N. 19 - Dicembre 2006
DACIA: L'EVOLUZIONE
STORICA DELLA ROMANIA
L’Impero daco-getico - Parte II
di
Antonio Montesanti
Storici ed archeologi tendono a collocare durante la prima
metà del I sec. a.C. la nascita di uno stato
daco-getico. Prima di proseguire nella trattazione è
necessario ricordare come sotto il nome di Geti o Daci
veniva denominata la medesima popolazione, ma che
assumeva nome differente a seconda se questi venissero
chiamati in lingua greca o in quella latina.
Viste le connotanze, ad oggi, questo Stato può ottenere
l’attribuzione di Impero il cui centro del territorio
era situato nei Carpazi meridionali, e più
precisamente nella regione sud-ovest della
Transilvania.
È scontato che questo stato, assunse varie conformazioni, e
soprattutto differenti estensioni, passando da un
territorio limitato probabilmente alle zone
intracarpatiche fino a raggruppare l’intera stirpe
daco-getica.
Uno degli elementi che ha lasciato adito a spiegazioni
molto meno complesse del dovuto sulla formazione di
uno stato, è una serie di mutamenti che si
determinarono nel II sec. a.C. in tutta la regione.
Il primo è il fenomeno dell'aumento numerico di abitati
daco-geti: nelle località attuali di Popeşti, Cetăţeni,
Piatra Neamţ, Pecica, Piatra Craivii, Căpîlna,
Costeşti, Tilişca sorgono, si ampliano, si accrescono
centri abitati che diventano di grande estensione e
molto ricchi, tutti, o quasi, sono fortificati e tre
di essi — Costeşti, Piatra Craivii e Căpîlna —
rappresentano il cuore del futuro stato.
Siti, come Răcătău e Slimnic, più antichi, aumentano nello
stesso periodo la propria superficie e soprattutto la
propria ricchezza materiale, le cui motivazioni
trovano riscontro nello sviluppo della lavorazione dei
metalli ed in particolare del ferro.
Già alla fine del III sec. a.C., vi è un aumento degli
strumenti di ferro sia sotto il profilo numerico che
qualitativo e che segue un iter evolutivo che si
spinge e si evolve nei tre secoli che seguiranno.
L’uso di strumenti di ferro, in particolare, porta ad uno
sviluppo legato a lavorazioni differenti: viene
utilizzata la pietra squadrata per costruire, la
lavorazione della terra avviene tramite vomeri di
ferro, l'estrazioni mineraria è diviene meno faticosa,
mentre il taglio del legno si pratica in maniera più
rapida e precisa, la scorrevolezza del tornio aumenta
così da dare alla ceramica una produzione di tipo
industriale.
Gli studiosi hanno ricollegato questo sviluppo
metallurgico, che innesca un tipo di escalation
economica, ad un rapido aumento demografico, che porta
ad un naturale aumento di fondazioni di nuovi abitati,
non più in chiave abitativa o difensiva, ma anche e
soprattutto economica che conduce ad uno sviluppo di
produzione quantitativo non più solamente per un
fabbisogno interno ma anche per uno scambio
commerciale su vasta scala.
La presenza massiva di vasi greci di terracotta è in
assoluto più alta nelle località daco-getiche tra agli
inizi del III sec. e per tutto il II sec. a.C. che nel
resto dell’Europa e del bacino mediterraneo orientale;
nello stesso periodo vengono importati oggetti di
lusso che indicano uno stato di opulenza mai raggiunta
come nel caso degli specchi, dei vasi e degli altri
oggetti di bronzo provenienti dal mondo ellenistico.
Questo processo d’importazione a sua volta produrrà una
sovrapproduzione interna che a sua volta sarà concausa
di due fenomeni: il superamento del potere di acquisto
autoctono del volume delle merci straniere e la
nascita – e il veloce sviluppo – dei Daco-geti
dell’imitazione commerciale, di vasi, anfore e loro
sigilli, come forma di adattamento ad nn mercato più
aperto.
