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N. 37 - Gennaio 2011 (LXVIII)

ROMA BRUCIA
Cronaca di una giornata

di Federica Caputo

 

Roma brucia. Piazza del Popolo è avvolta dalle fiamme.
Mi chiedo, per un attimo, se sto guardando un film su Nerone.
No, è il 14 dicembre 2010.

Dopo il 13 dicembre, proverbialmente il giorno più corto che ci sia, il giorno più lungo per l’Italia, quello in cui in Parlamento verrà votata la mozione di sfiducia al governo Berlusconi.

Nel freddo glaciale di metà dicembre, la tensione a Roma resta alta e ci pensano i moltissimi manifestanti giunti in città sin dalle prime ore del mattino, a scaldare l’atmosfera.
Hanno percorso a bordo dei loro autobus le autostrade d’Italia, hanno “invaso” di prima mattina gli autogrill alle porte di Roma. Ora sono pronti per la loro marcia di protesta.

Si torna in piazza, di nuovo. Ma stavolta sono tutti a Roma, sono partiti da Torino, Venezia, Padova, Pisa, Napoli, Urbino…
Tutta l’attenzione è concentrata sulla Capitale.
Tra i manifestanti ci sono anche moltissimi cittadini dell’Aquila. C’è la Fiom, ci sono i comitati per l’acqua pubblica e gli abitanti di Terzigno con i loro sacchi della spazzatura.
La voce più forte è sempre quella espressa dagli studenti, ma è un’intera Italia quella che oggi protesta.
Tanta gente, probabilmente come non se ne vedeva dai cortei degli anni ’70.

Alle 9 iniziano le dichiarazioni di voto al Senato, seguiranno alle 10.30 quelle alla Camera.
Due mondi paralleli sotto lo stesso cielo romano: Montecitorio e il corteo dei manifestanti.
I politici e i cittadini, coloro che discutono e coloro che protestano.

Il corteo parte trionfalmente dalla Sapienza: soliti slogan, solite proteste, solita faticosa marcia, nessuna particolare violenza. Si sa da giorni che l’obiettivo è sfondare la zona rossa, giungere ai palazzi del potere, manifestare sotto Montecitorio e sotto al Senato.
La mattinata a Roma trascorre tranquilla.

Poco dopo le 13 si diffonde la notizia che fa presagire quale sarà l’esito della votazione: a sorpresa la “finiana” Catia Polidori ha votato la fiducia al governo. A Montecitorio, per questo, si scatena una rissa tra deputati di Pdl, Futuro e Libertà, e Lega.
Queste notizie deludono e inaspriscono i manifestanti: iniziano i lanci di bombe carta e bottiglie, ci sono le prime cariche della polizia.

Ma è nel primo pomeriggio che la situazione precipita, precisamente attorno alle 13.45, quando ai manifestanti giunge la tanto temuta notizia.
Per tre voti (314 contro 311) il governo Berlusconi ha ottenuto la fiducia anche della Camera.

“In Parlamento tre voti possono essere determinanti per salvare un governo. Ora noi applichiamo il do ut des”. Correva l’anno 1963 e in una celebre scena de Gli Onorevoli, Totò profetizzava il destino di questa Italia, di questo 14 dicembre.

In Parlamento la maggioranza esulta, deputati di fazioni opposte si alzano a vicenda il dito medio, i Leghisti marciano con aria trionfale cantando il Va’ pensiero. La Mussolini corre ad appendere il tricolore dove siede il Presidente della Camera.

In piazza, parallelamente, iniziano gli scontri che consegneranno alla storia d’Italia il 14 dicembre 2010.

Alle 14.15 i manifestanti risalgono il Tevere aggirando la zona rossa e una molotov incendia una Mercedes. La tensione sale.
Dieci minuti più tardi un gruppo di black bloc si stacca dal corteo e punta verso via del Corso.

Poco prima delle tre i black bloc arretrano verso piazza del Popolo e devastano la via.
Di lì inizia la guerriglia tra polizia e studenti: volano i sampietrini, volano le manganellate, alcuni cassonetti con le ruote vengono dati alle fiamme e spinti contro la polizia.
Sembra di essere in un film.

