N. 140 - Agosto 2019
(CLXXI)
Roma: città DELLa Resistenza
Ricordi
di
una
lotta
italiana
per
la
Libertà
-
parte
i
di
Viviana
Regine
L’immaginario
comune
vuole
la
Resistenza
come
lotta
contro
il
nazifascismo
confinata
agli
attacchi
avvenuti
tra
le
montagne
del
nord
Italia.
Ma
la
Resistenza
non
è
solo
questo.
La
lotta
di
molti
italiani
per
la
libertà
si è
svolta
anche
nelle
principali
città,
che
oggi
ne
conservano
ancora
la
memoria.
A
quanti
di
noi
sarà
capitato
di
fare
un
giro
per
Roma,
qualsiasi
zona,
e
trovarsi
davanti
un’epigrafe
o un
monumento
senza
sapere
che
in
quel
momento
si
stava
attraversando
un
luogo
che
è
stato
teatro
della
lotta
di
tantissimi
soldati
per
la
libertà?
Il
ponte
della
Magliana,
che
scavalca
il
Tevere
tra
Pian
due
Torri
e
via
del
Cappellaccio
ed
unisce
i
quartieri
Portuense
ed
Ostiense,
rispettivamente
sulla
riva
destra
e
sinistra
del
fiume,
fu
nelle
giornate
dell’8,9
e 10
settembre
1943
teatro
di
uno
dei
momenti
più
tragici
e
cruenti
della
difesa
di
Roma
da
parte
dei
combattenti
della
Divisione
“Granatieri
di
Sardegna”
e
degli
altri
Reparti
(carabinieri,
cavalieri,
carristi,
artiglieri,
bersaglieri,
genieri)
contro
le
truppe
germaniche
che
intendevano
occupare
la
Capitale.
La
Divisione
si
trovava
schierata
nel
settore
meridionale
di
Roma
su
un
fronte
a
semicerchio
a
cavallo
del
Tevere:
un
fronte
lungo
ventotto
chilometri,
distinto
in
due
settori
e
sistemato
su
13
caposaldi
campali.
Il
caposaldo
numero
5
sbarrava
la
via
Ostiense
e
,insieme
ai
caposaldi
numero
6 e
7,
fu
destinato
all’attacco
più
violento.
Era
situato
all’altezza
della
Chiesa
dell’Esposizione
’42
(attuale
Basilica
dei
Santi
Pietro
e
Paolo
all’EUR)
ed
era
in
una
posizione
di
vitale
importanza
per
i
tedeschi,
sia
che
avessero
intenzione
di
entrare
a
Roma
sia
che
intendessero
risalire
verso
il
nord.
È
dunque
chiaro
che
il
ponte
della
Magliana
rappresenta
uno
dei
punti
cruciali
per
quanto
riguarda
la
lotta
all’invasione
tedesca.
La
lotta
per
la
difesa
di
Roma
nei
pressi
del
ponte
della
Magliana
iniziò
alle
22.10
dell’8
settembre,
quando
il
primo
colpo
fu
sparato
nella
zona
sud
del
caposaldo
numero
5.
Poco
prima
una
camionetta
tedesca
si
presentò
al
posto
di
blocco
antistante
al
caposaldo.
I
due
soldati
tedeschi
che
la
guidavano,
rispondendo
al
granatiere,
dissero
“per
voi
la
guerra
ormai
è
finita,
andatevene
a
casa”.
Non
avendo
avuto
ordine
di
non
lasciar
passare,
i
granatieri
avevano
permesso
il
passaggio
ai
due
militari
tedeschi.
Alcuni
paracadutisti
nemici
si
presentarono
davanti
al
posto
di
blocco,
nelle
vicinanze
del
Ponte
della
Magliana,
trassero
in
inganno
i
militari
di
guardia
e
catturarono
i
granatieri.