Unico e non solo, indice di tale fenomeno è dato ai
rinvenimenti monetali nel territorio dacico che
testimonia un aumento notevole della quantità di
moneta estera circolante.
Non a caso l’esempio in assoluto più evidente, è dato dai
numerosissimi rinvenimenti di tetradrammi macedoni e
dell'isola di Thasos che in questo periodo gravitano
nel territorio della Transilvania, il cui numero è di
molto più elevato rispetto a zone extracarpatiche.
Questa serie di scambi, consegnano nelle mani di una forte
aristocrazia tribale (tarabostes, pileati),
un fortissimo potere d’acquisto che per i primi anni
rimane insoluto nei confronti dell’estero, ma che ben
presto porta alla coniazione una grande quantità di
moneta propria tra il 200 e 180 a.C.
Come un effetto a catena, la Dacia di questo periodo offre
un quadro completo dell’evoluzione di tutte le fasi di
uno processo economico, così come esso va a interagire
su altri piani come quello sociale e militare. A
livello sociale la conseguenza diretta è
l'accrescimento della ricchezza e della potenza
dell'aristocrazia locale.
Nella seconda metà del II sec. a.C., si concepiscono due
tipologie costruttive che trovano una differenziazione
solamente, se vogliamo, da un punto di vista sociale:
vengono innalzati numerosi siti fortificati, la
maggior parte per ospitare la massa della popolazione,
mentre altri sono costituiti da palazzi fortificati di
grandissime dimensioni più vicine a cittadelle (Piatra
Craivii, Costeşti, Căpîlna), situate su alture, come
residenza dell'aristocrazia ed in particolar modo dei
capi tribali.
Le premesse economiche sono solo un anticamera
dell'apparizione politica, confermata dalle fonti
letterarie ed epigrafiche che iniziano a documentare
dal 300 a.C. ca., un aumento territoriale legato
strettamente ad una forza militare delle tribù
daco-getiche.
È l’alba del III sec. a.C. quando uno dei Compagni di
Alesssandro il Grande, ormai scomparso da un
trentennio, Lisimaco, viene sconfitto per ben due
volte nel suo tentativo di espansione verso nord
all’interno delle guerre dei diadochi, dallo stratega
dace Dromihete (Dromichaites), per essere
definitivamente catturato e poi rilasciato dallo
stesso vincitore.
Pochi decenni dopo Zaimodegikos appare signore
incontrastato della pianura Valacca e viene ricordato
come vincitore della città di Histria, in Dobrugia, a
cui viene posto un blocco economico ed evidentemente
militare, fino alla cessione di ostaggi della colonia
milesia in cambio di una certa autonomia.
Da questo momento le colonie greche della costa
settentrionale del Mar Nero ed in particolare della
regione delle foci del Danubio, sono costrette a
pagare ad alto prezzo la protezione alle popolazioni
rumene secondo una consuetudine che verrà
definitivamente consolidata alcuni anni dopo da
Rhemaxos. Dalla parte opposta, sul fronte
nord-orientale, in Transilvania, Oroles, difende la
regione dal tentativo dei Bastami di superare le cime
carpatiche.
Le fonti a cui attinge Pompeo Trogo, sulla storia
transadriatica, dovevano aver subito la fortissima eco
della immensa crescita dei Daci transilvani tanto da
riportare il re Rubobostes come unico rappresentante
in quel momento, ossia nella prima metà del II sec.
a.C.
Una volta consolidata la frontiera del sud e quella di
nordest, inizia uno spostamento del centro del potere
dei Daco-Geti verso la pianura Valacca, fino a quel
momento ingestibile da un punto di vista difensivo, il
che diverrà fattore fondamentale nella formazione
dell’Impero dacico; si noti come l’espansione e la
definizione territoriale nasce chiaramente da un
processo di autodifesa che a sua volta produce, nelle
vittorie difensive, un rafforzamento interno, processo
che verrà ampliato dalle minaccia celtica e poi
romana.
