N. 76 - Aprile 2014
(CVII)
Mondo antico: Roma e Cina
Relazioni diplomatiche e commerciali
di Serena Lavezzi
Nell’antichità
i
rapporti
tra
Roma
e la
Cina,
seppur
sporadici,
sono
testimoniati
da
diverse
ambascerie
e ne
troviamo
conferma
in
documenti
ufficiali
di
entrambe
le
parti.
Cronache
cinesi
riportano
con
dovizia
di
particolari
gli
usi
e
costumi
romani,
il
sistema
di
governo,
l’architettura
delle
città;
storici
romani
testimoniano
l’esistenza
di
un
contatto
diretto.
Il
periodo
di
massimo
splendore,
dal
punto
di
vista
militare
e
culturale,
dell’Impero
cinese
degli
Han
combacia
con
quello
dell’Impero
romano.
Dal
206
a.C.
al
220
d.
C.
la
Cina
visse
un
periodo
di
grande
espansione
e di
notevoli
progressi
culturali,
agricoli
e
scientifici.
Venne
approfondita
la
scoperta
della
carta
e ne
fu
migliorato
l’uso,
il
regno
conquistò
anche
territori
strategici
a
Occidente
così
da
salvaguardare
e
rafforzare
il
predominio
orientale
sulla
Via
della
Seta.
Roma
negli
stessi
anni
affronta
momenti
cruciali,
la
vittoria
nella
seconda
guerra
punica
dà
inizio
ad
una
fase
di
espansionismo
verso
Est
e a
profondi
cambiamenti
nell’economia,
nel
commercio,
nella
politica
e
nella
cultura.
Le
guerre
civili,
la
fine
della
repubblica,
l’instaurazione
del
principato
e le
conquiste
degli
imperatori
del
II
secolo
d.
C.
sono
i
grandi
stravolgimenti
di
questi
secoli,
in
cui
Roma
raggiunge
il
suo
apice.
Una
delle
conseguenze
della
conquista
romana
della
Grecia,
dei
regni
dei
diadochi,
della
Macedonia
e
infine
dell’Egitto,
tra
il
II e
I
secolo
a.
C.,
fu
il
rafforzamento
della
Via
della
Seta,
creatasi
nel
IV
secolo
a.
C.
in
seguito
alle
conquiste
di
Alessandro
Magno
nei
territori
indiani.
Il
commercio
si
intensificò
in
seguito
all’espansione
romana,
le
merci
iniziarono
a
circolare
da
Roma
sino
all’India
e
alla
Cina.
Quest’ultima,
polo
orientale
della
Via,
con
le
sue
espansioni
verso
Occidente
diede
a
sua
volta
energia
ad
un
commercio
unico
nella
storia
dell’uomo
fino
ad
allora.
Già
dal
130
a.
C.
gli
imperatori
cinesi
si
premurarono
di
inviare
ambascerie
verso
la
Partia,
e
più
tardi
anche
in
Siria,
così
da
rafforzare
il
controllo
sulle
merci,
stipulare
accordi
e
confermarsi
come
intermediario
primario
orientale
degli
scambi.
Nel
I
secoldo
d.
C.
la
Via
della
Seta
era
ormai
formata
e
funzionante,
i
beni
di
consumo
e di
lusso
si
spostavano
da
est
ad
ovest
e
viceversa,
in
un
scambio
economico
e
culturale
mediato
dai
Parti,
che
nel
mezzo
gestivano
e
tassavano
i
beni
in
entrata
e
uscita.
Questa
posizione
li
rendeva
indispensabili
sia
per
Roma
che
per
la
dinastia Han,
era
la
loro
forza
e la
loro
debolezza.
Quando
Gan
Ying
nel
97
d.
C.
arrivò
in
Partia,
deciso
a
dirigersi
a
Roma
per
conto
del
suo
imperatore,
i
Parti
lo
dissuasero
descrivendogli
un
itinerario
ben
diverso
dal
reale
viaggio
che
l’attendeva
per
giungere
all’Urbe.