Successivamente
un
ufficiale
tedesco,
dalla
via
Ostiense,
si
presentò
al
caposaldo
e
richiese
al
capo
di
Stato
Maggiore
che
la
divisione
“Granatieri
di
Sardegna”,
e in
primo
luogo
il
caposaldo
numero
5,
si
arrendessero
perché,
spiegò,
“la
guerra
degli
italiani
era
ormai
finita”.
La
risposta
italiana
arrivò
alle
22.10
quando,
dalla
batteria
situata
sulla
collina
dell’Esposizione,
furono
sparati
i
primi
colpi
di
cannone.
Iniziò
così
quella
lotta
sanguinosa
che
doveva
estendersi
a
tutto
il
fronte
della
Divisione
e
che
doveva
durare
fino
alle
ore
16,10
del
10
settembre
1943.
I
tedeschi,
essendo
consapevoli
dell’importanza
di
una
vittoria,
avevano
intenzione
di
condurre
la
lotta
senza
esclusione
di
colpi;
arrivando
ad
imprigionare
e
mostrare
un’
iniziale
intenzione
di
passare
per
le
armi
il
comandante
del
caposaldo
e il
tenente
colonnello
quando
questi
andarono
a
parlamentare.
Nel
frattempo
la
battaglia
diventava
sempre
più
sanguinosa;
senza
conoscere
interruzioni
di
raffiche
di
mitragliatrici
o
scoppi
di
bombe
a
mano.
Il
caposaldo
numero
cinque
era
la
via
più
rapida
per
i
tedeschi
per
entrare
nella
Capitale,
e
questi
ultimi
fecero
di
tutto
per
eliminare
il
prima
possibile
l’ostacolo
della
Resistenza
armata
che
impediva
loro
di
realizzare
l’occupazione
di
Roma.
Erano
molti
i
vantaggi
dei
tedeschi:
la
sorpresa,
aggravata
dall’inganno
che
i
parlamentari
avevano
tentato,
il
fatto
che
il
conflitto
si
svolgesse
durante
la
notte;
ma
soprattutto
pesava
a
vantaggio
tedesco
l’esperienza,
il
valore
e,
soprattutto,
il
numero
dei
paracadutisti
nettamente
superiori.
Lungo
il
vialone
dell’E42
nuclei
di
paracadutisti
germanici
e
armati
Alto
Atesini
minacciavano
e
gridavano
contro
gli
italiani:
“Granatieri,
è
finita
la
guerra,
basta
con
la
guerra,
andiamo
a
casa!”,
ed
altri
paracadutisti
arroccatisi
in
alcuni
punti
tatticamente
importanti
nelle
zone
rendevano
la
situazione
ancora
più
caotica
minacciando
di
conquistare
facilmente
il
posto
di
blocco.
A
causa
della
gravità
della
situazione,
entra
il
campo
il
Battaglione
di
riserva
,
comandato
dal
maggiore
Costa,
che
parte
dalla
zona
delle
Tre
Fontane
e,
attraverso
la
campagna,
si
porta
alle
spalle
del
caposaldo
numero
5.
Giunto
all’altezza
della
Stazione
della
Magliana,
il
Battaglione
Costa
incontra
un
reparto
della
P.A.I.
(Polizia
Africa
Italiana)
attestato
sull’autostrada,
il
quale,
al
primo
segno
di
pericolo,
si
sbanda
e
ripiega
verso
Roma,
abbandonando
in
gran
numero
anche
i
suoi
autocarri
armati.
Il
Battaglione
dei
Granatieri
assunse
formazione
di
combattimento
e
avanza
verso
il
Caposaldo.
Sono
due
ufficiali
tedeschi
a
bloccare
l’avanzata
del
Battaglione
utilizzando
contro
il
maggiore
Costa
una
tattica
per
loro
abituale:
il
tentativo
di
temporeggiare
con
forme
concilianti,
per
poi
aggredire
all’improvviso.
