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N. 143 - Novembre 2019 (CLXXIV)

RUBENS E IL CICLO PITTORICO PER MARIA DE MEDICI

TRA ALLEGORIE E POTERE - PARTE III

di Sergio Taddei

 

Il Consiglio degli Dei per il matrimonio con la Spagna è all’apparenza nulla più che una apoteosi mitologica del doppio matrimonio tra Luigi XIII e Anna d’Austria e tra Elisabetta di Francia e Filippo d’Asburgo, volto a garantire la pace con la Spagna, il grande pannello allude ai molteplici vantaggi dell’accordo che la regina considerò per tutta la vita quale il suo capolavoro politico. Il concilio olimpico rivela una scansione quanto mai burrascosa nella quale l’azione si moltiplica in vari sottogruppi.

 

Nel centro fisico e concettuale della scena, una figura supplice dalla mesta dignità reca un caduceo: Thuillier scarta l’identificazione con Maria de Medici proposta dal Grossmann e accoglie la tradizionale lettura che vi vede Iris, la messaggera degli dei nell’atto di perorare la causa della Regina Madre. L’identificazione con Iris, personificazione dell’arcobaleno, simbolo di pace, trova a mio avviso una prova e un corollario affascinanti e difficilmente contestabili grazie al confronto col ballet de cour che aveva sancito il trionfale ritorno a corte di Maria de Medici dopo la caduta in disgrazia di Luynes, il Ballet du Soleil pour la Reine del 1621.

 

Lo spettacolo è concepito in contrapposizione al succitato Ballet d’Apollon, ove Luynes è presentato come falso dio: lo splendore che promana dalla protagonista del balletto, la regina Anna d’Austria, e da sua madre Maria, “une lumiere seconde”, sovrasta come quella di due Soli il vago bagliore di un incantatore. Se la Regina Madre e la moglie del re sono rappresentati in forma di Sole, la parte dell’Aurora non poteva toccare che alla giovane principessa Henrietta Maria, futura sposa di Carlo I d’Inghilterra.

 

Il balletto si apre con i recitativi dell’Aurora-Henrietta che caccia i fantasmi della notte, e di Iris, sua compagna, la quale, addolcendo con la sua dolce luce la rossa fiamma di Marte, rassicura i mortali di aver intercesso presso le forze celesti affinché pongano fine ai maux intestins che affliggono l’umanità. La sconfitta di Marte fornisce la prefigurazione teatrale di un altro gruppo del dipinto, quello con il dio della guerra scacciato da Apollo e Minerva: il quadro di Rubens sancirebbe dunque l’allontanamento dei demoni della guerra da parte di una alleanza tra il consueto alter ego encomiastico della Regina Madre, Minerva, e la prerogativa solare del nuovo.

 

Si ribadisce a tal proposito che René Bordier, l’autore delle sezioni poetiche del Ballet du Soleil, faceva parte dell’entourage culturale di Richelieu, i cui interventi sull’elaborazione del ciclo sono stati ampiamente messi in luce: una epistola poetica al cardinale testimonia la sua partecipazione alla elaborazione del ciclo degli uomini illustri che decorava la sua residenza parigina.

 

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Il Concilio degli Dei, dal Ciclo di Maria de Medici

 

Il trionfo di Julich. La scena costituisce il monumento equestre della Regina Madre a cavallo davanti al paesaggio della resa della città di Julich, in Germania, controllata da una guarnigione imperiale, avvenuta nel 1610 di fronte alle armate congiunte del maresciallo De la Chastre e di Maurizio d’Orange.

 

La celebrazione di un episodio militare compiuto in alleanza con l’Olanda protestante ai danni della monarchia asburgica sembra porsi in aperta contraddizione con l’inno alla politica filo-spagnola di Maria de Medici glorificata dal resto del ciclo pittorico: la scelta potrebbe tuttavia vertere sul sottolineare la fedeltà della Reggente a una delle ultime volontà politiche di Enrico IV, in altre occasioni clamorosamente sconfessate.

 

Il successo bellico di Julich è celebrato in una coeva ode di Malherbe, fedelmente riprodotta nell’immagine rubensiana: nell’ode si trova riferimento tanto agli allori dispensati dalla Vittoria – se couvrir le front des lauriers – quanto alla simbolica sconfitta dell’aquila asburgica da parte del leone – l’aigle meme leur a fait place / Et les regardant approcher comme lions à aui tout cede / N’a point eu de meilleur remède / Que de fuir et se cacher.

