N. 18 - Novembre 2006
DACIA:
L'EVOLUZIONE STORICA DELLA ROMANIA
Le origini - Parte I
di
Antonio Montesanti
Quello che ad oggi viene definito fenomeno dacico o
fenomeno rumeno, è sicuramente una delle forme di
cultura più interessanti prodotte dall’Occidente.
L’area compresa tra il Danubio ed i Carpazi
rappresenta da sempre un unicum storiografico che
assume diverse sfaccettature a seconda del periodo
storico, pur mantenendo una sua identità forte ed
indipendente.
Tracce di una cultura autonoma, indipendente, seppur
all’interno di una cultura indo-europea coincide con
l’affermazione delle ondate asiatiche che investono la
regione all'inizio del II millennio a.C.
Questa regione sembra sviluppare, sin dai questi
fenomeni, una sua tipologia, una sua caratteristica
d’approccio culturale verso le nuove culture. La
cultura di queste popolazioni, che ancora non assumono
una conformazione precisa, trae origine probabilmente
nel primo fenomeno di fusione con apporti di tipo
asiatico o come vengono definiti comunemente
indo-europei.
Le
scoperte archeologiche rimangono il maggiore apporto
cronologico e solo alcune di esse possono dare delle
definizioni temporali in termini di milestones
che forniscono una serie di elementi che ne
evidenziano una continuità.
Come per il resto d’Europa, il periodo del Bronzo
Antico, rappresenta il settore di passaggio e di
transizione, che apporta trasformazioni sostanziali
anche. I dati più congrui che sottolineano una certa
ricettività materiale e una certa metamorfosi
culturale, sono dovuti ad un paziente lavoro di
analisi, di catalogazione delle nuove classi ceramiche
e della nuova utensileria metallurgia, oltre che hai
dati obbiettivi ricavati dall’apparizione del rito
d'incinerazione e dagli elementi legati al culto
solare. Questa serie di attestazioni, evidentemente
non definiscono una cieca incamerazione degli elementi
esterni ottenuti con l’arrivo degli indo-europei,
piuttosto si definiscono attestazioni di sostanziali
trasformazioni sociali, economiche e spirituali,
rivisitate, assimilate e fatte proprie.
È
scontato che come tutti i grandi processi di
assorbimento e di interrelazione tra un esterno ed un
interno non dobbiamo immaginare che tali processi sino
comunque stati indolore. Un “incontro” di culture
sembra esser stato seguito da un periodo probabilmente
molto instabile di “scontri” e guerre, fino a quando
le due culture non hanno iniziato un lento processo di
integrazione reciproca in cui le culture dell'epoca
del bronzo cominciano a stabilizzarsi, iniziando ad
assumere quei tratti caratteristici che si spingeranno
fino al primo secolo della nostra era.
Tuttavia, anche in questo caso non dobbiamo ritenere
questo processo come un evento statico e ormai
acquisito. Una serie di evoluzioni conducono ad una
formazione sempre più salda, variegata, definita e
proprio per il suo carattere d’apertura verso
l’esterno, indefinita. Con la fine del Bronzo Medio si
assiste ad un nuovo periodo in cui questa volta,come
in una sorta di rigurgito, l’Occidente apporta tramite
nuove migrazioni, e nuove penetrazioni di tribù
nomadi, il suo apporto innovativo.
Da
questo momento in poi, possiamo dire dalla fine del
Bronzo Medio che la regione carpatica ed in
particolare quella rumena, si omologa, identifica ed
aggancia ala cultura egea. Infatti come processo
culturale, gli archeologi ammettono che all’interno di
un quadro culturale autonomo ed indipendente europeo,
in cui le varie facies culturali del bronzo autoctono
si diversificano le une dalle altre, arrivano a
definire i sintomi degli elementi della civiltà
materiale e culturale, privi di una soluzione di
continuità e che giungerà fino all'epoca dacica, senza
subire stravolgimenti bensì solo intromissioni.
La
conferma di quanto avviene nelle ultime fasi del
Bronzo Medio è confermato dalla cultura Suciu de Sus,
che viene considerata, per la sua originalità, una
delle culture più caratteristiche comparse sul suolo
rumeno.
Problematiche che un tempo affliggevano gli archeologi,
sulla genesi della cultura medesima, ad oggi,
nell’attesa di qualche interessante rinvenimento che
possa spiegare una provenienza culturale, sono
totalmente dissolte nell’osservare l’aggancio nel
periodo massimo di splendore, ad un forte influsso
della cultura micenea. In questo modo, e come accade
per l’area mitteleuropea, ma in maniera più evidente,
nella sua fase tarda trasforma i suoi tratti verso una
cultura che precede di fatto quella hallstattiana,
della prima età del ferro.
