N. 66 - Giugno 2013
(XCVII)
LA LONDRA DI SYD BARRETT E DEI PRIMI PINK FLOYD
Intervista alla rock band "3chevedonoilrE"
di Denisa Kucik & Leila Tavi
Nella
seconda
metà
degli
anni
Sessanta
del
secolo
scorso,
Londra
divenne
un
punto
di
riferimento
per
una
nuova
avanguardia
della
cultura
inglese
legata
al
trascendentalismo
e
alla
meditazione.
Sostanze
allucinogene
come
l’LSD
o la
psilocibina
furono
il
tramite
con
cui
gli
artisti
entrarono
in
una
nuova
dimensione
cognitiva
che
chiamarono
“esperienza
psichedelica”.
Gli
esponenti
della
contro
cultura,
oltre
a
meditare,
si
preparavano
alla
rivoluzione
inneggiando
a
Fidel
Castro
e
manifestando
contro
la
guerra
e
contro
l’establishment.
I
movimenti
di
protesta
denunciarono
la
fine
del
colonialismo
culturale
inglese
e,
di
conseguenza,
di
un
certo
stile
di
vita
molto
“British”,
costruito
intorno
a
riti
quotidiani
come
il
cambio
della
guardia
a
Buckingham
Palace
o il
tè
delle
cinque.
La
minigonna
divenne
allora
il
simbolo
dell’amore
libero
e
locali
quali
l’UFO
e il
Marquee
Club
ospitarono
le
performance
musicali
dei
Pink
Floyd
e
dei
Soft
Machine.
Per
introdurre
la
scena
musicale
della
Londra
psichedelica
siamo
andate
a
trovare
i
3chevedonoilrE,
che
in
realtà
sono
quattro
musicisti
romani:
Carlo
“Hyper”
Fadini,
chitarrista,
MrFalda,
bassista,
Andrea
Martella,
batteria,
e
Zappis,
cantante.
Insieme
hanno
fondato
nel
2003
un
gruppo
rock,
ispirandosi
per
il
nome
al
racconto
breve
di
Magnus
Mill
Three
to
See
the
King
scritto
nel
2001.
I
3chevedonoilrE
sono
diventati
in
pochi
anni
conosciuti
e
apprezzati
sulla
scena
musicale
italiana
e,
dopo
aver
conquistato
lo
scorso
anno
un
meritatissimo
secondo
posto
al
MarteLive,
uno
dei
festival
multidisciplinari
più
importanti
in
Italia,
occupano
di
diritto
un
posto
d’onore
sul
palco
di
ogni
hot
spot
che
si
rispetti.
Abbiamo
intervistato
il
gruppo
durante
una
pausa
sul
set
del
loro
nuovo
video
Karmelita,
tratto
dal
loro
CD
d’esordio
Nella
baracca
di
latta.
1.
Ciao
ragazzi,
come
prima
domanda
per
rompere
il
ghiaccio
ci è
venuta
voglia
di
chiedervi
quale
significato
attribuite
voi,
che
con
il
nome
della
vostra
band
e un
po’
anche
con
la
vostra
musica
richiamate
alla
mente
una
Londra
regale,
pop,
ma
anche
contestatrice,
alla
scena
psichedelica
musicale
e
letteraria
londinese
tra
il
1965
e
1969?
Pensiamo
che
ci
sia
una
sostanziale
differenza
fra
la
nostra
scelta
che,
come
hai
chiaramente
capito,
riguarda
sia
un’immagine
che
un
concetto
e
una
contestazione,
e la
scena
psichedelica
fine
anni
’60:
quell’esperienza
maturò
solo
in
un
secondo
momento
verso
una
coscienza
politica,
ovvero
di
impegno
politico,
mentre
a
ben
vedere
all’inizio
fu
un
fenomeno
relativo
alla
liberazione
da
schemi
comportamentali
e di
pensiero
che
erano
sempre
stati
troppo
automatici
e
conservatori;
l’uso
delle
droghe
come
raggiungimento
dell’esperienza
del
“reale”
e
della
consapevolezza
di
esso
non
partì
come
intenzione
politica.
Per
noi,
invece,
la
partenza
è
stata
fin
dall’inizio
consapevolmente
agganciata
a un
intento
politico,
un
legame
fra
il
riportare
una
cronaca
attuale
e il
suo
urlarlo
attraverso
un
gesto
estetico.
