N. 18 - Giugno 2009
(XLIX)
I maghi della terra rossa
storia del “Roland Garros”
di Simone Valtieri
Che cosa hanno in comune Pete Sampras, Roger Federer,
John McEnroe e Jimmy Connors, ossia quattro tra i più
grandi giocatori di tennis della storia? Semplice: non
hanno mai vinto al Roland Garros. Per eccellere
nell’Open di Francia, il più prestigioso torneo del
mondo su terra rossa, non serve essere il migliore,
bisogna essere specialista di una superficie tanto
particolare quanto affascinante.
Sulla terra rossa il tennista scrive le sue giocate come
un poeta che lascia segni d’inchiostro sul foglio di
carta; ogni rimbalzo della pallina, ogni scivolata, ogni
cambio di direzione, ogni caduta, ogni frenata, rimane
impressa lì, in ideogrammi di righe e punti sulla
superficie rossastra, quasi a voler immortalare il gesto
atletico in un’istantanea, pronta ad essere cancellata e
sovrapposta da mille altre alle giocate successive.
La pallina poi, quasi a volersi godere anch’essa lo
spettacolo, ha rimbalzi più lenti sulla terra rossa
rispetto a qualsiasi altra superficie. Così facendo
contribuisce a rendere l’esito di un incontro ancor più
imprevedibile, spostando le possibilità di successo da
giocatori veloci ed esplosivi a tennisti più resistenti
e magari con la capacità di disegnare traiettorie più
angolate. Ne emergono nomi come Gustavo Kuerten, Sergi
Bruguera, Michael Chang, Thomas Muster, Yannick Noah, ma
anche gli italiani Adriano Panatta e Nicola Pietrangeli,
capaci di imporsi a Parigi, ma mai in nessun altro
torneo dello slam.
Ma andiamo per ordine, iniziando da quando il Roland
Garros (che altro non è se non il nome dell’impianto
dove si giocano oggi gli Internazionali di Francia) e
soprattutto la terra rossa ancora non esistevano. Siamo
nel 1891, a Parigi, e l’Union des Sociétés Françaises
des Sports Athlétiques, organizza, sul campo del Racing
club de France, un torneo denominato Championnat de
France International de Tennis.
Tutto si gioca nell’arco di una sola giornata, e la
superficie utilizzata, ad onor del vero l’unica su cui
al tempo si giocava a tennis, è l’erba. S’impone l’unico
britannico partecipante, tale H.Briggs, di cui la storia
non ci tramanda il nome di battesimo, al termine di una
finale vinta sul giocatore locale P. Baigneres. Sarà un
caso più unico che raro, visto che da allora fino al
1926 in finale arriveranno soltanto giocatori di casa,
anche perché il torneo varrà per diversi anni come
campionato nazionale di tennis e vedrà la partecipazione
dei soli giocatori stranieri affiliati a società
francesi. Sono gli anni di André Vacherot, Paul Aymé,
Max Decugis e Maurice Germont, campioni di un tennis
pionieristico che si dividono la maggior parte dei
titoli in palio prima della Grande Guerra, alcuni dei
quali disputati anche in terra belga (a Bruxelles nel
1908, 1909 e 1922).
In campo femminile si parte nel 1897 con una striminzita
edizione che vede al via tre sole partecipanti. In
finale vince Adine Masson contro P.Girod, anch’essa
senza nome sugli albi d’oro, ma anche con un’edizione
vinta nel palmarès, quella del 1901. Anche qui a vincere
saranno esclusivamente giocatrici transalpine. Oltre ad
Adine Masson, che colleziona cinque affermazioni, prima
del 1914 si aggiudicano quattro volte il torneo anche
Kate Gillou Fenwick e Jeanne Metthey. Viene introdotto
negli anni seguenti anche il torneo di doppio misto
(1902) e di doppio femminile e maschile (1925).
Nel 1912 arriva la rivoluzione. Viene deciso di
sostituire il manto dei campi del Racing club de France,
la cui erba necessitava dispendiose attenzioni e cure e
si deteriorava velocemente, con una più economica e
duratura superficie in terra battuta. É la prima volta
nella storia che avviene e sarà l’inizio della
diffusione nel mondo dei campi in terra rossa.
