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storia & sport


N. 18 - Giugno 2009 (XLIX)

I maghi della terra rossa
storia del “Roland Garros”

di Simone Valtieri

 

Che cosa hanno in comune Pete Sampras, Roger Federer, John McEnroe e Jimmy Connors, ossia quattro tra i più grandi giocatori di tennis della storia? Semplice: non hanno mai vinto al Roland Garros. Per eccellere nell’Open di Francia, il più prestigioso torneo del mondo su terra rossa, non serve essere il migliore, bisogna essere specialista di una superficie tanto particolare quanto affascinante.

Sulla terra rossa il tennista scrive le sue giocate come un poeta che lascia segni d’inchiostro sul foglio di carta; ogni rimbalzo della pallina, ogni scivolata, ogni cambio di direzione, ogni caduta, ogni frenata, rimane impressa lì, in ideogrammi di righe e punti sulla superficie rossastra, quasi a voler immortalare il gesto atletico in un’istantanea, pronta ad essere cancellata e sovrapposta da mille altre alle giocate successive.

La pallina poi, quasi a volersi godere anch’essa lo spettacolo, ha rimbalzi più lenti sulla terra rossa rispetto a qualsiasi altra superficie. Così facendo contribuisce a rendere l’esito di un incontro ancor più imprevedibile, spostando le possibilità di successo da giocatori veloci ed esplosivi a tennisti più resistenti e magari con la capacità di disegnare traiettorie più angolate. Ne emergono nomi come Gustavo Kuerten, Sergi Bruguera, Michael Chang, Thomas Muster, Yannick Noah, ma anche gli italiani Adriano Panatta e Nicola Pietrangeli, capaci di imporsi a Parigi, ma mai in nessun altro torneo dello slam.

Ma andiamo per ordine, iniziando da quando il Roland Garros (che altro non è se non il nome dell’impianto dove si giocano oggi gli Internazionali di Francia) e soprattutto la terra rossa ancora non esistevano. Siamo nel 1891, a Parigi, e l’Union des Sociétés Françaises des Sports Athlétiques, organizza, sul campo del Racing club de France, un torneo denominato Championnat de France International de Tennis.

Tutto si gioca nell’arco di una sola giornata, e la superficie utilizzata, ad onor del vero l’unica su cui al tempo si giocava a tennis, è l’erba. S’impone l’unico britannico partecipante, tale H.Briggs, di cui la storia non ci tramanda il nome di battesimo, al termine di una finale vinta sul giocatore locale P. Baigneres. Sarà un caso più unico che raro, visto che da allora fino al 1926 in finale arriveranno soltanto giocatori di casa, anche perché il torneo varrà per diversi anni come campionato nazionale di tennis e vedrà la partecipazione dei soli giocatori stranieri affiliati a società francesi. Sono gli anni di André Vacherot, Paul Aymé, Max Decugis e Maurice Germont, campioni di un tennis pionieristico che si dividono la maggior parte dei titoli in palio prima della Grande Guerra, alcuni dei quali disputati anche in terra belga (a Bruxelles nel 1908, 1909 e 1922).

In campo femminile si parte nel 1897 con una striminzita edizione che vede al via tre sole partecipanti. In finale vince Adine Masson contro P.Girod, anch’essa senza nome sugli albi d’oro, ma anche con un’edizione vinta nel palmarès, quella del 1901. Anche qui a vincere saranno esclusivamente giocatrici transalpine. Oltre ad Adine Masson, che colleziona cinque affermazioni, prima del 1914 si aggiudicano quattro volte il torneo anche Kate Gillou Fenwick e Jeanne Metthey. Viene introdotto negli anni seguenti anche il torneo di doppio misto (1902) e di doppio femminile e maschile (1925).

