Sul ROMANZO POLIZIESCO
BREVE COMPENDIO storico della
letteratura gialla
di Gaetano Cellura
Dal “mistero della camera chiusa al
mistero della mezzanotte”. Lungo
questo letterario percorso si
realizza il racconto poliziesco
delle origini. Origini anglosassoni.
E a inventare il genere, fondato sul
metodo deduttivo e sull’acume quasi
soprannaturale del detective
protagonista, è stato nella prima
metà dell’Ottocento Edgar Allan Poe
con I delitti della rue Morgue.
Al cui centro c’è proprio il mistero
della camera chiusa, svelato dal
cavaliere Charles Auguste Dupin, il
primo investigatore uscito dalla
penna di uno scrittore: la penna di
Poe appunto.
Con le sue superiori facoltà
mentali, Dupin è il papà di tutti
gli altri detective. E segnatamente
di quelli che il suo metodo –
dell’investigazione pura e deduttiva
– hanno seguito. Sherlock Holmes,
suo più immediato discendente, è
ancora oggi il personaggio meglio
conosciuto non solo della
letteratura poliziesca ma della
letteratura nel suo complesso. Più
di Emma Bovary, del capitano Achab o
di Jean Valjean.
A conferma della diffusione e della
popolarità, cui anche il cinema ha
contribuito, di un genere letterario
dispiegatosi in seguito sotto le
varie definizioni di detective
story, crime story, romanzo
“giallo” (dal colore della copertina
con cui Mondadori, dal 1929, ha
iniziato a pubblicarli) e infine
noir. Genere quest’ultimo in cui il
giallo si fa nero, si colora cioè di
mistero fitto e di orrore.
Sherlock Holmes è stato inventato
dallo scrittore scozzese Arthur
Conan Doyle, che nel romanzo Uno
studio in rosso dedica un ampio
capitolo proprio alla scienza della
deduzione e dell’analisi. L’esserne
padrone permette a Holmes di
svolgere il suo lavoro di
“consulente investigativo” e di
arrivare prima di Scotland Yard alla
soluzione di un’indagine. E in cosa
consiste questa scienza?
Per Conan Doyle “si può acquisire
unicamente attraverso lunghi e
pazienti studi”. Ma per metterla in
pratica sono necessari
all’investigatore una mente logica
per dedurre da una goccia d’acqua
“la possibilità di un Atlantico o di
un Niagara, senza averli mai visti e
sentiti” e una facoltà
d’osservazione che insegna a
guardare ai minimi particolari –
dalle unghie di una persona ai
polsini della sua camicia, dai
pantaloni agli stivali – per
risalire a un proficuo quadro
d’insieme.
Un altro scrittore inglese,
Chesterton, ha creato con Basil
Grant (Il club dei mestieri
stravaganti) un personaggio che
è l’opposto di Sherlock Holmes. Ma
senza mai eguagliarne successo e
fama. Chesterton è diventato più
popolare con Tutte le storie di
padre Brown, prete investigatore
che brilla anche lui, di fronte ai
casi più intricati e misteriosi, per
infallibili facoltà della mente e
conoscenza dell’animo umano.
Comunque lo si chiami – racconto
poliziesco, giallo, eccetera – lo
schema non cambia, la sua trama
classica è uguale. C’è un crimine
all’inizio: un uomo o una donna di
cui nulla si sa vengono ammazzati
(con coltello o veleno o arma da
fuoco); poi una parte centrale per
scoprirne l’assassino, smontarne
l’alibi; e una finale per la
soluzione del caso e dare un nome al
colpevole.
Spesso i morti ammazzati sono due, e
va bene. Ma già tre sono troppi e
nuocciono alla storia. Dire quanto
la soluzione o la trama del romanzo
siano convincenti è giudizio che
varia da lettore a lettore. E dal
grado di malizia, esperienza,
competenza che lo stesso lettore
acquisisce man mano che al genere si
appassiona. C’è il delitto e c’è,
come dice Savinio, il Tiresia del
delitto: il detective.
Dopo Conan Doyle e il suo Sherlock
Holmes assistiamo a un vero e
proprio diluvio di autori di
polizieschi e di investigatori
(pubblici, privati o semplicemente
dilettanti) da loro inventati.
Autori e investigatori che entrano a
pieno titolo nella storia della
letteratura poliziesca ma che
sarebbe troppo lungo riportarli
tutti in questa nota.
Ricordiamo solo la famosissima
Agatha Christie, il suo
investigatore Hercule Poirot e la
sua investigatrice Miss Marple,
zitella ficcanaso. Anche perché allo
schema della deduzione logica, del
poliziesco come genere intellettuale
e geniale ampiamente si iscrivono.
Laura Grimaldi scrive che per Agatha
Christie la vicenda (il plot) è la
vera monarca delle sue storie: conta
più dei personaggi e sa costruirla
“brandello per brandello,
particolare per particolare”.
Alla fine degli anni Venti del
Novecento si afferma la scuola
americana dell’hard-boiled. Un
genere più realistico, e di azione,
rispetto a quelli che l’hanno
preceduto e che viene incontro ai
rinnovati gusti dei lettori, ormai
stanchi delle vecchie trame e della
stereotipata cornice – di moventi
del delitto e di alibi – in cui i
personaggi, dai principali ai
secondari, si muovevano. Stanchi di
indizi che vanno dai gemelli delle
camicie agli schizzi sugli stivali
del sospettato. Il suo caposcuola è
stato Dashiell Hammett, il cui
romanzo più importante è Il
falcone maltese e il cui
investigatore più noto (Hammett ne
ha uno per ogni storia) è Sam Spade.