L’immediato dopoguerra è il periodo di massimo splendore
dei giocatori francesi. Tra le donne è la Divina Suzanne
Lenglen a dettare legge. Prima diva dello sport e prima
audace tennista a giocare con avambracci e polpacci
scoperti, era solita sorseggiare del brandy tra un set e
l’altro. Aveva perso la finale del 1914, appena
quattordicenne, contro la connazionale Marguerite
Broquedis, già campionessa in carica dal 1913 e dovette
attendere sei anni per avere la rivincita.
Nel 1920 le due tenniste si trovano di nuovo di fronte e
la Lenglen vince per due set a zero. I tre anni
successivi sono sempre e comunque appannaggio della
Divina, che sconfigge per tre volte l’inglese Germaine
Golding. Nella sua carriera Suzanne Lenglen vincerà
anche sei tornei di singolare a Wimbledon, dodici tornei
di doppio e altri due Roland Garros, oltre alla medaglia
d’oro olimpica di Anversa 1920.
Nel 1925 il torneo cambia denominazione in
Internationaux de France de tennis amateurs, anche per
distinguersi dai tornei professionistici che si andavano
sempre più diffondendo. Sono gli anni dei “quattro
moschettieri”, gli eroi di Francia Jean Borotra, Jacques
“Toto” Brugnon, Henri Cochet e René Lacoste. Le gare si
disputano a Saint-Claud per tre anni, dal 1925, prima di
spostarsi in un nuovo impianto nel 1928: il “Roland
Garros”.
L’idea della nuova sede nasce nel 1927, quando i
“quattro moschettieri” vincono la prima delle loro sei
coppe Davis consecutive. I campioni francesi avevano
bisogno di una casa degna per ospitare gli Stati Uniti
di Bill Tilden, sconfitti l’anno precedente a
Philadelphia. Così viene costruito l’impianto, nel
quartiere parigino di Porte d’Auteuil, e intitolato a
Roland Garros, un aviatore francese (1888-1918) caduto
eroicamente durante la prima guerra mondiale. Da quell’anno
tutte le edizioni successive del torneo saranno
disputate nella nuova sede che diventerà teatro di
momenti epici della storia del tennis.
I quattro moschettieri dettano legge al Roland Garros,
così come nel tennis mondiale, fino ai primi anni
Trenta: cinque titoli per Cochet, tre per Lacoste e due
per Borotra. L’unico che riesce a tenergli testa è
l’americano Bill Tilden, in due occasioni battuto in
finale, così come l’italiano Giorgio De Stefani,
superato nell’ultimo match del 1932 da Henri Cochet per
tre set a uno. La finale più bella del periodo resterà
quella del torneo del 1927, quando dopo una lunghissima
battaglia, René Lacoste riuscirà ad avere la meglio su
Bill Tilden al quinto set, conclusosi col punteggio di
11-9.
Nel 1930 intanto, era partito un torneo, non organizzato
dalla Federazione Tennistica Francese, riservato ai
giocatori dichiaratamente professionisti, che all’epoca,
e fino alle soglie degli anni Settanta, venivano
considerati con la negativa accezione di mercenari. In
realtà erano semplicemente precursori di quello che oggi
è il moderno mondo dello sport, considerando anche che
il Roland Garros, ufficialmente riservato agli amatori e
dilettanti, elargiva sottobanco e ipocritamente dei
premi in denaro.
Questo torneo, organizzato generalmente nel mese di
settembre (mentre quello per amatori veniva storicamente
disputato tra maggio e giugno) si protrarrà fino al
1967, anno precedente all’unificazione dei due tornei, e
negli ultimi venti anni della sua vita verrà considerato
più prestigioso del Roland Garros stesso, anche perché
tutti i migliori giocatori del mondo stavano pian piano
passando al professionismo.