Nessuno
di
noi
fa
uso
di
droghe
per
riuscirci.
2.
Quanto
della
musica
di
quegli
anni
si
può
riconoscere
nella
frase
del
libro
del
1965
The
Man
Who
Turned
on
the
World,
scritto
da
Michael
Hollingshead,
uno
dei
primi
ricercatori
a
studiare
gli
effetti
delle
droghe
sulla
psiche
umana:
“Psychedelic
means
ecstatic,
which
is
to
stand
outside
our
normal
patterns.
It
means
going
out
of
your
mind,
your
habitual
world
of
contingencies,
space-time
coordinates.
And
the
key
issue:
Anything
that
exists
outside
exists
there
inside”?
E
quanto
queste
affermazioni
possono
ancora
essere
vere
per
chi
fa
rock
oggi?
L’ispirazione
che
provenne
dalle
visioni
causate
dalla
distorsione
operata
dall’acido
lisergico
ha
regalato
alla
cultura
popolare
una
fetta
di
cultura
“altra”,
ha
avvicinato
cioè
all’astrazione
(che
la
musica
ha
sempre
incarnato
nel
suo
non
essere
“visibile”)
le
persone
comuni
abituate
fino
ad
allora
a
schemi
precostituiti
e
sicuri.
Molti
gruppi
rock
popolari
hanno
aiutato
a
“visualizzare”
un’esperienza
appunto
“outside
our
normal
patterns”.
Ma
quello
che
si è
riflesso
poi
nella
pratica
è
stato
una
pericolosa
mancanza
di
educazione
riguardo
quell’esperienza.
Potevano
essere
grandissimi
performer
a
parlare,
grandissima
musica
o
grandissimi
professori,
ma
la
controcultura
non
arrivò
mai
in
modo
“completo”
alle
orecchie
di
tutti;
cominciarono
dunque
tutti
i
fenomeni
di
approssimazione
che
di
solito
accompagnano
una
pratica
difficile
e
faticosa
–
alla
stregua
di
una
religione
all’acqua
di
rose
– e
la
diffusione
senza
precedenti
di
traffici
e
affari
legati
a
sostanze
stupefacenti.
È un
po’
come
chi
pensa
che
per
seguire
la
religione
giamaicana
devi
farti
le
canne:
non
ha
senso,
è
un’idiozia.
Di
fatto,
gli
stessi
Pink
Floyd
anche
senza
Barrett
hanno
prodotto
album
psichedelici
senza
l’uso
di
acidi.
Sicuramente
ci
fu
una
spinta
fortissima
operata
dalla
droga
che
accelerò
molti
processi
e
molte
idee
compositive
ed
attenuò
la
rabbia
tipica
della
compagine
rock,
ma
appunto
da
un
altro
lato
molti
gruppi
e
molte
musiche
derivarono
la
loro
ispirazione
dall’alienazione
indotta
dai
“normal
patterns”:
la
droga
fu
dunque
solo
un
mezzo
per
accelerare,
non
fu
la
causa
prima.
Ancora
oggi
si
possono
guardare
i
film
di
Buster
Keaton
o i
dipinti
di
Boccioni
e
vedere
che
la
stessa
alienazione
dai
normal
patterns
(gli
effetti
dell’accelerazione
industriale
dei
primi
del
‘900)
produsse
idee
anche
senza
l’uso
dell’acido.
Chi
fa
rock
oggi
lo
fa,
appunto,
oggi,
con
tutto
il
bagaglio
e la
distruzione
di
quei
modelli
schematici
di
costume
operata
negli
anni
’60.
Oggi
si
devono
fare
altre
battaglie,
quegli
schemi
sono
già
stati
debellati:
ce
ne
sono
di
ben
più
complessi
da
affrontare.
3.
Quali
sono
allora
i
modelli
da
abbattere
nella
musica
oggi
e
quali
battaglie
portano
avanti
i
3chevedonoilrE?
Molto
spesso
c’è
un
fraintendimento
circa
il
discorso
precedente:
chi
fa
musica
spesso
ritiene
che
la
distruzione
degli
schemi
preordinati
prima
delle
rivoluzioni
culturali
degli
anni
in
questione
possa
inserirsi
in
un
nuovo
schema
sicuro
per
di
più
legittimato
dalla
storia.