Rubens rispetta scrupolosamente i motivi della fuga dell’aquila, visibile in proporzioni chiaramente rivelatrici di una enfasi araldica sulla destra della figura principale, e della vittoria del leone, dolcemente ammansito da una figura variamente interpretata come la Fortezza o la Generosità.

 

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Il Trionfo di Julich

 

Tale interpretazione è a mio avviso assai più convincente della lettura sostenuta dal Thuillier, che vede la presenza dell’aquila, posta in relazione con le altre figure di uccelli più lontani, come allegoria della regina che caccia i nemici dello stato: è verosimile che anche gli altri volatili non siano che ulteriori aquile volte a ribadire il significato araldico o a rappresentare visivamente i vari stadi della rotta dell’esercito asburgico.

 

Valenza chiaramente araldica assume anche il leone: esso appare con molteplici significati nei vari pannelli della Vita di Maria de Medici, in riferimento al Marzocco nella Nascita di Maria, alla città di Lione nella scena dell’Incontro, quale attributo della Fortezza nella tela in analisi, in ogni caso costituisce una sorta di animale “totemico” della Regina Madre nei momenti cruciali della sua vita. Per quanto riguarda la rappresentazione di Maria de Medici quale guerriera a cavallo, l’iconografia è facilmente riconducibile alla propaganda di Caterina de Medici, identificata nell’Artemisia conquistatrice di Rodi dell’arazzo della serie di Caron.

 

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A. Caron, disegno per arazzo dalla Histoire de la Reyne Artèmisie, 1572, manoscritto, Parigi, Bibliothèque Nationale de France 

 

La prerogativa delle armi usate con saggezza era di Minerva: eredi della dea si rappresenteranno poi due figlie di Maria de Medici, Henrietta Maria e Cristina Maria. Non è inoltre da dimenticare che gli anni dell’elaborazione del ciclo mediceo corrispondono all’inizio dell’attività culturale dell’Hotel de Rambouillet e della “Grande Mademoiselle” de Montpensier.

 

Non era raro che le colte aristocratiche devote ai valori della corrente letteraria delle Preziose si raffigurassero o riferissero a loro stesse come Amazzoni: il fenomeno esploderà durante la Fronda dei Principi del 1651. Lo stesso Ballet de Madame del 1615 termina col trionfo di Elisabetta di Francia in abiti di Minerva scortata da un corteggio di dame di corte in abito da Amazzoni. Il concetto della fermezza in guerra nonostante il sesso femminile è ribadito dal pannello con Maria de Medici nelle vesti di Bellona, ove la Regina Madre personifica la dea della battaglia circondata da cannoni e altri strumenti bellici.

 

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Maria de Medici come Bellona

 

Lo Scambio delle Principesse: Nelle frequenti avversità, Maria de Medici coltivò per tutta la vita il ricordo del doppio matrimonio del 1615 tra i suoi figli e gli eredi degli Asburgo di Spagna: il suo grande successo di regina e di madre. Per questa ragione la propaganda di fazione medicea si sforzò sempre di tenerne viva la memoria, tanto che lo stesso ciclo di Rubens doveva inizialmente prevedere numerosi pannelli ispirati al soggetto.

 

Tra i ballets de cour del periodo compreso tra l’anno delle doppie nozze e l’elaborazione della composizione rubensiana almeno tre celebrano l’evento in termini assai affini: il Ballet de Madame del 1615, celebrato proprio in occasione della partenza di Elisabetta per la Spagna, il Ballet de la Reyne en forme de Soleil del 1621, grande panegirico delle donne della famiglia reale, il Ballet de Junon la Nopciere del 1623, una delle ultime apoteosi della Regina Madre.

 

Il Ballet de Madame ha in comune con il pannello di Rubens l’ambientazione fluviale idillica, della quale il pittore fiammingo si serve per trasporre in una mitica età aurea il fiume Bidassoa, confine tra Francia e Spagna sul quale era avvenuto lo “scambio”. Il Bal de la Reyne del 1621 offre altresì un parallelo con la conciliazione di due ninfe acquatiche, “Pirene e Galathèe”, delle quali la figura femminile accanto al genio fluviale e le personificazioni nazionali potrebbero facilmente costituire un ricordo.