Nel 1912 arriva la rivoluzione. Viene deciso di sostituire il manto dei campi del Racing club de France, la cui erba necessitava dispendiose attenzioni e cure e si deteriorava velocemente, con una più economica e duratura superficie in terra battuta. É la prima volta nella storia che avviene e sarà l’inizio della diffusione nel mondo dei campi in terra rossa. L’immediato dopoguerra è il periodo di massimo splendore dei giocatori francesi. Tra le donne è la Divina Suzanne Lenglen a dettare legge. Prima diva dello sport e prima audace tennista a giocare con avambracci e polpacci scoperti, era solita sorseggiare del brandy tra un set e l’altro. Aveva perso la finale del 1914, appena quattordicenne, contro la connazionale Marguerite Broquedis, già campionessa in carica dal 1913 e dovette attendere sei anni per avere la rivincita.

Nel 1920 le due tenniste si trovano di nuovo di fronte e la Lenglen vince per due set a zero. I tre anni successivi sono sempre e comunque appannaggio della Divina, che sconfigge per tre volte l’inglese Germaine Golding. Nella sua carriera Suzanne Lenglen vincerà anche sei tornei di singolare a Wimbledon, dodici tornei di doppio e altri due Roland Garros, oltre alla medaglia d’oro olimpica di Anversa 1920.


Nel 1925 il torneo cambia denominazione in Internationaux de France de tennis amateurs, anche per distinguersi dai tornei professionistici che si andavano sempre più diffondendo. Sono gli anni dei “quattro moschettieri”, gli eroi di Francia Jean Borotra, Jacques “Toto” Brugnon, Henri Cochet e René Lacoste. Le gare si disputano a Saint-Claud per tre anni, dal 1925, prima di spostarsi in un nuovo impianto nel 1928: il “Roland Garros”.

L’idea della nuova sede nasce nel 1927, quando i “quattro moschettieri” vincono la prima delle loro sei coppe Davis consecutive. I campioni francesi avevano bisogno di una casa degna per ospitare gli Stati Uniti di Bill Tilden, sconfitti l’anno precedente a Philadelphia. Così viene costruito l’impianto, nel quartiere parigino di Porte d’Auteuil, e intitolato a Roland Garros, un aviatore francese (1888-1918) caduto eroicamente durante la prima guerra mondiale. Da quell’anno tutte le edizioni successive del torneo saranno disputate nella nuova sede che diventerà teatro di momenti epici della storia del tennis.

I quattro moschettieri dettano legge al Roland Garros, così come nel tennis mondiale, fino ai primi anni Trenta: cinque titoli per Cochet, tre per Lacoste e due per Borotra. L’unico che riesce a tenergli testa è l’americano Bill Tilden, in due occasioni battuto in finale, così come l’italiano Giorgio De Stefani, superato nell’ultimo match del 1932 da Henri Cochet per tre set a uno. La finale più bella del periodo resterà quella del torneo del 1927, quando dopo una lunghissima battaglia, René Lacoste riuscirà ad avere la meglio su Bill Tilden al quinto set, conclusosi col punteggio di 11-9.

Nel 1930 intanto, era partito un torneo, non organizzato dalla Federazione Tennistica Francese, riservato ai giocatori dichiaratamente professionisti, che all’epoca, e fino alle soglie degli anni Settanta, venivano considerati con la negativa accezione di mercenari. In realtà erano semplicemente precursori di quello che oggi è il moderno mondo dello sport, considerando anche che il Roland Garros, ufficialmente riservato agli amatori e dilettanti, elargiva sottobanco e ipocritamente dei premi in denaro.

Questo torneo, organizzato generalmente nel mese di settembre (mentre quello per amatori veniva storicamente disputato tra maggio e giugno) si protrarrà fino al 1967, anno precedente all’unificazione dei due tornei, e negli ultimi venti anni della sua vita verrà considerato più prestigioso del Roland Garros stesso, anche perché tutti i migliori giocatori del mondo stavano pian piano passando al professionismo.

