.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

arte


N. 144 - Dicembre 2019 (CLXXV)

RUBENS E IL CICLO PITTORICO PER MARIA DE MEDICI

TRA ALLEGORIE E POTERE - PARTE IV

di Sergio Taddei

 

Delle due “fughe” di Maria de Medici dalla ingombrante tutela del figlio, quella del 4 maggio 1617, apparentemente la più inoffensiva dal momento che non ne era conseguita una guerra, fu estromessa dal ciclo biografico di Rubens, mentre quella di Blois rimase al suo posto.

 

La questione delle responsabilità di Luigi XIII può spiegare facilmente la scelta. Se nel caso del pannello con la “Fuga di Blois” era bastato far ricadere le colpe della Regina Madre sui cattivi consiglieri, la “sortita di Parigi” chiamava re Luigi XIII a rispondere della congiura che aveva eliminato il Maresciallo d’Ancre e dell’emarginazione della sua stessa madre dalla corte, delitti compiuti per lo più su istigazione di un personaggio dalla memoria ormai aborrita quale il duca di Luynes.

 

La prima delle due scene, oggi pervenutaci nel mirabile bozzetto di Monaco di Baviera, descrive il commosso commiato di Maria de Medici dalle sue dame di corte, in seguito alla comunicazione dell’ordine di Luigi XIII che le ingiungeva di abbandonare Parigi. L’inserimento di personaggi mitologici in una scena di tale drammatico realismo è volto a enfatizzare le virtù della protagonista e i vizi dei suoi antagonisti.

  

i

L’esilio di Maria de Medici da Parigi

I concetti di calunnia, dignità e compianto sono espressi con stilemi e allegorie di potente eloquenza. La Calunnia, donna mostruosa e furibonda con una torcia accesa in mano secondo la lezione dell’Iconologia di Ripa, caccia dal palazzo la Regina vestita a lutto e sostenuta dall’Innocenza, giovane bionda con un ermellino in braccio.

 

Le donne della corte si profondono in addolorate reverenze: nel cielo plumbeo volteggiano la Menzogna e l’Adulazione in forma di Arpie sputa-fuoco, secondo una metafora che si trova già nell’Hymne de Calais e Zethèes di Ronsard. Nell’inno il principe dei poeti francesi, uno dei protagonisti nella genesi del ballet de cour, usa infatti l’immagine dei Boreadi in atto di cacciare le Arpie dalla mensa di Fineo quale allegoria dei filosofi che allontanano dalla tavola dei re adulatori e bugiardi.

 

Di estrema rilevanza è a mio avviso il dettaglio della veste lugubre all’antica, a garanzia di una vedovanza casta e orgogliosa. Un uso tanto spregiudicato della allegoria mitologica all’interno della narrazione di fatti contemporanei era intollerabile a mio avviso tanto nella forma, ancora suddita delle unità aristoteliche, quanto nel contenuto, non certo edificante per Luigi XIII.

 

Sostengo dunque che l’estromissione di quest’ultima scena dal Ciclo del Lussemburgo si possa attribuire all’imbarazzo dell’entourage culturale di Richelieu di fronte a una imprevista reazione di stizza del re durante il suo primo sopralluogo nella primavera del 1622.

 

i

La Felicità della Reggenza

 

Nella ormai familiare lettera a Peiresc del 13 Maggio 1625, Rubens descrive la visita del re al proprio cantiere e avoca a sé il merito della risoluzione dell’increscioso inconveniente mediante la sostituzione del quadro incriminato con un soggetto che non “tocca la ragion di stato”, la cosiddetta “Felicità della Reggenza”.

 

La sontuosa apoteosi allegorica della Regina Madre dovette essere preparata in fretta: essa costituisce il più prezioso documento della relazione imprescindibile tra il ciclo pittorico mediceo e la contemporanea produzione poetica e scenico-musicale parigina.

 

L’iconografia in esame si presenta come un pot-pourri di situazioni encomiastiche ricavate da Malherbe, Marino e da vari ballets de cour, unificate su auspicabili suggerimenti di Peiresc, la cui corrispondenza con Malherbe rivela la sua natura di tramite tra Rubens e il balletto francese. I riferimenti sono amalgamati ma ravvisabili nella loro singolarità: il segreto del successo di questo pannello sostitutivo dovette trovarsi proprio nella sua innocua frivolezza, nel suo adeguamento alla poetica dominante.

 

La principale fonte testuale della composizione si trova in una stanza espunta da un componimento di Malherbe destinato a una esecuzione cantata, recitato nell’Aprile 1612 in occasione del fidanzamento tra i figli di Maria de Medici e gli eredi degli Asburgo di Spagna.