 

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Lo Scambio delle Principesse

 

La maggiore età di Luigi XIII. Il pannello costituisce la più efficace delle traduzioni allegoriche di un fatto storico presenti nel Ciclo del Lussemburgo. Il 20 ottobre 1614, una volta che Luigi XIII ebbe raggiunta l’età necessaria per governare, Maria de Medici lasciò a suo figlio le redini del potere. La scena rappresenta l’evento mediante la più antica, eloquente, immagine simbolica dello Stato, la nave, similitudine cara già agli scrittori della Grecia e della Roma antica, nonché a Giusto Lipsio.

 

Sulla superficie di un mare non privo di insidie, scivola una fantastica imbarcazione da parata, messa in moto dalla Forza, la Religione, la Giustizia e la Concordia, identificate dagli scudi che campeggiano sullo scafo: la Regina Madre – l’imbarcazione è straordinariamente a quella che compare nell’arazzo di Caron con la scena dell’assalto a Rodi precedentemente analizzato –, ancora vestita a lutto, lascia il timone nelle mani del suo giovane figlio, mentre la Temperanza sistema le vele e la personificazione della Francia troneggia al centro con una fiamma e un globo gigliato tra le mani. La figura della Forza è colta nell’atto di cacciare dalla prua della nave un mostro marino, probabile ricordo dell’appena trascorso periodo di disordini.

 

Si è inoltre già accennato a proposito del pannello precedente della presenza di raffigurazioni numismatiche della Regina Madre in atto di guidare la nave dello Stato. Nonostante risulti semplice l’accostamento della scena a una consolidata tradizione letteraria, le modalità in cui la nave e il suo equipaggio sono presentati reca la memoria di un episodio ben noto ai cultori francesi dell’epica tassiana: il viaggio che Ubaldo e Carlo intraprendono per liberare Rinaldo dalla maga Armida nel quindicesimo canto della Gerusalemme Liberata.

 

Come nel quadro di Rubens, i due paladini solcano il mare su una “picciola nave” guidata da una “fatal Donzella”. Significativo il fatto che la Delivrance de Renaud era stata utilizzata nel balletto del 1617 quale soggetto dell’apoteosi teatrale dell’acerrimo nemico di Maria de Medici, il duca di Luynes: pochi anni dopo, la regina italiana dovette prendersi la sua vendetta celebrando il suo trionfo con un simile linguaggio, rappresentata nell’atto di consegnare il timone a suo figlio solo dopo averlo condotto al sicuro da mostri marini di siffatta natura.

 

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Luigi XIII raggiunge la maggiore età

 

La Conclusione della pace ad Angers (fig. 14). La rappresentazione allegorica della Pace di Angers che pose termine al conflitto del Ponts de Ce è tra i soggetti “riservati” quello più addolcito dal velo dell’allegoria: l’entrata della Regina nel tempio ne sancisce il contraccambio del ruolo politico con la sicurezza. La composizione immagina l’ingresso di Maria de Medici, supportata da Mercurio e da una consigliera rosso-vestita assai simile alla Iris del Consiglio, in un tempio circolare sul quale campeggia l’iscrizione “Securitati Augustae”: incalzano la regina La Frode e La Furia sul fondo di un cielo tempestoso. Il tempio circolare è tradizionale accostato nel tardo-rinascimento ai culti filosofici e politici della Virtù e della Pace.

 

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La Conclusione della Pace

 

A mio avviso tale identificazione avviene sulla scorta della centralità della pianta del Tempio di Giano della Roma antica, e dalle fantasiose ipotesi ricostruttive elaborate da incisori di fine Cinquecento come Giacomo Lauro, che avevano per oggetto il Tempio della Virtù e dell’Onore consacrato a Roma dopo la conquista di Siracusa. Verso templi di simile struttura si dirigono Ercole nei disegni rubensiani per il Pompa Introitus Ferdinandi, termine ultimo di una iniziazione etica, e la Pace nel soffitto barberiniano di Pietro da Cortona, nell’atto di chiudere le porte del tempio di Giano a garanzia della cessazione di ogni ostilità.

 

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Frontespizio degli Annales Ducum Brabantiae

 

Al centro della composizione si erge una solenne personificazione della Pace, colta nel canonico atto di dar fuoco a una catasta di armi, tipologia iconografica che Rubens aveva avuto modo di osservare negli stucchi di Primaticcio in Palazzo Te e di utilizzare nel frontespizio degli Annales Brabantiae stampato da Moretus nel 1622.