Nell’immediato anteguerra sono più d’uno i protagonisti sui campi parigini. Il tedesco Gottfried von Cramm raggiunge tre volte la finale tra il 1934 e il 1936, vincendo due edizioni e perdendo quella del 1935 contro la stella britannica Fred Perry. Von Cramm ha una storia travagliata: omosessuale nella Germania hitleriana, verrà imprigionato e processato per il “crimine di omosessualità” nonostante i meriti sportivi. Sarà liberato grazie all’intercessione di Gustavo V di Svezia, grande amante del gioco della racchetta, e alla sollevazione del mondo del tennis. Presterà comunque servizio nell’esercito tedesco e, sopravvissuto alla seconda guerra mondiale, continuerà la sua attività tennistica fino al 1953. Fred Perry invece, vincitore per tre volte di Wimbledon, resterà nella storia oltre che per le sue innate doti tecniche, anche per la linea d’abbigliamento fondata, in concorrenza con l’amico Lacoste, nel 1930.

Sono anche gli anni della stella americana Donald Budge, per tutti “Don”, che vincerà gli internazionali di Francia del 1938 sconfiggendo il tedesco Roderick Menzel per tre set a zero. Don rimarrà numero uno del tennis mondiale per cinque anni, grazie anche alla perfezione di un rovescio che, secondo i tecnici, nella storia trova eguali solo nell’australiano Ken Rosewall. Inoltre quell’anno passerà alla storia per essere stato il primo tennista a riuscire nell’impresa di vincere tutti e quattro i tornei dello Slam: Australian Open (in finale contro John Bromwich), Roland Garros, Wimbledon (su Henry Austin) e US Open (contro Gene Mako).

Tra le donne si distinguono in questi anni: la statunitense Hellen Wills-Moody, anche detta Little Miss Poker Face (Signorina faccia da poker) a causa della sua rigida inespressività, con quattro nette affermazioni a cavallo tra i Venti e i Trenta; Margaret Scriven, prima britannica a conquistare la terra francese; Hilde Krahwinkel, tedesca più nota col cognome del marito (Sperling) che vincerà tre edizioni consecutive; Simone Mathieu, eroina di casa che perde sei finali in carriera (di cui tre proprio contro la Sperling) prima di aggiudicarsi due titoli nel 1938 e nel 1939. La guerra porta alla sospensione di tutti i più grandi avvenimenti sportivi.

Il Roland Garros riparte nel 1946 e a spartirsi le edizioni post-belliche sono soprattutto le atlete americane: Margaret Osborne, Doris Hart e Maureen Connelly si aggiudicano due volte il trofeo, Patricia Canning-Todd e Althea Gibson una. Sarà però un’inglese la protagonista di due delle finali più tirate della storia: Angela Mortimer. Nel 1955 vincerà per due set a uno, chiudendo con un lunghissimo ultimo set per 10-8 (all’epoca non esisteva il tie-break) contro l’americana Dorothy Head-Knode, e l’anno successivo sarà sconfitta dalla Gibson con un secondo set terminato 12-10 per la statunitense..

In campo maschile sono gli anni del giramondo Jaroslav Drobny, cecoslovacco di nascita, naturalizzato egiziano poi e infine britannico, che vince due edizioni nel 1951 e 1952, e di Ken Rosewall, fuoriclasse australiano che dopo una vittoria da dilettante a soli 19 anni nel torneo del 1953, passerà al professionismo vincendo, prima dell’era Open (cominciata nel 1968), ben otto internazionali di Francia per professionisti fino al 1966. Sono anche gli anni degli ottimi americani Frank Parker, Budge Patty e Tony Trabert, e degli australiani Lew Hoad e Mervyn Rose, ma in Italia verranno ricordati soprattutto per gli exploit di Nicola Pietrangeli.

Nel 1959 e nel 1960 il tennista italiano dalle origini tunisine centra due storiche affermazioni contro il sudafricano Vermaak in quattro set e contro il cileno Ayala al quinto. Col suo gioco potente e tecnicamente impeccabile, Pietrangeli riuscirà a raggiungere la finale anche nel 1961 e nel 1964 ma senza mai a completare uno storico tris, in quanto sconfitto entrambe le volte dallo spagnolo Manuel Santana.

