N. 119 - Novembre 2017
(CL)
Le invasioni barbariche
Romani e Barbari nel IV secolo d.C.
di Annalena Iannucci
Le
invasioni
barbariche
rappresentano
un
importante
fattore
di
quella
trasformazione
sociale
che,
in
modo
graduale,
portò
alla
caduta
dell’impero
romano
ed
ebbero
un
ruolo
preminente
nell’ambito
della
formazione
della
cultura
europea
occidentale.
Non
è
del
tutto
chiaro
quando,
nel
mondo
germanico,
si
cominciò
ad
avere
notizia
di
Roma,
ma
già
nel
113
a.C.
i
germani
Cimbri
e
Teutoni,
partendo
dai
territori
scandinavi,
entrarono
nelle
regioni
danubiane,
istituendo
quel
lungo
processo
di
invasioni
nel
territorio
romano
da
parte
di
popoli
extra-romani.
Nella
cultura
classica
il
termine
barbarus,
che
ha
un
origine
greca,
non
indicava
soltanto
uno
straniero
che
si
esprimeva
in
una
lingua
incomprensibile,
ma
indicava
anche
considerazioni
estremamente
negative
dello
stesso
straniero,
in
quanto
egli
era
ritenuto
un
soggetto
inferiore
rispetto
alla
cultura
greco-romana.
Con
il
termine
“barbari”,
generalmente,
i
romani
si
riferivano
alle
numerose
tribù
stabilite
oltre
il
grande
limes
compreso
tra
il
Reno
e il
Danubio.
Si
tratta
di
popoli
descritti
in
modo
estremamente
dispregiativo,
ritratti
come
esseri
semiferini
con
modi
di
vita
e un
tipo
di
cultura
del
tutto
contrapposti
ai
valori
etici
della
romanità.
Il
mondo
romano
esercitava
un
grande
fascino
sui
popoli
germanici:
essi
da
una
parte
provavano
timore
per
quella
grande
potenza
militare,
ma
dall’altra
erano
particolarmente
attratti
da
territori
coltivabili
e
pieni
di
ricchezze.
Il
termine
Germani
viene
utilizzato
tra
le
prime
volte
da
Cesare
quando,
nel
58
a.C.,
dopo
aver
sconfitto
gli
Elvezi,
era
entrato
in
contatto
con
i
capi
delle
maggiori
confederazioni
galliche
che
volevano
l’aiuto
di
Roma
contro
i
barbari
provenienti
da
oltre
il
Reno;
rievocando
quel
colloquio,
Cesare
utilizzò
il
termine
Germania
per
indicare
il
paese
arretrato
e
poco
conosciuto
da
cui
provenivano
gli
invasori
che
chiamò
Germani,
pur
sapendo
che
erano
divisi
in
molte
tribù.
Prima
di
diventare
i
destabilizzatori
dell’impero,
i
barbari
avevano
acquisito
una
condizione
di
clientela
poiché
reclutati
nell’esercito
romano
nei
periodi
di
grande
necessità,
e il
numero
di
individui
che
si
spostava
per
questo
nel
territorio
romano
era
molto
alto.
I
gruppi
di
frontiera
potevano
ottenere
vantaggi
economici
o
subire
attacchi
militari,
situazione
vissuta
con
grande
dramma
da
quelle
popolazioni
sottoposte
a un
atteggiamento
manipolatorio
da
parte
dell’impero,
che,
difatti,
decideva
in
quale
luogo
stabilirli
e
con
chi
dovessero
allearsi.
Una
tipica
caratteristica
della
diplomazia
romana
era
l’elargizione
di
sussidi
che,
in
effetti,
è
una
costante
di
tutta
la
storia
romana.
Essi
servivano
a
mantenere
al
potere
i
sovrani
delle
tribù
barbare
con
cui
Roma
aveva
appena
stipulato
accordi
e di
conseguenza
rappresentavano
un’effettiva
possibilità
di
creare
relazioni
pacifiche
con
quei
sovrani.
