N. 17 - Ottobre 2006
ROY MEDVEDEV
Un dissidente marxista in Unione sovietica
di
Stefano De Luca
Lo
storico Roj Medvedev fu tra i dissidenti
sovietici di spicco della corrente "marxista-leninista
autentica" o, anche, "comunista democratica".
Suo
fratello, il biologo dissidente Žores Medvedev,
era stato arrestato par aver pubblicato un libro
sgradito ai vertici del PCUS nel 1970, e poi rinchiuso
in un ospedale psichiatrico speciale, dal quale fu
dimesso solo grazie alla campagna di protesta che il
suo caso aveva suscitato tanto in URSS quanto in
Occidente.
Roj
Medvedev affermava che il movimento dissidente in
Unione Sovietica cominciò a dividersi nei primi anni
Settanta per un “processo naturale, frutto della
logica stessa dello sviluppo del movimento”.
Se
infatti tutti i dissidenti “erano uniti nella
critica al passato e sulla necessità di operare dei
cambiamenti”, essi avevano anche “differenti
punti di vista su alcune importanti questioni”.
Questi differenti punti di vista facevano si che “per
ogni corrente del dissenso, per ciascun gruppo viene
il momento non solo di protestare, ma di ripensare più
a fondo la propria piattaforma politica positiva”.
Se
la difesa dei diritti fondamentali dell’individuo
accomunava in modo sostanziale tutto il dissenso,
diversi erano invece i programmi che le varie correnti
del movimento avanzavano per cambiare l’Unione
Sovietica.
Nel suo libro La democrazia socialista,
Medvedev porta avanti con convinzione la tesi che fa
di Lenin il simbolo più vero del socialismo, i cui
sforzi erano stati vanificati dalla presa del potere
di Stalin.
Lenin infatti diceva che “la dittatura di una
classe significa obbligatoriamente soppressione della
democrazia per la classe su cui o contro cui la
dittatura viene esercitata”.
Questo però accadeva
in modo “transitorio”, quando si rivelava “inevitabile”
a causa dello “scontro armato dei proletari coi
loro nemici”.
Con la definitiva vittoria del
socialismo, “tutte le restrizioni alla democrazia
politica devono cessare. Il socialismo non può
esistere senza democrazia”.
Nonostante una diffusa tendenza a coinvolgere nella
critica al sistema sovietico anche le responsabilità
di Lenin, in occasione degli ottanta anni dalla morte
del ‘padere’ della Rivoluzione bolscevica (2004) Roj
Medvedev ha affermato che “egli fece l’errore di
morire troppo presto. Gli sono mancati vent’anni di
vita”.
Dopo di lui, il socialismo è morto, “fallito
ancor prima di essere attuato”.
I
comunisti democratici sottolineavano come il
socialismo "autentico" e il suo fondamento (la
proprietà sociale) non sono possibili al di fuori
della vera democrazia.
I comunisti democratici di Medvedev proclamavano in sostanza la superiorità delle
forme sociali di proprietà dei mezzi di produzione
sulle forme capitalistiche, nella convinzione che “l’accumulazione
di capitali enormi nelle mani di privati deformi la
stessa democrazia”, e porti con sé l’inevitabile
corruzione degli uomini politici, dei responsabili
eletti dal popolo.
La
proprietà – sostenevano - è patrimonio di tutti solo
dove a ciascun membro della società è permesso di
esprimere liberamente qualsiasi parere circa la
gestione e l’utilizzo di tale proprietà, ossia in un
regime democratico.
Riferimenti
bibliografici:
Roj Medvedev,
Intervista sul dissenso in URSS
Giampaolo Visetti,
Parla lo storico Roj Medvedev, La Repubblica, 21
gennaio 2004
Roj
Medvedev, La democrazia socialista, Firenze,
Vallecchi, 1977
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