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N. 90 - Giugno 2015 (CXXI)

Il fatato quartiere di Roma
il genio di Coppedè

di Caterina Pellegrini

 

A Roma tra piazza Buenos Aires e via Tagliamento basta attraversare un gigantesco arco che collega due palazzi, detti degli Ambasciatori, per sentirsi catapultati nel magico e fatato mondo delle fiabe.

 

Un quartiere tra i più bizzarri e curiosi, progettato dal geniale architetto fiorentino Gino Coppedè, che ha saputo unire nel suo stile correnti artistiche svariate: Liberty, Modernismo, Eclettismo, Neomanierismo, Neobarocco, Neomedievalismo.

 

Forse per vanità dell’artista o per evitare equivoci il suo nome è impresso sotto il capitello di una delle colonne dell’arcone d’ingresso. La fase di progettazione dovrebbe essere invece iniziata nel 1916 quando i finanzieri Cerruti, costituendo la Società Anonima Cooperativa Moderna e conoscendo la fortuna dell’architetto fiorentino a Genova, decidono di affidargli un progetto edilizio in una delle zone secondo le riviste dell’epoca più salubri di Roma.

 

Il piano dell’opera, che all’inizio prevedeva diciotto palazzi e ventisette fra palazzine e villini, fu ridimensionato notevolmente durante le fasi di realizzazione, cambiando la destinazione d’uso degli edifici, passando da condomini intensivi per una media borghesia a palazzi per un ceto alto borghese e aristocratico.

Il palazzo degli Ambasciatori costituito da due blocchi triangolari è diviso da via Dora e collegato dall’arcone d’ingresso al quartiere, decorato al centro con un grosso mascherone retto da efebi e sormontato dallo stemma della famiglia Medici; mentre la facciata è arricchita con bassorilievi di maschere dall’aspetto apotropaico, api, festoni, pitture raffiguranti nel riquadro centrale un cavaliere e in quelli laterali due soldati. I corpi laterali sono costituiti da due torrette, su quella di via Tagliamento vi è la scritta «Anno Domini MCMXXI» che si riferisce all’anno di completamento del palazzo degli Ambasciatori e una Vittoria Alata; nell’altra ci sono figure femminile e un’edicola con una statua della Madonna con Bambino.

 

Appena sotto l’arco ci si dimentica della caoticità della capitale e s’incomincia a fantasticare, alzando lo sguardo si avrà l’impressione di trovarsi nel salone di un castello medievale, con una volta blu e al centro un mirabile lampadario in ferro battuto. Il gioco delle illusioni non finisce qui, perché l’attenzione dello spettatore si sposterà verso piazza Mincio, con al centro la Fontana delle Rane che sembrano gracidare e invece è soltanto lo scorrere dell’acqua.

 

La fontana per il livello basso della vasca e la movimentata struttura farà riaffiorare nella mente la Fontana delle Tartarughe di piazza Mattei. Sulla destra della fontana domina il cosiddetto Palazzo del Ragno, che prende il nome dall’aracnide dipinto sulla vetrata posta sopra il portone d’ingresso e abbellito con un dipinto in giallo ocra e nero raffigurante un cavaliere tra due grifoni e la scritta «Labor». Per i veri “affictionati” non sarà difficile ricollegare questo palazzo ad alcune scene della fiction Butta la luna con Fiona Mey e Nino Frassica.

 

L’opera più suggestiva del quartiere è sicuramente il Villino delle Fate, espressione massima della creatività del progettista Gino Coppedé che ha saputo unire agli stili Liberty e Déco, gli stemmi barocchi, le logge rinascimentali, le torrette e gli archi medievali. Il Villino presenta una pianta movimentata, con corpi aggettanti a diversi livelli, con motivi a festoni, putti e decorazioni pittoriche che omaggiano le città d’arte italiane: Firenze con scene di vita fiorentina, i ritratti di Dante e Petrarca, una processione con monaci, tre figure femminili, due cavalieri e sullo sfondo il Palazzo della Signoria; Milano con il biscione; Venezia con il leone alato di San Marco e le galere; Roma con la lupa. Altre decorazioni particolari si possono ammirare sulla torretta con l’orologio zodiacale e sul lato di via Olona con l’ albero della vita in giallo e nero, una meridiana e la scritta «Domus Pacis».

 

Proseguendo per via Brenta e via Ombrone si possono osservare villini simili a quello delle Fate e ultimati alcuni prima della morte nel 1927 di Gino Coppedè e altri postumi da Paolo Emilio Andrè che oltre a essere il suo stretto collaboratore ne era anche genero.

 

Per la sua particolare architettura questo affascinante quartiere è stato scelto anche per alcune scene dei film Inferno e L’uccello dalla piume di cristallo girati dal regista Dario Argento.



 

 

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