Ciò
è di
per
sé
un
paradosso
e
molta
di
quella
cultura
“borghese”
sovvertita
si è
trasformata
in
una
nuova
cultura
“borghese”
e
per
definizione
reazionaria.
Ciò
che
purtroppo
ancora
risulta
particolarmente
affascinante,
sia
per
chi
fa
musica
che
per
chi
la
ascolta,
è il
legame
con
culture
per
così
dire
pre-rivoluzionarie
in
una
sorta
di
neoclassicismo
di
maniera
che
distrugge
la
creatività
e
distrae
dall’obiettivo
comunicativo.
In
questo
senso
non
sono
da
abbattere
veri
e
propri
modelli,
ma
un
atteggiamento
verso
la
musica
particolarmente
passivo
da
entrambi
le
parti
del
palco:
ciò
che
rassicura
e si
adagia
crea
un
contatto,
non
particolarmente
viscerale
ma
sufficientemente
rassicurante.
In
più
si
sta
affermando
un
atteggiamento
minimalista
che
non
si
vergogna
della
propria
natura
borghese
e
anzi,
ne
cavalca
il
senso
di
pigrizia
lassista
e
privo
di
ideali
che
porta
con
sé,
contribuendo
però
davvero
poco
alla
comunicazione.
Ciò
che
3chevedonoilrE
cerca
di
portare
avanti
è
una
critica
ironica
e
propositiva
nei
confronti
di
tutto
ciò
che
è
establishment,
rendendosi
però
conto
che
sono
cambiati
gli
obiettivi
da
combattere.
Sono
cambiati
i
livelli,
si è
allargata
la
base
borghese
e
passiva,
non
si
può
più
criticare
solo
il
potente
e
tagliargli
la
testa
in
maniera
anche
piuttosto
banale
quando
tutto
quello
che
è
sotto
di
lui
contribuisce
ed
alimenta
il
malessere
collettivo.
Quando
siamo
noi
stessi
parte
del
gioco
di
potere.
È la
società
essa
stessa
a
dover
essere
sotto
processo:
tutti
sono
inclusi,
comprendendo
tutte
quelle
fasce
pseudo-contestatorie
che
portano
avanti
battaglie
già
vinte
e
che
hanno
sempre
un
pasto
caldo
alle
tre
di
notte.
Il
panorama
si è
fatto
più
complesso,
nuovi
stereotipi
intoccabili
si
sono
affacciati
alla
ribalta
ed
arroccarsi
sulle
proprie
convinzioni
ritenendo
di
essere
migliori
solo
perché
si
crede
di
stare
dalla
parte
giusta
non
aiuta
la
comunicazione
e
non
apporta
novità.
Siamo
disposti
a
rischiare,
cercando
di
trovare
il
coraggio
che
manca
a
molta
parte
della
comunicazione
creativa.
4.
All’epoca
era
diffuso
tra
i
musicisti
credere
che
solo
attraverso
l’assunzione
di
droghe
si
sarebbe
potuto
raggiungere
quello
stato
mentale
trascendentale
necessario
a
creare
musica.
Per
un
musicista
può
la
creatività
prescindere
dal
talento?
Ancora
una
volta
si
pretende
di
affermare
che
basta
farsi
un
acido
per
comporre
un
capolavoro
come
“Astronomy
Domine”…
La
creatività
non
riguarda
certo
solo
la
musica,
può
riguardare
qualsiasi
cosa,
anche
una
cosa
banale
come
l’organizzazione
di
una
festa
di
compleanno.
Si
può
essere
molto
creativi,
ma
se
lo
si è
in
continuazione
allora
si
incomincia
a
parlare
di
“talento”.
Si
ha
talento
quando
non
è
facilmente
spiegabile
da
dove
provengono
le
assonanze
nel
tuo
cervello
e le
soluzioni
che
legano
i
temi
e i
concetti
a
queste
assonanze,
e si
ha
altresì
talento
quando
queste
pratiche
si
ripetono
spesso.
In
realtà
provengono
tutte
dalle
nostre
esperienze
sensoriali
e se
si è
consapevoli
di
ciò
le
si
comincia
ad
usare
“producendo”.
Ciò
richiede
inoltre
una
forte
dose
di
coraggio.