Se fino al I sec. a.C. abbiamo parlato di uno stato
Daco-Getico, le fonti letterarie, epigrafiche ed
archeologiche coincidono perfettamente nell’introdurre
uno stato dai contorni imperialistici durante al regno
di Burebista, suo fondatore ufficiale.
È l’anno 82 a.C. quando Burebista assume la guida del suo
popolo e nei 38 anni di guida riuscirà, con la sua
autorità ad organizzare ed unire le tribù del
sud-ovest della Transilvania: Strabone e lordanes
affermano che fu lui a formare un vero e proprio stato
forte, che comprendeva tutte le popolazioni e le etnie
daco-getiche all’interno dei confini.
Le due fonti chiariscono i processo di Burebista così come
riesce a raggiungere il suo scopo, ossia quello di
unificare e di ottenere il potere sulla Grande Dacia,
grazie al sostegno della casta sacerdotale ed in
particolare grazie al sommo sacerdote Deceneo che
diviene il vice dello stato.
Appare anche scontato che non tutti i capitribù daci
vollero unirsi all’impero di Burebista, il quale oltre
ad avvalersi del potere medianico e religioso, si
avvalse, dove lo ritenne necessario, anche dell’uso
della forza. La rinuncia di determinati privilegi, da
parte di capi che non volevano rinunciare alla loro
autorità, venne indotta, secondo Strabone, tramite
rafforzamento continuo della stirpe attraverso
«esercizi, temperanza e rispetto delle leggi», laddove
era possibile.
Certe scoperte archeologiche, d’altro canto, oltre a
confermare questo atteggiamento nei confronti di una
disciplina più rigida confermano anche che alcuni
abitati fortificati, come nel caso più evidente
dell’avamposto valacco di Cîrlomăneşti, furono
distrutti verso la meta del I sec. a.C., mentre la
presenza di parecchi tesori monetari, sempre risalenti
a questo periodo, rinvenuti nella stessa regione
rumena, conducono all’ammissione di popolazioni nomadi
all’interno dei confini.
Le stesse “fonti” archeologiche mettono in rilievo un
secondo aspetto del progetto politico di Burebista: se
da un lato amplia i confini dello stato verso le vaste
pianure meridionali, dall’altro comprende la creazione
di un perfetto sistema di fortificazioni sulle
Montagne di Orăştie (nel sud-ovest della
Transilvania).
Il re dace ha ben chiara la posizione geografica del
territorio sul quale potenzialmente può regnare e
comprende che i confini naturali possono preservare
l’intero stato dalle minacce esterne: preservando il
cuore della Dacia/Romania è possibile ampliare anche i
propri confini.
La sua politica estera è meglio conosciuta e come per i
suoi predecessori è dettata dai pericoli esterni
provenienti dai celti e dai romani, indotta a seguire
ragioni di tipo economico-commerciali.
Le città greche, gli epigoni di Alessandro il Grande e le
tribù limitrofe e confinanti, come i Bastarni, Illiri
e Traci, non costituivano più un problema da tempo per
i Daco-Geti, piuttosto i Boi della odierne Repubbliche
Ceca e Slovacca si erano estesi sin dal III sec. a.C
fino all’attuale Ungheria, raggiungendo il confine del
fiume Tisa, impossessandosi di un territorio
anticamente abitato dai Daci. Una volta rafforzato i
potere e le difese interne, nel 60 a.C., Burebista
assale i Boi comandati da Critasiros ed i Taurisci.
La sconfitta di queste popolazioni portò ad un
allontanamento delle stesse stirpi celtiche, i Boi
superstiti raggiunsero l’Italia mentre i Taurisci
l’Austria.
Non si trattò comunque di un esodo di massa, alcuni celti
rimasero tant’è che prove della coabitazione delle
aree conquistate da Burebista, dal medio Danubio e
alla Morava, sono date da rinvenimenti di materiali
celtici e dacici associati sia nella regione di
Budapest che nella Slovacchia.