Nell’immediato anteguerra sono più d’uno i protagonisti
sui campi parigini. Il tedesco Gottfried von Cramm
raggiunge tre volte la finale tra il 1934 e il 1936,
vincendo due edizioni e perdendo quella del 1935 contro
la stella britannica Fred Perry. Von Cramm ha una storia
travagliata: omosessuale nella Germania hitleriana,
verrà imprigionato e processato per il “crimine di
omosessualità” nonostante i meriti sportivi. Sarà
liberato grazie all’intercessione di Gustavo V di
Svezia, grande amante del gioco della racchetta, e alla
sollevazione del mondo del tennis. Presterà comunque
servizio nell’esercito tedesco e, sopravvissuto alla
seconda guerra mondiale, continuerà la sua attività
tennistica fino al 1953. Fred Perry invece, vincitore
per tre volte di Wimbledon, resterà nella storia oltre
che per le sue innate doti tecniche, anche per la linea
d’abbigliamento fondata, in concorrenza con l’amico
Lacoste, nel 1930.
Sono anche gli anni della stella americana Donald Budge,
per tutti “Don”, che vincerà gli internazionali di
Francia del 1938 sconfiggendo il tedesco Roderick Menzel
per tre set a zero. Don rimarrà numero uno del tennis
mondiale per cinque anni, grazie anche alla perfezione
di un rovescio che, secondo i tecnici, nella storia
trova eguali solo nell’australiano Ken Rosewall. Inoltre
quell’anno passerà alla storia per essere stato il primo
tennista a riuscire nell’impresa di vincere tutti e
quattro i tornei dello Slam: Australian Open (in finale
contro John Bromwich), Roland Garros, Wimbledon (su
Henry Austin) e US Open (contro Gene Mako).
Tra le donne si distinguono in questi anni: la
statunitense Hellen Wills-Moody, anche detta Little Miss
Poker Face (Signorina faccia da poker) a causa della sua
rigida inespressività, con quattro nette affermazioni a
cavallo tra i Venti e i Trenta; Margaret Scriven, prima
britannica a conquistare la terra francese; Hilde
Krahwinkel, tedesca più nota col cognome del marito (Sperling)
che vincerà tre edizioni consecutive; Simone Mathieu,
eroina di casa che perde sei finali in carriera (di cui
tre proprio contro la Sperling) prima di aggiudicarsi
due titoli nel 1938 e nel 1939. La guerra porta alla
sospensione di tutti i più grandi avvenimenti sportivi.
Il Roland Garros riparte nel 1946 e a spartirsi le
edizioni post-belliche sono soprattutto le atlete
americane: Margaret Osborne, Doris Hart e Maureen
Connelly si aggiudicano due volte il trofeo, Patricia
Canning-Todd e Althea Gibson una. Sarà però un’inglese
la protagonista di due delle finali più tirate della
storia: Angela Mortimer. Nel 1955 vincerà per due set a
uno, chiudendo con un lunghissimo ultimo set per 10-8
(all’epoca non esisteva il tie-break) contro l’americana
Dorothy Head-Knode, e l’anno successivo sarà sconfitta
dalla Gibson con un secondo set terminato 12-10 per la
statunitense..
In campo maschile sono gli anni del giramondo Jaroslav
Drobny, cecoslovacco di nascita, naturalizzato egiziano
poi e infine britannico, che vince due edizioni nel 1951
e 1952, e di Ken Rosewall, fuoriclasse australiano che
dopo una vittoria da dilettante a soli 19 anni nel
torneo del 1953, passerà al professionismo vincendo,
prima dell’era Open (cominciata nel 1968), ben otto
internazionali di Francia per professionisti fino al
1966. Sono anche gli anni degli ottimi americani Frank
Parker, Budge Patty e Tony Trabert, e degli australiani
Lew Hoad e Mervyn Rose, ma in Italia verranno ricordati
soprattutto per gli exploit di Nicola Pietrangeli.
Nel 1959 e nel 1960 il tennista italiano dalle origini
tunisine centra due storiche affermazioni contro il
sudafricano Vermaak in quattro set e contro il cileno
Ayala al quinto. Col suo gioco potente e tecnicamente
impeccabile, Pietrangeli riuscirà a raggiungere la
finale anche nel 1961 e nel 1964 ma senza mai a
completare uno storico tris, in quanto sconfitto
entrambe le volte dallo spagnolo Manuel Santana.