Così
la
compagnia
di
testa
è
sottoposta
repentinamente
ad
un
violento
attacco:
raffiche
di
mitragliatrici
e di
bombe
a
mano
infliggono
ai
granatieri
dolorose
perdite,
ma
la
reazione
degli
italiani
è
immediata.
Il
fuoco
italiano,
in
particolare
quello
delle
mitragliatrici
della
compagnia
del
Capitano
Pomares
Valentino
travolge
e
blocca
l’avanzata
di
una
forte
autocolonna
tedesca
che
cercava
di
avanzare
velocemente
verso
Roma,
costringendola
a
retrocedere
precipitosamente,
abbandonando
sul
campo
di
battaglia
morti
e
feriti.
Sono
circa
le
due
di
notte:
la
situazione
al
Caposaldo
numero
5
resta
grave.
Il
Comando
di
Reggimento
chiede
rinforzi
per
la
rioccupazione
totale
della
posizione
attaccata.
Arriva
in
loro
soccorso,
allora,
il
reparto
corazzato
(RECO)
del
Reggimento
Montebello
della
Divisione
Ariete,
al
Comando
del
Colonnello
Giordani.
Esso
scende
dal
nord:
attraversa
nella
notte
le
vie
di
Roma;
varca
San
Paolo
fino
a
Via
Ostiense
per
giungere
alle
cinque
del
mattino
del
9
settembre
alla
Montagnola,
presso
il
Comando
del
1°
Reggimento
Granatieri.
Un
reparto
RECO
rimane
alle
Tre
Fontane
per
coprire
eventuali
puntate
di
attacchi
tedeschi
sul
fianco
sinistro
dello
schieramento;
il
resto
delle
forze
blindate
si
riversa
sulla
Via
Ostiense
per
sostenere
il
II
Battaglione
dei
Granatieri,
nella
sua
coraggiosa
azione
di
difesa
del
Caposaldo
numero
5.
Passa
una
notte
di
combattimenti
senza
tregua.
Il
mattino
del
9
settembre
l’azione
per
la
completa
riconquista
del
Caposaldo
numero
5
ricomincia.
Alle
sette
il
II
Battaglione
del
Maggiore
Costa,
inizia
l’azione
di
riconquista
della
posizione
intaccata.
Alla
riconquista
partecipano
anche
Carabinieri
del
Battaglione
Allievi,
Bersaglieri
ed
elementi
della
P.A.I.
Alle
ore
10.30,
l’obiettivo
italiano
è
raggiunto:
il
tanto
conteso
Caposaldo
numero
5 è
interamente
riconquistato
dai
Granatieri
del
II
Battaglione
e
dai
valorosissimi
semoventi
del
Montebello.
Sono
tantissimi
gli
uomini
che
hanno
partecipato
alla
riconquista,
che
hanno
lottato
tutta
la
notte
senza
un
momento
di
pausa,
hanno
visto
i
loro
compagni
cadere
in
battaglia
e
hanno
resistito
fini
al
mattino
dopo.
Tra
loro
vi
sono
la
Batteria
del
Capitano
Villoresi,
la
quale
ha
magnificamente
combattuto,
e
molti
nuclei
di
granatieri,
i
quali
per
tutta
la
notte
si
sono
battuti
dalle
loro
postazioni
di
mitragliatrici.
Il
tenente
e il
capitano,
precedentemente
catturati
con
l’inganno
dai
tedeschi
quando
erano
andati
a
chiedervi
un
colloquio,
riuscirono
a
sottrarsi
a
stento
a
una
sommaria
esecuzione
e a
raggiungere
il
Caposaldo
liberato.
I
tedeschi
erano
ormai
decimati
e
battuti.
Sospesero
la
loro
azione.
La
mattina
del
9
settembre
è
ricordata
come
uno
dei
momenti
più
eroici
della
difesa
di
Roma.
Tutta
la
notte,
tra
il
Tevere
e i
palazzi
dell’
Esposizione,
si
combatté
contro
il
nemico
tedesco
per
resistere
all’occupazione
e
riconquistare
i
Capisaldi
occupati
precedentemente.
