N. 32 - Agosto 2010
(LXIII)
Un giorno da rom a barletta
Bimbi sedati e sfruttati
di Nicola Ricchitelli
Ore
6:52
di
un
solito
e
anonimo
giorno
di
Luglio,
il
regionale
proveniente
da
Foggia
stranamente
giunge
puntualmente
al
primo
binario,
dall'ultimo
vagone
escono
fuori
quasi
a
volersi
sprigionare
nella
realtà
che
ci
circonda,
mentre
altri
proseguono
verso
Bari,
per
qualcuno
beccato
senza
biglietto
dal
controllore
il
viaggio
finirà
anche
prima,
ma
va
bene
così.
Ecco,
la
giornata
di
un
rom
a
Barletta
inizia
alle
ore
sette
nella
stazione
di
Barletta.
Ci
fingiamo
passeggeri
in
attesa
di
prendere
il
prossimo
treno,
ma
in
realtà
siamo
alla
stazione
di
Barletta
per
iniziare
la
nostra
giornata
da
rom.
In
meno
che
non
si
dica
invadono
il
scorcio
di
stazione
lì
dove
è
ubicato
il
bar,
alcuni
si
lavano
il
viso
dinanzi
alla
fontanella,
altri
entrano
nel
bar
sotto
lo
sguardo
quasi
sbigottito
di
alcuni
studenti
che
magari
la
colazione
non
se
la
possono
permettere,
escono
con
sacchetti
pieni
di
cornetti
e
cappuccini,
segue
quindi
la
distribuzione
a
destra
e a
manca
della
roba
presa.
Le
donne
nel
frattempo,
provvedono
a
rendere
presentabili
i
bimbi
più
piccoli,
alcuni
sono
un
po’
vivaci,
si
avvicina
un
uomo
con
una
busta
tira
fuori
quelle
che
all'apparenza
possono
sembrare
delle
normali
pillole,
(magari
il
piccolo
starà
poco
bene)
solo
in
un
secondo
momento
il
piccolo
inizierà
a
calmarsi,
certo
hanno
fatto
la
loro
parte
la
consistente
dose
di
percosse
presi
dalla
madre,
ma
comunque
è
chiaro
che
quelle
pillole
sono
sonniferi
o
tranquillanti.
Mi
darà
successivamente
conferma
il
ragazzino
con
il
braccio
amputato,
non
so
quale
sia
davvero
il
suo
nome,
perché
ogni
volta
me
ne
ha
sempre
dato
uno
diverso.
La
sosta
nell'ingresso
della
stazione
dura
all'incirca
mezzora,
qualcuno
ripartirà
su
uno
dei
tanti
regionali
che
vanno
e
vengono
verso
Bari
e
Foggia,
ma
gran
parte
di
loro
vivranno
la
giornata
tra
le
vie
di
Barletta.
Tra
le
tante
facce,
individuo
alcuni
tizi
che
danno
istruzioni
ai
più
piccini
tra
sguardi
minacciosi
e
calde
raccomandazioni,
il
tutto
mentre
con
un
tacito
sguardo
quei
ragazzini
sembrano
rispondere
“Obbedisco”.
Altri
li
vedi
tirare
fuori
improbabili
violini
e
fisarmoniche,
fingono
di
provare,
ma
in
realtà
non
sanno
suonare
quei
strumenti
anche
se
il
loro
fare
da
musicisti
professionisti
può
trarre
in
inganno,
specie
quando
li
vedi
accordare
gli
strumenti
da
cui
verrà
fuori
il
solito
suono
stonato.
Poi
la
giornata
ha
inizio,
l'esercito
dei
rom
parte
alla
conquista
di
Barletta,
ognuno
prende
direzioni
diverse,
alcuni
c'è
li
ritroveremo
dinanzi
ai
semafori
di
Via
Foggia,
altri
vicino
ai
semafori
del
vecchio
ospedale,
altri
ancora
dinanzi
ai
semafori
del
Palazzo
di
città,
dinanzi
ai
supermercati,
dinanzi
all’ingresso
delle
chiese,
insomma
ovunque
e in
ogni
dove.
Io
decido
di
seguire
il
ragazzino
con
il
braccio
amputato,
è
una
mia
vecchia
conoscenza,
di
lui
so
già
tanto,
compreso
quel
braccio
perso
per
via
di
un
camion
che
lo
investì
mentre
chiedeva
l'elemosina
ad
un
incrocio
nella
città
di
Foggia
circa
un
paio
di
anni
fa.