Evitando
l’incontro
diretto
delle
due
potenze
i
Parti
si
assicuravano
la
possibilità
di
rimanere
padroni
di
una
parte
della
Via
della
Seta
e la
possibilità
di
guadagnare
con
tasse
e
servizi.
Nel
130
a.
C.
si
registra
il
primo
tentativo
cinese
di
reperire
informazioni,
strategiche
e
culturali,
sull’
Occidente.
Zhang
Qian
è
considerato
il
primo
diplomatico
cinese
ad
aver
avuto
un
simile
ruolo
e i
suoi
viaggi
furono
di
importanza
fondamentale
per
porre
le
basi
delle
conquiste
e
delle
conoscenze
sui
popoli
stranieri.
Per
trovare
testimonianza
di
un
interesse
diplomatico
verso
Roma,
che
i
cinesi
chiamavano
Da
Qin
«La
Grande
Qin
(Cina)»,
bisognerà
attendere
la
fine
del
I
secolo
d.
C.
Nello
stesso
periodo
compaiono
i
primi
scritti
romani
sulla
Cina
e le
loro
usanze.
Nello
scritto
Epitome
(II,
34)
lo
storico
romano
Floro
(70/75-145
d.
C.)
si
sofferma
sulle
ambascerie
inviate
all’imperatore
Augusto
durante
il
suo
regno
(27
a.C.-14
d.
C.)
come
riconoscimento
per
la
rinnovata
grandezza
di
Roma,
in
seguito
alle
conquiste
seguite
alla
vittoria
ad
Azio
nel
31
a.
C.
Tra
tanti
popoli
(Sarmati,
Sciiti,
Indiani),
scrive,
anche
i
cinesi
inviarono
a
Roma
degli
ambasciatori
per
dimostrare
l’amicizia
verso
Augusto;
specifica
che
portarono
elefanti,
pietre
preziose
e
perle.
Floro
aggiunge
che
i
loro
doni
furono
particolarmente
apprezzati
dato
il
lungo
viaggio,
quattro
anni,
che
avevano
dovuto
affrontare
per
arrivare
sin
lì.
A
conferma
della
distanza
che
li
separava
da
Roma,
Floro
scrive
che
si
capiva
dalla
loro
carnagione
che
provenivano
da
«un
altro
sole».
Seconda
testimonianza
è
quella
di
Plinio
il
Vecchio
(23-79
d.
C.),
nella
Naturalis
Historia
(VI,
54)
troviamo
la
falsa
credenza
che
i
cinesi
creassero
la
seta
dagli
alberi,
tramite
l’immersione
in
acqua
di
una
parte
dell’albero
da
cui
si
estraeva
la
sezione
bianca
delle
foglie.
Gli
abiti
in
seta,
ricercatissimi
dalle
matrone
romane,
vengono
descritti
da
Plinio
come
«vesti
trasparenti».
Aggiunge
che
l’aspetto
dei
cinesi
è
assai
strano,
selvatico
e
che
non
amano
la
compagnia
delle
persone,
danno
d’altra
parte
grande
importanza
al
commercio.
Queste
sono
alcune
testimonianze
di
come
una
cultura
così
lontana
veniva
percepita
a
Roma,
d’altra
parte
i
capi
d’abbigliamento
provenienti
dall’estremo
Oriente
erano
assai
richiesti
e
diventarono
presto
uno
status
symbol.
La
richiesta
era
talmente
pressante
che
presto
gli
imperatori
emisero
degli
editti
contro
il
lusso
sfrenato.
Nel
97
d.
C.
il
generale
cinese
Ban
Chao
inviò
l’ambasciatore
militare
Gan
Ying
in
missione
a
Roma.