Secondo la testimonianza (indiretta) di Strabone, Burebista
avrebbe operato però un’altra spedizione, ma questa
volta in Illiria, dove avrebbe sconfitto gli Scordisci.
Il problema storico riguarda la successione degli
eventi, poiché il geografo di Apamea non ne specifica
l’ante- o la posteriorità dell’evento rispetto alla
spedizione a nord.
Ma questo può divenire un fattore secondario in quanto
ambedue le possibilità di successione cronologica
degli avvenimenti possono essere ragionevolmente
valide.
Certo è, e questa volta i fondamenti diacronici lasciano
poco spazio ad interpretazioni ricostruttive, che dopo
le due campagne nell’ambito carpatico-balcanico,
Burebista spostò la sua attenzione – e le sue truppe –
verso l’area istro-pontica, poiché in quel periodo
l'esercito romano stava operando in area
ponto-bitinica, ossia sulla sponda opposta del Mar
Nero.
Dall'anno 74 a.C., il generale C. Scribonio Curio era
giunto sulle sponde del Danubio in un punto dell’area
montuosa del Banato (regione di Caraş-Severin), ma, a
causa delle fitte foreste, aveva evitato accuratamente
l’attraversamento del fiume.
Più tardi, nel 72 a.C., M. Terenzio Varrone Lucullo,
durante la guerra contro Mitridate VI, re del Ponto,
effettua una spedizione lungo le coste della
Dobrujia, tanto da far propendere le popolazioni e
le città di queste luoghi verso un atteggiamento
favorevole ai romani.
Burebista capirà, solamente verso la metà del I sec. a.C.,
che i Romani non utilizzavano metodi di conquista
tradizionali ma stavano attorniando la Dacia e che
avrebbero usato la Dobrugia come porta d’ingresso per
una probabile invasione.
Per evitare questo Burebista utilizzò un espediente
mirabile, anche se piuttosto scontato ed in linea con
la sua politica: dopo una ferrea e puntigliosa
preparazione, con un piano simile a quelli romani,
rovesciò contro il proconsole della Macedonia, Lucullo
appunto, l’intera situazione: spinse le città greche a
chiedere l’aiuto del leader dace il quale nei pressi
del centro danubiano di Istria sconfisse le legioni di
Gaio Antonio Ibrida.
Dopo aver battuto i romani, Burebista si rivoltò, nel 55
a.C., verso le stesse città poetiche di cui si era
fatto passare per difensore.
La prima città ad essere presa sembra sia stata Olbia,
lungo la foce del Bug, quindi toccò a Tyras. Histria
ebbe una sorte peggiore: fu assediata, vennero
abbattute le mura, i suoi possedimenti occupati mentre
i suoi cittadini vennero fatti schiavi. La stessa
sorte toccò a Tomi, mentre atti di forzosa alleanza
vennero stretti con Odesso, Mesembria e Apollonia, le
cui sorti vennero riportate su epigrafi. La città di
Dionysopolis, fu l’unica ad avere un leggero
trattamento di favore grazie ai legami di amicizia
stabiliti molto tempo prima coni Daco-Geti ma,
tuttavia venne sottomessa, proseguendo le sue
incursioni conquistando persino la
celtica
Aliobrix (Cartal,
Bessarabia meridionale, nell'odierna
Ucraina),
Adesso, al termine di questa campagna, tutto il litorale
pontico, da Olbia ad Apollonia, era sotto il controllo
dacico. La conquista delle città greche dava motivo di
doppio gaudio in quanto oltre ai vantaggi
politico-militari consegnava ai geti enormi vantaggi
economici.
Nel periodo compreso tra il 60 e il 48 a.C., Burebista
aveva creato un potente stato i cui confini avevano
proporzioni insperate e che raggiungevano verso ovest
il medio Danubio, a nord la Morava, fino ad
arrampicarsi sulle creste dei Carpazi verso est
superava la Dobrugia giungendo fino ad Olbia, mentre a
sud guardavano dalla cime dei monti Haemus la penisola
ellenica.