Un
altro
luogo
di
fondamentale
importanza
per
la
memoria
della
Resistenza
romana
è
Porta
San
Paolo.
Porta
San
Paolo
fa
parte
del
complesso
delle
mura
Aureliane
realizzate
dall’imperatore
Aureliano
nel
275
d.C.
e si
presenta
come
tra
le
meglio
conservate
di
tutto
il
circuito
murario.
L’attuale
nome
le
fu
conferito
nel
medioevo
in
ragione
della
vicinanza
alla
Basilica
di
San
Paolo,
raggiungibile
mediante
la
via
Ostiense
e
che
iniziava
il
suo
percorso
verso
Ostia
proprio
da
questa
porta.
La
porta,
oggi
isolata,
era
in
origine
collegata
al
tratto
delle
Mura
Aureliane
che
scende
dalla
collina
di
San
Saba
fino
alla
piramide
di
Caio
Cestio.
Venne
isolata
dalle
mura
già
nel
1920
per
agevolare
il
traffico
nella
piazza,
mentre
la
parte
delle
mura
che
la
collegava
alla
Piramide
andò
distrutta
durante
i
bombardamenti
del
1943.
Il
10
settembre
1943
fu
teatro
di
uno
degli
scontri
legati
alla
difesa
di
Roma.
Qui
la
Divisione
Granatieri
di
Sardegna,
dopo
aver
rifiutato
di
lasciarsi
disarmare
dai
tedeschi
il
giorno
precedente,
diede
luogo
a
furiosi
combattimenti,
aiutata
anche
dalla
presenza
di
gruppi
di
civili.
Sono
presenti,
oggi
,
sui
resti
di
un
tratto
delle
mura
quattro
lapidi,
due
a
ricordo
dei
fatti
avvenuti
il
10
settembre
1943,
una
a
ricordo
dello
sbarco
di
Anzio
del
4
giugno
1944
e
l’ultima
in
memoria
dei
Caduti
della
Resistenza
e
del
terrorismo.
Durante
il
68°
anniversario
degli
scontri
del
1943,
l’8
settembre
2011,
è
stata
collocata
definitivamente
la
Stele
che
ricorda
i
reparti
militari
che
parteciparono
alla
Difesa
di
Roma
prima
posizionata
a
Porta
Capena.
La
battaglia
del
10
settembre
1943
(brano
liberamente
tratto
da
un
articolo
scritto
nel
dicembre
1944
da
Ezio
Bacino
e
pubblicato
sul
settimanale
“Domenica”)
I
tedeschi
avanzarono
minacciosamente,
ma i
granatieri
resistettero
arretrando
con
ordine
e
sempre
combattendo
su
di
una
nuova
linea
che
andava
dalla
Basilica
di
San
Paolo
alla
Garbatella.
La
nuova
realtà
creata
dal
forzato
abbandono
dei
capisaldi
4 e
5
che
coprivano
il
ponte
della
Magliana
maturò
le
sue
funeste
conseguenze
tattiche.
Con
l’abbandono
dei
capisaldi
sulla
via
Ostiense
e
sul
fiume
cadde
la
possibilità
di
tenere
il
pianoro
dominante
dell’Esposizione
Universale;
e
l’abbandono
conseguente
della
zona
dell’E42
e
delle
Tre
Fontane,
rendendo
praticamente
impossibile
qualsiasi
ulteriore
e
valida
difesa
della
città.
Ebbe
così
inizio
l’ultima
battaglia
feroce
e
micidiale
tra
le
case,
per
le
strade,
in
mezzo
alla
popolazione,
tra
tutte
le
cose
civili,
domestiche.
I
tram
correvano
alle
spalle
dei
soldati,
i
ciclisti
pedalavano
in
mezzo
alle
linee.
Dalla
Basilica
a
Porta
San
Paolo
attraverso
i
Mercati
Generali
reparti
ed
autocolonne
si
amalgamavano
in
un
inestricabile
groviglio.