 

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Hercules Prodicius, da Pompa Introitus Ferdinandi

 

 

È doveroso ricorrere ancora una volta a una Ode di Malherbe per ricavare le linee generali della netta contrapposizione etica delle due metà verticali dello scenario: nel lungo componimento, risalente al 1610 e celebrante i primi successi della reggenza medicea, il poeta di corte schernisce i vani sforzi delle Furie per turbare la pace in Francia, sostenendo che Maria de Medici meriterebbe al pari degli immortali accoglienza nei templi mediante l’erezione di altari e simulacri in suo onore. Nel Tempio Marino enfatizza ulteriormente il concetto, affermando che i meriti di Maria de Medici adducano ragioni per l’erezione di un santuario ben più delle lusinghe di quella Venere cui tanto devota si dimostrò la stirpe dei Cesari.

 

La Riconciliazione tra madre e figlio. Ancora una volta la bipartizione della scena corrisponde a una contrapposizione etica: una forza ascendente anima la metà di sinistra mediante l’apoteosi di Maria e Luigi, una discendente quella destra dominata dalla precipitazione dell’Idra della Calunnia negli inferi da parte della Provvidenza. Il titolo stesso conferma che quest’ultimo gruppo pittorico si riferisce alla caduta in disgrazia dell’intrigante Luynes, sul quale l’entourage di Richelieu aveva badato bene di far ricadere le responsabilità della Guerra tra Madre e Figlio.

 

La scena ricalca con fedeltà due modelli iconografici nei quali la maestria di Rubens si era esercitata: la Caduta dei Giganti e la Cacciata del Demonio a opera dell’Arcangelo Michele. Egli aveva avuto occasione di ammirare l’esempio più celebre di tale iconografia, la Sala dei Giganti di Giulio Romano in Palazzo Te.

 

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Riconciliazione tra madre e figlio e sconfitta della Menzogna

 

 

Il San Michele caccia gli Angeli Ribelli rubensiano a noi pervenuto in una incisione di Vorstermann del 1619 e che Bellori testimonia essere stato eseguito per i Gesuiti di Lille dimostra che all’altezza cronologica del Ciclo del Lussemburgo Rubens avesse già mescolato le figure del Giove fulminatore e dell’arcangelo allo scopo di ottenere un risultato di feroce dinamismo. La figura della Provvidenza nel presente pannello si pone quale anello di congiunzione tra i San Michele dei tardi anni dieci del Seicento e le impetuose Minerve volanti del soffitto del Banqueting House londinese.

 

La caduta dei Giganti, uno tra i più diffusi paralleli mitologici dell’infallibilità del potere monarchico, era stata citata in due ballet de cour: il Ballet du Changement des Armes del 1615 e il Ballet de Junon la Nopciere del 1623. Nel primo la Gigantomachia appare quale pretesto per la riconciliazione tra Amore e Morte, nella seconda i versi finali si soffermano sull’analogia tra Luigi XIII che schiaccia i nemici della corona e Giove vincitore dei Titani.

 

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La Verità svelata dal Tempo e la riconciliazione tra madre e figlio

 

 

Il trionfo della Verità. Il Ciclo dedicato alla vita di Maria de Medici non poteva che concludersi con l’allegoria della Verità svelata dal Tempo: la propaganda di parte medicea si era sempre prodigata negli sforzi di far apparire la Regina Madre quale meta della persecuzione di calunnie e intrighi. La formidabile forza dinamica del gruppo ascendente con Saturno che trae al Cielo la Verità è stata in seguito riprodotta da Rubens nel frontespizio di un libello apologetico del gesuita Matthieu de Morgues intitolato Diverses Pièces pour la Dèfense de la Reyne.

 

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Frontespizio per i Diverses Pièces di De Morgues 

 

L’illustrazione non è delle migliori della produzione rubensiana: consueta la bipartizione tra il moto discendente del gruppo sinistro col Tempo che precipita la Calunnia e quello ascendente che ripropone la iconografia del Tempo che trae in cielo la Verità, tuttavia testimonia la fortuna della Galleria del Lussemburgo nella cerchia di fedelissimi che seguì le peregrinazioni della Regina Madre dopo il definitivo esilio del 1635. La stessa allegoria è evocata nel finale del Ballet de la Reine del 1621: il balletto termina al pari del ciclo rubensiano con una solenne riabilitazione pubblica di Maria de Medici, con l’auspicio che “dont toute la posteritè, Recoignoistrà la Veritè”.



 

 

 

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