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N. 141 - Settembre 2019 (CLXXII)

ROMA: CITTÀ DELLA RESISTENZA

RICORDI DI UNA LOTTA ITALIANA PER LA LIBERTÀ - PARTE II

di Viviana Regine

  

«Il pomeriggio del 9, Raffaele si trattenne ancora in casa, a buttar giù alcuni appunti, per un discorso che avrebbe dovuto tenere l’indomani. Non si sa come abbia trascorso il resto del pomeriggio: probabilmente vide una persona che gli era molto cara. La sera – le notizie erano divenute più allarmanti – stimò opportuno recarsi in casa di un suo cognato, il giornalista svedese Gunnar Kumlien, in via Margutta, dove trascorse la notte.[...] Per prima cosa, l’indomani mattina, il ten. Persichetti (dei Granatieri) si portò al Deposito del suo Reggimento, il 1° Granatieri, ed ebbe notizia che la situazione militare, attorno a Roma, s’era molto aggravata: proprio i Granatieri contendevano il passo ai tedeschi dalle parti della Cecchignola e alcuni elementi avevano già dovuto ripiegare verso la Basilica di San Paolo.Raffaele si avviò verso questa località, con un altro sottotenente di complemento, a piedi. Piovigginava.

 

Passò nei pressi del Colosseo, dove già c’era atmosfera di retrovia. Percorse il viale Aventino, truppe con carriaggi e artiglierie attendevano di essere impiegate: quello spettacolo gli diede la sensazione dell’imponenza della battaglia. Ma ancora non sapeva che la battaglia si svolgeva già nella zona di San Paolo.Giunse all’altezza della Piramide di Caio Cestio (sarà stato mezzogiorno) e qui incontrò il comandante del suo reggimento, colonnello Mario Di Pierro, che dirigeva i combattimenti. Tolse a un soldato morto le giberne e le armi e, cosi, vestito come un garibaldino o un brigante, prese il comando di un plotone di granatieri.

 

Poco lontano di lì, sulla via Ostiense riconobbe il ten. col. Enrico Nisco, che comandava un gruppo di dragoni del “Genova cavalleria”, cui s’erano affiancati alcuni carri leggeri ed alcune camionette dell’8° “Lancieri di Montebello,” al comando del cap. Camillo Sabatini.Non più di una trentina di cavalleggeri, comandati dal cap. Vannetti e dal ten. Guglielmi, difendevano accanitamente una posizione avanzata sullo stradone privo di ripari, press’a poco all’altezza dei mercati generali; e, dai grandi caseggiati, donne e popolani scendevano a tirar via i feriti e a metterli al coperto nei portoni.Più indietro, un altro plotone di cavalleggeri, al comando del ten. San Just, teneva le alture di San Saba, mescolato a un gruppo di civili e, sulla destra della porta di San Paolo, alcune decine di granatieri e di civili, comandati dal cap. Gasparri, sbarravano le strade del quartiere Testaccio.

 

Un po’ dopo le 13 la battaglia si intensificò: l’artiglieria tedesca prese a picchiare duro e alcuni elementi della divisione paracadutisti cominciarono ad avanzare sull’Ostiense, addossati alle case, fino a che la fucileria italiana li costrinse ad arretrare. Cadde, in quella scaramuccia, il ten. Guglielmi, colpito da una granata. Il magg. Tallarico e alcuni civili lo portarono, insieme ad altri feriti, nel portone di uno stabile. Accorsero subito le donne della casa, con pentole d’acqua calda, strisce di lenzuola, coperte, alcool, zucchero.

 

Nella breve pausa che seguì, Raffaele telefonò all’amico Tommaso Carini, per raccomandargli di avviare sul posto altri compagni armati. Telefonò dal bar che è all’angolo del viale Aventino e lì Carini avrebbe richiamato: Raffaele lasciò a uno dei camerieri una piantina della zona, con l’indicazione del luogo di raccolta. Poi tornò con i suoi uomini: saranno state le 14.A quel punto arrivarono, unendosi agli altri difensori di porta San Paolo, i superstiti di un avamposto della “Granatieri” che avevano dovuto ripiegare, con alcuni mezzi corazzati. I mortai tedeschi aumentarono e aggiustarono i tiri: ora i colpi cadevano di là dalle mura.

 

A poca distanza da Raffaele furono colpiti, tra gli altri, il magg. Passeri e il cap. Sabatini del “Montebello”; numerose granate investirono il viale Giotto: una trentina di granatieri e una dozzina di civili furono messi fuori combattimento. Gli androni delle case vicine si riempirono di feriti e di morenti.Alle 14,30, i quadrupedi del “Genova Cavalleria” vennero fatti spostare sulla via Marmorata, al riparo dai colpi; e il col. Nisco, con gli uomini appiedati, prese posizione nei pressi del muro che circonda la stazione Ostiense. In un punto isolato e scoperto il cap. Vannetti, già ferito a un ginocchio, continuò a brandeggiare una mitragliatrice, insieme al dragone Cavalli, fino a che furono abbattuti entrambi da una raffica. Il dragone Panzacchi tentò di raggiungere l’arma e cadde accanto a loro.Anche Raffaele, con alcuni granatieri, fece una sortita per trarre in salvo alcuni feriti. Poi tornò ad appostarsi e a dirigere il fuoco della fucileria contro i paracadutisti tedeschi, che avanzavano a sbalzi di dieci, cinque, tre metri. Teneva d’occhio, intanto, sullo sbocco del viale Aventino, il punto di raccolta dove aveva convocato gli amici.

