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N. 20 - Gennaio 2007

DACIA: L'EVOLUZIONE STORICA DELLA ROMANIA

Provincia Dacia - Parte III

di Antonio Montesanti

 

Preoccupato dal crescere della potenza dello stato dacico, secondo alcune visioni storiche, oppure tentato dall’ipotesi di poter annettere all’Impero un regno, ormai non più ampio come quello di 150 anni prima ma pur sempre all’apice, Traiano, imperatore dal 98-117 d.C., promuove una campagna di conquista contro la popolazione transadanubiana.

 

Sono passati 101 anni dalla nascita di Cristo, imbarcatosi da Ancona e sbarcato a Zadar, in primavera inoltrata, dopo pochi giorni, l’Imperatore attraversa il Danubio al comando di un esercito immenso con il quale riporta una strabiliante vittoria sui Daci e i loro alleati, Roxolani ed Bastarni, convenuti a Tapae per attaccare il limes imperiale.

 

Le guarnigioni della Moesia Inferior respingono, con questa vittoria, l'offensiva barbara consentendo uno slancio delle truppe imperiali fin nel cuore della regione. Le truppe giungono nelle zona delle Montagne di Orăstie, conquistano la cittadella di Costeşti, fino a poche miglia della capitale del regno Geto-Dacico Sarmizegetusa.

 

Gli assediati sono costretti a richiedere la pace dopo pochi giorni, quando ancora Traiano non aveva dato disposizioni per l’assalto. Le condizioni sono estremamente dure per i Daci: consegna di tutte le armi e le macchine da guerra, espulsione degli ingegneri e dei disertori dell'esercito romano, abbattimento delle fortezze, cessione dei territori di Moldavia meridionale, la Valacchia, di parte dell'Oltenia, del Banato, e della città di Tara Hategului in Transilvania; inoltre con l’ultima clausola, la Dacia diveniva formalmente un protettorato visto che avrebbe dovuto “rinunciare a qualsiasi tipo di politica estera propria”.

 

Decebalo, probabilmente più per la necessità di uscire da un giogo asfissiante, non si oppone apertamente a Roma, anzi in 4 anni viene ammonito diverse volte per le numerose trasgressioni effettuate. Riarma l'esercito, offre asilo politico ai fuggiaschi dell'Impero, ricostruisce le fortezze e ricerca alleati.

 

Quando si sente ormai sicuro un certo potenziale, tenta di rioccupare le posizioni strategiche nel Banato e aggredendo gli lazygi, alleati di Roma. Traiano attende il termine del quarto o l’inizio del quinto anno dopo la sconfitta dei daco-geti per portare nuovamente la guerra in Transilvania.

 

Questa volta Traiano non decide di sferrare il colpo ma sceglie di mettere fine alla Dacia come entità politica. Le roccaforti delle Montagne di Orăştie vengono assediate una ad una, con la certezza di aver debellato ogni nucleo di resistenza cadono l'una dietro l'altra e alla fine è la stessa capitale, Sarmizegetusa, a cedere dopo un lungo assedio.

 

Decebalo, in fuga e forse con l’intento di riorganizzare una nuova resistenza, si suicida prima di essere raggiunto sui monti, dai cavalieri di Tiberio Claudio Massimo. Le ultime sacche di resistenza vengono sbaragliate definitivamente  nell'estate del 106 d.C.. Il regno geto-dacico termina definitivamente di esistere e viene trasformato in Provincia Romana Dacia.

 

La romanizzazione.

 

Roma è presente in territorio geto-dacico per soli, al pari di altre province, 165 anni e cioè dal 106 al 271 a.C.

 

L’idea di voler analizzare l’attuale Romania nasce da uno di quei rarissimi casi in cui si presenta un’anomalia etno-geografica. La Romania, e quindi buona parte dei suoi abitanti, rappresenta, unitamente all’Ungheria, l’unico caso in nell’Europa dell’Est in cui non si parli una lingua slava e al contrario dell’Ungheria è l’unica lingua neolatina ad est del Danubio.