Perduto
nel
caos
ogni
collegamento
ed
ogni
vincolo
disciplinare,
dissolta
ogni
possibilità
di
comando,
reparti
delle
più
diverse
provenienze
furono
coinvolti
nel
flusso
di
un
moto
retrogrado.
I
Granatieri
soli
ripiegarono
combattendo.
Il
colonnello
comandante
Di
Pierro,
privo
completamente
di
collegamenti
e di
mezzi
di
trasporto
(la
sua
macchina
giaceva
sventrata
alla
Montagnola),
riuscì
a
raggiungere
in
motocicletta
il
vicecomandante
della
Divisione
generale
De
Rienzi,
al
quale
sottopose
la
gravità
della
caotica
situazione
che
si
era
determinata
e
che
infuriava
sulla
Via
Ostiense.
Il
generale
gli
mostrò
un
fonogramma
inviatogli
dal
Comando
di
Divisione
che
risiedeva
a
Palazzo
Caprara
in
Via
XX
Settembre,
datato
10
settembre
e
firmato
dal
Generale
Carboni,
comandante
del
Corpo
d’armata
motocorazzato,
che
diceva:
«Ordino
alla
Divisione
Granatieri
di
inibire
il
passo
a
qualsiasi
formazione
armata
tedesca
che
tenti
di
puntare
su
Roma.
Qualora
tedeschi
non
ottemperino
ordine,
che
Divisione
Granatieri
passi
con
la
massima
violenza
possibile
decisamente
al
contrattacco.
Dispongo
perché
tutte
mie
truppe
disponibili
affluiscano
Roma
appoggio
“Granatieri”
e
“Sassari”».
Nell’ora
in
cui
il
fonogramma
fu
compilato
i
tedeschi
già
premevano
con
le
loro
forze
in
continuo
aumento
nei
pressi
della
Porta
di
San
Paolo,
mentre
il
1°
Granatieri
già
da
due
giorni
combatteva
senza
tregua
quel
nemico
contro
il
quale
ora
gli
si
ordinava
di
reagire.
In
ogni
modo,
sulla
base
di
quel
tardivo
ordine
di
Carboni,
il
generale
De
Rienzi
affidò
al
colonnello
Di
Pierro
il
comando
di
tutte
le
forze
disponibili
e
che
stavano
affluendo
per
la
difesa
della
zona
del
Testaccio
e di
San
Paolo.
Intorno
all’antica
porta
si
riannodò
faticosamente
un’ultima
confusa
e
disperata
resistenza.
Sugli
spalti
delle
torri
granatieri
annidarono
i
loro
fucili
e le
loro
mitragliatrici,
battendo
di
infilata,
dall’alto,
la
via
Ostiense.
Colà
il
colonnello
Di
Pierro
tentò
di
riorganizzare
i
reparti
sconvolti
che
si
aggrovigliavano.
Le
forze
di
cui
disponeva
erano
innanzi
tutto
quelle
ordinatissime
del
Montebello,
i
valorosi
lancieri
che
già
da
due
giorni
si
battevano
con
grande
bravura
in
una
ammirevole
collaborazione
con
i
Granatieri:
giunsero
poi
i
resti
dei
due
decimati
battaglioni
del
1°
Granatieri,
i
quali
furono
fermati
nella
zona
più
avanzata,
quella
della
Garbatella.
Vi
erano
inoltre
elementi
di
numerosi
reparti:
un
battaglione
di
un
reggimento
della
divisione
“Sassari”,
resti
del
V°
battaglione
guastatori,
un
gruppo
di
obici
da
100/17
della
“Sassari”.
Giunsero
in
un
secondo
tempo
un
gruppo
squadroni
di
“Genova
Cavalleri”
al
comando
del
Ten.
Col.
