ROMA, 1935-1947
RIFLESSIONI SU Una "MEMORIA"
SIGNIFICATIVA
di Giovanna D’Arbitrio
Leggendo il libro Roma
1935-1947. Fascismo,
guerra e dopoguerra nella vita di
una famiglia borghese,
vengono in mente l’archetipo
junghiano del “Vecchio Saggio” che
ci guida nella ricerca della verità,
oppure i nostri nonni e genitori che
accanto al camino o a un braciere
negli anni Cinquanta ci raccontavano
drammatiche vicende storiche vissute
durante le due guerre mondiali. Mio
padre affermava spesso che gli
anziani sono “come libri di storia
parlanti”, ancor più meritevoli di
rispetto e attenzione se descrivono
le loro esperienze in significativi
libri.
Tale è senz’altro il caso di
Giorgio Simoncini, noto
architetto romano, autore di molti
testi su architettura e urbanistica,
docente presso l’Università
“Sapienza” di Roma dal 1989 al 2005,
che ha di recente scritto il libro
Roma 1935-1947. Fascismo, guerra e
dopoguerra nella vita di una
famiglia borghese, pubblicato da
Ginevra Bentivoglio EditoriA.
Il libro viene presentato dallo
stesso autore che così scrive: “In
questo volume ho cercato di
ricostruire alcuni aspetti della
vita che si conduceva a Roma negli
anni compresi fra il 1935 e il 1947.
Furono anni particolarmente
difficili della storia del nostro
paese, comprendenti il fascismo nel
periodo delle sue aspirazioni
imperiali (1935-1939), la seconda
guerra mondiale (1940-1943),
l’occupazione tedesca (1943-1944) e,
infine, il dopoguerra, al tempo
dell’occupazione americana
(1944-1947). Sono vecchio abbastanza
da aver avuto conoscenza diretta
degli eventi di cui mi occupo; il
periodo preso in esame, infatti,
coincide esattamente con quello
della mia età scolare. Interessa
precisare che gli aspetti
autobiografici sono stati sempre
considerati in riferimento ai
contemporanei eventi storici. Tale
impostazione è stata sollecitata
anche dall’intento di mantenere vivo
il ricordo di quegli eventi. In
questo tipo di ricerche tende a
prevalere l’interesse per il vissuto
di famiglie e persone che hanno
maggiormente sofferto per motivi
razziali, politici o bellici, oppure
in quanto rientranti negli strati
più poveri della popolazione. In
questo caso, invece, è presa in
esame una famiglia del tutto
diversa, benestante e di estrazione
borghese, il cui vissuto raramente è
stato preso in esame. Una famiglia
inoltre rientrante nella cosiddetta
“zona grigia”, com’era abitualmente
denominata quella parte della
società che, pur senza essere
fascista, si trovò nella condizione
di dover convivere con il fascismo”.
Il testo è diviso in 5 parti: Il
fascismo nel periodo dell’Impero;
Gli anni della guerra; L’armistizio
e l’occupazione tedesca; Roma
liberata; Gli americani e il
dopoguerra.
«I libri sono come calamite» –
affermava la mia professoressa di
Lettere – «talvolta uno ne attira un
altro, come per completare un
discorso o sollecitare riflessioni».
E in verità spesso ciò mi è accaduto
come per due libri, avuti in regalo
e di recente letti tutti d’un fiato:
il primo ad arrivare è stato il
libro di Enza Alfano La guerra non
torna di notte e poi Roma 1935-1947,
quasi come un invito a completare il
quadro di un periodo storico in cui
mancava un pezzo iniziale, quello
dell’anteguerra non meno importante
di quello bellico e postbellico.
E in verità ho trovato davvero molto
interessante soprattutto la Prima
Parte del libro di Simoncini, in
particolare il paragrafo “Il
fascismo nella vita privata”, si
mette in evidenza come il regime
entrasse nella vita dei cittadini
invadendola senza via di scampo
attraverso regole e modelli imposti,
slogan ossessivi di orwelliana
memoria. E pertanto egli scrive:
“Nel 1937 appare evidente una
compiuta penetrazione del fascismo
nella vita privata della mia
famiglia. Le attività di mio padre,
così come la scuola pubblica che io
frequentavo, recavano l’impronta
fascista della politica.
L’istituzione del sabato fascista
rappresentò uno dei mezzi più
efficaci di una simile penetrazione
(…). Il fascismo tendeva a imporsi
non a livello ideologico, ma nel
modo di vivere, attraverso regole e
modelli da adottare. Regole e
modelli imposti mediante slogan
ossessivamente ripetuti, come quelli
della pubblicità: Credere Obbedire
Combattere, Mussolini ha sempre
ragione e così via”.