Raymond Chandler, il suo più
brillante continuatore, autore di
classici del genere come Il
grande sonno, Il lungo addio
e La donna nel lago, dice di
Hammett che “ha restituito il
delitto alla gente che lo commette
per un motivo, e non semplicemente
per fornire un cadavere ai lettori”.
Ora più disposti a credere che i
fatti raccontati siano davvero
accaduti. E così frequenti da
trovarli nelle cronache dei
giornali, nella vita di tutti i
giorni. Philip Marlowe, il detective
di Chandler, si rivelerà uno dei
personaggi più romantici e
indimenticabili del genere
poliziesco.
Come si vede, prima di arrivare ai
nostri conosciutissimi commissari
(il Montalbano di Camilleri su
tutti, ma anche il Santamaria della
Donna della domenica di
Fruttero e Lucentini, il De Luca di
Lucarelli e il dottor Ingravallo di
Gadda) o a familiari detective
stranieri come il Pepe Carvalho di
Vazquez Montalban e come la
dottoressa Kay Scarpetta di Patricia
Cornwell ne passa di acqua sotto i
ponti del racconto poliziesco.
Il giallo Mondadori ha dato in
Italia grande impulso al consumo e
alla diffusione di un filone
narrativo a torto ritenuto
sottogenere letterario. Sciascia
considerava il giallo un buon
viatico ferroviario. E più di uno
sempre ne comprava alla stazione di
Caltanissetta prima di partire.
Grazie alla collana di Mondadori,
diretta da Alberto Tedeschi, abbiamo
conosciuto in Italia molti autori
stranieri. Senza dimenticare
l’italiano (nato a Kiev) Giorgio
Scerbanenco e i suoi investigatori:
Duca Lamberti e l’ispettore Jelling.
A metà degli anni Trenta del
Novecento la conoscenza dei lettori
di gialli si arricchisce di altri
due autori e di altri protagonisti
del genere. Dalle nebbie di Milano
emerge il commissario De Vincenzi
dello scrittore e giornalista
Augusto De Angelis; e dallo sfondo
della provincia svizzera d’inizio
Novecento il sergente di polizia
Stüder di Friedrich Glauser. Attenti
agli indizi psicologici del delitto
e all’ambiente in cui maturano,
questi due autori si ispirano al
Maigret di Simenon.
Ex studente di medicina, Jules
Maigret entra nella polizia
giudiziaria e ne diventa
commissario. Il suo ufficio “si
trova” al Quai des Orfevres 36,
mitica sede della polizia di Parigi.
È un
uomo riflessivo e tranquillo cui
piace muoversi a piedi. La
controfigura del suo ideatore: quel
Simenon che sfornava pressappoco un
romanzo al mese con il proprio
commissario protagonista. E tanti
bravi attori gli hanno dato un volto
al cinema ricalcandone il carattere
profondamente umano.
La Francia non aveva il romanzo
poliziesco borghese (e se ne
struggeva): George Simenon, per
usare le parole di Alberto Savinio,
ha colmato questa lacuna. Una lacuna
per Savinio dovuta al fatto che il
“mistero della mezzanotte”, il suo
brivido, fallito nel mondo e
nell’animo latino, perdurava e si
era standardizzato e rimodernato nel
mondo anglosassone.
Con “le sue folle nere come l’acqua
delle fogne”, i bassifondi “sinistri
e popolati” della metropoli inglese
o americana, questo mondo meglio si
addiceva alla messinscena del
delitto notturno. Come concepire un
poliziesco francese senza il mistero
della mezzanotte?
Diverso dagli altri autori, Simenon
ci riesce andando oltre esso mistero
e riducendo dimensioni e singolarità
del delitto nonché le correlate
scene di terrore e brivido.
Adattando in pratica i propri
romanzi a quel mondo borghese, di
lettori borghesi che il suo stesso
bonario commissario incarna. Lontano
dalle stravaganze di Sherlock Holmes
e dalle sue doti divinatorie,
Maigret realisticamente “compie il
suo lavoro – dice ancora Savinio –
più per dovere di funzionario che
per diletto di investigatore”.
Per riassumere: Poe ha inventato il
racconto poliziesco come genere
intellettuale; Chesterton e Conan
Doyle, seguendone le orme, l’hanno
reso intellettuale e fantastico.
Finché il lettore, sempre più
perspicace, meno disposto a
lasciarsi ingannare dall’autore e
stanco di lettere rubate nascoste
sotto gli occhi di tutti (la famosa
invisibilità dell’evidenza) come di
maggiordomi sospettati d’aver
commesso il delitto e di case di
campagne dove il delitto avviene, ha
preteso altro: più realismo,
veridicità e azione.
Innovazioni scadute spesso nel
sensazionalismo e che per questo
hanno ucciso il genere sia dal punto
di vista dell’investigazione pura
che dell’azione. Sebbene i suoi
lettori siano sempre stati, e siano,
in costante aumento.