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N. 53 - Maggio 2012 (LXXXIV)

I Rough Riders
Quando la Spagna perse Cuba

di Giovanni De Notaris

 

Da tempo ormai nell’isola caraibica si susseguivano soprusi di ogni genere, come, ad esempio, nei confronti della stampa locale, alquanto critica verso le indicibili violenze che l’esercito spagnolo commetteva nei confronti degli indipendentisti.

 

Le prime avvisaglie di ribellione contro il governo spagnolo risalivano al lontano 1868, e inoltre, già prima della guerra civile, negli Stati Uniti si era acceso un dibattito relativo all’acquisto o meno di Cuba dalla Spagna, per poter poi protendere gli interessi, soprattutto degli stati meridionali, verso i Caraibi.

 

Nel 1873 poi, mentre gli Stati Uniti attraversavano una profonda crisi economica, i disordini sull’isola ripresero con maggior forza. A Washington si dibatté ancora se intervenire o meno, ma sia la negativa fase economica, sia i costi proibitivi per gestire Cuba, fecero tramontare l’idea.

 

Nel 1895 però, la ribellione era divenuta ormai endemica. Il console americano sull’isola, Fitzhugh Lee, era convinto che le vite dei suoi concittadini fossero in pericolo, e inviò così un messaggio di allerta a Charles D. Sigsbee, comandante della corazzata USS Maine, ormeggiata a largo di Key West, in Florida.

 

Del fatto venne contemporaneamente informato anche il vice-segretario alla Marina Theodore Roosevelt, sempre più convinto che la guerra con l’avamposto spagnolo in terra americana fosse inevitabile; al momento però non riteneva che gli eventi a l’Havana costituissero effettivamente una minaccia per la sicurezza nazionale. Cominciò comunque a elaborare piani di invasione per un’eventuale azione di guerra, onde evitare il rischio di farsi trovare impreparati.

 

La Marina avrebbe dovuto tenersi pronta a porre in quarantena sia Cuba che le Filippine, altro possedimento spagnolo; lo squadrone del Pacifico, di stanza a Hong Kong, agli ordini del commodoro George Dewey, avrebbe dovuto sia contrastare la flotta spagnola, ancorata nel porto di Manila, sia pattugliare le isole Hawaii. Allo squadrone dell’Atlantico fu invece ordinato di prepararsi a eventuali azioni contro Cadice o Barcellona; una parte della flotta, inoltre, doveva dislocarsi nel porto di Lisbona, per meglio sorvegliare i movimenti delle navi spagnole. Ogni evenienza venne quindi prevista.

 

Roosevelt suggerì, inoltre, al presidente William McKinley, di inviare la Maine nel porto dell’Havana, per seguire da vicino l’evolversi degli eventi. Il presidente accettò però soltanto dopo aver sondato l’umore del ministro spagnolo Enrique Depuy de Lôme, che, in apparenza, sembrava favorevole.

 

Cosicché il 25 gennaio 1898 la Maine gettò l’ancora nel porto dell’Havana, ufficialmente in visita di cortesia, mentre nello stesso tempo, alcune navi dello squadrone dell’Atlantico si dirigevano verso la Florida, per prendere parte alle eventuali azioni di guerra. A Washington, difatti, si riteneva che la situazione potesse precipitare da un momento all’altro, danneggiando così gli interessi economici americani nell’isola. Da tempo infatti, diverse compagnie americane commerciavano con Cuba, e avevano investito lì i loro capitali.

 

Il governo spagnolo intanto, preoccupato anch’esso dai movimenti delle navi da guerra a stelle e strisce nel Pacifico e nell’Atlantico, volle rassicurare il governo americano sulla nascita, quanto prima, di un governo autonomo cubano; l’invio della Maine a Cuba veniva però considerato alla stregua di una provocazione. Provocazione, in realtà, non solo nei confronti della Spagna, ma anche verso gli altri stati europei, che consideravano l’atto una palese violazione della sovranità della monarchia spagnola.

Ma verso la metà di febbraio, purtroppo, quello che negli Stati Uniti si temeva, accadde.

 

Nella serata del 15 la Maine fu vittima di un’esplosione, e affondò. Immediatamente la notizia fece il giro dei giornali statunitensi, giungendo ovviamente anche ai dipartimenti di Stato e Marina. Il presidente fu subito avvertito. I morti e feriti, tra civili e militari, furono circa duecentosessantadue. Le autorità spagnole, però, sembravano stupite quanto quelle americane. Non si riusciva davvero a capire cosa fosse realmente accaduto. Il dipartimento della Marina chiese immediatamente un rapporto sullo stato dei fatti al governatore cubano Ramón Blanco y Erenas.