Il libro mi ha riportato indietro
nel tempo (come già evidenziato
all’inizio), ai racconti dei miei
genitori e soprattutto a quelli di
mio nonno che aveva intrapreso la
carriera militare per volere di sua
madre e che era diventato un
generale dopo aver combattuto due
guerre mondiali. Mio padre spesso mi
parlava delle regole e degli slogan,
della camicia nera da indossare in
determinate occasioni per lunghi
anni, fino agli esami universitari,
mamma delle divise scolastiche e
degli imponenti e spettacolari saggi
di ginnastica a cui partecipava,
tanto per citarne alcuni, ma ve ne
sarebbero tanti ancora da citare,
racconti che ho ritrovato nel libro.
Per quanto riguarda le rimanenti
parti del testo, la narrazione è
sempre molto colta, scorrevole,
precisa e dettagliata, ma in verità
in esse prevale un tono alquanto
“distaccato” anche verso avvenimenti
estremamente drammatici, verso
quegli orrori che fecero scrivere a
Quasimodo gli indimenticabili versi:
Sei ancora quello della pietra e
della fionda,/ uomo del mio tempo.
Eri nella carlinga,/ con le ali
maligne, le meridiane di morte,/
t’ho visto – dentro il carro di
fuoco – alle forche,/ alle ruote di
tortura”.
E in effetti anche se nella
narrazione di Simoncini ritrovo i
racconti di miei nonni, di genitori
e parenti, non ritrovo in essa tutto
il terrore e l’orrore che tali
racconti hanno suscitato in me e che
per anni non ho potuto cancellare
poiché poi le immagini dei filmati
della tv anni Cinquanta ci
mostrarono stragi, crudeltà di ogni
genere e orrende rappresaglie. La
sottoscritta ancora ha un incubo
ricorrente che si è ora risvegliato
dopo tanti anni durante la guerra in
Ucraina, un incubo in cui sogno di
cercare un nascondiglio per sfuggire
ai tedeschi che mi vogliono
fucilare. Che orrore le Fosse
Ardeatine! E che orribile dramma
l’esplosione della prima bomba
atomica in Giappone! E il genocidio
degli ebrei con la Shoah!
Simoncini ci rivela il suo
particolare modo di sentire in una
pagina significativa (p. 219) in cui
afferma: “Ero giovane, avevo vissuto
in un ambiente protetto e non avevo
sofferto più di tanto. O forse,
qualche ferita era stata lasciata
dalla solitudine e da alcuni
particolari eventi: essersi trovato
sotto un bombardamento; vedere un
camion carico di morti in una strada
di Roma, vero o immaginario che
fosse; o assistere all’uccisione di
un tedesco in una mattina di sole a
piazza Fiume: tutto questo non
poteva non avere lasciato, dentro di
me, qualche cicatrice destinata a
durare, e, forse, proprio per quel
motivo, l’idea che per poter
ricominciare a vivere fosse
necessario dimenticare, non ha mai
messo radici dentro di me”.
Un libro interessante che è
senz’altro una preziosa
testimonianza su un’epoca molto
difficile della storia italiana.
Giorgio Simoncini, nato a Roma nel
1929, si è laureato a Roma in
architettura nel 1954. Sino alla
fine degli anni Sessanta ha
contemporaneamente svolto attività
professionale nel campo
dell’architettura e
dell’urbanistica. In quel periodo ha
inoltre vinto un concorso
internazionale per il progetto del
Monumento di Auschwitz-Birkenau,
infine realizzato nel 1967 in
collaborazione con lo scultore
Pietro Cascella. A partire dal 1969
ha avuto incarichi di insegnamento
di tipo storico che poi, a partire
dal 1976, ha esercitato in qualità
di professore ordinario. Ha inoltre
svolto attività di ricerca nel campo
sia dell’architettura sia della
città e del territorio, con
particolare riferimento ai periodi
del Rinascimento e dell’Illuminismo.
Dal 1997 al 2002 ha infine insegnato
Storia del Paesaggio nell’ambito
della “Scuola di Specializzazione
per la progettazione del paesaggio”
della Università la Sapienza di
Roma. Negli ultimi anni si è
occupato di memorialistica, e il 14
settembre 2008 ha vinto il XXIV
Premio dell’’Archivio Diaristico
Nazionale Di Pieve Santo Stefano. I
suoi interessi si sono quindi sempre
più orientati verso quel settore di
attività.