Gli anni Sessanta sono quelli del dominio australiano e
della rivoluzione dell’era Open. Rod Laver, Roy Emerson,
Fred Stolle, Tony Roche e il già citato Ken Rosewall,
monopolizzano il tennis mondiale, specialmente il Roland
Garros, fino al 1967, sia in campo dilettantistico che
professionistico. Le donne non sono da meno, con Lesley
Bowrey (due affermazioni) e Margaret Smith-Court
(anch’essa due affermazioni prima del 1968) a prevalere
il più delle volte sulle rivali britanniche (Ann Haydon
Jones porta a casa due Rolanda Garros nel 1961 e nel
1966) e americane. Nel 1968 viene deciso di aprire a
tutti, professionisti e non, la partecipazione ai tornei
del Grande Slam, ossia i quattro più prestigiosi e
ricchi nel mondo (Australian Open, Roland Garros,
Wimbledon e US Open).
Inoltre, l’avvento della televisione fa crescere a
dismisura l’interesse verso una disciplina fino ad
allora considerata per ricchi e privilegiati. Sulla
terra rossa parigina continuano comunque a dettar legge
i tennisti provenienti dall’emisfero australe. Margaret
Smith-Court, considerata non a torto una delle più forti
tenniste di tutti i tempi, vince altri tre tornei che si
vanno ad aggiungere a fine carriera agli otto trionfi
tra doppio e doppio misto e alle vittorie negli altri
slam, portandola all’invidiabile record di 62 trionfi.
Ken Rosewall e Rod Laver si spartiscono invece i tornei
maschili del 1968 e 1969, il primo incassando tra
l’altro per la prima volta nella storia il premio in
denaro riservato al vincitore: 100.000 franchi.
Il tennis è però in rapida mutazione, sta diventando uno
sport di respiro mondiale ed iniziano ad emergere
giocatori provenienti da Paesi fino ad allora di non
eccelsa tradizione. Inoltre il Roland Garros comincia a
diventare in questi anni un terreno chiuso, dove la
vittoria è una questione per specialisti della terra
rossa, con scarse eccezioni. Primo ad inaugurare i
successi degli anni Settanta sarà il cecoslovacco Jan
Kodes con due titoli, seguito dallo spagnolo Andres
Gimeno, dal funambolo rumeno Ilie Nastase e dal migliore
“terraiolo” del XX secolo: Bjorn Borg. Il biondo di
Södertälje, piccolo paesino vicino a Stoccolma, dimostra
precocissimo il suo talento, debuttando a 15 anni in
Coppa Davis.
A Parigi vincerà sei titoli, rendendosi protagonista di
memorabili duelli contro l’argentino Vilas (vincitore
del titolo nel 1977) o il cecoslovacco Lendl, prima di
chiudere la carriera prematuramente nel 1982, ancora nel
pieno della sua forma fisica. A Parigi, Borg perderà due
soli incontri in carriera: nel 1973, al debutto, e nel
1976, in entrambe le occasioni per mano dell’italiano
Adriano Panatta. L’azzurro, vincitore del Roland Garros
proprio nel 1976, elegante in campo e guascone fuori,
dopo quel successo verrà spontaneamente ed erroneamente
paragonato, viste le diversissime qualità, caratteriali
e tennistiche, al suo predecessore sul trono parigino,
Pietrangeli.
Anche il tennis femminile è in rapida evoluzione. A
vincere i primi titoli del decennio sono l’australiana
Evonne Goolagong e la statunitense Bille Jean King, due
fuoriclasse che avranno però più successo negli altri
tornei dello Slam, con quattro Australian Open vinti
dalla prima e addirittura sei Wimbledon per la seconda.
Nel 1974 sale agli onori della cronaca una bella ragazza
bionda che dominerà il tennis mondiale insieme ad
un’altra sua connazionale, la cecoslovacca naturalizzata
statunitense Martina Navratilova, per oltre un decennio:
Chris Evert. Diciannove anni, americana, gonnellino
corto e aspetto piacente, la bella Chris accompagna
grazia e potenza ad un rovescio a due mani che entra di
diritto tra i colpi più celebri della storia del tennis.
La Evert vincerà sette Roland Garros in carriera e sarà
è protagonista di tre tiratissime finali con
l’amica-nemica Navratilova, dal 1984 al 1986, concluse
con un bilancio di due vittorie ed una sconfitta.
