ROSA LUXEMBURG, LA GUERRA E GLI
OPERAI
(nota: autodifesa di Rosa Luxemburg
pronunciata al Tribunale di Francoforte
nel febbraio del 1914 contro l'accusa
d’incitamento alla diserzione)
I miei difensori hanno giuridicamente
chiarito in modo esauriente gli elementi
di fatto dell'accusa nella loro
futilità. Vorrei chiarire quindi
l'accusa sotto un altro punto di vista.
Tanto nella arringa odierna del
procuratore di stato quanto nella sua
accusa scritta ha una parte importante
non soltanto il tenore letterale delle
mie espressioni incriminate, ma ancor
più la chiosa e la tendenza che avrebbe
dovuto essere inerente a queste parole.
Ripetutamente e con il massimo vigore è
stato rilevato dal procuratore di stato
ciò che secondo il suo parere io avrei
voluto e saputo, allorché facevo le mie
dichiarazioni in quelle riunioni. Ora,
nei riguardi del momento psicologico
interno del mio dire, sulla mia
coscienza, nessuno può essere più
competente di me e più di me in
condizione di dare il chiarimento più
completo e di fondo.
E io voglio premettere un rilievo: ben
volentieri sono disposta a dare un
totale chiarimento al procuratore di
stato e a loro, signori giudici. Per
eliminare il fattore principale, vorrei
spiegare come ciò che il procuratore di
stato, appoggiato dalle dichiarazioni
dei suoi principali testimoni, ha
descritto come corso delle mie idee,
come mie intenzioni e miei sentimenti,
non sia che una caricatura piatta, priva
di spirito, tanto dei miei discorsi come
in generale del metodo di agitazione
socialdemocratico. Sentendo
l'esposizione del procuratore di stato
mi veniva da ridere interiormente e
pensavo: qui abbiamo di nuovo un esempio
classico di come una cultura normale sia
insufficiente a comprendere il pensiero
socialdemocratico, il nostro mondo
ideale in tutta la sua complessità,
sottigliezza scientifica e profondità
storica quando l'appartenenza a una
classe sociale ne impedisce la visione.
Se loro, signori giudici, avessero
chiesto al più semplice, illetterato
operaio delle migliaia che frequentano
le mie riunioni, avrebbero ottenuto da
lui un quadro ben differente, avrebbero
tratto ben altra impressione dei miei
discorsi. Sì, i semplici uomini e donne
del popolo lavoratore sono in grado di
afferrare il nostro pensiero, che invece
nel cervello di un procuratore di stato
prussiano si riflette come in uno
specchio curvo in forma di caricatura.
Voglio adesso dimostrare ciò più
minutamente in alcuni punti.
Il procuratore di stato ha ripetuto
varie volte che io avrei "aizzato
smodatamente" le migliaia di miei
ascoltatori, già prima di quella frase
incriminata che avrebbe rappresentato il
culmine del mio discorso. Io dico:
signor procuratore, noi
socialdemocratici non aizziamo nessuno!
Cosa vuol dire "aizzare"? Ho forse
tentato di inculcare agli uditori
qualcosa come questo: se voi giungerete
in guerra come tedeschi in paese nemico,
per esempio in Cina, fate in modo che
nessun cinese dopo cento anni osi
guardare un tedesco di traverso? Se
avessi parlato così, si potrebbe parlare
di aizzamento. Ho forse tentato di
ispirare nelle masse l'oscurantismo
nazionale, lo sciovinismo, il disprezzo
e l'odio per altre razze e popoli? Anche
questo sarebbe stato certamente un
aizzamento.
Ma io non ho parlato così e così non
parla mai un socialdemocratico esperto.