Gli anni Sessanta sono quelli del dominio australiano e della rivoluzione dell’era Open. Rod Laver, Roy Emerson, Fred Stolle, Tony Roche e il già citato Ken Rosewall, monopolizzano il tennis mondiale, specialmente il Roland Garros, fino al 1967, sia in campo dilettantistico che professionistico. Le donne non sono da meno, con Lesley Bowrey (due affermazioni) e Margaret Smith-Court (anch’essa due affermazioni prima del 1968) a prevalere il più delle volte sulle rivali britanniche (Ann Haydon Jones porta a casa due Rolanda Garros nel 1961 e nel 1966) e americane. Nel 1968 viene deciso di aprire a tutti, professionisti e non, la partecipazione ai tornei del Grande Slam, ossia i quattro più prestigiosi e ricchi nel mondo (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open).

Inoltre, l’avvento della televisione fa crescere a dismisura l’interesse verso una disciplina fino ad allora considerata per ricchi e privilegiati. Sulla terra rossa parigina continuano comunque a dettar legge i tennisti provenienti dall’emisfero australe. Margaret Smith-Court, considerata non a torto una delle più forti tenniste di tutti i tempi, vince altri tre tornei che si vanno ad aggiungere a fine carriera agli otto trionfi tra doppio e doppio misto e alle vittorie negli altri slam, portandola all’invidiabile record di 62 trionfi. Ken Rosewall e Rod Laver si spartiscono invece i tornei maschili del 1968 e 1969, il primo incassando tra l’altro per la prima volta nella storia il premio in denaro riservato al vincitore: 100.000 franchi.

Il tennis è però in rapida mutazione, sta diventando uno sport di respiro mondiale ed iniziano ad emergere giocatori provenienti da Paesi fino ad allora di non eccelsa tradizione. Inoltre il Roland Garros comincia a diventare in questi anni un terreno chiuso, dove la vittoria è una questione per specialisti della terra rossa, con scarse eccezioni. Primo ad inaugurare i successi degli anni Settanta sarà il cecoslovacco Jan Kodes con due titoli, seguito dallo spagnolo Andres Gimeno, dal funambolo rumeno Ilie Nastase e dal migliore “terraiolo” del XX secolo: Bjorn Borg. Il biondo di Södertälje, piccolo paesino vicino a Stoccolma, dimostra precocissimo il suo talento, debuttando a 15 anni in Coppa Davis.

A Parigi vincerà sei titoli, rendendosi protagonista di memorabili duelli contro l’argentino Vilas (vincitore del titolo nel 1977) o il cecoslovacco Lendl, prima di chiudere la carriera prematuramente nel 1982, ancora nel pieno della sua forma fisica. A Parigi, Borg perderà due soli incontri in carriera: nel 1973, al debutto, e nel 1976, in entrambe le occasioni per mano dell’italiano Adriano Panatta. L’azzurro, vincitore del Roland Garros proprio nel 1976, elegante in campo e guascone fuori, dopo quel successo verrà spontaneamente ed erroneamente paragonato, viste le diversissime qualità, caratteriali e tennistiche, al suo predecessore sul trono parigino, Pietrangeli.

Anche il tennis femminile è in rapida evoluzione. A vincere i primi titoli del decennio sono l’australiana Evonne Goolagong e la statunitense Bille Jean King, due fuoriclasse che avranno però più successo negli altri tornei dello Slam, con quattro Australian Open vinti dalla prima e addirittura sei Wimbledon per la seconda. Nel 1974 sale agli onori della cronaca una bella ragazza bionda che dominerà il tennis mondiale insieme ad un’altra sua connazionale, la cecoslovacca naturalizzata statunitense Martina Navratilova, per oltre un decennio: Chris Evert. Diciannove anni, americana, gonnellino corto e aspetto piacente, la bella Chris accompagna grazia e potenza ad un rovescio a due mani che entra di diritto tra i colpi più celebri della storia del tennis.