 

In un primo momento entrambe le parti convennero sul fatto che l’esplosione fosse stata prodotta da cause interne. La corazzata infatti trasportava polvere da sparo, che in seguito a un corto circuito elettrico, avrebbe potuto esplodere. Roosevelt era invece convinto che fosse un vero e proprio atto di sabotaggio, ordinato dal governo spagnolo. McKinley, da parte sua, si augurava che cosi non fosse, perché da ex ufficiale dell’esercito unionista, memore di quell’orrendo bagno di sangue che fu la guerra civile, avrebbe voluto evitarne un’altra.

 

Fatalità quindi, o attacco deliberato? Gli stessi giornali americani raccomandavano cautela.

 

Roosevelt intanto, il 25 febbraio, inviò un cablogramma al commodoro Dewey, ordinandogli, in caso di guerra, di impedire che le navi spagnole lasciassero la costa asiatica, tenendosi inoltre pronto a eventuali azioni di guerra nelle Filippine. Contemporaneamente fu allertato anche lo squadrone dell’Atlantico. La macchina bellica a stelle e strisce cominciava quindi a muoversi per la prima guerra internazionale che gli Stati Uniti si preparavano a combattere.

 

Cominciarono allora le richieste di arruolamento di volontari, da integrare nelle file della Marina. Il segretario alla Marina, John D. Long, temporeggiava però, ritenendo più opportuno attendere ulteriori indagini, prima di trascinare il paese in guerra. McKinley stesso voleva a tutti i costi evitare il conflitto. Pensò addirittura di acquistare l’intera isola dalla Spagna per trecento milioni di dollari, ma il Congresso negò l’autorizzazione. Suggerì allora che se la Spagna fosse stata ritenuta colpevole dell’attentato, avrebbe dovuto risarcire gli Stati Uniti per la perdita di mezzi e vite umane; ma di nuovo il Congresso oppose un rifiuto. La guerra, insomma, sembrava davvero inevitabile.

 

Agli inizi di marzo infatti, il rapporto richiesto dal governo americano dedusse che la causa dell’esplosione fosse stata una mina di profondità. A questo punto il Congresso autorizzò una spesa di cinquanta milioni di dollari per implementare la flotta. Nel paese, ormai, si respirava aria di guerra.

 

A metà marzo poi, fece ritorno in patria, da Cuba, il senatore Redfield Proctor, che riferì in senato delle torture nei confronti dei ribelli cubani, da parte delle truppe spagnole; riteneva che mai la Spagna avrebbe concesso l’indipendenza al popolo cubano, e che quindi la guerriglia non sarebbe mai cessata. Verso la fine di marzo, McKinley fu ufficiosamente informato che la commissione d’inchiesta, varata dal Congresso per valutare l’affondamento della corazzata, avrebbe rilasciato un parere favorevole alla teoria del sabotaggio.

 

Il 25 marzo allora, l’ambasciatore americano a Madrid avvertì il governo spagnolo che, da parte del suo paese, la presenza della Spagna a Cuba era sgradita.

 

Il 28 marzo il rapporto della commissione era ormai pronto: sebbene non riconoscesse colpe dirette da parte della Spagna o dei cubani, concludeva che l’esplosione era stata provocata da una causa esterna, assolvendo quindi la Marina statunitense da accuse di negligenza.

 

Mentre il Congresso discuteva riguardo al rapporto sulla Maine, il presidente chiese a al governo spagnolo di firmare un armistizio con i ribelli cubani; in caso contrario egli avrebbe agito da arbitro. I ribelli rinchiusi nei campi di concentramento dovevano essere liberati, senza condizioni. In realtà McKinley avrebbe anche potuto evitare l’intervento, appoggiando i ribelli, ma capì che essi erano troppo imprevedibili, e una loro ascesa al potere avrebbe reso comunque ingestibile, da parte del suo paese, i rapporti economici con l’isola. La Spagna inoltre, dal canto suo, non intendeva concludere secoli di dominio sull’isola in maniera indegna, firmando un armistizio con dei guerrilleros. A McKinley, quindi, non restò altro da fare se non cominciare a lavorare alla dichiarazione di guerra.