 

La battaglia ebbe altri alti e bassi, pause di minuti e furiose riprese. Alle 15,10 Raffaele si portò di nuovo al bar e telefonò alla madre, per tranquillizzarla: si scusò di non essere rientrato la notte, la rassicurò che tutto andava bene e le promise di tornare prima di sera. Dovette interrompere più volte il discorso, per tappare il microfono con la mano, perché la madre non si accorgesse degli spari. La madre udì lo stesso i colpi. E non lo vide tornare, la sera.

 

L’indomani mattina, Il padre dott. Giulio telefonò in casa del col. Di Pierro: gli rispose il cap. Vannutelli e gli riferì che, alle ore 14 del 10 settembre, il comando del 1° Granatieri aveva dovuto trasferirsi da porta San Paolo e che, da quel momento, il colonnello e lui stesso avevano perso di vista il ten. Persichetti.

 

Notizie più recenti il padre di Raffaele potè avere, lo stesso giorno, dal giornalista Attilio Battistini che si era trovato a San Paolo durante tutto il corso della battaglia e, dopo le 14, aveva riconosciuto Persichetti: “Ho visto Raffaele,” disse, “lanciarsi allo scoperto e soccorrere i feriti di viale Giotto, per portarli in un punto più riparato. La sua giacca era macchiata del loro sangue”.

 

Quella sera, si presentò a casa Persichetti un granatiere in borghese, che si accingeva a lasciar Roma e voleva aver notizie del ten. Persichetti, a fianco del quale aveva combattuto fin verso le 15 del giorno prima.Solo la mattina di lunedì 13 settembre, i familiari appresero il fatto.

Narra il padre, che vide la salma di Raffaele, accanto a quelle di altri sei militari, nella sala mortuaria dell’ospedale del Littorio: “Sull’abito borghese indossava le giberne, la baionetta mancava dal fodero, da cui appariva come strappata. Raffaele era spirato per ferite da arma automatica alla regione temporoparietale sinistra e mastoidea destra.”

 

Era stato massacrato, insomma. Ma era morto bene. Ed era morto bene anche perché non aveva fatto in tempo a conoscere che, nell’ora stessa in cui egli spirava a San Paolo, con la sua baionetta strappata dal fodero, una piccola nave da guerra che si chiamava “Baionetta” gettava le ancore nel porto di Brindisi, dove portava in salvo il re, il principe, il maresciallo capo del governo e l’alto Comando italiano al completo. […]

 

Qualche volta passiamo per una strada romana, che è come se non esistesse perché fa tutt’uno con piazza di Porta San Paolo e piazzale Ostiense: non c’è un portone, non un numero di telefono. C’è, nei pressi, un piccolo brutto giardino, quasi sommerso nel traffico di tram, autocarri, macchine che transitano senza sosta e di centinaia di persone che corrono sempre, verso le fermate o la stazione da dove partono i treni per Ostia. […] Lì, qualche volta, su una panchina, ci riesce di restar soli con Raffaele a scambiare due parole, a dargli le ultime notizie. Quel posto, che non sembra neppure una strada, si chiama appunto – nessuno lo sa – “Via Raffaele Persichetti”».

Brano tratto da «1943: 25 Luglio – 8 Settembre» di Ruggero Zangrandi (Feltrinelli Editore, 1964)

 

Nella battaglia di Porta San Paolo, oltre al coraggio generale, si distinsero le storie di singoli combattenti: uomini che per rimanere fedeli ai propri ideali, alla propria voglia di libertà e amor di patria misero in pericolo la loro vita per garantirne una migliore ai posteri.

 

Tra questi ricordiamo il granatiere Quaresima, romano, noto a tutto il 1° Reggimento, in quanto “mazziere” abilissimo della Banda Reggimentale. Alzando gli occhi dal mirino, vedeva a non più di cento metri le finestre di casa sua e sapeva che dietro a quelle finestre era tutta la sua famiglia. Neppure per un istante lo sfiorò tuttavia l’idea di rifugiarsi anch’ esso fra tali mura, abbandonando la partita.

 

Altro esempio, sempre di un giovanissimo granatiere romano, della 12a Compagnia del 1° Reggimento, aggregato, in plotone mitraglieri, alla 9a Compagnia: il granatiere Lino Iemali, classe 1923. Durante i cruenti attacchi di artiglieria e di mortai tedeschi alla sua postazione, Forte Ostiense , fu ferito da schegge di mortaio; ma nonostante le ferite e il fatto che la sua casa distava dalla postazione non più di duecento metri, Iemali non pensò mai di ripararsi ma, anzi, aiutò a mettere in salvo un altro commilitone.

 

Trentacinque anni dopo, rivedendosi a Roma con il Tenente Capello della 9a Compagnia che comandava la postazione, si sentì porre da quest’ ultimo il quesito: «sono 35 anni che mi chiedo come mai non te la sei squagliata come tanti altri militari, trovandoti a due passi da casa». Ed il granatiere Iemali si limitò a rispondere: «Perché ero un fregnone!» E il suo coraggio non si fermò a questo evento. Continuò a servire eroicamente il suo paese quando, dopo il 4 Giugno 1944 si ripresentò volontariamente per essere arruolato in uno dei Battaglioni Granatieri, incorporati nei Gruppi di Combattimento, e partecipò con essi alla Guerra di Liberazione.



 

 

 

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