Martina, d’altro canto, vincerà le edizioni del 1982 e
del 1984, che per una non specialista della terra rossa
è un risultato notevole. Prima di loro quattro brave
terraiole si erano aggiudicate il torneo: la britannica
Sue Barker nel 1976, la jugoslava Mima Jausovec nel
1977, la rumena Virginia Ruzici nel 1978 e il
grandissimo talento inespresso, Hana Mandlikova,
cecoslovacca, nel 1981.
Gli anni Ottanta sono per gli uomini il periodo d’oro
del tennis. Nonostante l’abbandono precoce di Borg,
rimangono a contendersi lo scettro del migliore,
fuoriclasse assoluti come il cecoslovacco Ivan Lendl,
l’americano Jimmy Connors e il suo connazionale, il
bizzoso e geniale John McEnroe.
Ma, come detto, Parigi è terreno per gli specialisti,
così i due americani, che mietono successi a ripetizione
in giro per il mondo, al Roland Garros non vantano
risultati di rilievo. Connors addirittura non
raggiungerà mai la finale del torneo, venendo eliminato
ben quattro volte in semifinale, mentre McEnroe, perderà
quella del 1984, la sua unica in carriera, contro Ivan
Lendl. Dal canto suo Lendl, specialista della terra
rossa, riporterà tre successi, dovendo spesso vedersela
con i giocatori della scuola svedese, Mats Wilander su
tutti, anch’essi grandi specialisti del rosso.
La sorpresa di quegli anni è senza ombra di dubbio un
atleta di colore dal fisico esplosivo, ad oggi ancora
l’ultimo francese ad aggiudicarsi gli Internazionali:
Yannick Noah. La pantera nera Noah, primo tennista di
colore a vincere un Roland Garros, batterà il campione
in carica Wilander nella finale del 1982, grazie alle
sue innate doti di elasticità e prontezza di riflessi,
facendo innamorare di nuovo del tennis una nazione
intera. Resta famoso per il colpo che prende il suo nome
e che eseguiva quando, agli avversari che provavano a
sorprenderlo con un pallonetto, rispondeva, spalle alla
rete, colpendo la pallina tra le gambe.
Gli anni Ottanta sono anche quelli della rivoluzione dei
materiali: vengono abbandonate le racchette in legno e
si opta per attrezzi molto più leggeri in materiali
moderni, come la fibra di carbonio, che permettono colpi
rapidissimi e sconvolgono il tennis. Le caratteristiche
che da qui in avanti verranno favorite da questi
cambiamenti sono la forza, la potenza e la velocità, a
discapito della tecnica sopraffina.
I giocatori iniziano a scendere a rete sempre più spesso
e a giocare sempre meno da fondo campo. Un nuovo sport
si sta affacciando sul panorama mondiale. Tra le ragazze
le prime ad ben adattarsi ai nuovi mezzi sono una
tedesca, una spagnola e una jugoslava, che in tre
vinceranno tutti i titoli in palio dal dopo-Evert fino
al 1996: Steffi Graf, Arantxa Sanchez e Monica Seles. La
prima, considerata una delle più forti giocatrici di
sempre, inizia giovanissima e a 18 anni ancora da
compiere porta a casa il primo dei suoi cinque Roland
Garros.
Dotata di un dritto devastante, per questo
soprannominata Fräulein Forehand (Miss Dritto), Steffi
mantiene a lungo il numero uno della classifica mondiale
e conquista, nel 1988, a neanche vent’anni di età,
l’ambitissimo Grande Slam, condito dalla medaglia d’oro
olimpica conquistata a Seul. La finale del primo titolo,
quello del 1988 contro Martina Navratilova, è una vera e
propria battaglia che segna un informale passaggio di
consegne tra la vecchia e la nuova regina del tennis,
sebbene la carriera di Martina Navratilova continuerà
fino ad età impensabili per ogni altro atleta.