Quello che io ho fatto in quelle
riunioni di Francoforte e quello che noi
socialdemocratici facciamo sempre con la
parola e con gli scritti è di illuminare
le masse operaie, renderle coscienti dei
loro interessi di classe e dei loro
compiti storici, far loro presenti le
grandi linee dello sviluppo storico, le
tendenze dei rivolgimenti economici
politici e sociali che si compiono in
seno alla nostra odierna società, che
porteranno necessariamente a far sì che
a un certo momento della evoluzione
l'attuale ordinamento sociale venga
eliminato e sostituito dal superiore
ordinamento socialistico. E così noi,
ponendoci sul terreno delle prospettive
storiche che ha un'efficacia
mobilitante, agitiamo e solleviamo anche
la vita morale delle masse. Partendo
dallo stesso grande punto di vista, noi
procediamo - in quanto per noi
socialdemocratici tutto porta a una
concezione della vita armonica,
coerente, posta su basi scientifiche
nella nostra agitazione contro la guerra
e contro il militarismo. E se il signor
procuratore coi suoi meschini testimoni
principali non concepisce tutto ciò che
come un semplice lavoro di aizzamento,
questa concezione rozza e semplicistica
è dovuta unicamente e soltanto alla
incapacità del procuratore di stato di
pensare in termini socialdemocratici.
Il procuratore di stato ha inoltre
ripetutamente parlato dei miei pretesi
accenni all'"assassinio dei superiori".
Questi nascondevano, ma tutti
comprendevano, l'accenno all'uccisione
degli ufficiali, chiarendo così in modo
particolare la mia anima nera e la
pericolosità dei miei intendimenti. Io
li prego di ammettere per un momento
persino l'esattezza delle espressioni
che mi sono state messe in bocca; in
questo caso loro debbono riconoscere,
dopo qualche riflessione, che proprio su
questo punto il procuratore nel lodevole
tentativo di dipingermi il più nero che
fosse possibile - è andato completamente
fuori strada. Infatti quando e contro
quali "superiori" avrei incitato
all'assassinio? La stessa accusa
asserisce che io avrei raccomandato
l'introduzione in Germania del sistema
della milizia; avrei indicato come
l'elemento essenziale di questo sistema,
il dovere di consegnare alle truppe
perché le portino a casa, le armi
personali come avviene in Svizzera. E a
ciò - notare: a ciò - avrei aggiunto che
le armi potevano poi andare anche in un
senso diverso di quello gradito ai
governanti. E' quindi chiaro: il
procuratore mi accusa di aver incitato
all'assassinio non dei superiori
dell'attuale sistema militare tedesco,
bensì dei superiori della futura milizia
tedesca! La nostra propaganda in favore
del sistema della milizia viene
combattuta al massimo e nell'accusa mi
viene ascritta come delitto. E in pari
tempo il procuratore di stato si sente
indotto a occuparsi della vita degli
ufficiali di questo sistema della
milizia così rigorosamente proibito, che
io vado mettendo in pericolo. Ancora un
passo e il signor procuratore, nel
fervore dello scontro, eleverà contro di
me l'accusa di incitare ad attentati
contro il Presidente della futura
repubblica tedesca!
Che cosa ho detto in realtà del
cosiddetto assassinio dei superiori?
Qualcosa di assolutamente diverso! Nel
mio discorso avevo accennato al fatto
che l'attuale militarismo viene
solitamente motivato dai suoi paladini
ufficiali con la frase della necessaria
difesa della patria. Se questo interesse
della patria fosse inteso onestamente e
sinceramente, allora - così dicevo - le
classi dominanti non avrebbero altro da
fare che mettere in pratica la vecchia
rivendicazione programmatica della
socialdemocrazia, il sistema della
milizia. Poiché soltanto questa sarebbe
l'unica sicura garanzia della difesa
della patria, in quanto solamente il
popolo libero, che entra in campo contro
il nemico per propria decisione, è un
baluardo sufficiente e fidato per la
libertà e l'indipendenza della patria.
