[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

178 / OTTOBRE 2022 (CCIX)


contemporanea

Sul ROMANZO POLIZIESCO
BREVE COMPENDIO storico della letteratura gialla

di Gaetano Cellura

 
Dal “mistero della camera chiusa al mistero della mezzanotte”. Lungo questo letterario percorso si realizza il racconto poliziesco delle origini. Origini anglosassoni. E a inventare il genere, fondato sul metodo deduttivo e sull’acume quasi soprannaturale del detective protagonista, è stato nella prima metà dell’Ottocento Edgar Allan Poe con I delitti della rue Morgue. Al cui centro c’è proprio il mistero della camera chiusa, svelato dal cavaliere Charles Auguste Dupin, il primo investigatore uscito dalla penna di uno scrittore: la penna di Poe appunto.


Con le sue superiori facoltà mentali, Dupin è il papà di tutti gli altri detective. E segnatamente di quelli che il suo metodo – dell’investigazione pura e deduttiva – hanno seguito. Sherlock Holmes, suo più immediato discendente, è ancora oggi il personaggio meglio conosciuto non solo della letteratura poliziesca ma della letteratura nel suo complesso. Più di Emma Bovary, del capitano Achab o di Jean Valjean.


A conferma della diffusione e della popolarità, cui anche il cinema ha contribuito, di un genere letterario dispiegatosi in seguito sotto le varie definizioni di detective story, crime story, romanzo “giallo” (dal colore della copertina con cui Mondadori, dal 1929, ha iniziato a pubblicarli) e infine noir. Genere quest’ultimo in cui il giallo si fa nero, si colora cioè di mistero fitto e di orrore.


Sherlock Holmes è stato inventato dallo scrittore scozzese Arthur Conan Doyle, che nel romanzo Uno studio in rosso dedica un ampio capitolo proprio alla scienza della deduzione e dell’analisi. L’esserne padrone permette a Holmes di svolgere il suo lavoro di “consulente investigativo” e di arrivare prima di Scotland Yard alla soluzione di un’indagine. E in cosa consiste questa scienza?


Per Conan Doyle “si può acquisire unicamente attraverso lunghi e pazienti studi”. Ma per metterla in pratica sono necessari all’investigatore una mente logica per dedurre da una goccia d’acqua “la possibilità di un Atlantico o di un Niagara, senza averli mai visti e sentiti” e una facoltà d’osservazione che insegna a guardare ai minimi particolari – dalle unghie di una persona ai polsini della sua camicia, dai pantaloni agli stivali – per risalire a un proficuo quadro d’insieme.


Un altro scrittore inglese, Chesterton, ha creato con Basil Grant (Il club dei mestieri stravaganti) un personaggio che è l’opposto di Sherlock Holmes. Ma senza mai eguagliarne successo e fama. Chesterton è diventato più popolare con Tutte le storie di padre Brown, prete investigatore che brilla anche lui, di fronte ai casi più intricati e misteriosi, per infallibili facoltà della mente e conoscenza dell’animo umano.


Comunque lo si chiami – racconto poliziesco, giallo, eccetera – lo schema non cambia, la sua trama classica è uguale. C’è un crimine all’inizio: un uomo o una donna di cui nulla si sa vengono ammazzati (con coltello o veleno o arma da fuoco); poi una parte centrale per scoprirne l’assassino, smontarne l’alibi; e una finale per la soluzione del caso e dare un nome al colpevole.


Spesso i morti ammazzati sono due, e va bene. Ma già tre sono troppi e nuocciono alla storia. Dire quanto la soluzione o la trama del romanzo siano convincenti è giudizio che varia da lettore a lettore. E dal grado di malizia, esperienza, competenza che lo stesso lettore acquisisce man mano che al genere si appassiona. C’è il delitto e c’è, come dice Savinio, il Tiresia del delitto: il detective.


Dopo Conan Doyle e il suo Sherlock Holmes assistiamo a un vero e proprio diluvio di autori di polizieschi e di investigatori (pubblici, privati o semplicemente dilettanti) da loro inventati. Autori e investigatori che entrano a pieno titolo nella storia della letteratura poliziesca ma che sarebbe troppo lungo riportarli tutti in questa nota.


Ricordiamo solo la famosissima Agatha Christie, il suo investigatore Hercule Poirot e la sua investigatrice Miss Marple, zitella ficcanaso. Anche perché allo schema della deduzione logica, del poliziesco come genere intellettuale e geniale ampiamente si iscrivono. Laura Grimaldi scrive che per Agatha Christie la vicenda (il plot) è la vera monarca delle sue storie: conta più dei personaggi e sa costruirla “brandello per brandello, particolare per particolare”.


