N. 144 - Dicembre 2019
(CLXXV)
RUBENS E IL CICLO PITTORICO PER MARIA DE MEDICI
TRA
ALLEGORIE
E
POTERE
-
PARTE
IV
di
Sergio
Taddei
Delle
due
“fughe”
di
Maria
de
Medici
dalla
ingombrante
tutela
del
figlio,
quella
del
4
maggio
1617,
apparentemente
la
più
inoffensiva
dal
momento
che
non
ne
era
conseguita
una
guerra,
fu
estromessa
dal
ciclo
biografico
di
Rubens,
mentre
quella
di
Blois
rimase
al
suo
posto.
La
questione
delle
responsabilità
di
Luigi
XIII
può
spiegare
facilmente
la
scelta.
Se
nel
caso
del
pannello
con
la
“Fuga
di
Blois”
era
bastato
far
ricadere
le
colpe
della
Regina
Madre
sui
cattivi
consiglieri,
la
“sortita
di
Parigi”
chiamava
re
Luigi
XIII
a
rispondere
della
congiura
che
aveva
eliminato
il
Maresciallo
d’Ancre
e
dell’emarginazione
della
sua
stessa
madre
dalla
corte,
delitti
compiuti
per
lo
più
su
istigazione
di
un
personaggio
dalla
memoria
ormai
aborrita
quale
il
duca
di
Luynes.
La
prima
delle
due
scene,
oggi
pervenutaci
nel
mirabile
bozzetto
di
Monaco
di
Baviera,
descrive
il
commosso
commiato
di
Maria
de
Medici
dalle
sue
dame
di
corte,
in
seguito
alla
comunicazione
dell’ordine
di
Luigi
XIII
che
le
ingiungeva
di
abbandonare
Parigi.
L’inserimento
di
personaggi
mitologici
in
una
scena
di
tale
drammatico
realismo
è
volto
a
enfatizzare
le
virtù
della
protagonista
e i
vizi
dei
suoi
antagonisti.
i
L’esilio
di
Maria
de
Medici
da
Parigi
I
concetti
di
calunnia,
dignità
e
compianto
sono
espressi
con
stilemi
e
allegorie
di
potente
eloquenza.
La
Calunnia,
donna
mostruosa
e
furibonda
con
una
torcia
accesa
in
mano
secondo
la
lezione
dell’Iconologia
di
Ripa,
caccia
dal
palazzo
la
Regina
vestita
a
lutto
e
sostenuta
dall’Innocenza,
giovane
bionda
con
un
ermellino
in
braccio.
Le
donne
della
corte
si
profondono
in
addolorate
reverenze:
nel
cielo
plumbeo
volteggiano
la
Menzogna
e
l’Adulazione
in
forma
di
Arpie
sputa-fuoco,
secondo
una
metafora
che
si
trova
già
nell’Hymne
de
Calais
e
Zethèes
di
Ronsard.
Nell’inno
il
principe
dei
poeti
francesi,
uno
dei
protagonisti
nella
genesi
del
ballet
de
cour,
usa
infatti
l’immagine
dei
Boreadi
in
atto
di
cacciare
le
Arpie
dalla
mensa
di
Fineo
quale
allegoria
dei
filosofi
che
allontanano
dalla
tavola
dei
re
adulatori
e
bugiardi.
Di
estrema
rilevanza
è a
mio
avviso
il
dettaglio
della
veste
lugubre
all’antica,
a
garanzia
di
una
vedovanza
casta
e
orgogliosa.
Un
uso
tanto
spregiudicato
della
allegoria
mitologica
all’interno
della
narrazione
di
fatti
contemporanei
era
intollerabile
a
mio
avviso
tanto
nella
forma,
ancora
suddita
delle
unità
aristoteliche,
quanto
nel
contenuto,
non
certo
edificante
per
Luigi
XIII.