Soltanto allora si potrebbe dire "Cara
patria puoi stare tranquilla". Perché
dunque, chiedevo io, i paladini
ufficiali della patria non vogliono
sentir parlare di questo unico sistema
efficace di difesa? Soltanto perché a
essi non importa né in prima né in
seconda linea della difesa della patria,
quanto delle guerre di conquista
imperialistica per le quali la milizia
certo non serve. In più le classi
dominanti hanno timore di mettere le
armi in mano al popolo lavoratore,
perché la cattiva coscienza degli
sfruttatori fa loro temere che le armi
potrebbero andare anche in un senso non
gradito ai governanti.
Così quello che io formulavo quale
timore delle classi governanti, mi viene
imputato dal procuratore di stato, sulla
base della parola dei suoi impacciati
testimoni principali, come mio asserto
personale. È questa una nuova
dimostrazione di quale guazzabuglio
abbia causato nel suo cervello
l'incapacità assoluta di seguire il
corso del pensiero socialdemocratico.
Del pari assolutamente falsa è
l'affermazione dell'accusa che io avrei
raccomandato l'esempio olandese, secondo
il quale nell'esercito coloniale il
soldato è libero di abbattere il
superiore che lo maltratti. In realtà,
quella volta parlando in merito al
militarismo e al maltrattamento dei
soldati, citavo il nostro
indimenticabile Bebel ricordando come
uno dei capitoli più importanti della
sua attività sia stato la lotta in seno
al Reichstag contro il maltrattamento
dei soldati. Per illustrare l'argomento
citai allora vari discorsi di Bebel
tratti dai resoconti stenografici delle
sedute al Reichstag - i quali, per
quanto mi consta, sono legalmente
permessi. Fra gli altri, quello del 1893
sui costumi dell'esercito coloniale
olandese. Loro vedono, miei signori,
come anche qui il signor procuratore nel
suo zelo abbia preso un abbaglio: la sua
accusa in ogni caso non doveva essere
contestata a me ma a un altro.
Vengo ora al punto più rilevante
dell'accusa. Il procuratore di stato
ricava il suo attacco principale, cioè
l'affermazione che nel discorso
incriminato io avrei incitato i soldati
in caso di guerra a non sparare sul
nemico contrariamente agli ordini, da
una deduzione che gli sembra
evidentemente di inconfutabile forza
probante e di logica stringente. Egli
deduce quanto segue: poiché io facevo
dell'agitazione contro il militarismo,
poiché io volevo impedire la guerra, non
potevo evidentemente seguire altra via,
non potevo avere in vista altro mezzo
efficace che quello di intimare
direttamente ai soldati: se vi si ordina
di sparare, non sparate! Davvero signori
giudici: quale conclusione convincente,
quale logica stringente!
Tuttavia mi si permetta di dichiarare:
questa logica e questa conclusione
risultano dalla concezione del
procuratore di stato, non dalla mia, non
da quella della socialdemocrazia. A
questo punto li prego di prestare
particolare attenzione. Io dico: la
conclusione che l'unico mezzo efficace
per evitare le guerre consista nel
rivolgersi direttamente ai soldati e di
incitarli a non sparare - questa
conclusione è soltanto l'altra faccia di
quella concezione secondo cui,
fintantoché il soldato obbedisce agli
ordini dei suoi superiori, tutto nello
Stato è ben sistemato, secondo cui - per
dirla in breve - il fondamento del
potere statale e del militarismo è
rappresentato dall'obbedienza cadaverica
del soldato. Questa concezione del
signor procuratore trova un armonioso
completamento ad esempio in quel
discorso pubblicato ufficialmente dal
massimo signore della guerra, secondo il
quale il kaiser, ricevendo il re dei
greci a Postdam il 6 novembre dello
scorso anno, ha detto che la vittoria