Tuttavia il solo ed unico nemico rimaneva Roma, che durante
la metà del I sec. a.C., era sconvolta dalla guerra
civile tra Cesare e Pompeo.
D’altro canto se realmente, come riferisce Strabone,
l'esercito getico poteva raggiungere i 200.000
effettivi, è piuttosto scontato che il re stesso fosse
temuto dai Romani a causa della sua audacia
espansivistica. Tant’è vero che Burebista cercò di
approfittare della situazione, vedendo in Pompeo
l’uomo che avrebbe prevalso nella lotta intestina
della Repubblica.
Il principe dace invia in qualità di messo, all’inizio del
48 a.C., Acornion di Dionisopoli nella città macedone
di Heraclea Lincestide, affinché s’accordasse con
Pompeo. Burebista, per bocca dell’ambasciatore,
promette il suo aiuto, reclamando come controparte il
riconoscimento del suo nuovo stato. I cittadini di
Dionisopoli, entusiasti di questa proposta, nel
decreto votato in onore del Acornion, definiranno
Burebista "il primo ed il più grande dei re della
Tracia".
L’aiuto venne troppo tardi, i Daci, pronti a partire in
aiuto di Pompeo, si arrestano per la sconfitta da lui
patita a Farsalo, nell'estate del 48 a.C., che faceva
di Cesare, ormai capo indiscusso e padrone di Roma, il
generale pronto ad intervenire per ridimensionare il
potere e la politica dello stato dacico, in questo
modo avrebbe ottenuto il protettorato sulle colonie
greche del Ponto Eusino ed inoltre avrebbe ridotto
fisicamente il nuovo regno ad una entità di tipo
satellitare per Roma.
Non si tratta di ipotesi: Svetonio e Plutarco affermano che
Cesare stava progettando esplicitamente due spedizioni
militari: contro i Parti e contro i Daci; cosa di cui
dovette essere al corrente anche il re dace che,
mentre il dittatore di Roma stava raccogliendo i fondi
per realizzare i suoi progetti con campagne sporadiche
in Egitto, Asia Minore, Africa e Spagna, iniziava una
politica accorta tesa all’organizzazione difensiva
dell’Impero daco-getico.
Non riuscì però a vedere il momento in cui romani e daci si
sarebbero affrontati poiché, Burebista venne ucciso da
una congiura dei capi dell'aristocrazia tribale di
tipo federale che non accettava l’accentramento
dell'autorità a scapito dell'antica autonomia.
Con la morte, quasi contemporanea del dittatore romano,
cadde il pericolo della conquista romana tanto che
alcune spinte autonomistiche ebbero la meglio
sull’Impero centrale che iniziò a smembrarsi
soprattutto lungo le linee di confine. Lo stato non
scompare, come attestano i rinvenimenti archeologici,
anzi stranamente sembra che la continuità lineare
della società dacica, facente capo al nucleo che si
trovava sui Monti di Orăştie, continua lungo i binari
costruiti dal suo unificatore.
I successori di Burabista li conosciamo da un lista
compilata da lordanes e da una serie di fonti
letterarie ed epigrafiche che consentono, se messe
insieme di ricostruire i signori dell’Impero
daco-getico fino alla sua fine.
Deceneo, sacerdote e vice del predecessore, regnò pochi
anni che ci sfuggono a causa della mancanza di limiti
cronologici del regno del suo successore: Comosicus, a
cui successe Coryllus che regnò per 40 anni.
Su Scorilo, padre di quello che sarà l’ultima guida dello
stato dacico, non conosciamo la data della sua presa
del potere ma è valutata dal fatto che il suo regno si
concluse nel 68 o 69 a.C. ca. quando a lui seguì il
fratello Duras-Diurpaneus fino all'87 a.C., anno in
cui Decebalo salirà al potere.