I commercianti si asserragliano nei loro negozi dopo averne serrato le saracinesche.
I turisti in circolazione decidono di rimandare la programmata e sicuramente tanto sospirata visita all’Urbe a un giorno più tranquillo.

Nelle tre ore di scontri che seguiranno verranno bruciate decine di auto, venti cassonetti e un compattatore dei rifiuti. Sei mezzi delle forze dell’ordine verranno gravemente danneggiati e quattro banche saranno sfondate.
Alla fine i feriti saranno 97, di cui 57 tra le forze dell’ordine.
Ventiquattro i ragazzi arrestati e diciassette i denunciati.

Coloro che hanno marciato pacificamente, esprimendo il loro dissenso in maniera civile secondo i loro diritti, senza alzare un sampietrino, e senza esercitare alcuna forma di violenza, sono sconvolti e intirizziti dal freddo. A qualcuno lacrimano gli occhi a causa del lancio di lacrimogeni, qualcuno è disorientato perché nella fuga ha perso il suo gruppo di amici.
In realtà non tutti loro hanno compreso a pieno cosa sia successo in Piazza del Popolo.
La parte di corteo che ha subito la carica ha visto e percepito tutto, ma gli altri, coloro che sono riusciti a correre avanti, hanno visto solo alle loro spalle una massa di gente che correva, che spingeva nella loro direzione.

Ma il fuoco che fa da sfondo a questo campo di battaglia romano, quello lo vedono tutti.
Sembra di essere in guerra.
Fuoco e fumo ovunque.

Neppure il cielo è azzurro ora, è tutto grigio.
E’ pieno di nubi : le nubi della disperazione, della rabbia, della delusione, e purtroppo anche della violenza.
Il cielo, a volte, ha qualcosa di infernale.

E pensare che solo poche ore prima molti di quei manifestanti cantavano assieme Ma il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano, immersi nei loro colori, nel loro entusiasmo e nella loro speranza. Hanno intonato quella canzone ciascuno col proprio accento regionale, ciascuno con la propria storia, ma tutti allo stesso modo per esternare quel briciolo di speranza che ancora gli rimaneva prima di vedere i sospetti concretizzarsi, prima di avere la certezza che il governo si sarebbe salvato per una manciata di voti, tre voti comprati, come urlano sdegnati.

Alle 18 è tutto finito.
I negozianti rialzano le loro saracinesche. Qualche romano ricomincia ad uscire.
Ma il cielo, quello non tornerà più azzurro.
Scendono la sera e il buio, l’asfalto brucia ancora, il sangue e il sudore di un’intera generazione evaporano e impregnano l’atmosfera.

La città Eterna violentata e malmenata dalla brutalità.
Vuoto, desolazione attorno.
Sembra di stare in un campo di battaglia abbandonato.

Il corteo fa ritorno alla Sapienza. Ora qualcuno può anche concedersi una sosta nei bar di Roma per un caffè o per un panino. Non serve più tenere un ritmo di marcia serrato.

Cosa cambierà ora?
Che si dirà di questo 14 dicembre?

Qualcuno parla subito di guerra civile, qualcuno dice che è stato quasi riprodotto il 12 maggio 1977, quando, durante una manifestazione di Piazza venne uccisa la diciannovenne Georgiana Masi. Altri dicono che per un attimo si è temuto un’altra Genova 2001, e ancora esclamano: “Sembrava di stare in Grecia!”.

Indipendentemente da questi parallelismi col passato e col presente, per lo più iperbolici e inopportuni, sappiamo che qualcosa resterà impresso nella memoria degli Italiani.

Un governo appeso a tre voti, la guerriglia e i tafferugli, gli agenti non totalmente preparati nonostante si parlasse di questa protesta da settimane, le manganellate gratuite, la violenza efferata e ingiustificabile. Un corteo partito con le più civili intenzioni, degenerato a causa di un manipolo di facinorosi. E ci ricorderemo anche della bagarre scoppiata in Parlamento, e ci chiederemo se quei due mondi paralleli, il Parlamento e la pizza, non siano infondo l’uno lo specchio dell’altro.

E più che mai ora, alla vigilia del suo, del nostro, centocinquantesimo compleanno, ci chiederemo perché l’Italia non riesca a uscire dalla crisi.



 

 

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