 

Roosevelt rassicurò l’opinione pubblica sul fatto che non vi era intenzione alcuna di annettere Cuba, ma soltanto di assicurare la sua indipendenza da un regime brutale.

 

Una parte del governo spagnolo, intanto, pensava di riconsiderare l’idea del compromesso; ma i tamburi di guerra stavano già rullando. Il tempo per la pace era ormai scaduto.

 

L’11 aprile il presidente inviò al Congresso la richiesta di dichiarare guerra alla Spagna. Il paese europeo non era ormai più ritenuto un interlocutore credibile.

 

A quel punto a Roosevelt non restò altro da fare se non disporre le operazioni navali. All’epoca la flotta spagnola era quantitativamente superiore a quella a stelle e strisce. Quella statunitense però, era più veloce, dotata di armi più moderne, e meglio dislocata sui mari.

 

Il 19 aprile 1898 il Congresso emanò una risoluzione per l’indipendenza di Cuba, e il giorno seguente il presidente la controfirmò. Dopo un paio di giorni le navi dello squadrone del nord Atlantico si dislocarono nei Caraibi. Il presidente aprì allora al reclutamento di volontari, che sarebbero stati inquadrati nell’esercito regolare, oltre a tre reggimenti –sempre volontari- composti da frontiersmen, con particolari doti di cavallerizzi e tiratori scelti.

 

Il comando del primo di questi reggimenti cadde proprio sul vice-segretario Roosevelt. Costui, che era già stato per tre anni capitano nella guardia nazionale dello stato di New York, oltre a aver vissuto per un certo periodo nelle terre dell’ovest, decise che avrebbe partecipato alle operazioni militari, ma non come colonnello comandante del reggimento, bensì come tenente colonnello agli ordini del più esperto colonnello Leonard Wood, chirurgo dell’esercito, nonché suo amico. Roosevelt riteneva infatti che guidare un reggimento in guerra fosse cosa più ardua che esercitarsi nella guardia nazionale. Wood, invece, aveva partecipato alle campagne militari contro gli indiani Apache, al comando di truppe dell’esercito regolare.

 

Il 24 aprile la Spagna dichiarò guerra agli Stati Uniti. Il 25 il Congresso rispose con la propria dichiarazione di aperta ostilità.

 

Roosevelt era, intanto, impegnato, con il colonnello Wood, a equipaggiare e addestrare il primo reggimento. I giornali americani, venuti a conoscenza della sua partecipazione alla guerra, fecero a gara per inventare un nome per il reggimento. Quello che, più di tutti, colpi l’immaginario popolare, e gli stessi interessati, fu: “the Roosevelt’s Rough Riders.”

 

Il 10 maggio Roosevelt si dimise dal suo incarico al dipartimento della Marina. Il 12 maggio il gruppo iniziò l’addestramento nella città di San Antonio in Texas, mentre nel teatro delle operazioni del Pacifico, la flotta spagnola era già stata completamente annientata, nel porto di Manila, dal commodoro Dewey.

 

I componenti dei Rough Riders furono scelti da Roosevelt tra ex giocatori di football delle squadre di famose università, come Yale o Princeton, oltre che tra esperti cacciatori e cercatori di piste. C’erano anche degli indiani Cherokee e Chickasaw. Il quartier generale, nonché luogo di addestramento, fu denominato camp Wood.

 

La giornata iniziava alle cinque e trenta del mattino; ci si addestrava poi sulle aride e ventose pianure del Texas. Roosevelt stesso si sottopose all’addestramento come gli altri. Alla fine del mese di maggio i Rough Riders erano ormai forgiati come un reggimento di cavalleria in piena regola.

 

Il gruppo fu subito dislocato a Tampa, in Florida, per essere poi pronto a partire, in qualunque momento, per il teatro delle operazioni. A Tampa giunsero poi altre truppe, agli inizi di giugno; a ognuno veniva assegnato il luogo di sbarco. Si arrivò a circa diciassettemila uomini.

 

McKinley, da parte sua, premeva per una rapida partenza per Cuba, perché l’ammiraglio William T. Sampson faticava a tenere in quarantena la flotta spagnola nel porto di Santiago, e richiedeva altri uomini per conquistare la città, e mettere fuori uso la flotta stessa. I Rough Riders furono dunque imbarcati sulla nave Yucatán, insieme al 2° fanteria e al 71° volontari di New York, oltre a un seguito di reporters e fotografi, che dovevano documentare le azioni di guerra.