Nel 1989 è ancora la Graf a vincere con un doppio 6-0 il
torneo, contro la annichilita sovietica Natasha Zvereva,
poi però arrivano due finali consecutive perse contro
Sanchez e Seles, prima di tornare alla vittoria nel
1993, nel 1995 e nel 1996. La spagnola Sanchez vincerà
anche l’edizione del 1994, in finale contro la francese
Mary Pierce (che diventerà nel 2000 l’ultima atleta di
casa a vincere) e quella del 1998 proprio contro la
Seles, perdendo però dalla Graf due finali consecutive
negli anni 1995 e 1996. Monica Seles sarà invece
protagonista di una vicenda del tutto particolare e dai
connotati drammatici. Lanciata verso il gotha del tennis
mondiale alla giovanissima età di sedici anni (è la più
giovane vincitrice di un Roland Garros), conquista tre
edizioni consecutive del Roland Garros dal 1990 al 1992.
Prima nel ranking professionistico, durante il torneo di
Amburgo, nell’aprile del 1993, viene accoltellata da un
tifoso morboso di Steffi Graf, al quale aveva tolto la
leadership mondiale, e rischia la vita. Subirà un forte
shock mentale e dei notevoli danni fisici, che la
terranno lontano dai campi per due anni. Al rientro, con
la nuova nazionalità americana, riuscirà a tornare ad
ottimi livelli e sarà numero 1 del mondo, d’ufficio, per
decisione della WTA (Women’s Tennis Association), fino
al novembre del 1996, riuscendo ad arrivare nuovamente
in finale a Parigi nel 1998.
Dalla fine degli anni Ottanta in poi, il torneo maschile
sarà sempre più appannaggio delle scuole latine, dove il
clima più caldo aveva favorito la diffusione di campi in
terra, a discapito di quelli in erba e in cemento, che
risultavano di difficile praticabilità e gestione nei
mesi torridi. Così in America Latina e Spagna iniziano a
crescere giocatori sempre più abili sul rosso. Nel 1989
è però un giovane americano, dalle spiccate origini
orientali, a sorprendere tutti con la sua potenza:
Michael Chang batte il fuoriclasse svedese Stefan Edberg
in una tiratissima finale in cinque set diventando il
più giovane vincitore di sempre (17 anni e tre mesi) e
precedendo di due anni la doppietta di un altro
americano, il rosso di Sanford, Jim Courier (1991-92).
In mezzo la prima di una lunga serie di vittorie latine,
quella a sorpresa dell’ecuadoregno Andres Gomez che
supera nella finale del 1990 un giovane campione
emergente, l’americano Andre Agassi. Da qui in avanti,
tranne rare eccezioni, come quella dello stesso Agassi
nel 1999 o del russo Kafelnikov nel 1996, a vincere
saranno solo latini: due volte lo spagnolo Sergi Brugera,
una i connazionali Moya, Costa e Ferrero, una anche il
terraiolo austriaco Muster che grazie alle sue vittorie
sul rosso raggiungerà anche il primo posto mondiale, e,
soprattutto, tre volte l’idolo di Parigi, il brasiliano
Gustavo Kuerten.
“Guga”, come era soprannominato il tennista di
Florianopolis, è stato uno degli atleti più amati e che
più ha emozionato il Roland Garros. Alla fine di ogni
partita era solito ringraziare il pubblico disegnando
con la sua racchetta un gigante cuore sulla terra
rivolto agli spettatori, nel quale si gettava stremato a
godersi il successo. Terraiolo doc, commuove il mondo
anche per la sua vicenda personale: rimasto orfano del
padre all’età di otto anni, e con un fratello minore che
soffriva di paralisi cerebrale e da poco scomparso, Guga
rimane impresso nella memoria degli appassionati anche
perché, nonostante il suo vissuto è sempre stato uno dei
più sorridenti, sereni, educati e disponibili giocatori
del circuito.
Nel 2001 il complesso del “Roland Garros” viene
rinnovato ed adeguato alle moderne esigenze del pubblico
e degli sponsor. Il tennis del nuovo millennio è un
business gigantesco in cui anche le palline utilizzate
durante le partite vengono rivendute subito dopo e in
cui un impianto importante come quello parigino resta
aperto, come una sorta di villaggio del tennis, per
tutto l’anno. Il nuovo campo centrale da 15.000
spettatori è intitolato a Philippe Chatrier, ex
presidente della federazione tennistica francese e ogni
tribuna viene chiamata con il nome di uno degli storici
“quattro moschettieri” del tennis transalpino. Il
complesso di 7,9 ettari a Porte d’Autueil viene ampliato
a venti campi, sedici per le gare e quattro per gli
allenamenti, tra cui il secondo stadio per importanza,
intitolato a Suzanne Lenglen, con una capienza di 10.000
posti.
