo.
Entrambe le esperienze si rivelarono profondamente
negative per la sua formazione.
Tornato in patria, Paolo elaborò la propria personale
visione del mondo nella solitudine di Gatchina,
tenuta dove la madre lo aveva confinato dopo una
serie di pesanti attriti personali e politici.
Naturalmente non poteva essere che una visione
romantica, irreale: le monarchie europee erano
legate da vincoli profondi di onore e amicizia,
che dovevano essere rispettati con il massimo
rigore; le istituzioni religiose tradizionali
dell’epoca – come il Papato – dovevano essere
difese e supportate senza esitazioni; lealtà e
coraggio potevano avere ragione di qualsiasi
ostacolo ideale o concreto. Simili concetti erano
presenti nelle politiche di quasi tutti i regnanti
dell’epoca, ma in Paolo assumevano una
connotazione mistica inquietante. Di sicuro lo
zarevich non era digiuno di nozioni
geopolitiche; il suo precettore, Nikita Panin, lo
aveva edotto piuttosto bene sugli interessi russi
nell’Impero Ottomano, in Persia e nel Baltico.
Anche la politica di Caterina nei confronti della
Polonia lasciò probabilmente un segno nelle sue
riflessioni. Ma tutto era troppo confuso per dare
vita a disegni strategici ampi e duraturi. Inoltre
la volubile personalità del principe trasformava
decisioni vitali in capricci passeggeri, destinati
a decadere in un attimo senza lasciare traccia.
Una volta salito al trono, Paolo uniformò la
politica russa allo spirito utopico di Gatchina,
minandone i risultati e preparando la strada ad
umiliazioni cocenti.
L’esercito fu il gradino più importante dell’apparato
statale a subire le scelte visionarie del nuovo
zar. Ossessionato dall’efficienza formale dei
prussiani, Paolo centralizzò la struttura di
comando, facendo scaturire qualsiasi decisione –
strategica, tattica, disciplinare – dalla sua
persona. Tutti gli stati maggiori, compresi quelli
di reggimento, furono soppressi, sostituiti da
“capi” di dubbia competenza ma fedeli
all’imperatore. Regolamenti pedanti e dettagliati
resero impossibile qualsiasi forma di iniziativa.
Ogni deviazione alle istruzioni dello zar venne
punita severamente: durante il regno di Paolo I
più di 300 generali e 2000 ufficiali furono
allontanati dal servizio, spesso in termini
umilianti. Le parate a San Pietroburgo erano
particolarmente temute dai soldati: una semplice
svista nell’uniforme o nel portamento poteva
significare l’arresto e la deportazione in
Siberia. Persino i Cosacchi rischiarono la
soppressione. Solo l’anziano maresciallo Suvorov,
eroe delle guerre contro i Turchi sotto Caterina
II, protestò vivacemente contro questo sistema del
terrore. Il 17 febbraio 1797 Paolo lo radiò dal
corpo ufficiali per “insolenza”, ma i numerosi
malumori provocati da tale decisione lo
costrinsero a ritornare sui propri passi.
In generale, le “riforme” del biennio 1796-98 avvilirono
pesantemente lo strumento principale con cui la
Russia poteva far sentire la propria voce nel
turbolento consesso europeo. Proprio mentre
Bonaparte e i generali rivoluzionari francesi
passavano di vittoria in vittoria, incrinando il
vecchio ordine continentale in modo irreparabile,
l’esercito russo si trovava impreparato alla
guerra, depresso nel morale e nello spirito.
Presto lo zar lo avrebbe trascinato in
un’avventura pericolosa, dalle conseguenze
imprevedibili.
La nascita della Seconda Coalizione antifrancese
Nella primavera del 1798 l’insaziabile espansionismo del
Direttorio – generato da instabilità sociale e
lotte politiche interne – accellerò la formazione
di una nuova, grande alleanza antifrancese. In
particolare le invasioni della Svizzera e dello
Stato della Chiesa riavvicinarono l’Austria
all’Inghilterra dopo gli screzi successivi alla
pace di Campoformio. Il governo di Vienna non
poteva tollerare la sempre più forte presa
francese sulla penisola italiana; tuttavia non
aveva i mezzi per affrontare da solo la nuova
minaccia.
La guerra precedente - durata quasi cinque anni – aveva
infatti consumato le risorse belliche degli
Asburgo, riducendo le loro possibili zone
d’intervento all’Italia settentrionale e alla
Baviera. Il ministro degli esteri austriaco,
barone Thugut, sperava che gli inglesi avrebbero
sostenuto l’onere maggiore del conflitto futuro,
tanto più che la Svizzera invasa era un paese
chiave dell’equilibrio europeo sostenuto da
Londra. Ma l’anziano diplomatico si sbagliava: per
quanto desideroso di combattere i francesi, il
governo di William Pitt doveva affrontare una
crisi economica interna e la pericolosa
insurrezione di Tippu Sahib in India. La
partecipazione britannica alla nuova coalizione si
basava dunque esclusivamente su qualche prestito
finanziario e sull’azione della marina nel
Mediterraneo. Fu così che i negoziati
austro-inglesi procedettero a passo funebre, tra
litigi furiosi e continue recriminazioni.