 

Il 20 giugno, il generale William R. Shafter salì a bordo della nave Segurança, per incontrare l’ammiraglio Sampson e il generale Calixto Garcia, capo dei ribelli. I tre gestirono la campagna per la conquista di Santiago.

 

Lo sbarco sarebbe avvenuto, il giorno successivo, nel villaggio di Daiquirí, a est di Santiago. All’alba la Marina avrebbe bombardato il villaggio per confondere gli spagnoli, mentre Shafter avrebbe dovuto conquistare il porto di Siboney, a ovest di Daiquirí, per poi dirigersi, tramite la strada nota come Camino Real, a nord, verso l’altopiano di San Juan, ultima protezione per la città di Santiago. Questa era la parte più difficile della spedizione per l’alta concentrazione di truppe nemiche.

 

Il mattino del 22 giugno, i Rough Riders erano sbarcati dalla Yucatán e cominciavano a dirigersi verso Daiquirí, che trovarono deserta e in preda al fuoco. Gli spagnoli infatti, non volevano lasciare le acciaierie della zona intatte nelle mani degli yanquis. In lontananza, intanto, si udivano i bombardamenti su Siboney. Verso il tramonto ben seimila truppe erano sbarcate sul suolo cubano. Daiquirí fu infine conquistata dagli insorti.

 

Ai Rough Riders, inquadrati nelle due divisioni di cavalleria, guidate dal brigadier generale Sam B. M. Young, fu ordinato di marciare verso Siboney, per incontrarsi con il maggior generale Joseph Wheeler, comandante della divisione di cavalleria. Da lì, il 24 giugno, attraversarono una pista che, correndo parallela al Camino Real, si avvicinava all’altopiano di San Juan, attraverso la giungla di Las Guásimas, per giungere poi al passo controllato dagli spagnoli.

 

Mentre attraversavano la giungla furono improvvisamente inondati dal fuoco di fila dei cecchini spagnoli. Una decina circa vennero uccisi, trentaquattro furono i feriti.

 

Contemporaneamente, le truppe del brigadier generale Young procedevano attraversando proprio Camino Real. Giunti nei pressi dell’accampamento spagnolo, intanto, Wood ordinò a Roosevelt di guidare tre truppe a destra, mentre altrettante ne procedevano a sinistra, per accerchiare i cecchini. Le truppe di Roosevelt aprirono il fuoco in rapida sequenza, dato che non riuscivano a scorgere i cecchini, coperti dalla folta vegetazione. Nello stesso momento le truppe del generale Young attaccavano frontalmente.

 

Ben novecento uomini irruppero sparando nella valle antecedente l’altopiano, aiutati dal fuoco di copertura delle mitragliatrici Hotchkiss, costringendo così gli spagnoli al ritiro, e concludendo la battaglia poco dopo le nove di sera. I Rough Riders si accamparono verso il crinale occidentale di Las Guásimas, per alcuni giorni.

 

La prossima tappa era ovviamente Santiago.

 

Il 5° corpo d’armata cominciò immediatamente la marcia verso la città. Circa ottomila truppe nemiche, infatti, si erano dislocate in sua difesa. Le truppe americane cominciarono quindi a disporsi ai lati dell’altopiano di San Juan. La battaglia era prevista per il giorno dopo.

 

Il 1° fanteria del brigadier generale J. F. Kent, e la divisione di cavalleria di Wheeler avrebbero dovuto espugnare la collina di San Juan da due lati. Wheeler e Young furono però, improvvisamente, colti dalla febbre malarica, cosicché il comando della divisione di cavalleria passò nelle mani del brigadier generale Samuel S. Sumner, mentre il comandante dei Rough Riders, Wood, avrebbe guidato la seconda brigata di Young. Nelle prime ore del mattino, inoltre, un forte temporale tropicale interessò la zona delle operazioni; fango e pioggia contribuirono a complicare ancor di più la marcia.

 

Giunte nella serata del 30 giugno al villaggio di El Pozo, le truppe accampate si poterono così avvicinare alla collina di San Juan, e al fiume omonimo.

 

Il 1° luglio del 1898 cominciò la battaglia finale.

 

Verso le sei del mattino si udirono le prime detonazioni dalle batterie del generale Henry W. Lawton verso il villaggio di El Caney, situato alcune miglia a destra di Santiago. Gli spagnoli intanto attaccavano El Pozo con un pesante fuoco di artiglieria. Roosevelt ordinò ai suoi di ritirarsi nella giungla, dove rischiarono di perdere l’orientamento.