dell'esercito greco dimostra "che i
princìpi seguiti dal nostro comando
generale e dalle nostre truppe, se
esattamente applicati, portano sempre
alla vittoria". E comando generale con i
suoi "principi" e il soldato con la sua
obbedienza cadaverica - ecco le basi
della condotta della guerra e la
garanzia della vittoria. Ora, noi
socialdemocratici non siamo precisamente
di questa opinione. Noi pensiamo
piuttosto che per l'insorgere e per
l'esito delle guerre non siano decisivi
soltanto l'esercito, i "comandi"
dall'alto e l'obbedienza cieca in basso,
ma che sia la grande massa del popolo
lavoratore che decide e che deve
decidere. Noi siamo d'opinione che le
guerre possono venire condotte solo
quando e solo finché la massa del popolo
lavoratore o le fa con entusiasmo,
perché le ritiene cosa giusta o
necessaria, o almeno le sopporta
pazientemente. Quando invece la grande
maggioranza della popolazione
lavoratrice arriva a convincersi - e
svegliare in essa questo convincimento,
questa coscienza è proprio il compito
che ci poniamo noi socialdemocratici -
quando, dico, la maggioranza del popolo
giunge a convincersi che le guerre sono
un fenomeno barbaro, profondamente
immorale, reazionario e nemico del
popolo, allora le guerre sono diventate
impossibili - e il soldato obbedisca
pure in principio ai comandi dei
superiori! Secondo il concetto del
procuratore di stato la parte che fa la
guerra è l'esercito, secondo il nostro,
è il popolo. Questo ha da decidere se le
guerre vanno fatte o no. È alla massa
degli uomini e delle donne che lavorano,
vecchi e giovani, che spetta decidere
circa l'essere o non essere del
militarismo attuale, e non a quella
piccola particella di questo popolo che
sta nel cosiddetto abito del re.
E se ho detto questo, ho
contemporaneamente una classica
testimonianza in mano, che questa è in
realtà la mia, la nostra concezione.
Per caso sono in grado di rispondere
alla domanda del procuratore di stato di
Francoforte: chi avessi inteso allorché,
in un mio discorso tenuto a Francoforte,
dissi: "noi non facciamo questo". E 17
aprile 1910 ho parlato qui, al Circo
Schumann, davanti a circa 6.000 persone,
sulla lotta per il diritto di voto in
Prussia - come sanno, allora la nostra
lotta era al suo apice e trovò nel testo
stenografico di quel discorso a p. 10 il
seguente passo:
"Egregi ascoltatori! Io dico:
nell'attuale lotta per il diritto di
voto, come in tutte le questioni
politiche importanti del progresso in
Germania, siamo tutti soli, abbandonati
a noi stessi. Ma chi siamo "noi"? "Noi"
siamo i milioni di proletari e
proletarie di Prussia e Germania. Sì,
noi siamo più di un numero. Noi siamo i
milioni di coloro del cui lavoro manuale
vive la società. E basta che questo
semplice fatto metta radici nella
coscienza delle più larghe masse del
proletariato tedesco, perché venga
infine il momento che in Prussia sia
dimostrato a reazione imperante che il
mondo può ben fare a meno degli junker
dell'Elba orientale, e anche dei conti
del Centro, e dei consiglieri segreti e
occorrendo anche dei procuratori di
stato (agitazione), ma che non può
esistere ventiquattro ore, se gli operai
incrociano le braccia".
Loro vedono che io esprimo chiaramente
quale sia secondo il nostro modo di
vedere il centro di gravità della vita
politica e dei destini dello Stato:
nella coscienza, nella volontà
chiaramente formata, nella decisione
della grande massa lavoratrice. E
proprio così pure concepiamo la
questione del militarismo. Se la classe
operaia giunge alla maturità e alla
decisione di non permettere più guerre,
le guerre sono diventate impossibili.