 

L’importanza della romanità e di Roma assume nel popolo romeno un’importanza a livello esistenziale.

 

Secondo teorie nate al principio del secolo scorso, i romani avrebbero massacrato tutta la popolazione maschile dacica e al loro posto si sarebbero infiltrati dei coloni.

 

Possiamo di certo immaginare che al termine delle due guerre (101-102 e 105-106 d.C.) la situazione dei Daci dovette essere pesantissima, dove non rimaneva più nulla ed era necessario ricominciare da capo, laddove la popolazione superstite verrà necessariamente coadiuvata dai e Romani.

 

Tuttavia non potevano mancare i sopravvissuti, i soldati rimasti in vita, coloro che liberamente si erano sottomessi, le donne e i bambini, gli adolescenti, i vecchi.

 

Dal punto di vista della nazione occupata, i giorni postbellici, segnarono la fine di un popolo capace di dominare nell’area carpato-danubiana, ma dall’altra parte sancirono la nascita di una popolazione che rappresenta il sostrato originale su cui sorse la romania attuale: i Daco-Romani

 

Ci sembra opportuno notare che è normale che i Daci soggiogati si siano trovati in una situazione di netta inferiorità, con buona parte delle terre confiscate, e in una situazione semiservile; tuttavia successe, all’interno della neoprovincia, qualcosa di particolare: notizie sulla comunità dace vanno moltiplicandosi e compensandosi con le notizie storiche e grazie alle scoperte epigrafiche e, soprattutto, grazie agli scavi archeologici.

 

La cosa più ammirevole è rappresentata, non da una forma di rivolta alle nuove istituzioni sociali e politiche da parte autoctona, che furono cancellate al momento della conquista, bensì dall’adattamento e dall’accettazione delle nuove forme comunque imposte dal nuovo governo. Una forma evolutiva della Dacia che non si riscontrerà solo nella topografia oro-idrografica ma addirittura nelle località già centro daco-getico. Durante il periodo romano vengono rafforzate e costruite delle colonie sugli antichi  siti daci, ai cui nomi si affiancano quelli latini:

 

NOME ROMANO

NOME MODERNO

Apulum ------>

Alba lulia

Napoca------->

Cluj-Napoca

Potassa------->

Turda

Drobeta------->

Drobeta-Turnu Severin

Tibiscum------>

Jupa

Porolissum---->

Moigrad

Dierna--------->

Orşova

Cumidava----->

Rîşnov

Sucidava------>

Celei

 

Chiaro esempio, anche piuttosto complesso, di questo fenomeno è il caso della capitale della Provincia Romana Dacia. Tara Hategului, già centro geto-dace diviene capitale della neoprovincia, fondata subito dopo la presa del potere, tra il 108 e il 110 a.C., con il nome di Colonia Dacica.

 

Adraiano, successo a Traiano, vi aggiunse, in onore del suo predecessore, gli epiteti Ulpia Traiana Augusta, a cui venne agganciato non il nome originario della città, bensì quello simbolico dell’antica capitale dacica: Sarmigetusa. Che sottolinea in maniera esemplare la continuità del passato in fusione con l’elemento romano e destinato a produrre un complesso esempio di perfetta integrazione.

 

Colonia Ulpia Troiana Augusta Dacica Sarmizegetusa rappresenta questo.

 

Negli ultimi decenni, dobbiamo alle ultimissime scoperte archeologiche, che hanno restituito più di 50 siti daco-romani dei secoli II-III d.C., per lo più in Transilvania, l’ampliamento e l’arricchimento improvviso della documentazione sulla Dacia in qualità di provincia romana; si è venuto delineando così l’apporto autoctono alla formazione della provincia e della sua struttura politica, sociale, economica e soprattutto militare.

 

Nel settore nord-danubiano si è notato un uso molto ampio della ceramica provinciale romana che è importata abbondantemente e la cui persistenza delle forme note del periodo precedente riporta al periodo precedente alla conquista romana e che proseguono senza soluzione di continuità anche nei periodi successivi.