 

L’opera poetica consiste in una lunga serie di omaggi intonati dalle Sibille in onore della Reggente, tra i quali quello della Sibilla Tiburtina restituisce il senso dell’intera scena. Si propone un confronto tra i versi di Malherbe e la descrizione poetica del quadro di Rubens del Porticus Medicaea di Morisot.

 

Sous ta bontè s’en va renaitre / Le siecle où Saturne fuit maitre; / Themis les vices dètruira; / L’Honneur ouvrira son ècole; / Et dans Seine et Marna luira / Meme sablon que dans Pactole.

 

In throno Regina mater bilance et sceptro armata terna mostra devincta, et veniam precantia vita donat, vigent artes; ubique Pallas et Abundantia, Saturno suum saeculum in Gallia renovante.

 

i

Jacques de Fornazeris, Ritratto di Maria de Medici, incisione

 

Crispin de Passe, Maria de Medici in Trono come Minerva, (da F. Bardon 1974)

 

La traduzione figurativa di tali metafore letterarie non potrebbe essere più fedele. Al pari che nelle incisioni di Fornazeris e De Passe, Maria de Medici siede in trono al centro della scena nelle vesti di personificazione della Giustizia-Themis – con gli attributi della giustizia e della regalità – bilancia, scettro, globo: l’assistono da un lato Minerva, l’Abbondanza e la Prudenza, dall’altro Saturno abbraccia amorosamente la Francia trasferendovi la sede della sua età aurea – Le siecle où Saturne fuit maitre. Ai piedi del suo trono trionfano le arti e languiscono i vizi in forma di prigioni – les vices dètruira.

 

La leggenda delle sabbie auree del fiume Pattolo è verosimilmente ravvisabile nelle monete che la Prudenza dona alle arti, simbolo del mecenatismo mediceo. La natura coreutica della scena è ostentata, la analogia con la sezione finale del Ballet de Madame del 1615, il trionfo di Minerva, inevitabile. Con questi versi Malherbe osanna l’entrata in scena di Elisabetta nelle vesti della dea della giustizia:

 

Houlette de Louis, Houlette de Marie / Dont le fatal appui met notre bergerie / Hors du pouvoir des loups, / Vous placet dans les cieux en la meme contrae / des balances d’Astrèe, / Est-ce un prix de vertu qui soit digne de vous?

 

Il richiamo alla bilancia di Astrea, la dea della giustizia fuggita nella notte dei tempi per il disgusto della corruzione dell’umanità e il cui ritorno si attende nella speranza di una nuova era di concordia universale, è alla base del travestimento mitologico di Maria. Non meno significativo il parallelo con l’introduzione del Tempio di Marino.

 

Qual più saggia Minerva di V.E. specchio di prudenza et di pudicitia, che con lo scudo del discreto consiglio, et con la lancia della virtuosa operatione ha non pur difesa se stessa da qual si voglia indignità; ma soggiogate tutte le tiranniche passioni dei sensi?

 

L’allegoria di Minerva è distribuita in due personaggi tra loro alleati, l’uno raffigurazione convenzionale della divinità classica, l’altra personificazione di un concetto astratto, il quale può innocuamente prendere le fattezze della Regina Madre.

 

Il richiamo alla musica e al balletto è enfatizzato ulteriormente nel particolare dello spartito in basso a sinistra. La scarsa cura nella restituzione del contenuto musicale è indizio di un intento prettamente emblematico del dettaglio, tuttavia sono convinto di ravvisare nella notazione e nell’impaginazione chiare analogie con le coeve raccolte di Airs de Cour edite dalla stamperia parigina Ballard.

 

 

i

Particolare da La Felicità della Reggenza

 

i

P. de Guedron, Incipit dell’air de cour “Allons courons”  

da Quatrieme Livre de Airs de Cour, Parigi, Ballard, 1619

 

Le airs de cour erano un genere di componimento lirico che veniva cantato durante i balletti: gli esempi più ammirati del genere, opera di compositori di corte quali Guedron, Boesset, conoscevano diffusione indipendente dal resto dello spettacolo grazie a tali recueils.

 

L’evocazione del teatro musicale francese si connota di una influenza pastorale e idillica nell’inserimento, al di sopra degli spartiti, di un hautbois, l’oboe francese sovente usato per l’accompagnamento delle arie e delle musettes che richiamavano a una ambientazione bucolica, certo adatta per disporre la mente dell’osservatore alla pace di una nuova età aurea.



 

 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.