Esempio di questa situazione è dato dalla necropoli
tumulare della località di Lăpuş, in cui si evidenzia
il passaggio verso quest'epoca. Nel sito Ivi sono
stati scoperti diversi complessi funerari estremamente
ricchi di materiali da deposizione, che grazie ad un
uso piuttosto vasto della necropoli, se ne intravede
un'evoluzione graduale verso l'Hallstatt incipiente.
Insieme all’oro, l’argento, la pasta vitrea e vari
materiali è soprattutto la ceramica, ritrovata nei
tumuli di Lăpuş, nelle sua notevole varietà di forme,
a dare una sintomatica conoscenza cronologica e
regionale. Vasi di oblazione, forni portatili,
scodelle, tazze e brocche ad anse sopraelevate, con o
senza bottoni, i vasi bitroncoconici, cilindrici, le
coppe a piede, i coperchi, i vasi per le provvigioni
rappresentano appena qualche classe, laddove le forme
rappresentano l’aspetto materiale della necropoli di
Lăpuş, le decorazioni, particolarmente varie e che ci
restituiscono una vasta gamma di fregi e di tecniche
d'abbellimento della ceramica ci restituiscono
l’aspetto culturale.
Al
contrario di forme artistiche piuttosto comuni
nell’Europa centrale, le incisioni, scanalature,
strisce a zig-zag excise e protuberanze risultano
essere abbinati secondo una chiave artistica che
ricorda il gusto elladico.
I
legami, dunque, col mondo miceneo oltre ad essere a
portata di mano, evidenti, danno delle indicazioni
cronologiche fondamentali per comprenderne le fasi
temporali con un assorbimento culturale, che assume il
suo apice nel XVI a.C., periodo a cui si attribuisce
quello splendido manufatto rappresentato dalla c.d.
scure a disco e a spina, di Valea Chiorului (Bronzo
Medio B).
Il
grande deposito di Uioara de Sus, seguito da quelli
minori di Guşteriţa, Şpălnaca, contenente oltre 5000
pezzi, tra frammenti di utensili e parti di bronzo,
dimostra che la produzione di manufatti metallici si
viene a sviluppare fino a raggiungere l'apogeo nel
periodo Hallstatt A.
Quest’insieme di scoperte, sommate tra loro, evidenzia
la funzione di particolare sviluppo dell’opera delle
officine di fusione nel periodo Hallstatt A, questo
indica non solo una certa apertura con l’estero, ma
anche l’apporto, in un modo o in un altro, di nuove e
più veloci tecniche di fusione che valorizzano il
supporto minerario dell’intera area ai sui abitanti.
Durante il periodo seguente, l’Hallstatt B, il numero
dei depositi e degli oggetti all’interno di essi
scende notevolmente ed invece appaiono diverse
categorie di oggetti del tutto nuovi che vengono ad
incontrarsi paradigmaticamente all’interno dei
depositi di Hida e Sîngeorgiul de Pădure.
Quindi se nell’Hallstatt A abbiamo una sorta di
incameramento quantitativo, nel periodo B troviamo una
certa differenziazione qualitativa degli oggetti.
Nel
terzo ed ultimo periodo, Hallstatt C, avviene il
passaggio tanto atteso dal bronzo al ferro; il primo
perde sensibilmente la sua importanza e viene relegato
ad un ruolo per fabbricare oggetti e suppellettili più
raffinate che necessitano di una maggiore duttilità
mentre il secondo è adoperato soprattutto per quanto
riguarda l’apparato bellico come si riscontra nei
rinvenimenti di Coldău e Alba lulia.
Partendo dai manufatti bellici, a mano a mano che si
assume una certa coscienza dell’uso del materiale
ferroso sempre più oggetti e sempre più forme in lega
come quelle provenienti da Lăpuą, Teleac e Turnişor,
vengono sostituiti da quelli in ferro, il che sancisce
un passaggio piuttosto “morbido”, tra il tardo
Hallstatt e il primissimo periodo di La Tene,
attraverso una duplicazione degli oggetti e non
tramite una serie d’ispirazioni ex novo o
d’importazione.
Esempio standard del progresso appena descritto è una
tipica ascia a cannone in ferro del tumulo n. 1 della
necropoli di Lăpuş che, insieme al pezzo omologo
proveniente da Turnisor (Sibiu), rappresenta uno dei
più pezzi più antichi lavorati in ferro sul territorio
rumeno, la cui produzione sconfina nel tardo periodo
del bronzo.