Le
cose
non
andarono
come
previsto,
quando
arrivò
sul
Mar
Nero
e fu
il
momento
di
imbarcarsi
per
la
capitale,
i
mercanti
parti
lo
dissuasero
dall’impresa.
Come
si è
accennato,
una
teoria
sicuramente
valida
è
quella
che
vede
i
Parti
disinteressati
ad
un
eventuale
contatto
diretto
tra
i
due
estremi
della
Via
della
Seta;
avrebbe
avuto
conseguenze
assai
negative
per
loro.
C’era
la
possibilità
che
venissero
scavalcati
e se
questo
fosse
accaduto
la
loro
economia
ne
avrebbe
risentito
enormemente.
Dissero
a
Gan
Ying
che
il
mare
era
enorme
e ci
sarebbero
voluti
almeno
tre
mesi,
con
vento
favorevole,
ma
più
probabilmente
un
anno
o
due.
Alcuni,
aggiunsero,
avevano
navigato
per
tre
anni
prima
di
raggiungere
la
terraferma.
Allarmato
da
queste
informazioni
l’ambasciatore
ritornò
indietro
e
l’incontro
non
avvenne.
Nonostante
questo
Gan
Ying
si
informò
con
accuratezza
sugli
usi
e
costumi
di
Roma,
che
arrivò
a
riconoscere
come
il
polo
estremo
occidentale
da
cui
provenivano
gli
oggetti
che
arrivavano
in
Cina.
Le
nozioni
da
lui
raccolte
sono
riportate
in
una
cronaca
di
grande
importanza
per
l’antica
storia
cinese,
Il
libro
degli
Han
posteriori.
Il
titolo
fa
riferimento
alla
seconda
fase
della
dinastia
Han,
detta
anche
degli
Han
orientali
o
posteriori,
dal
25
al
220
d.
C.
Si
tratta
di
un
documento
di
corte
che
ripercorre
la
storia
imperiale
dal
6 al
189
d.
C.,
le
due
sezioni
che
riguardano
le
usanze
politiche
e
sociali
romane
si
trovano
nel
libro
88,
nel
capitolo
dedicato
alle
regioni
occidentali.
Roma
viene
descritta
come
il
paese
ad
ovest
del
mare,
lontano
migliaia
di
li,
con
più
di
quattrocento
città
fortificate
da
mura
di
pietra
e
dieci
stati
più
piccoli
dipendenti.
Continua
sottolineando
la
presenza
di
stazioni
di
posta
lungo
tutte
le
strade
così
da
poter
mantenere
una
buona
e
rapida
comunicazione
in
tutto
l’impero.
Ci
sono
molte
specie
di
alberi
e i
cittadini
comuni
sono
contadini,
coltivano
vari
tipi
di
grano
e
gelsi,
tengono
i
capelli
rasati
e
gli
abiti
sono
ricamati.
Segue
una
breve
descrizione
della
città
di
Roma:
palazzi
imponenti
al
cui
interno
ci
sono
colonne
e
vasellame
di
cristallo.
Il
re
visita
ogni
giorno
uno
dei
palazzi,
quando
qualcuno
vuole
chiedergli
udienza
deve
mettere
un
foglio
con
la
richiesta
dentro
un
sacco,
da
cui
il
re
pescherà
per
dare
un
giudizio.
A
proposito
dell’organizzazione
politica
riporta
la
presenza
di
trentasei
uomini
riuniti
per
deliberare
sugli
affari
dello
Stato.
Il
re è
scelto
da
questi
e
non
è
permanente,
capita
a
volte
che
ci
siano
calamità
naturali
e in
queste
situazioni
spesso
il
re
viene
destituito
e
rimpiazzato
da
un
uomo
più
virtuoso.
La
prima
sezione
si
conclude
con
l’affermazione
che
i
romani
sono
tutti
alti
e
onesti,
simili
ai
cinesi
e
proprio
per
questo
Roma
viene
chiamata
Grande
Cina.