Nisco;
un
altro
battaglione,
un
altro
gruppo
di
artiglieria,
una
frazione
di
battaglione
mortai,
una
compagnia
camionette
comandata
dal
capitano
Giuffrè,
un
reparto
di
carri
armati
del
4°
Reggimento
carrista,
che
subirà
molte
perdite.
Tutte
queste
forze
furono
impiegate,
con
lo
schieramento
che
fu
possibile
attuare
in
tali
condizioni,
per
sbarrare
le
numerose
vie
che
da
Testacccio
e
dal
quartiere
Ostiense
convergevano
sul
centro
della
città.Gli
avvenimenti
precipitarono
e la
difesa
si
fece
disperata
intorno
a
quest’ultima
trincea.
Le
granate
tedesche
scoppiavano
tra
le
tombe
del
cimitero
degli
inglesi
intorno
alla
piramide;
sconvolgevano
la
piazza
dinanzi
agli
archi
dove
i
cani
armati
ed i
semoventi
Montebello
formavano
una
barricata
di
ferro.
Tra
spunzoni
di
rotaie
recise
ed
erette,
grovigli
della
rete
tranviaria
lacerata,
rami
di
alberi
trinciati
dagli
scoppi,
i
superstiti
semoventi,
le
ultime
autoblindo
del
col.
Giordani
si
lanciavano
in
puntate
offensive
della
pista
micidiale
della
via
Ostiense.
Queste
belle
macchine,
guidate
alla
carica
con
lo
spirito
dell’antica
cavalleria
italiana,
saranno
le
protagoniste
dell’ultima
onorata
ribellione
al
destino.
Sono
i
resti
di
uno
squadrone
semoventi
M15
e di
uno
L40,
di
due
squadroni
di
autoblindo
e di
due
squadroni
di
motociclisti.
Dalle
9
della
mattina
fino
circa
alle
quattro
del
pomeriggio
del
10
Settembre
essi
si
batterono
a
San
Paolo
disseminando
il
piazzale
e la
Via
Ostiense
con
i
roghi
sanguigni
delle
loro
macchine.
Il
comando
era
lì
sotto
le
mura,
tra
gli
archi;
e da
quel
termine
i
semoventi
partivano
per
le
loro
disperate
puntate
offensive
sulla
Via
Ostiense
e
sulla
sinistra
dello
schieramento.
Non
ritornavano,
fulminati
dagli
anticarro
dei
paracadutisti
tedeschi
postati
sui
fianchi
della
strada
e
nei
bassi
padiglioni
dei
Mercati
Generali;
oppure
tornavano
colpiti
con
morti
e
feriti
a
bordo.
Caddero
così
il
maggiore
Guido
Passero
comandante
del
2°
Gruppo,
il
capitano
Sabatini,
il
sottotenente
Gray.
Nello
scafo
del
suo
carro
folgorato
lasciò
la
vita
il
capitano
Romolo
Pugazza,
che
gridò
a
chi
lo
voleva
soccorrere:
«Non
mi
toccate,
voglio
crepare
qui».
Il
gruppo
squadroni
di
“Genova
Cavalleria”
in
parte,
appiedato,
sbarrava
le
vie
più
vicine
alla
porta
sostenendo
l’azione
mobile
delle
camionette,
in
parte
a
cavallo
era
pronto
a
intervenire
in
qualsiasi
direzione.
Ma
ormai
la
situazione
della
difesa
di
Porta
San
Paolo
stava
precipitando:
tra
le
14,30
e le
15
ogni
tentativo
di
resistenza
sembrava
inutile.
Il
Montebello,
quasi
totalmente
annientato,
ripiegò;
ed
una
intensificata
azione
di
artiglierie
vicinissime
sulla
Porta
e
sulla
Piramide
provocò
l’arretramento
degli
altri
reparti.
La
piazza
ormai
devastata
dalla
battaglia
e
dal
fuoco
sembrava
un
luogo
fantasma:
senza
nessuno
e
nessun
rumore
se
non
i
roghi
delle
macchine.