La Evert vincerà sette Roland Garros in carriera e sarà è protagonista di tre tiratissime finali con l’amica-nemica Navratilova, dal 1984 al 1986, concluse con un bilancio di due vittorie ed una sconfitta. Martina, d’altro canto, vincerà le edizioni del 1982 e del 1984, che per una non specialista della terra rossa è un risultato notevole. Prima di loro quattro brave terraiole si erano aggiudicate il torneo: la britannica Sue Barker nel 1976, la jugoslava Mima Jausovec nel 1977, la rumena Virginia Ruzici nel 1978 e il grandissimo talento inespresso, Hana Mandlikova, cecoslovacca, nel 1981.

Gli anni Ottanta sono per gli uomini il periodo d’oro del tennis. Nonostante l’abbandono precoce di Borg, rimangono a contendersi lo scettro del migliore, fuoriclasse assoluti come il cecoslovacco Ivan Lendl, l’americano Jimmy Connors e il suo connazionale, il bizzoso e geniale John McEnroe.

Ma, come detto, Parigi è terreno per gli specialisti, così i due americani, che mietono successi a ripetizione in giro per il mondo, al Roland Garros non vantano risultati di rilievo. Connors addirittura non raggiungerà mai la finale del torneo, venendo eliminato ben quattro volte in semifinale, mentre McEnroe, perderà quella del 1984, la sua unica in carriera, contro Ivan Lendl. Dal canto suo Lendl, specialista della terra rossa, riporterà tre successi, dovendo spesso vedersela con i giocatori della scuola svedese, Mats Wilander su tutti, anch’essi grandi specialisti del rosso.

La sorpresa di quegli anni è senza ombra di dubbio un atleta di colore dal fisico esplosivo, ad oggi ancora l’ultimo francese ad aggiudicarsi gli Internazionali: Yannick Noah. La pantera nera Noah, primo tennista di colore a vincere un Roland Garros, batterà il campione in carica Wilander nella finale del 1982, grazie alle sue innate doti di elasticità e prontezza di riflessi, facendo innamorare di nuovo del tennis una nazione intera. Resta famoso per il colpo che prende il suo nome e che eseguiva quando, agli avversari che provavano a sorprenderlo con un pallonetto, rispondeva, spalle alla rete, colpendo la pallina tra le gambe.

Gli anni Ottanta sono anche quelli della rivoluzione dei materiali: vengono abbandonate le racchette in legno e si opta per attrezzi molto più leggeri in materiali moderni, come la fibra di carbonio, che permettono colpi rapidissimi e sconvolgono il tennis. Le caratteristiche che da qui in avanti verranno favorite da questi cambiamenti sono la forza, la potenza e la velocità, a discapito della tecnica sopraffina.

I giocatori iniziano a scendere a rete sempre più spesso e a giocare sempre meno da fondo campo. Un nuovo sport si sta affacciando sul panorama mondiale. Tra le ragazze le prime ad ben adattarsi ai nuovi mezzi sono una tedesca, una spagnola e una jugoslava, che in tre vinceranno tutti i titoli in palio dal dopo-Evert fino al 1996: Steffi Graf, Arantxa Sanchez e Monica Seles. La prima, considerata una delle più forti giocatrici di sempre, inizia giovanissima e a 18 anni ancora da compiere porta a casa il primo dei suoi cinque Roland Garros.

Dotata di un dritto devastante, per questo soprannominata Fräulein Forehand (Miss Dritto), Steffi mantiene a lungo il numero uno della classifica mondiale e conquista, nel 1988, a neanche vent’anni di età, l’ambitissimo Grande Slam, condito dalla medaglia d’oro olimpica conquistata a Seul. La finale del primo titolo, quello del 1988 contro Martina Navratilova, è una vera e propria battaglia che segna un informale passaggio di consegne tra la vecchia e la nuova regina del tennis, sebbene la carriera di Martina Navratilova continuerà fino ad età impensabili per ogni altro atleta.