Alla fine degli anni Venti del Novecento si afferma la scuola americana dell’hard-boiled. Un genere più realistico, e di azione, rispetto a quelli che l’hanno preceduto e che viene incontro ai rinnovati gusti dei lettori, ormai stanchi delle vecchie trame e della stereotipata cornice – di moventi del delitto e di alibi – in cui i personaggi, dai principali ai secondari, si muovevano. Stanchi di indizi che vanno dai gemelli delle camicie agli schizzi sugli stivali del sospettato. Il suo caposcuola è stato Dashiell Hammett, il cui romanzo più importante è Il falcone maltese e il cui investigatore più noto (Hammett ne ha uno per ogni storia) è Sam Spade.


Raymond Chandler, il suo più brillante continuatore, autore di classici del genere come Il grande sonno, Il lungo addio e La donna nel lago, dice di Hammett che “ha restituito il delitto alla gente che lo commette per un motivo, e non semplicemente per fornire un cadavere ai lettori”. Ora più disposti a credere che i fatti raccontati siano davvero accaduti. E così frequenti da trovarli nelle cronache dei giornali, nella vita di tutti i giorni. Philip Marlowe, il detective di Chandler, si rivelerà uno dei personaggi più romantici e indimenticabili del genere poliziesco.


Come si vede, prima di arrivare ai nostri conosciutissimi commissari (il Montalbano di Camilleri su tutti, ma anche il Santamaria della Donna della domenica di Fruttero e Lucentini, il De Luca di Lucarelli e il dottor Ingravallo di Gadda) o a familiari detective stranieri come il Pepe Carvalho di Vazquez Montalban e come la dottoressa Kay Scarpetta di Patricia Cornwell ne passa di acqua sotto i ponti del racconto poliziesco.


Il giallo Mondadori ha dato in Italia grande impulso al consumo e alla diffusione di un filone narrativo a torto ritenuto sottogenere letterario. Sciascia considerava il giallo un buon viatico ferroviario. E più di uno sempre ne comprava alla stazione di Caltanissetta prima di partire. Grazie alla collana di Mondadori, diretta da Alberto Tedeschi, abbiamo conosciuto in Italia molti autori stranieri. Senza dimenticare l’italiano (nato a Kiev) Giorgio Scerbanenco e i suoi investigatori: Duca Lamberti e l’ispettore Jelling.


A metà degli anni Trenta del Novecento la conoscenza dei lettori di gialli si arricchisce di altri due autori e di altri protagonisti del genere. Dalle nebbie di Milano emerge il commissario De Vincenzi dello scrittore e giornalista Augusto De Angelis; e dallo sfondo della provincia svizzera d’inizio Novecento il sergente di polizia Stüder di Friedrich Glauser. Attenti agli indizi psicologici del delitto e all’ambiente in cui maturano, questi due autori si ispirano al Maigret di Simenon.


Ex studente di medicina, Jules Maigret entra nella polizia giudiziaria e ne diventa commissario. Il suo ufficio “si trova” al Quai des Orfevres 36, mitica sede della polizia di Parigi.
È un uomo riflessivo e tranquillo cui piace muoversi a piedi. La controfigura del suo ideatore: quel Simenon che sfornava pressappoco un romanzo al mese con il proprio commissario protagonista. E tanti bravi attori gli hanno dato un volto al cinema ricalcandone il carattere profondamente umano.


La Francia non aveva il romanzo poliziesco borghese (e se ne struggeva): George Simenon, per usare le parole di Alberto Savinio, ha colmato questa lacuna. Una lacuna per Savinio dovuta al fatto che il “mistero della mezzanotte”, il suo brivido, fallito nel mondo e nell’animo latino, perdurava e si era standardizzato e rimodernato nel mondo anglosassone.


Con “le sue folle nere come l’acqua delle fogne”, i bassifondi “sinistri e popolati” della metropoli inglese o americana, questo mondo meglio si addiceva alla messinscena del delitto notturno. Come concepire un poliziesco francese senza il mistero della mezzanotte?


Diverso dagli altri autori, Simenon ci riesce andando oltre esso mistero e riducendo dimensioni e singolarità del delitto nonché le correlate scene di terrore e brivido. Adattando in pratica i propri romanzi a quel mondo borghese, di lettori borghesi che il suo stesso bonario commissario incarna. Lontano dalle stravaganze di Sherlock Holmes e dalle sue doti divinatorie, Maigret realisticamente “compie il suo lavoro – dice ancora Savinio – più per dovere di funzionario che per diletto di investigatore”.


Per riassumere: Poe ha inventato il racconto poliziesco come genere intellettuale; Chesterton e Conan Doyle, seguendone le orme, l’hanno reso intellettuale e fantastico. Finché il lettore, sempre più perspicace, meno disposto a lasciarsi ingannare dall’autore e stanco di lettere rubate nascoste sotto gli occhi di tutti (la famosa invisibilità dell’evidenza) come di maggiordomi sospettati d’aver commesso il delitto e di case di campagne dove il delitto avviene, ha preteso altro: più realismo, veridicità e azione.


Innovazioni scadute spesso nel sensazionalismo e che per questo hanno ucciso il genere sia dal punto di vista dell’investigazione pura che dell’azione. Sebbene i suoi lettori siano sempre stati, e siano, in costante aumento.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]