I
sussidi
potevano
corrispondere
sia
a
ricompense
in
denaro
sia
a
metalli
preziosi
o a
merci
romane
molto
pregiate:
si
tratta
di
fonti
di
ricchezza
molto
importanti
per
il
mondo
germanico
e
spesso
queste
innescavano
una
certa
brutale
concorrenza
tra
i
potenziali
beneficiari.
Sostanzialmente,
il
rapporto
dei
popoli
germanici
con
Roma
si
può
inquadrare
come
un’alternanza
di
conflitti
feroci
e
negoziati
pacifici.
Non
era
possibile
accedere
liberamente
all’impero;
le
truppe
stabilite
lungo
il
confine
avevano
il
compito
di
controllare
l’ingresso
di
uomini
e
merci;
tuttavia,
entrare
o
uscire
dall’impero
non
era
né
impossibile
né
vietato.
Quindi,
una
forma
di
immigrazione
clandestina
individuale
verso
l’impero
era
sempre
esistita
e,
oltre
tutto,
ci
sono
diverse
testimonianze
di
fenomeni
di
discriminazione
frequenti
soprattutto
all’interno
delle
città.
Apuleio,
infatti,
descrisse
situazioni
di
razzismo
che
caratterizzarono
le
città
dell’impero
nella
società
pacifica
del
II
secolo,
laddove
tra
il
popolo
si
diffuse
il
concetto
di
contemptus
peregrinationis.
L’impero,
per
molto
tempo,
gestì
in
modo
proficuo
questa
forma
di
immigrazione,
perché
impiegava
i
barbari
nella
produzione
agricola,
facendoli
lavorare
nei
latifondi
e
nei
reparti
dell’esercito:
nell’età
giulio-claudia,
ad
esempio,
accogliere
profughi
e
reinsediarli
nelle
strutture
della
società
era
un
espediente
praticato
da
tutti
i
sovrani
che
volevano
attuare
un’organizzazione
pacifica
delle
province
conquistate.
Complessivamente,
anche
per
l’età
della
tetrarchia
si
riscontra
una
sostanziale
politica
di
ripopolamento
e
deportazione.
Queste
operazioni
di
stanziamento
furono
portate
avanti
dall’imperatore
Costantino
durante
gli
anni
del
suo
regno,
soprattutto
nel
periodo
in
cui
diverse
popolazioni
semi-nomadi
si
spostarono
lungo
le
steppe
del
Danubio.
Un
avvenimento
particolarmente
significativo
che
determinò
una
sostanziale
svolta
nel
rapporto
tra
romani
e
barbari
fu
la
spedizione
punitiva
condotta
a
danno
dei
Goti
nel
332,
quando
Costantino
impose
agli
sconfitti
un
accordo
in
base
al
quale
i
Goti
diventavano
alleati
dell’impero
e si
impegnavano
a
fornire
circa
40.000
uomini
in
caso
di
guerra,
ottenendo
in
cambio
un
pagamento
in
sussidi.
La
tradizione
anti-costantiniana
considera
Costantino
il
responsabile
del
processo
di
“barbarizzazione”
dell’esercito
non
solo
per
i
vari
cambiamenti
apportati
nelle
sue
strutture,
ma
anche
per
la
possibilità
che
aveva
dato
a
essi
di
accedere
a
cariche
elevate.
Ad
ogni
modo,
sembra
sia
stata
una
necessità
reclutare
barbari
nell’esercito
in
quel
periodo,
probabilmente
per
le
varie
difficoltà
riscontrate
nel
reclutamento
di
cittadini
romani.
Sostanzialmente,
l’accordo
del
332
garantì
una
situazione
pacifica
per
circa
trent’anni
e
legò
i
Goti
all’impero
in
modo
abbastanza
elastico.
Dopo
la
fine
della
dinastia
di
Costantino
e la
salita
al
trono
dell’imperatore
Valente,
avvenuta
nel
364,
il
rapporto
tra
Romani
e
Goti
cominciò
a
incrinarsi:
quando
il
generale
Procopio
si
ribellò
proclamandosi
imperatore,
i
Goti
guidati
da
Atanarico
si
schierarono
dalla
sua
parte,
ma
Valente
sedò
subito
la
rivolta.