Nel 1989 è ancora la Graf a vincere con un doppio 6-0 il torneo, contro la annichilita sovietica Natasha Zvereva, poi però arrivano due finali consecutive perse contro Sanchez e Seles, prima di tornare alla vittoria nel 1993, nel 1995 e nel 1996. La spagnola Sanchez vincerà anche l’edizione del 1994, in finale contro la francese Mary Pierce (che diventerà nel 2000 l’ultima atleta di casa a vincere) e quella del 1998 proprio contro la Seles, perdendo però dalla Graf due finali consecutive negli anni 1995 e 1996. Monica Seles sarà invece protagonista di una vicenda del tutto particolare e dai connotati drammatici. Lanciata verso il gotha del tennis mondiale alla giovanissima età di sedici anni (è la più giovane vincitrice di un Roland Garros), conquista tre edizioni consecutive del Roland Garros dal 1990 al 1992.

Prima nel ranking professionistico, durante il torneo di Amburgo, nell’aprile del 1993, viene accoltellata da un tifoso morboso di Steffi Graf, al quale aveva tolto la leadership mondiale, e rischia la vita. Subirà un forte shock mentale e dei notevoli danni fisici, che la terranno lontano dai campi per due anni. Al rientro, con la nuova nazionalità americana, riuscirà a tornare ad ottimi livelli e sarà numero 1 del mondo, d’ufficio, per decisione della WTA (Women’s Tennis Association), fino al novembre del 1996, riuscendo ad arrivare nuovamente in finale a Parigi nel 1998.

Dalla fine degli anni Ottanta in poi, il torneo maschile sarà sempre più appannaggio delle scuole latine, dove il clima più caldo aveva favorito la diffusione di campi in terra, a discapito di quelli in erba e in cemento, che risultavano di difficile praticabilità e gestione nei mesi torridi. Così in America Latina e Spagna iniziano a crescere giocatori sempre più abili sul rosso. Nel 1989 è però un giovane americano, dalle spiccate origini orientali, a sorprendere tutti con la sua potenza: Michael Chang batte il fuoriclasse svedese Stefan Edberg in una tiratissima finale in cinque set diventando il più giovane vincitore di sempre (17 anni e tre mesi) e precedendo di due anni la doppietta di un altro americano, il rosso di Sanford, Jim Courier (1991-92).

In mezzo la prima di una lunga serie di vittorie latine, quella a sorpresa dell’ecuadoregno Andres Gomez che supera nella finale del 1990 un giovane campione emergente, l’americano Andre Agassi. Da qui in avanti, tranne rare eccezioni, come quella dello stesso Agassi nel 1999 o del russo Kafelnikov nel 1996, a vincere saranno solo latini: due volte lo spagnolo Sergi Brugera, una i connazionali Moya, Costa e Ferrero, una anche il terraiolo austriaco Muster che grazie alle sue vittorie sul rosso raggiungerà anche il primo posto mondiale, e, soprattutto, tre volte l’idolo di Parigi, il brasiliano Gustavo Kuerten.

“Guga”, come era soprannominato il tennista di Florianopolis, è stato uno degli atleti più amati e che più ha emozionato il Roland Garros. Alla fine di ogni partita era solito ringraziare il pubblico disegnando con la sua racchetta un gigante cuore sulla terra rivolto agli spettatori, nel quale si gettava stremato a godersi il successo. Terraiolo doc, commuove il mondo anche per la sua vicenda personale: rimasto orfano del padre all’età di otto anni, e con un fratello minore che soffriva di paralisi cerebrale e da poco scomparso, Guga rimane impresso nella memoria degli appassionati anche perché, nonostante il suo vissuto è sempre stato uno dei più sorridenti, sereni, educati e disponibili giocatori del circuito.

Nel 2001 il complesso del “Roland Garros” viene rinnovato ed adeguato alle moderne esigenze del pubblico e degli sponsor. Il tennis del nuovo millennio è un business gigantesco in cui anche le palline utilizzate durante le partite vengono rivendute subito dopo e in cui un impianto importante come quello parigino resta aperto, come una sorta di villaggio del tennis, per tutto l’anno. Il nuovo campo centrale da 15.000 spettatori è intitolato a Philippe Chatrier, ex presidente della federazione tennistica francese e ogni tribuna viene chiamata con il nome di uno degli storici “quattro moschettieri” del tennis transalpino. Il complesso di 7,9 ettari a Porte d’Autueil viene ampliato a venti campi, sedici per le gare e quattro per gli allenamenti, tra cui il secondo stadio per importanza, intitolato a Suzanne Lenglen, con una capienza di 10.000 posti.