Ma io ho ancora altre dimostrazioni del
fatto che noi comprendiamo così e non in
altro modo l'agitazione
antimilitaristica. Io debbo stupirmi: il
procuratore di stato si dà grande pena
per distillare con interpretazioni,
ipotesi, deduzioni arbitrarie dalle mie
parole in qual guisa io abbia potuto
pensare di agire contro la guerra. Aveva
invece a disposizione materiale
dimostrativo in quantità. Noi non
conduciamo la nostra agitazione
antimilitaristica nella segreta
oscurità, nascostamente - no, alla più
chiara luce della pubblicità. Da decenni
la lotta contro il militarismo forma
l'oggetto principale della nostra
agitazione. Fin dalla vecchia
Internazionale è oggetto di discussioni
e voti di quasi tutti i congressi, come
pure dei congressi del partito tedesco.
Il procuratore di stato non avrebbe che
da affondare le mani nella piena realtà
della vita: in qualunque punto avesse
afferrato, sarebbe sempre interessante.
Non mi è possibile, sfortunatamente,
esporre qui tutto l'ampio materiale
relativo. Mi permettano tuttavia di
citare l'essenziale.
Già il congresso di Bruxelles
dell'Internazionale, nell'anno 1868,
indica misure pratiche per impedire la
guerra. Nella sua risoluzione è detto
fra l'altro: "Che i popoli possono già
attualmente limitare il numero delle
guerre, opponendosi a coloro che le
guerre fanno e dichiarano; "che questo
diritto spetta in modo particolare alle
classi operaie, che sono quasi le sole
che vengono chiamate al servizio
militare e che per questa ragione sono
le sole che possano dare una sanzione;
"che a tale scopo esse hanno a
disposizione un mezzo pratico, legale e
di immediata realizzazione; "che la
società non potrebbe infatti continuare
a vivere se la produzione venisse a
cessare per qualche tempo. I
lavoratori-produttori non avrebbero
quindi che da cessare di produrre per
rendere impossibili ai governi personali
e dispotici di porre in atto le loro
imprese; "il congresso di Bruxelles
dell'Associazione internazionale dei
lavoratori dichiara di protestare
energicamente contro la guerra e invita
tutte le sezioni dell'associazione nei
singoli paesi, come pure tutte le
società operaie e le organizzazioni
operaie senza distinzione, ad agire con
il massimo impegno onde evitare una
guerra fra popolo e popolo che, al
giorno d'oggi, in quanto guerra fatta
fra lavoratori, quindi fratelli e
cittadini, sarebbe da ritenersi una
guerra civile.
"Il congresso raccomanda ai lavoratori
specialmente la sospensione del lavoro
nel caso che nei loro rispettivi paesi
scoppiasse una guerra"
Lascio da parte le altre numerose
risoluzioni della vecchia internazionale
e passo al congresso della nuova
Internazionale. E il congresso di Zurigo
del 1893 dichiarava:
"La posizione dei lavoratori nei
confronti della guerra è nettamente
definita dalle conclusioni del congresso
di Bruxelles sul militarismo. La
socialdemocrazia rivoluzionaria
internazionale deve opporsi in tutti i
paesi e con tutte le sue forze alle
brame schiavistiche della classe
dominante; rinsaldare sempre più
fermamente il legame di solidarietà fra
i lavoratori di tutti i paesi; operare
senza tregua per l'eliminazione del
capitalismo che divide l'umanità in due
campi nemici e aizza i popoli gli uni
contro gli altri. Con il superamento del
dominio di classe scompare anche la
guerra. La caduta del capitalismo è la
pace del mondo".
Il congresso di Londra del 1896
dichiara:
"Soltanto la classe operaia può avere la
seria volontà e conseguire il potere di
stabilire la pace nel mondo. A tale
scopo chiede:
1. Contemporanea abolizione degli
eserciti permanenti in tutti gli Stati e
istituzione dell'armamento popolare.
2. Istituzione di un tribunale arbitrale
internazionale, le cui decisioni abbiano
forza di legge.
3. Decisione definitiva su guerra o pace
direttamente da parte del popolo, nel
caso che i governi non intendessero
accettare la decisione del tribunale
arbitrale".