Sostengo
dunque
che
l’estromissione
di
quest’ultima
scena
dal
Ciclo
del
Lussemburgo
si
possa
attribuire
all’imbarazzo
dell’entourage
culturale
di
Richelieu
di
fronte
a
una
imprevista
reazione
di
stizza
del
re
durante
il
suo
primo
sopralluogo
nella
primavera
del
1622.
i
La Felicità della Reggenza
Nella
ormai
familiare
lettera
a
Peiresc
del
13
Maggio
1625,
Rubens
descrive
la
visita
del
re
al
proprio
cantiere
e
avoca
a sé
il
merito
della
risoluzione
dell’increscioso
inconveniente
mediante
la
sostituzione
del
quadro
incriminato
con
un
soggetto
che
non
“tocca
la
ragion
di
stato”,
la
cosiddetta
“Felicità
della
Reggenza”.
La
sontuosa
apoteosi
allegorica
della
Regina
Madre
dovette
essere
preparata
in
fretta:
essa
costituisce
il
più
prezioso
documento
della
relazione
imprescindibile
tra
il
ciclo
pittorico
mediceo
e la
contemporanea
produzione
poetica
e
scenico-musicale
parigina.
L’iconografia
in
esame
si
presenta
come
un
pot-pourri
di
situazioni
encomiastiche
ricavate
da
Malherbe,
Marino
e da
vari
ballets
de
cour,
unificate
su
auspicabili
suggerimenti
di
Peiresc,
la
cui
corrispondenza
con
Malherbe
rivela
la
sua
natura
di
tramite
tra
Rubens
e il
balletto
francese.
I
riferimenti
sono
amalgamati
ma
ravvisabili
nella
loro
singolarità:
il
segreto
del
successo
di
questo
pannello
sostitutivo
dovette
trovarsi
proprio
nella
sua
innocua
frivolezza,
nel
suo
adeguamento
alla
poetica
dominante.
La
principale
fonte
testuale
della
composizione
si
trova
in
una
stanza
espunta
da
un
componimento
di
Malherbe
destinato
a
una
esecuzione
cantata,
recitato
nell’Aprile
1612
in
occasione
del
fidanzamento
tra
i
figli
di
Maria
de
Medici
e
gli
eredi
degli
Asburgo
di
Spagna.
L’opera
poetica
consiste
in
una
lunga
serie
di
omaggi
intonati
dalle
Sibille
in
onore
della
Reggente,
tra
i
quali
quello
della
Sibilla
Tiburtina
restituisce
il
senso
dell’intera
scena.
Si
propone
un
confronto
tra
i
versi
di
Malherbe
e la
descrizione
poetica
del
quadro
di
Rubens
del
Porticus
Medicaea
di
Morisot.
Sous
ta
bontè
s’en
va
renaitre
/ Le
siecle
où
Saturne
fuit
maitre;
/
Themis
les
vices
dètruira;
/
L’Honneur
ouvrira
son
ècole;
/ Et
dans
Seine
et
Marna
luira
/
Meme
sablon
que
dans
Pactole.
In
throno
Regina
mater
bilance
et
sceptro
armata
terna
mostra
devincta,
et
veniam
precantia
vita
donat,
vigent
artes;
ubique
Pallas
et
Abundantia,
Saturno
suum
saeculum
in
Gallia
renovante.
i
Jacques de Fornazeris, Ritratto di Maria de Medici,
incisione
Crispin
de
Passe,
Maria
de
Medici
in
Trono
come
Minerva,
(da
F.
Bardon
1974)
La
traduzione
figurativa
di
tali
metafore
letterarie
non
potrebbe
essere
più
fedele.
Al
pari
che
nelle
incisioni
di
Fornazeris
e De
Passe,
Maria
de
Medici
siede
in
trono
al
centro
della
scena
nelle
vesti
di
personificazione
della
Giustizia-Themis
–
con
gli
attributi
della
giustizia
e
della
regalità
–
bilancia,
scettro,
globo:
l’assistono
da
un
lato
Minerva,
l’Abbondanza
e la
Prudenza,
dall’altro
Saturno
abbraccia
amorosamente
la
Francia
trasferendovi
la
sede
della
sua
età
aurea
–
Le
siecle
où
Saturne
fuit
maitre.