Il
trattato
del
332
fu
modificato
in
modo
sfavorevole
per
i
Goti,
i
quali
persero
l’annona
e i
rifornimenti
che
di
solito
acquistavano
liberamente,
per
cui
in
una
grave
situazione
di
povertà
chiesero
e
ottennero
la
pace.
La
situazione
precipitò
drasticamente
quando
nel
376
i
Goti
tervingi,
avendo
subito
l’aggressione
del
popolo
unno,
tentarono
di
entrare
all’interno
dell’impero
chiedendo
asilo
e
protezione.
Tuttavia,
non
fu
l’arrivo
di
una
numerosa
quantità
di
barbari
a
causare
il
conflitto
drammatico
sfociato
nella
battaglia
di
Adrianopoli,
bensì
i
vari
errori
commessi
nella
gestione
di
un
vero
e
proprio
processo
migratorio.
In
una
fase
iniziale,
il
governo
e
l’esercito
erano
particolarmente
favorevoli
all’ingresso
dei
barbari
nell’impero,
perché
vedevano
in
essi
un
cospicuo
materiale
umano
da
sfruttare.
Infatti,
fin
da
subito
i
comandanti
dei
presidi
e
gli
ufficiali
dell’esercito
che
gestivano
l’ingresso
dei
barbari
approfittavano
del
loro
ruolo
per
sottoporli
ad
aggressioni
e
brutalità,
privandoli
del
vettovagliamento
e
della
possibilità
di
stabilirsi
nelle
sedi
definitive.
Quando
l’insoddisfazione
dei
Goti
divenne
incontrollabile,
la
situazione
precipitò
in
una
grave
forma
di
ribellione
concretizzatasi
nei
due
anni
di
battaglia
ad
Adrianopoli,
dove
l’esercito
romano
fu
distrutto
e lo
stesso
imperatore
Valente
perse
la
vita.
È
significativo
che
per
molti
storici
la
battaglia
di
Adrianopoli
segni
la
fine
dell’Antichità
e
l’inizio
del
Medioevo,
laddove
essa
viene
vista
come
il
processo
che
mise
in
moto
quel
susseguirsi
di
avvenimenti
che
poi
causò
la
caduta
dell’impero
romano
d’Occidente.
La
gravità
di
quanto
avvenuto
non
dipese
soltanto
dall’effettivo
numero
di
barbari
entrati
nell’impero,
ma
anche
dal
comportamento
del
governo
imperiale
che
preferì
attuare
una
serie
di
trattative
finalizzate
a
dare
determinate
concessioni
ai
Goti.
Dopo
la
morte
di
Valente,
l’imperatore
Graziano
nel
379
proclamò
imperatore
della
parte
orientale
dell’impero
il
generale
spagnolo
Teodosio.
Quest’ultimo
si
preoccupò
subito
di
ricostituire
l’esercito
e
affrontare
i
Goti
soprattutto
attraverso
tre
leggi
importanti:
-
gli
uffici
di
leva
dovevano
arruolare
subito
tutti
i
coscritti,
-
-
i
latifondisti
dovevano
fornire
la
loro
quota
prelevando
uomini
fra
i
contadini
che
lavoravano
per
loro,
- -
tutti
i
disertori
venivano
condannati
alla
pena
di
morte
qualora
non
fossero
entrati
nell’esercito.
Ad
ogni
modo,
lo
scopo
di
Teodosio
non
era
quello
di
combattere
i
Goti,
bensì
di
contrattare
con
loro
per
poi
spingerli
ad
accettare
un
negoziato
ragionevole
laddove,
sebbene
i
barbari
avessero
vinto
ad
Adrianopoli,
la
loro
situazione
era
pur
sempre
precaria.
Dopo
una
serie
di
trattati,
nel
382
Teodosio
stipulò
un
accordo
che
rappresenta
una
svolta
estremamente
significativa
nella
misura
in
cui
i
barbari
venivano
integrati
nell’impero
attraverso
basi
giuridiche.
Molti
gruppi
di
Goti
furono
impiegati
nei
latifondi,
mentre
per
quanto
riguarda
il
loro
reclutamento
nell’esercito,
nonostante
fosse
già
stato
attuato
ampiamente,
presentò
comunque
delle
differenze
in
termini
quantitativi,
in
quanto
Teodosio
oltrepassò
di
gran
lunga
il
numero
dei
soldati
barbari
stabilito
dai
suoi
predecessori.