Il congresso di Parigi del 1900
consiglia specialmente come mezzo
pratico di lotta contro il militarismo:
"Che i partiti socialisti intraprendano
ovunque l'educazione e la organizzazione
dei giovani allo scopo di combattere il
militarismo e proseguano nello sforzo
con il massimo fervore".
Mi permettano ancora di riportare un
passo importante della risoluzione del
congresso di Stoccarda del 1907, nel
quale è raccolta con grande plasticità
tutta una serie di misure pratiche da
prendersi da parte della
socialdemocrazia nella lotta contro la
guerra. E' detto:
"In realtà, a partire dal congresso
internazionale di Bruxelles il
proletariato ha intrapreso le più
svariate forme di azione nella sua lotta
instancabile contro il militarismo con
crescente energia e successo, rifiutando
i mezzi per l'armamento di terra e di
mare, tentando di democratizzare
l'organizzazione militare, nell'intento
di evitare lo scoppio di guerre o di
farle cessare, nonché in quello di
sfruttare gli squilibri della società
provocati dalla guerra a vantaggio della
liberazione della classe operaia: così
specialmente l'accordo dei sindacati
inglesi e francesi dopo l'incidente di
Fascioda, per assicurare la pace e per
il ristabilimento di amichevoli
relazioni fra Francia e Inghilterra;
l'atteggiamento dei partiti socialisti
al parlamento tedesco e a quello
francese nel corso della crisi
marocchina; le manifestazioni avvenute
allo stesso scopo a opera dei socialisti
francesi e tedeschi; l'azione comune dei
socialisti austriaci e italiani che si
riunivano a Trieste per evitare un
conflitto fra i due Stati; inoltre,
l'intervento energico delle masse
operaie socialiste svedesi al fine di
impedire un attacco alla Norvegia; da
ultimo l'eroico sacrificio e le lotte di
massa degli operai e dei contadini
socialisti di Russia e Polonia per
opporsi alla guerra scatenata dallo
zarismo, per farla cessare e per
utilizzare la crisi per la liberazione
dei paesi e delle classi lavoratrici.
Tutti questi sforzi testimoniano la
potenza crescente del proletariato e il
suo crescente impulso ad assicurare il
mantenimento della pace mediante
interventi decisivi".
E ora io chiedo: trovano lor signori in
tutte queste risoluzioni e conclusioni
anche una sola intimazione che voglia
significare che noi ci mettiamo davanti
ai soldati e gridiamo loro: non sparate!
E perché? Forse perché temiamo le
conseguenze di una simile agitazione,
gli articoli punitivi? Oh, saremmo gente
misera e dappoco se per paura delle
conseguenze tralasciassimo qualche cosa
che avessimo riconosciuta necessaria e
utile. No, noi non lo facciamo perché
diciamo: quelli che sono nel cosiddetto
abito del re sono soltanto una parte
della popolazione lavoratrice e se
questa raggiunge la necessaria coscienza
che la guerra è riprovevole e dannosa al
popolo, allora anche i soldati
comprenderanno (da soli), senza le
nostre intimazioni, quel che devono fare
nel caso specifico.
Loro vedono, signori, come la nostra
agitazione contro il militarismo non sia
tanto povera e semplicistica come la
immagina il signor procuratore. Abbiamo
a nostra disposizione molti e diversi
mezzi d'azione: educazione dei giovani -
e noi questo mezzo applichiamo con
energia e risultato duraturo, nonostante
tutte le difficoltà che ci vengono
frapposte - propaganda in favore del
sistema della milizia, riunioni di
massa, dimostrazioni di piazza.... E per
ultimo: guardino all'Italia. Come hanno
risposto laggiù i lavoratori coscienti
all'avventura tripolina? Con uno
sciopero dimostrativo di massa, che è
stato condotto nel modo più brillante. E
come ha reagito di conseguenza la
socialdemocrazia tedesca? Il 12 novembre
1912 gli operai berlinesi votavano in
dodici assemblee una risoluzione nella
quale ringraziavano i compagni italiani
per lo sciopero di massa.
