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N. 53 - Maggio 2012 (LXXXIV)

ROMANZO DI UNA STRAGE
TRA VIOLENZA E "NON VIOLENZA"

di Giovanna D'Arbitrio

 

Piazza Fontana, 12 dicembre 1969, ore 16,37: una bomba esplode nella Banca Nazionale dell’Agricoltura, 17 i morti, 88 i feriti.

 

I colpevoli ancor oggi restano ignoti ed impuniti.

 

Si dava inizio così agli “anni di piombo”, anni in cui nessuno si sentiva tranquillo in stazioni, aeroporti, treni, aerei e quant’altro, anni in cui il terrorismo sferrò un attacco violento anche in Italia, impietoso e crudele soprattutto nel mietere vittime innocenti, persone comuni, lontane dai circuiti contorti della politica.

 

E proprio questa pagina buia della nostra storia che il regista Marco Tullio Giordana ci invita a rileggere, offrendoci una versione “diversa” di due personaggi legati alla strage di Piazza Fontana: l’anarchico Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino) e il commissario di polizia Luigi Calabresi (Valerio Mastandrea).

 

Il 15 dicembre 1969 Pinelli muore precipitando da una finestra del Commissariato di Milano nel corso di un interrogatorio. Calabresi viene ritenuto responsabile di ciò, benché in quel momento non fosse presente: il 17 maggio 1972 viene assassinato davanti alla sua abitazione.

 

M.T. Giordana li rappresenta entrambi come due uomini onesti e non violenti, vittime di intrighi nazionali ed internazionali che alimentarono “la strategia della tensione “, insiste sui loro rapporti basati su reciproca stima, evidenzia il loro amore per la famiglia: insomma descrive due persone dignitose e in buona fede anche se di idee politiche differenti. La stessa dignità caratterizza le donne di questa storia, Gemma Calabresi (Laura Chiatti), Licia Pinelli (Michela Cescon).

 

Sulla locandina del film in alto a destra si legge la scritta “La Verità esiste”, ma ci si chiede poi a cosa serva se essa non emerge mai con chiarezza.

 

Il film sottolinea la difficoltà di accedere in genere ad una corretta informazione sui fatti, per cui lo stesso Calabresi, inizialmente confuso, solo dopo lunghe ed accurate indagini personali arriva ad una verità che alla fine viene occultata “per non causare danni maggiori all’intera nazione”: essa diventa pertanto “romanzo”, cioè una sorta di ricostruzione “fantasiosa” degli eventi poiché le prove mancano, come si evince dal significativo colloquio tra Calabresi e il capo dell’ufficio “affari riservati” (interpretato da G. Colangeli).

 

Lo stesso regista in effetti ha dichiarato che l’affermazione di Pasolini “Io so, ma non ho le prove”, gli ha fornito lo spunto per il titolo del film, un “romanzo” diviso in capitoli che racconta un pezzo della nostra storia ai giovani di oggi, così lontani da quei tragici avvenimenti.

 

M.T. Giordana dunque dopo due film di successo come “I 100 Passi” e “La Meglio Gioventù”, viene elogiato ancora una volta per il suo stile asciutto, privo di falsa retorica e allo stesso tempo umano, capace di introspezione psicologica.

 

Concludendo, ci sembra opportuno sottolineare che purtroppo il terrorismo è sempre la conseguenza di gravi problemi “irrisolti” che esplodono poi in modo violento, innescando pericolosi processi distruttivi spesso strumentalizzati per scopi poco nobili. Il prezzo è alto: si rischia la perdita di libertà e democrazia.

 

E dove domina la tirannia poi si verifica ancora un processo simile: la stessa soppressione dei valori democratici con l’uso della forza bruta, prima o poi genera una reazione uguale e contraria, una sorta di boomerang che ritorna indietro e spazza via i dittatori, come sta avvenendo nei paesi arabi. La spirale della violenza è un pericoloso circolo vizioso.

 

Gandhi riuscì a mobilitare un’intera nazione contro il colonialismo britannico con “la resistenza passiva”, oggi invece dopo l’orrendo e devastante attentato alle Torri Gemelle dell’ 11 settembre, assistiamo ad un’ escalation del terrorismo e forse anche ad una strumentalizzazione dello stesso a livello mondiale per fini poco chiari.

 

Dove vogliamo arrivare? La scelta è sempre tra violenza e non-violenza, inciviltà e civiltà.



 

 

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