 

Dopo che, nel tardo pomeriggio, le cannonate erano cessate, il generale Sumner ordinò alla divisione di cavalleria di procedere verso San Juan. I Rough Riders si dislocarono sul lato destro della colline, nei pressi della Kettle hill. La prima brigata di fanteria del generale Kent si avvicinò da sinistra al torrente di San Juan. Le truppe americane furono a quel punto inondate da migliaia di proiettili, sparati dai cecchini. Dovettero quindi ripiegare.

 

Nonostante i colpi gli fischiassero intorno, Roosevelt rimaneva a cavallo per dare coraggio ai soldati. Le truppe americane, però, non riuscivano a coordinarsi per sferrare l’attacco decisivo.

 

Roosevelt inviò allora dei messaggi al generale Sumner, chiedendo il permesso di attaccare il suo lato della collina; a differenza della battaglia di Las Guásimas infatti, qui i cecchini erano perfettamente visibili. E l’ordine finalmente arrivò.

Gli eventi si susseguirono rapidamente.

 

Le mitragliatrici Gatling martellavano il fortino spagnolo sulla collina, mentre la fanteria cominciava la carica sulla sinistra. Roosevelt era cosi preso dagli eventi che partì in quarta, guidando la carica, seguito però soltanto da cinque compagni; si era praticamente dimenticato di dare ordini alle truppe. Ordinò allora ai soldati di aprire il fuoco verso le trincee. Gli uomini si disposero quindi in semicerchio, sulla destra del fortino. La prima brigata si spostò anch’essa dalla sinistra alla destra del fortino, mentre la seconda brigata, con i Rough Riders, si dispose alla destra della prima. Secondo le stime i morti americani andavano dai seicento ai mille; ottantanove soltanto tra i Rough Riders.

 

Fu così che la collina di San Juan venne espugnata, spianando così la strada per Santiago. Questo almeno in teoria.

 

In realtà, quando si passò all’assedio di Santiago, le truppe americane, piuttosto indebolite, arrancavano, avendo difficoltà nell’ottenere rifornimenti e aiuti per i feriti, e i malati di febbre malarica e dissenteria, in quanto Camino Real era ancora difficilmente percorribile. Ma se le truppe di terra stentavano a espugnare la città, la vera svolta all’assedio venne dal mare.

 

Nel pomeriggio del 3 luglio infatti, l’ammiraglio Sampson annientò la flotta nemica nel porto della città, mentre tentava di forzare la quarantena. A quel punto gli spagnoli furono costretti a capitolare, e così la settimana seguente fu, finalmente, dedicata ai negoziati di pace.

 

Il 18 luglio Roosevelt venne promosso a colonnello, e il 20 gli fu affidato il comando della seconda brigata.

 

L’8 agosto i Rough Riders salparono dal porto di Santiago per fare finalmente ritorno in patria, a Montauk Point, nello stato di New York. Il colonnello Wood, invece, restò sull’isola come governatore militare, coadiuvato da quegli indipendentisti che egli riteneva più affidabili dei semplici guerrilleros.

 

Con questa guerra Roosevelt si sarebbe guadagnato la nomea di eroe nazionale, oltre a diventare governatore dello stato di New York, nonché uno dei presidenti più amati della storia americana.

 

La battaglia di San Juan ebbe, inoltre, una tale risonanza negli Stati Uniti, da colpire fortemente l’immaginario popolare, anche nel secolo seguente. Elmore Leonard, ad esempio, uno tra i più prolifici e famosi scrittori americani contemporanei, ha raccontato la società cubana, a cavallo di quegli eventi, nel suo celebre romanzo storico Cuba Libre.

 

Tornando infine alle condizioni di pace, esse vennero siglate nel dicembre del 1898 a Parigi: Cuba fu trasformata in un protettorato americano; agli Stati Uniti andava una base navale nella baia di Guantanamo; oltre a riservarsi il diritto di intervenire, in qualunque momento, per preservare l’indipendenza dell’isola. Gli Stati Uniti guadagnavano inoltre: l’isola di Guam nel Pacifico; le Filippine, soggette a un’occupazione militare; e l’isola di Puerto Rico nei Caraibi.

 

Con la “splendida piccola guerra” poi, sarebbero assurti al ruolo di potenza globale.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Morris Edmund, The rise of Theodore Roosevelt, Modern Library, New York, 2001. 



 

 

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