In
questi
anni
acquista
maggiore
rilevanza
il
processo
di
assimilazione
dei
Goti
alla
cultura
romana:
essi
diventano
soldati
romani
a
tutti
gli
effetti,
garantiscono
fedeltà
all’impero,
si
convertono
al
cattolicesimo
e
seguono
la
disciplina
romana.
In
questo
processo
l’esercito
rappresenta
proprio
la
struttura
maggiormente
in
grado
di
gestire
questa
forma
di
integrazione
perché
assorbiva
i
barbari
e li
trasformava
nei
veterani
romani
che
erano
il
vero
pilastro
dell’impero.
Bisogna
considerare
che
non
sempre
i
Goti
erano
assunti
come
soldati
nell’esercito
regolare,
in
quanto
potevano
essere
impiegati
anche
come
mercenari.
Quindi
essi
potevano
diventare
gruppi
militari
autonomi
e il
governo
solitamente
assumeva
poi
il
blocco
per
stabilirlo
in
una
determinata
zona
dell’impero.
I
mercenari
però
erano
sistemati
nelle
varie
abitazioni
dei
cittadini
e
qualora
avessero
commesso
atti
di
violenza
non
c’era
possibilità
di
reclamare
poiché
molto
spesso
le
uniche
truppe
presenti
sul
territorio
erano
proprio
queste
bande
di
mercenari
che
potevano
comportarsi
liberamente.
Anche
quando
nella
stessa
zona
vi
erano
sia
reparti
romani
sia
bande
mercenarie
la
situazione
non
era
pacifica:
i
soldati
romani
manifestavano
una
grande
rivalità
nei
confronti
dei
mercenari,
poiché
questi
ultimi
avevano
una
paga
più
consistente,
inoltre
i
romani
varie
volte
erano
intervenuti
contro
i
mercenari
per
difendere
la
popolazione
da
atti
di
violenza.
In
quest’ultimo
caso
vi
furono
molte
circostanze
in
cui
l’impero
tutelò
i
mercenari
piuttosto
che
i
soldati
romani,
nel
periodo
in
cui
l’imperatore
necessitava
sempre
di
più
della
presenza
dei
barbari.
Infatti,
dopo
la
battaglia
di
Adrianopoli
la
popolazione
dell’impero
non
era
particolarmente
propensa
ad
arruolarsi
mentre,
dall’altra
parte,
i
barbari
rappresentavano
reparti
militari
forti
e
addestrati,
inoltre
erano
ben
disponibili
ad
arruolarsi
in
cambio
di
denaro
e di
rifornimenti
di
viveri.
Uno
dei
principali
fattori
che
rende
chiara
la
forte
assimilazione
dei
barbari
riguarda
il
nome
dei
soldati:
essi
avevano
come
primo
nome
Flavio
poiché
era
il
nome
della
famiglia
degli
imperatori
a
partire
da
Costantino
e
quindi
tutti
gli
immigrati
che
ricevevano
la
cittadinanza
assumevano
quel
nominativo
susseguito
dal
proprio
nome
germanico.
Naturalmente
furono
numerosi
gli
oppositori
della
politica
teodosiana:
molti
politici
sostenevano
che
l'ingresso
dei
barbari
proprio
nelle
strutture
difensive
dell’impero
rappresentasse
un
grande
pericolo.
Infatti,
per
creare
un
esercito
forte
e
stabile
Teodosio
non
poteva
più
privarsi
dei
Goti,
fattore
che
può
essere
interpretato
come
grande
fragilità
dell’impero
e
perdita
graduale
della
sua
autorità.
A
seguito
della
morte
di
Teodosio,
avvenuta
nel
395,
l’impero
precipitò
sempre
di
più
in
una
grave
fase
di
debolezza,
negli
anni
in
cui
i
suoi
due
figli,
due
imperatori
privi
di
autorità,
furono
sottoposti
alle
decisioni
dei
generali
barbari:
i
veri
detentori
del
potere.