Siamo ai giorni nostri. Nel tennis femminile gli
Internazionali di Francia trovano una dominatrice nella
belga Justine Henin, che nella sua folgorante e breve
carriera, si aggiudica in cinque anni, dal 2003 al 2007,
ben quattro tornei in maniera netta, vincendo tutte le
finali per 2-0 e lasciando solo l’edizione del 2004 alla
russa Anastasia Myskina. Una finale passata alla storia
è anche quella disputata nel 2002 tra due sorelle Serena
e Venus Williams. Tra le due bellezze d’ebano americane,
dotate entrambe di una forza esplosiva ed allenate dal
loro severo padre, vince la più piccola, Serena, che
segue nell’albo d’oro la connazionale Jennifer Capriati.
L’ultimo successo sul “Chatrier” è appannaggio della
bellissima tennista serba Ana Ivanovic. Tra i maschi,
dopo la finale tutta argentina tra Gaudio e Coria nel
2004, vinta dal primo per tre set a due, Parigi trova il
padrone nella figura del giovane tennista spagnolo
Rafael Nadal.
Il ragazzo di Maiorca, recentemente numero uno del
mondo, domina sulla terra rossa da quando è juniores, ed
ha vinto quattro tornei su altrettante partecipazioni,
superando nelle ultime tre finali il campione svizzero
Roger Federer, cui manca solo il Roland Garros per poter
raggiungere Roy Emerson, Andre Agassi, Fred Perry e
Donald Budge nel ristretto club di chi si è aggiudicato
tutti e quattro gli Slam.
L’ultracentenario Roland Garros è oggi il torneo su
terra più prestigioso del mondo e quello mediaticamente
più seguito, anche rispetto a Wimbledon, in quanto
coinvolge un maggior numero di atleti potenzialmente
interessati alla vittoria o alla buona prestazione di un
loro tennista. In America Latina e nei paesi caldi, come
già detto, si gioca infatti prevalentemente su terra
rossa e crescono quasi esclusivamente giocatori
specializzati.
Il montepremi del torneo parigino ha da un paio d’anni
equiparato i premi dei tornei maschili e femminili
precorrendo probabilmente la strada che verrà intrapresa
in altri sport, ma rimane comunque, insieme
all’equivalente londinese, molto legato alle sue
tradizioni. Nonostante le regole internazionali siano
cambiate, mantiene ancora oggi l’eventuale quinto set
senza il tie-break, cioè con la regola di giocare ogni
game fino a quando un giocatore non riesce a distanziare
l’avversario di almeno due punti. Da qui sono scaturite
partite epiche, come quella del 2004 tra i due tennisti
di casa Fabrice Santoro e Arnaud Clement, che si sono
datti battaglia per cinque set, terminando con il
punteggio di 6-4, 6-3, 6-7, 3-6, 16-14 dopo oltre sei
ore e mezza di gioco.
Con i suoi interminabili match al meglio dei cinque set
e con i rimbalzi lenti delle palline sulla terra rossa
che rendono gli scambi ancora più lunghi, il Roland
Garros è oggi il più duro torneo tennistico del mondo,
sia dal punto di vista fisico che della tenuta
psicologica di un giocatore. Nelle due settimane
primaverili, l’impianto di Porte d’Auteuil si riempie di
appassionati e turisti, ma il pellegrinaggio verso la
“Mecca del tennis” prosegue anche nei mesi di inattività
del torneo, quando è possibile fare colazione, riposarsi
o giocare all’interno dei campi del club. Tappa
obbligata è però il Tenniseum, una struttura che
raccoglie documenti, libri, giornali, cataloghi e
migliaia e migliaia di ore di materiale video sulla
storia del tennis e del torneo, il tutto consultabile
dai visitatori che nelle stanze del museo possono
calarsi completamente nelle atmosfere emozionanti di
altri tempi, tra enormi racchettoni in legno, eleganti
completini di gioco e fotografie in bianco e nero del
tennis che fu.