Lăpuş rappresenta un’enorme officina sia nel senso
effettivo della parola, sia in quello figurato di
questa prima età del ferro rumena; a dare delle nuove
indicazioni non sono esclusivamente gli oggetti di
metallo ma anche la ceramica che contribuisce in
maniera determinante ad inquadrare questa delicata
fase di passaggio.
Laddove la situazione si presta a certe
caratterizzazioni, dovute all’ingresso di potenzialità
culturali dal resto dell’Europa continentale, ovvero
nel nord del paese, le culture del bronzo autoctone si
fondono con le correnti esterne dando origine a forme
ceramiche e a decorazioni del tutto peculiari. Queste
tipologie di recipienti tipici del periodo
hallstattiano rappresentano l’elemento embrionale
della prima produzione ceramica dacica: vasi
bitroncoconici, alcuni in pasta nera lucidata, a
larghe scanalature orizzontali, del Bronzo Tardo da
Pecca; scodelle con escrescenze sotto il labbro da
Dumbrăviţa.
Tuttavia, così come è possibile stabilire dei rapporti
chiari di un crescendo culturale autonomo dacico sin
dalle ultime battute dell’ultima età del Bronzo, allo
stesso modo rimangono oscuri molti punti che in alcuni
casi si pongono addirittura su un piano di frattura
piuttosto evidente spesso non spiegabile. Gli
archeologi sono convinti che con la nuova apertura
verso l’Europa, registrabile solamente da un
quindicennio a questa parte, le lacune potranno essere
colmate in ragione al confronto dello studio delle
culture, tracia, illirica o scitica.
L’unica casualità costruttiva, degna di un processo
singolare è dato dall’incidentalità a carattere
regolare degli scambi commerciali che interessarono
l’intera area.
Oltre a facilitare i contatti tra i Daco-Geti e le
civiltà circondariali, il fenomeno di scambio ha
prodotto uno sviluppo economico e culturale, di tipo
interscambista.
La
Romania deve comparsa e sviluppo di questa complessa
forma di scambio alla ricchezza del suo suolo e
sottosuolo e soprattutto alla forma di sviluppo e
lavorazione dei prodotti ricavati, una superproduzione
che ha generato un'eccedenza di beni rispetto al
consumo interno.
Inoltre fisiacamente, l’intera “nazione” gode di vie
di comunicazione terrestri, e fluviali, che hanno
facilitato lo sviluppo commerciale. Non sarà un caso
se nel corso dei secoli, le vie di comunicazione delle
regioni daco-getiche sono state tra le più
privilegiate: oltre la presenza di un fiume altamente
navigabile che sfocia nel Ponto Eusino, rese l’area
estremamente connessa con indoscizia, l’europa
centrale e meridionale e con aree anatomiche e
caucasiche.
La
fitta tela composta dall’asse danubiano, irrorato da
numerosi fiumi navigabili per lunghi tratti e i lunghi
ed agevoli passi attraverso le aree montuose, ha reso
estremamente semplice il rapporto
idrogeologia-commercio.
Scambi commerciali veri e propri, basati su una
sintomatologia complessa ma schematicamente
ripetitiva, indicano l’apertura di rotte commerciali,
carovaniere già alla fine dell'epoca halstattiana e
soprattutto nell'epoca di La Tene, quando gli scambi,
ormai regolari, non solo raggiungono uno sviluppo a
livello volumetrico e geografico estremamente elevato
che conducono naturalmente a profondi mutamenti
economici, sociali e politici.
Gli
studiosi, comunque, sono piuttosto coscienti di due
dati/fattori fondamentali da cui possono gettare le
basi per una ricerca scientifica di grande sviluppo:
a)
i parametri di avvio e di termine di un processo
storico/sociale piuttosto chiaro, l’elemento di
partenza riconoscibile dopo le “interferenze”
hallstattiane e micenee, che danno luogo alla nascita
di una identità culturale dai caratteri propri e che
si manifesta ai nostri occhi tra il XV e il XIV sec.
a.C. e quello di arrivo ben riconoscibile nelle fonti
e sul territorio definito come Età Daciaca, in cui non
si vogliono come punti identici di uno stesso processo
ma si definiscono vicendevolmente secondo una certa
serie di elementi estremamente variabili che in alcuni
casi si perdono ed in altri si aggiungono.
b)
L’etnia dacica è una risultanza temporale risultante
dall’incontro di vari fattori e incidenze storiche
che, proprio per questo motivo, è priva di ogni
linearità nel suo processo evolutivo.
All’interno di questo processo, che va dalla tarda età
del Bronzo a quella dacica, si intravedono, per quanto
possibile, diverse fasi oscure, di rallentamento o di
evoluzione o sviluppo improvvisi, dovute a cause
interne o esterne: invasioni, spopolamenti temporanei,
espansioni, nuove tecnologie, commercio. |