 

Come se l’utilità dei recipienti fittili sia stato un punto di svolta per gli autoctoni, i quali utilizzano arbitrariamente le forme che ricevono o ottengono, come ad esempio l’uso dei dolii  all’interno di ambienti urbani come il famoso tipo,rinvenuto in cittadelle e abitati, di color rosso o grigio a strisce di linee ondulate sovradipinte.

 

I castra romani o gli abitati civili di Angustia (Breţcu), Micia (Veţel), Praetorium (Mehadia),Orheiul Bistriţei, Drajna de Sus, nel cimitero romano di Potaissa (Turda) come anche in quelli daco-romani di Soporu de Cîmpie, Obreja, Enisala, oppure negli abitati rurali di Cristeşti (importante centro dell'industria ceramica), Lechinţa de Mureş, Caşolţ, Micăsasa, Noşlac, Obreja, Slimnic, Şura Mica, hanno permesso di identificare la presenza e la coesistenza di romani con autoctoni tipicamente daci.

 

Questo rimescolamento, intuibile dalle sovrapposizioni romane a quelle daciche, non si riscontra nel rito funerario tradizionale dell'incinerazione, che, come abbiamo accennato, continua ad essere utilizzato dagli autoctoni sin dall'età La Tene, è mantenuto durante le fasi provinciali nonostante allora i romani praticassero il rito dell'inumazione, di cui le necropoli di II e III sec. d.C., di Soporu de Cîmpie oppure quelle di Horia, Lechinţa de Mureş, Caşolţ, Obreja, Mereşti, Calbor e Ighiu, ne sono un chiaro esempio.

 

Ogni mutamento, cambiamento o sovrapposizione culturale in un contesto “chiuso” e a bassa sovrapposizione culturale differenziata, è ben evidente e totalmente distinguibile: sappiamo che nell’area di Zlatna, vennero trapiantati dei coloni dalmati per sfruttare le ricche miniere d'oro della zona, che vede una distinzione, p. es., del proprio rito cinerario, in cui l'incinerazione del cadavere avviene o sul luogo della fossa oppure lontano da essa e poi deposto: è questo l’esempio più lampante che conferma la notizia storica conosciuta.

 

Questo ad intendere che i Daci conservarono le proprie fogge e usanze, tra cui l’uso delle stele e dei medaglioni funerari rinvenuti a Cluj-Napoca, Apoldu Mare e Căşei che raffigurano i defunti nel loro aspetto e nelle vesti ancora non romanizzati.

 

A cominciare dall'età di Adriano e soprattutto dopo la Constitutio Antoniniana o Editto di Caracalla (212 d.C.), quindi sotto dopo la trasformazione in provincia, molti abitanti entrarono a far parte dell’esercito dei Daci.

 

I diplomi militari, provenienti da tutto l'Impero, testimoniano una ingente serie di truppe ausiliarie provenienti da questa regione spesso condotte e impiegate fuori dalla provincia medesima, spesso in aree molto remote: cohors I Ulpia Dacorum, ala I Ulpia Dacorum, cohors I Aelia Dacorum, cohors II Aurelio Dacorum, cohors gemina Dacorum Gordiana milliaria, cohors II Augusta Dacorum pia fedelis milliaria equitata, cohors III Dacorum equitata, ai confini dell'Impero, dalla Britannia alla Cappadocia, fino alle regioni confinanti con i deserti mediorientali.

 

Ad altri Daci vennero assegnati compiti più nobili, riuscendo a divenire soldati delle coorti pretorie o equites singulares proprio a Roma dove vi è l’attestazione diretta delle epigrafi a conferma.

 

Gli Aelii, cittadini daci appartenenti ad una certa nobiltà territoriale di Napoca, assumono oltre il cognomen imperiale anche la cittadinanza dall’imperatore loro benefattore, i quali offrono in pegno della loro lealtà i propri figli perché servissero nell'esercito africano che vengono così arruolati nella legione III Augusta di Lambaesis Numidiae.