Si
può
avere
un’idea
creativa
e
non
essere
continuativi
nella
proposizione
di
altre
nuove
idee
creative.
A
quel
punto
non
si
può
più
parlare
di
talento:
si è
stati
creativi
in
una
singola
idea.
Probabilmente
la
droga
aiutò
a
scongiurare
questa
crisi
individuale
di
idee.
5.
La
Londra
lisergica
è
stata
la
scena
musicale
dei
Pink
Floyd
di
Syd
Barrett,
quanto
e
come
la
musica
italiana
si è
ispirata
al
modello
londinese?
Ci
sono
stati
dei
fenomeni
di
rilievo
in
Italia
in
quegli
anni
legati
alla
psichedelia?
E
ancora,
la
vostra
musica,
che
ha
una
venatura
hard
rock
anni
’70
e un
beat
pop-sessantottino,
deve
un
contributo
alla
Londra
dei
primi
Pink
Floyd?
Queste
sono
domande
da
enciclopedia
del
costume!!!
Le
risposte
si
possono
trovare
facilmente
nel
web,
non
siamo
certo
degli
storici...
Per
quel
che
sappiamo
e
che
ci
ricordiamo,
l’esperienza
italiana
più
vicina
alla
controcultura
londinese
(e
anche
newyorkese)
è
passata,
appunto,
in
quasi
totale
sordina
nel
paese
delle
lapidarie
certezze
cristiane.
Stiamo
parlando
delle
“Stelle
di
Mario
Schifano”,
un
gruppo
prodotto
appunto
da
uno
dei
più
famosi
esponenti
italiani
della
cultura
pop.
Questo
come
altri
pochi
possono
essere
stati
fenomeni
di
rilievo
per
qualche
giornalista
attento,
ma
tale
rilievo
non
è
certo
stato
determinante
ai
fini
della
cultura
generale:
sono
stati
più
influenti
gli
anni
70,
l’idea
di
“comune”
e il
rock
progressivo
(che
aveva
molti
legami
con
la
cultura
classica
lirica
italiana).
E
anche
parte
della
nostra
musica
risente
delle
risonanze
degli
anni
70,
come
hai
giustamente
notato,
mentre
vediamo
i
primi
Pink
Floyd
come
un
modello
impossibile
da
copiare
e da
proporre
oggi
nuovamente.
Più
che
altro
è il
presupposto
che
mosse
quella
musica
a
renderci
un
po’
vicini
a
essa.
6.
Uno
dei
maggiori
esponenti
del
movimento
londinese
è
stato
Kevin
Ayers,
frontman
dei
Soft
Machine,
il
quale
ha
dichiarato
in
una
recente
intervista,
che
attraverso
il
movimento
psichedelico
i
ragazzi
inglesi
misero
veramente
in
discussione,
per
la
prima
volta
nella
storia
europea,
il
modo
di
vivere
e
l’educazione
dei
loro
genitori,
allo
scopo
di
creare
le
basi
per
una
nuova
società
le
cui
regole
non
avrebbero
dovuto
rappresentare
più
un
dictat
inibitore
della
libera
creatività
individuale
e
collettiva.
È
stato
veramente
così,
la
società
londinese
si è
veramente
scrollata
di
dosso
allora
un
retaggio
di
epoca
vittoriana?
Sicuramente
è
stato
vero
come
“istinto”
di
massa,
come
grande
movimento
che
investì
anche
la
moda
e
dunque
tutte
le
classi.
In
realtà
le
parole
di
Ayers
sono
valide
anche
per
gli
anni
precedenti
alla
scoperta
dell’esperienza
ultrasensoriale
aiutata
dalle
droghe,
e
cioè
negli
anni
’50
e
’60.
I
film
di
James
Dean
lo
dimostrano,
e
anche
gli
atteggiamenti
di
Elvis
Presley
o di
Little
Richard.
La
rottura
col
passato
avvenne
in
quegli
anni,
mentre
alla
fine
dei
’60
si
accelerò
tutto,
come
detto
prima,
e si
ingigantì
esteticamente
a
causa
della
distorsione
violenta
operata
dalle
droghe.
Può
o no
essere
considerato
un
atto
politico
l’atteggiamento
ribelle
di
un
ragazzo
verso
i
suoi
genitori?
Quella
ribellione
lo
traghetterà
in
una
vita
impostata
diversamente
dai
suoi
predecessori,
e
quella
vita
cambierà
altre
vite.