Siamo ai giorni nostri. Nel tennis femminile gli Internazionali di Francia trovano una dominatrice nella belga Justine Henin, che nella sua folgorante e breve carriera, si aggiudica in cinque anni, dal 2003 al 2007, ben quattro tornei in maniera netta, vincendo tutte le finali per 2-0 e lasciando solo l’edizione del 2004 alla russa Anastasia Myskina. Una finale passata alla storia è anche quella disputata nel 2002 tra due sorelle Serena e Venus Williams. Tra le due bellezze d’ebano americane, dotate entrambe di una forza esplosiva ed allenate dal loro severo padre, vince la più piccola, Serena, che segue nell’albo d’oro la connazionale Jennifer Capriati. L’ultimo successo sul “Chatrier” è appannaggio della bellissima tennista serba Ana Ivanovic. Tra i maschi, dopo la finale tutta argentina tra Gaudio e Coria nel 2004, vinta dal primo per tre set a due, Parigi trova il padrone nella figura del giovane tennista spagnolo Rafael Nadal.

Il ragazzo di Maiorca, recentemente numero uno del mondo, domina sulla terra rossa da quando è juniores, ed ha vinto quattro tornei su altrettante partecipazioni, superando nelle ultime tre finali il campione svizzero Roger Federer, cui manca solo il Roland Garros per poter raggiungere Roy Emerson, Andre Agassi, Fred Perry e Donald Budge nel ristretto club di chi si è aggiudicato tutti e quattro gli Slam.

L’ultracentenario Roland Garros è oggi il torneo su terra più prestigioso del mondo e quello mediaticamente più seguito, anche rispetto a Wimbledon, in quanto coinvolge un maggior numero di atleti potenzialmente interessati alla vittoria o alla buona prestazione di un loro tennista. In America Latina e nei paesi caldi, come già detto, si gioca infatti prevalentemente su terra rossa e crescono quasi esclusivamente giocatori specializzati.

Il montepremi del torneo parigino ha da un paio d’anni equiparato i premi dei tornei maschili e femminili precorrendo probabilmente la strada che verrà intrapresa in altri sport, ma rimane comunque, insieme all’equivalente londinese, molto legato alle sue tradizioni. Nonostante le regole internazionali siano cambiate, mantiene ancora oggi l’eventuale quinto set senza il tie-break, cioè con la regola di giocare ogni game fino a quando un giocatore non riesce a distanziare l’avversario di almeno due punti. Da qui sono scaturite partite epiche, come quella del 2004 tra i due tennisti di casa Fabrice Santoro e Arnaud Clement, che si sono datti battaglia per cinque set, terminando con il punteggio di 6-4, 6-3, 6-7, 3-6, 16-14 dopo oltre sei ore e mezza di gioco.

Con i suoi interminabili match al meglio dei cinque set e con i rimbalzi lenti delle palline sulla terra rossa che rendono gli scambi ancora più lunghi, il Roland Garros è oggi il più duro torneo tennistico del mondo, sia dal punto di vista fisico che della tenuta psicologica di un giocatore. Nelle due settimane primaverili, l’impianto di Porte d’Auteuil si riempie di appassionati e turisti, ma il pellegrinaggio verso la “Mecca del tennis” prosegue anche nei mesi di inattività del torneo, quando è possibile fare colazione, riposarsi o giocare all’interno dei campi del club. Tappa obbligata è però il Tenniseum, una struttura che raccoglie documenti, libri, giornali, cataloghi e migliaia e migliaia di ore di materiale video sulla storia del tennis e del torneo, il tutto consultabile dai visitatori che nelle stanze del museo possono calarsi completamente nelle atmosfere emozionanti di altri tempi, tra enormi racchettoni in legno, eleganti completini di gioco e fotografie in bianco e nero del tennis che fu.



 

 

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