Ai
piedi
del
suo
trono
trionfano
le
arti
e
languiscono
i
vizi
in
forma
di
prigioni
–
les
vices
dètruira.
La
leggenda
delle
sabbie
auree
del
fiume
Pattolo
è
verosimilmente
ravvisabile
nelle
monete
che
la
Prudenza
dona
alle
arti,
simbolo
del
mecenatismo
mediceo.
La
natura
coreutica
della
scena
è
ostentata,
la
analogia
con
la
sezione
finale
del
Ballet
de
Madame
del
1615,
il
trionfo
di
Minerva,
inevitabile.
Con
questi
versi
Malherbe
osanna
l’entrata
in
scena
di
Elisabetta
nelle
vesti
della
dea
della
giustizia:
Houlette
de
Louis,
Houlette
de
Marie
/
Dont
le
fatal
appui
met
notre
bergerie
/
Hors
du
pouvoir
des
loups,
/
Vous
placet
dans
les
cieux
en
la
meme
contrae
/
des
balances
d’Astrèe,
/
Est-ce
un
prix
de
vertu
qui
soit
digne
de
vous?
Il
richiamo
alla
bilancia
di
Astrea,
la
dea
della
giustizia
fuggita
nella
notte
dei
tempi
per
il
disgusto
della
corruzione
dell’umanità
e il
cui
ritorno
si
attende
nella
speranza
di
una
nuova
era
di
concordia
universale,
è
alla
base
del
travestimento
mitologico
di
Maria.
Non
meno
significativo
il
parallelo
con
l’introduzione
del
Tempio
di
Marino.
Qual
più
saggia
Minerva
di
V.E.
specchio
di
prudenza
et
di
pudicitia,
che
con
lo
scudo
del
discreto
consiglio,
et
con
la
lancia
della
virtuosa
operatione
ha
non
pur
difesa
se
stessa
da
qual
si
voglia
indignità;
ma
soggiogate
tutte
le
tiranniche
passioni
dei
sensi?
L’allegoria
di
Minerva
è
distribuita
in
due
personaggi
tra
loro
alleati,
l’uno
raffigurazione
convenzionale
della
divinità
classica,
l’altra
personificazione
di
un
concetto
astratto,
il
quale
può
innocuamente
prendere
le
fattezze
della
Regina
Madre.
Il
richiamo
alla
musica
e al
balletto
è
enfatizzato
ulteriormente
nel
particolare
dello
spartito
in
basso
a
sinistra.
La
scarsa
cura
nella
restituzione
del
contenuto
musicale
è
indizio
di
un
intento
prettamente
emblematico
del
dettaglio,
tuttavia
sono
convinto
di
ravvisare
nella
notazione
e
nell’impaginazione
chiare
analogie
con
le
coeve
raccolte
di
Airs
de
Cour
edite
dalla
stamperia
parigina
Ballard.
i
Particolare
da
La
Felicità
della
Reggenza
i
P.
de
Guedron,
Incipit
dell’air
de
cour
“Allons
courons”
da
Quatrieme
Livre
de
Airs
de
Cour,
Parigi,
Ballard,
1619
Le
airs
de
cour
erano
un
genere
di
componimento
lirico
che
veniva
cantato
durante
i
balletti:
gli
esempi
più
ammirati
del
genere,
opera
di
compositori
di
corte
quali
Guedron,
Boesset,
conoscevano
diffusione
indipendente
dal
resto
dello
spettacolo
grazie
a
tali
recueils.
L’evocazione
del
teatro
musicale
francese
si
connota
di
una
influenza
pastorale
e
idillica
nell’inserimento,
al
di
sopra
degli
spartiti,
di
un
hautbois,
l’oboe
francese
sovente
usato
per
l’accompagnamento
delle
arie
e
delle
musettes
che
richiamavano
a
una
ambientazione
bucolica,
certo
adatta
per
disporre
la
mente
dell’osservatore
alla
pace
di
una
nuova
età
aurea.