Il
movimento
psichedelico
ebbe
solo
il
merito
di
“facilitare”
la
spiegazione
di
complessi
mutamenti
sociali
distaccati
e
non
riconducibili
a un
unico
nome,
di
organizzare
le
esperienze
fornendo
a
queste
una
guida,
una
forma,
un’estetica,
una
teoria,
suoni
e un
mezzo
per
raggiungere
tutto
ciò
in
maggiore
fretta.
7.
I
ragazzi
londinesi
si
sono
fatti
promotori
di
una
rivoluzione
culturale,
chiamata
Swinging
London,
ben
descritta
nel
celebre
film
del
1966
Blow-Up
di
Michelangelo
Antonioni.
Le
ragazze
indossavano
la
minigonna
ideata
da
Mary
Quant,
simbolo
di
libertà
e
uguaglianza
tra
i
sessi.
Secondo
voi,
quali
gruppi
musicali
hanno
meglio
interpretato
questa
rivoluzione
culturale?
Swinging
fa
subito
pensare
alla
musica
degli
anni
Quaranta
del
XX
secolo,
ai
microfoni
enormi
e ai
quartetti
di
ragazze
con
i
fiocchi
in
testa…
in
realtà
il
termine
in
quegli
anni
fu
associato
alla
poligamia
senza
vincoli
e a
una
visione
collettivista
dell’amore.
Ai
giorni
nostri
si
parla
piuttosto
di
Swapping…
Book
Swapping,
Clothes
Swapping
e
Wife
Swapping,
ma è
più
un
prendere
in
prestito,
non
uno
scambiare.
Quanto
è
preso
in
prestito
nella
musica
oggi
e
quanto
è
invece
scambio?
Il
prestito
presuppone
una
persona
che
poi
restituisce
ciò
che
ha
preso.
Lo
scambio,
invece,
no:
presuppone
due
reciproche
donazioni.
Chi
ruba,
invece,
prende
qualcosa
che
non
restituirà
mai
più.
Se
dovessimo
pensare
a un
“prendere
in
prestito”
in
musica
dovremmo
poi
pensare
a
una
restituzione,
forse
in
termini
di
canzone.
Se è
così,
allora
qualsiasi
musicista
prende
in
prestito
musica
da
altri
autori
o da
altre
esperienze:
prende
e le
“usa”
a
suo
piacimento,
restituendole
nella
forma
alterata
dal
suo
processo
creativo.
In
realtà
è
confortante
sapere
che
in
questo
ambito
non
è
possibile
rubare,
perché
prima
o
poi
si
restituisce
qualcosa
sotto
forma
di
nuova
creazione
(a
meno
che
non
si
riproponga
la
stessa
identica
cosa…
e
purtroppo
a
volte
è
successo!).
Non
penso
che
si
possa
parlare
di
scambio
consapevole
in
musica
così
come
siamo
abituati
a
giudicare
consapevole
lo
scambio
fra
due
persone,
che
so,
di
una
bicicletta
con
un
aspirapolvere.
Nessuno
scambia
nulla
mettendosi
d’accordo:
le
influenze
ci
sono
sempre
state,
ma
non
sono
mai
state
annunciate
da
un
atto
precedente
all’atto
creativo.
8.
Quale
messaggio
voleva
dare
il
rock
ai
giovani
in
quegli
anni
e
quale
vuole
dare
ai
giovani
oggi?
E
voi,
quale
messaggio
volete
far
arrivare
ai
vostri
fan?
Qualcuno
sa
dirci
che
cos’è
il
rock?
Solo
se
sapessimo
la
risposta
potremmo
aiutarvi.
Il
discorso
dei
generi
è
tramontato
da
un
pezzo,
non
ha
senso
oggi
parlare
di
“rock”.
La
musica
popolare
ha
sempre
avuto
lo
scopo
di
dover
parlare
direttamente
di
qualcosa
che
non
era
detto
in
altri
ambiti:
e
più
questo
qualcosa
era
inedita,
più
si
rafforzava
la
potenza
del
messaggio
e
della
canzone.
La
musica
è
nata
per
fenomeni
rituali,
per
esprimere
qualcosa
che
la
parola
da
sola
non
poteva
esprimere,
e si
è
sviluppata
con
i
suoi
messaggi
e i
suoi
scopi.