Furono gli errori del Direttorio a rinsaldare i vincoli tra
le potenze avversarie. In maggio Napoleone
Bonaparte partì alla testa di una grande
spedizione militare verso l’Egitto. Ancora oggi si
continua a discutere sulle ragioni di tale
impresa: forse il governo francese aveva mire sul
Vicino Oriente oppure voleva sostenere la rivolta
antibritannica in India; forse Napoleone mirava
semplicemente ad accrescere il proprio prestigio
politico. Qualunque fosse lo scopo, la spedizione
d’Egitto si rivelò un errore strategico e
diplomatico di enormi proporzioni. Per assicurarsi
una base di rifornimenti nel Mediterraneo,
l’armata francese occupò Malta, scacciando i
rappresentanti dell’Ordine di San Giovanni, di cui
Paolo I era Gran Maestro. L’ira dello zar non si
fece attendere; inoltre lo sbarco di Bonaparte in
Egitto terrorizzò la corte di San Pietroburgo, che
vide l’operazione come una grave minaccia a
Costantinopoli e agli interessi russi nel
Mediterraneo orientale. Il maldestro tentativo di
Talleyrand e Sieyès di ottenere l’alleanza della
Prussia riaprendo la questione polacca fu la
goccia che fece traboccare il vaso.
La Russia diventò il motore della Seconda Coalizione
antifrancese. Spinto più dall’entusiasmo che da
un’analisi ponderata della situazione, Paolo
promise agli inglesi l’invio di una flotta di
dieci navi nel Mediterraneo e propose al sultano
turco un accordo difensivo contro ogni attacco
francese. Tra luglio e agosto Austria, Inghilterra
e Russia firmarono intese militari comuni. Lo zar
si impegnava a costituire un corpo di spedizione
di 60 000 uomini, da impiegare in Olanda, in
Svizzera e in Italia. Negli ultimi due teatri
d’operazioni le armate russe avrebbero cooperato
con gli austraci. In cambio gli inglesi si
impegnarono a pagare al governo di San Pietrobrugo
300 000 sterline come preparation money per
le imminenti campagne militari. La vittoria navale
di Nelson ad Abukir alimentò l’entusiasmo degli
Alleati, alterando l’equilibrio strategico
generale a sfavore della Francia e lasciando
presagire l’annientamento stesso del Direttorio.
Conscio della difficile situazione, Talleyrand
cercò di riavviare negoziati con l’Austria, ma
senza successo.
In settembre il confronto armato divenne imminente:
Portogallo e Regno di Napoli aderirono alla
Coalizione; l’Impero Ottomano dichiarò guerra alla
Francia, mentre un’armata russa entrava nella
Galizia austriaca. Il 22 novembre 40 000 soldati
napoletani superarono il confine romano, dando
ufficialmente inizio alle ostilità.
Paolo I aveva dunque coinvolto la Russia in un conflitto di
grandi proporzioni. La sua azione era stata frutto
di preoccupazioni ragionevoli, ovvero la minaccia
materiale e ideologica francese ai propri
interessi in terra polacca e in Oriente. Ma aveva
perseguito i suoi obiettivi in modo
contraddittorio, svagato. Negli accordi con
Austria e Inghilterra non c’era alcun riferimento
a concreti guadagni territoriali o economici in
Europa. Lo zar si era accontentato di mere
enunciazioni di principio (restaurazione dei
sovrani spodestati, restituzione di Malta ai
Cavalieri di San Giovanni) senza chiedere alcuna
reale contropartita al proprio impegno. Le sue
fragili forze armate avrebbero quindi dovuto
combattere in assenza di direttive politiche
precise.
Avrebbero ottenuto la vittoria? La domanda generava
incertezza e ansietà in tutto l’esercito
imperiale.
Riferimenti bibliografici:
S. Andolenko, Storia dell’esercito russo,
Firenze, Sansoni Editore 1969
David Chandler, Dictionary of the Napoleonic
Wars, Ware (UK), Wordsworth Editions 1999
Id., Le campagne di Napoleone, 2 voll.,
Milano, Rizzoli 1986
Terry Coleman, Nelson: l’uomo che sconfisse
Napoleone, Milano, Mondadori 2003
Marco Galandra – Marco Baratto, 1799 Le
baionette sagge. La campagna di Suvorov in Italia
e la “Prima Restaurazione” in Lombardia,
Pavia, Gianni Iuculano Editore 1999
Michel Poniatowski, Storia del Direttorio,
Milano, Bompiani 1984
Henry Troyat, Alessandro I: lo zar della Santa
Alleanza, Milano, Bompiani 2001
Henry Troyat, Paul Ier: le tsar mal aimé,
Paris, Grasset&Fasquelle 2002
Jean Tulard, Napoleone, Milano, Bompiani
2000
Bernhard Voykowitsch, Austrian Strategies in
the War of the Second Coalition, Rivista
Napoleonica 1-2/2000, p. 169-173 |