Lui
finge
di
non
sapere
che
io
lo
sto
seguendo,
mentre
io
fingo
di
non
sapere
che
lui
mi
ha
scoperto,
il
tutto
mentre
neanche
il
tempo
che
il
sole
inizi
a
sputare
luce
e
caldo
che
i
gentili
inviti
ad
andare
a
quel
paese
non
tardano
ad
arrivare
dai
negozianti,
dai
titolari
di
bar
e
supermercati.
La
loro
è un
invasione
silenziosa
nelle
viscere
di
Barletta,
sembrano
muoversi
tra
l’odio
e il
disprezzo
della
gente
a
cui
rispondono
con
quel
loro
sorriso
sornione,
una
via
di
mezzo
tra
l’irriverente
e
l’innocente.
Un
briciolo
di
compassione
però
non
è
difficile
a
trovarsi
in
fondo,
anche
se
sembra
essere
merce
rara
in
una
Barletta
attanagliata
da
mille
pensieri
politici
e
non.
La
parola
d’ordine
è:
soldi,
soldi,
soldi,
rifiutano
qualsiasi
forma
di
carità
alternativa;
il
ragazzino
dal
braccio
amputato
mi
dirà
in
seguito
che
ognuno
di
loro
deve
racimolare
durante
la
giornata
per
lo
meno
cento
euro,
almeno
per
evitare
certi
brutti
quarti
d’ora,
ecco
quindi
che
il
panino
con
il
prosciutto
cotto
che
la
signora
gli
ha
gentilmente
fatto
fare
dal
salumiere
del
supermarket,
dopo
qualche
morso
viene
buttato
in
un
cassonetto
subito
dopo
aver
girato
la
strada.
Non
c’è
bar
che
non
passano
a
setaccio,
cosi
come
non
c’è
supermarket
che
non
gli
sfugge.
Dal
quartiere
Sette
frati,
al
quartiere
Borgovilla,
da
Santa
Maria
alla
167.
Non
c’è
incrocio
e
non
c’è
semaforo
che
non
veda
la
loro
mano
tesa,
mentre
sui
loro
visi
man
mano
che
la
luce
inizia
ad
illuminare
pare
intravedersi
tracce
di
una
vita
fatta
di
passato
e
presente
che
non
ha
bisogno
di
libri
e
banchi
di
scuola.
Il
caldo
mette
a
duro
qualsiasi
comune
mortale,
mentre
per
loro
è
solo
un
dettaglio,
nonostante
tutto
riescono
anche
a
sorridere
fra
di
loro,
sembrano
avere
poco
o
niente,
sembra
bastare
quella
vita
fatta
senza
regole,
almeno
cosi
sembra.
La
loro
giornata
prosegue
tra
i
banchi
di
una
chiesa
mentre
il
prete
celebra
la
messa
delle
18.30,
tra
gli
ombrelloni
di
una
spiaggia,
tra
i
tavolini
dei
tanti
bar
che
prendono
il
sole
sotto
il
cielo
della
nostra
Barletta,
seguiti
dallo
sguardo
di
coloro
che
seduti
ai
tavoli
se
ne
guardano
bene
seppur
di
toccarli
e
farsi
toccare,
verrebbe
da
chiedersi
se
sia
ignoranza
o
cosa
quando
vedo
una
ragazza
che
toccata
da
un
ragazzino
inizia
ad
agitarsi
manco
fosse
stata
contagiata
da
chissà
quale
malattia.
Il
sole
nel
frattempo,
ha
deciso
che
per
oggi
la
giornata
può
finire
qua,
per
loro
forse.
Alcuni
prendono
la
via
del
ritorno,
il
ragazzino
con
il
braccio
imputato
incontrerà
un
uomo
che
all’apparenza
potrà
avere
all’incirca
cinquant’anni,
siamo
nella
stazione,
con
l’unica
mano
rimasta
tira
fuori
una
busta
piena
di
moneta
e
gliela
consegna.
Stessa
cosa
faranno
due
donne
che
arriveranno
dopo
di
lui,
hanno
in
braccio
i
loro
bambini
che
beatamente
dormono,
storditi
dal
sole
e
dai
sonniferi.
L’uomo
al
primo
treno
diretto
a
Foggia
se
ne
ritorna
a
casa,
mente
il
ragazzino
dal
braccio
amputato
rimane
qui
a
Barletta
a
“godersi”
la
movida
barlettana,
entrano
ed
escono
dalle
pizzerie
ora
con
un
pezzo
di
pizza
ora
con
una
porzioni
di
patatine
fritte,
lui
ne
va
ghiotto,
questo
lo
ricordo
bene.