Riteniamo che da uno stato di tipo imperial-centralista, si
sia passati subito dopo ad un potere di tipo federale
vista la presenza di re, principi o signori delle che
governano in aree regionali o sottostati: Dicoames e
Coson in Valacchia, Cotiso nel Banato, Rholes, Dapyx e
Zyraxes in Dobrugia.
Si parla di suddivisione federale poiché, benché il potere
politico era effettivamente autonomo, quello era
comune, centrale e faceva capo alla potente autorità
religiosa della setta sacerdotale che, lo stato
intracarpatico, deteneva. L’unità religiosa era dunque
anche politica, tranne se vogliamo sulle questioni che
potevano riguardare uno solo leader come punto
di riferimento: le fonti romane del periodo di oltre
120 anni, dalla morte di Burebista all'ascesa al trono
di Decebalo, tacciono i rapporti tra Daci e Romani
proprio per l’assenza di riferimenti politici e, al
contrario, riportano qualche sporadico “incidente” di
confine.
Nel 28 a.C. i Daco-geti perderanno la Dobrugia, che i
romani consegneranno, sotto protezione clientelare,
alla dinastia degli Odrisi, mentre nel 4 d.C. il
generale Sesto Elio Cato riuscirà a strappare delle
concessioni e delle posizioni favorevoli a Roma nella
pianura valacca in seguito alla spedizione alla
sinistra del Danubio.
Sappiamo di altre schermaglie in cui alcuni capi di confine
(Coson, Dicomes) rimangono invischiati in timidi
tentativi romani contro lo stato dacico (Citiso), nel
69, nell'82, nell'86 d.C., fino all’avvento
dell’ultimo re dacico in cui i romani si trovano
addirittura nella condizione di subire, nell'inverno
dell’86 d.C. un massiccio attacco contro la Moesia.
I Daci, scendono su buona parte della provincia,
conquistano delle piazzeforti, sconfiggono ed uccidono
il governatore provinciale, Caio Oppio Sabino. Lo
stesso imperatore Domiziano è costretto a mobilitarsi
per respingerli nuovamente oltre il Danubio, che
costringono i romani ad una nuova suddivisione
amministrativa dell’area: la provincia cisdanubiana è
divisa in Moesia Superior e Moesia Inferior.
L'anno successivo, Domiziano, bramoso di rivalsa, nomina il
suo prefetto del pretorio Cornelio Fusco, governatore
della Mosia Inferior e gli ordina di varcare il
Danubio a capo di una spedizione. L'anziano
Duras-Diurpaneus cede il trono al nipote
Decebal-Diurpaneus, perché porti la guerra contro i
romani, il quale non solo vince, ma uccide, anche il
generale romano che si era spinto nei territori
transdanubiani.
Nell’anno successivo, l’88 d.C., i Romani occupano lo
stretto passaggio fra il Banato e la Transilvania
grazie alla vittoria del governatore della Moesia
Superior, Tettio Giuliano, nella battaglia di Tapae.
Decebalo quindi chiede una pace che Domiziano gli
nega, ma che è costretto a concedere a condizioni non
più favorevoli, l’anno seguente a causa della
sconfitta operata dai Marcomanni a danno delle legioni
in Pannonia. Roma firma una pace con il re dacico, che
pur rispondendo alle esigenze dei Romani, tramite il
passaggio di truppe all’interno del territorio rumeno,
faceva di Decebalo un re clientelare; inoltre, per la
prima volta i Romani entravano in possesso di
capisaldi sulla riva sinistra del Danubio, in cambio
dell’invio di istruttori militari, artigiani e anche
denaro.
Decebalo sfrutterà a suo vantaggio la situazione,
facendo costruire ai romani delle fortezze lungo il
fiume e utilizzando le conoscenze edilizie e militari
ed organizzative romane per l’equipaggiamento e
l’addestramento della sua truppa, progettando un
attacco contro Roma. |