Già, lo sciopero di massa! dice il
procuratore di stato. E proprio qui che
egli crede di avermi afferrata di nuovo,
nelle mie pericolosissime idee di
distruzione di governi. Il procuratore
di stato basava oggi la sua accusa
specialmente insistendo sulla mia opera
di agitazione per lo sciopero di massa,
al quale egli legava le più spaventose
prospettive di rovesciamento violento,
quali possono esistere soltanto nella
fantasia di un procuratore di stato
prussiano. Signor procuratore di stato,
se io potessi presupporre in lei la
minima possibilità di afferrare una più
nobile concezione storica, il nesso
delle idee socialdemocratiche, le
spiegherei, come faccio con successo in
ogni riunione popolare, che gli scioperi
di massa in quanto rappresentano un
momento determinato nella evoluzione
delle condizioni attuali, non vengono
"fatti", così come non si "fanno" le
rivoluzioni. Gli scioperi di massa sono
una tappa della lotta di classe, alla
quale ci porta a ogni modo con necessità
naturale il nostro sviluppo attuale.
Tutto il nostro compito, della
socialdemocrazia, a questo riguardo
consiste nel rendere chiara alla
coscienza della classe operaia questa
tendenza dello sviluppo affinché i
lavoratori siano all'altezza dei loro
compiti, una massa di popolo educata,
disciplinata, matura, decisa e attiva.
Anche qui, come loro vedono, quando il
procuratore di stato nell'accusa agita
il fantasma dello sciopero di massa
quale egli lo concepisce, vuol punirmi
in realtà per i suoi pensieri e non per
i miei.
Ora voglio concludere. Una cosa soltanto
vorrei rilevare ancora. Nella sua
esposizione, il signor procuratore ha
dedicato molta attenzione specialmente
alla mia piccola persona. Mi ha
descritta come un grande pericolo per la
sicurezza dell'ordine statale, non ha
nemmeno disdegnato di scendere a un
livello volgare e mi ha chiamata "Rosa
rossa". Ha anche osato insinuare
sospetti nei riguardi del mio onore
personale, esponendo il timore che io
fuggissi nel caso la sua proposta di
condanna venisse accolta. Signor
procuratore, non mi degno di rispondere
per la mia persona a tutti i suoi
attacchi. Ma una cosa voglio dirle: Lei
non conosce la socialdemocrazia. (Il
presidente, interrompendo: "Noi non
possiamo ascoltare qui un discorso
politico"). Nel 1913 molti suoi colleghi
hanno lavorato col sudore alla fronte,
in modo da riversare sulla nostra stampa
un totale di 60 mesi di carcere. Ha
forse lei sentito dire che uno solo dei
condannati abbia tentato la fuga per
timore del castigo? Crede lei che questa
infinità di condanne abbia portato anche
un solo socialdemocratico a vacillare,
oppure lo abbia scosso nell'adempimento
del suo dovere? Oh no, la nostra opera
se ne ride di tutti i raggiri dei suoi
paragrafi punitivi, essa cresce e
prospera nonostante tutti i procuratori
di stato!
Per ultimo, ancora una parola soltanto
sull'attacco inqualificabile che ricade
sul suo autore. Il procuratore di stato
ha detto testualmente - me lo sono
notato - che egli propone l'arresto
immediato perché "sarebbe inconcepibile
che l'accusata non tentasse la fuga".
Ciò vuol dire in altre parole: se io,
procuratore di stato, avessi da scontare
un anno di carcere, io tenterei la fuga.
Signor procuratore, le credo, lei
fuggirebbe. Un socialdemocratico non
fugge. Egli conferma i suoi atti e se ne
ride dei suoi castighi. E adesso mi
condannino.
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