Lo
scopo
della
musica
in
quegli
anni
–
perlomeno
la
musica
di
contestazione
–
era
quello
di
scardinare
la
visione
iniettata
dall’educazione
dominante,
che
aveva
creato
le
classi
e
sottomesso
per
decenni
i
ruoli,
l’educazione
sessuale
e
l’educazione
politica.
Oggi
la
musica
continua
a
denunciare,
perlomeno
la
musica
più
innovativa:
continua
a
creare
visioni
alternative
e
mondi
possibili.
Insinua
il
dubbio,
che
è
sempre
stato
la
scintilla
del
progresso.
Esattamente
come
cerchiamo
di
fare
noi,
in
modo
onesto
e
senza
millantare.
9.
L’evento
principale
legato
al
movimento
psichedelico
londinese
è
stato
il
“14
Hour
Technicolor
Dream”,
la
kermesse
musicale
del
29
aprile
1967,
che
si è
svolta
all’Alexandra
Palace,
un
complesso
architettonico
fatto
costruire
dalla
regina
Vittoria
alla
fine
degli
anni
Settanta
del
XIX
secolo
e
che
domina
Londra
dall’alto
di
Muswell
Hill.
In
quell’occasione
in
una
sola
notte
si
esibirono
Arthur
Brown,
i
Soft
Machine,
Yoko
Ono,
i
John’s
Children
con
il
futuro
leader
dei
T-Rex,
Marc
Bolan;
su
quel
palco
salì
per
l’ultima
volta
insieme
ai
Pink
Floyd
Syd
Barrett;
i
Flies
quella
notte
furono
accompagnati
nella
loro
performance
da
“vergini
vestali”,
mentre
tra
il
pubblico
erano
presenti
Jimi
Hendrix
e
John
Lennon;
a
presentare
un
poliedrico
Jeff
Dexter
vestito
da
cardinale.
Eppure
pochi
ricordano
questo
evento
musicale,
perché
secondo
voi
è
caduto
nell’oblio?
A
parte
il
fatto
che
alla
fine
dei
’70
la
generazione
punk
ha
letteralmente
spazzato
via
quest’astrazione
a
suon
di
concretezze
e
urla
di
dolore,
un
evento
del
genere
non
è
stato
facilmente
digeribile
come
altri.
Nella
storia
dell’uomo
hanno
goduto
di
“successo”
eventi
o
opere
o
uomini
che
nel
tempo
hanno
prodotto
messaggi
traducibili
nelle
diverse
ere.
La
musica
esisteva
pure
nell’antica
babilonia,
ma
perché
nessuno
di
noi
la
conosce?
Si è
probabilmente
trasformata
e
sublimata
in
altre
esperienze,
più
efficaci
e
potenti.
Così
pensiamo
sia
accaduto
al
14
Hour
Technicolor
Dream:
non
ha
ancora
avuto
nel
tempo
(probabilmente
per
l’estrema
vicinanza
temporale)
una
reinterpretazione
convincente
tale
da
farne
un
modello
popolare,
cosa
che
invece
è
accaduta
più
volte
per
i
raduni
alla
Woodstock
o
per
le
sagre
di
paese,
in
cui
sono
chiari
e
ripetuti
sempre
uguali
i
connotati,
perché
sono
diventati
archetipici.
Forse
il
popolo
dei
rave
considera
quell’evento
diversamente
dalla
massa,
lo
vede
davvero
come
uno
dei
modelli
di
sempre…
ma
siamo
ben
lontani
dal
poter
paragonare
la
popolarità
di
un
rave
a
quella
di
una
sagra
di
paese.
10.
Avete
recentemente
suonato
a
Londra
allo
Zenith
Bar,
come
descrivereste,
per
concludere
la
nostra
chiacchierata,
l’attuale
scena
musicale
londinese
e
quanto
è
rimasto
del
rock
psichedelico?
La
nostra
esperienza
di
Londra
è
stata
per
noi
principalmente
un
gioco,
una
sorta
di
piccolo
sogno
di
adolescente
tramutato
in
realtà
e,
certamente
non
siamo
in
grado
di
descrivere
l’attuale
scena
musicale
londinese
dopo
averci
passato
appena
un
weekend.
Forse
ci
torneremo,
chissà…