 

La presenza di nomi traco-dacici, non totalmente distinguibili tra loro è notevole. Al contrario, sorprendentemente, nomi tradizionali dei Daci, quali Decebalus, Diurpaneus oppure Scorilo, sono assenti sulle epigrafi provenienti dalla Dacia, mentre s’incontrano in maniera inaspettata al di fuori della stessa: a Roma, in Britannia, nella Moesia Inferior e in Pannonia.

 

Dopotutto è comprensibile un atteggiamento di questo tipo, ossia una mancanza d’uso dei nomi nazionalistici per evitare un inequivocabile clima di tensione o attrito, che non vi sarà mai, forse grazie anche a questo tipo di accorgimenti.

 

In Dacia, l’abitudine  di coloro i quali ricevevano la cittadinanza di prendere un nome romano andava tutto a vantaggio di chi portava il nome latino a discapito di inutili frizioni.

 

Gli abitanti della Dacia, oltre al più ben lento processo di romanizzazione, si arruolano nell’esercito e al momento del congedo, diventano cittadini romani con diritti uguali ai coloni, ricevendo delle terre da coltivare e si stabiliscono o in città oppure in ambito rurale.

 

È quindi chiaro che dopo l’assunzione di veri e propri nomi autentici romani e sostituendo quelli originari, all’interno delle iscrizioni non è possibile individuare un colone romano da un abitante dace.

 

Questo è ben visibile dall’altissimo numero dei gentilizi, tali gli Ulpii, gli Aelii, Aurelii che designano il rifarsi all’Impero Romano e soprattutto rispecchia la rapidità con cui gli autoctoni ricevevano il diritto di cittadinanza.

 

Non tutti i Daci erano stati inglobati all’interno della provincia: Traiano aveva conquistato oltre il Banato, l'Oltenia e la Transilvania, nucleo dacico, anche le regioni poetiche della Valacchia e la Moldavia meridionale che Adriano aveva abbandonato. Inoltre non facevano parte dell'Impero, la Crisana ed il Maramures — pure abitati da Daci; come testimoniano i rinvenimenti archeologici di Sîntana — Arad, Oradea, Medieşu Aurit, anche se questi Daci “liberi”, che hanno continue relazioni commerciali con Roma, penetrano all’interno dell’Impero spesso rimanendovi.

 

L’inspiegabile e totalmente incredibile processo di romanizzazione dell’intera regione – comprese le zone limitrofe – secondo alcuni venne favorito dal carattere della civiltà dacica ma attualmente rimane ancora una grande sorpresa, poiché è difficile riuscire a raggiungere le cause di un così precoce e sincero attaccamento alla causa romana sotto molti degli aspetti che caratterizzavano l’Impero.

 

Altri ancora parlano già di una intromissione “ellenizzante” all’interno della stessa struttura getica ancor prima di quella romana che sarebbe stata così ampliamente favorita.

 

Per Eutropio (2° metà del IV sec. d.C.), la romanizzazione della Dacia è dovuta alla presenza di coloni, dall’esercito, dall’ amministrazione, oltre che all’organizzazione economica, politica, religiosa, culturale ed artistica.

 

Il popolo dace fu quello in grado di riuscire ad assimilare al meglio non solo determinati usi e costumi ma soprattutto, ed è ciò che oggi rimane il miglior esempio di acquisizione idiomatica, la lingua comune, comprensibile a tutti. Il latino entrò pienamente come lingua ufficiale al posto di quella dacica che rimase solo  come appendice cadenziale e con qualche parola in un vocabolario totalmente romano.

 

Questo “integrarsi” dei daci con i Romani li portò ad assumere il latino a discapito del proprio idioma, anche se già nel 271 a.C. l’imperatore Aureliano ordina di abbandonare la ormai indifendibile provincia.

 

I Daci si andarono dissolvendo tra le nebbie del Basso Impero e quelle dell’Alto Medioevo divenendo molto velocemente dei “Romani” a tutti gli effetti ed anzi al contrario dei conquistatori ne conservano molti aspetti e tradizioni.



 

 

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