La
seconda
parte
si
sofferma
sulla
produzione
dell’impero
romano:
oro,
argento,
gioielli,
giada,
perle,
galli
da
combattimento,
rinoceronti,
corallo,
ambra
gialla,
vetro,
calcedonio,
spezie,
gemme,
tessuti
ricamati
in
oro,
sete
policrome,
quarzo
e
cinabro.
Producono
fragranze
di
ogni
genere
e
possiedono
oggetti
rari
provenienti
da
tutti
i
paesi
assoggettati.
Coniano
monete
d’oro
e
d’argento
e
commerciano
con
la
Partia
e
l’India
in
modo
onesto
e
giusto.
Un’informazione
interessante
è
che
il
re
romano
tentò
varie
volte
di
inviare
diplomatici
in
Cina,
ma i
Parti
ne
impedirono
l’arrivo.
La
motivazione
la
conosciamo
già,
la
storia
si
ripete
da
entrambe
le
parti.
L’ennesima
occasione
mancata
per
far
incontrare
i
due
regni
si
verificò
nei
primi
decenni
del
II
secolo
d.
C.,
nel
116
l’imperatore
Traiano
si
spinse
fino
alla
capitale
partica,
Ctesifonte,
e la
conquistò.
Nel
frattempo
l’esercito
cinese
aveva
creato
diversi
avamposti
in
Partia,
sia
come
misura
difensiva
sia
per
salvaguardare
il
commercio.
Per
pochi
giorni
di
marcia
le
due
culture
non
si
incrociarono.
Nel
166
abbiamo
l’ultima
testimonianza
di
questi
rapporti:
un’ambasciata
romana
arrivò
in
Cina
presso
l’imperatore
Huan,
mandata,
si
presume,
da
Marco
Aurelio.
La
missione
entrò
in
territorio
cinese
da
sud
portando
con
sè
svariati
doni
acquistati
durante
il
viaggio
in
Asia,
corni
di
rinoceronti,
avorio
e
carapaci
di
tartarughe
come
testimoniato
dalla
cronaca
cinese.
I
cinesi
acquisirono
anche
un
trattato
astronomico
romano.
Non
abbiamo
più
notizie
di
altri
contatti
diretti
sino
all’inzio
del
III
secolo
d.
C.
quando
nelle
cronache
si
parla
di
regali,
oggetti
in
vetro
colorato,
inviati
da
Roma
all’imperatore
Cao
Rui
(227-239
d.
C).
In
quel
periodo
Roma
viveva
un
momento
di
grande
crisi
politica
e
gli
imperatori
si
susseguivano
rapidamente,
uccisi
e
scelti
dall’esercito
o
dai
pretoriani.
Non
si
sa
chi
sia
stato
a
riallacciare
i
contatti
con
la
Cina.
L’ultima
testimonianza
risale
all’impero
di
Marco
Aurelio
Caro
che
nel
284
d.
C.
parrebbe
aver
inviato
ambasciatori
in
Cina.
Nonostante
la
mancanza
di
un
rapporto
costante
e
diretto
tra
i
due
imperi,
circostanza
dovuta
soprattutto
dall’enorme
distanza
che
li
divideva,
è
interessante
notare
come
fossero
interessati
gli
uni
agli
altri,
tanto
da
intraprendere
viaggi
lunghi
e
dispendiosi,
da
ricercare
informazioni.
Straordinario
è
come
queste
due
culture
così
diverse
e
lontane
riuscirono
ad
entrare
in
contatto
attraverso
gli
oggetti,
gli
animali,
i
racconti,
le
tradizioni.
La
Via
della
Seta
creò
una
vicinanza
materiale
tra
questi
due
poli
geografici,
una
comunanza
di
gusti
e
uno
scambio
culturale
che
seppur
sporadico
fu
caratterizzato
da
una
vivacità
sorprendente.