.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]

RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

> Storia Moderna

.

N. 31 - Dicembre 2007

ROBESPIERRE CONTRO LA GUERRA

La risoluzione che l'Assemblea deve prendere riguardo alla guerra...

di Matteo Liberti

 

Il sottotitolo di questo articolo, che nella sua versione completa è La risoluzione che l'Assemblea deve prendere riguardo alla proposta di guerra annunciata dal potere esecutivo, altro non è che il titolo di una relazione che Maximilien Robespierre produsse nell’inverno del 1791.

 

Con questo discorso Robespierre rende note all’Assemblea le sue posizioni riguardo l’opportunità per la Francia di entrare in guerra contro i paesi nemici della Rivoluzione, dichiarandosi apertamente contrario e puntando il dito contro gli atteggiamenti della Corte, degli aristocratici e del girondino Brissot.

 

Nel dicembre del 1791 la Rivoluzione procedeva ormai da più di due anni e si erano già evidenziate le differenti posizioni degli schieramenti legislativi, governativi e regi.

 

All’interno dell’Assemblea i giacobini erano i più accaniti oppositori della guerra, mentre sul fronte opposto questa era auspicata dagli aristocratici, consapevoli che così avrebbero forse potuto riappropriarsi di posizioni e diritti che la Rivoluzione aveva loro tolto. Anche i moderati e gli illuminati di La Fayette erano contrari alla guerra, per paura di perdere i diritti ottenuti con la costituzione. I girondini, sotto l’ideologia dell’esportazione della Rivoluzione e della lotta alla tirannide, cercavano invece di ampliare le loro possibilità di commercio estero. Il Re, infine, sperava in una sconfitta della Francia ed in una vittoria degli stati assolutistici volta a ripristinare l’Ancien regime.

 

Robespierre, intuiti gli interessi delle fazioni che lo circondavano, impostò il suo intervento al fine di smascherare le trame ed i progetti di queste, sulla base degli eventi che avevano caratterizzato l’andamento della Rivoluzione fino a quel momento.

 

Innanzitutto viene evidenziato come la Francia non fosse effettivamente pronta ad affrontare un conflitto, soprattutto sotto il punto di vista economico: la crisi finanziaria che aveva dato vita alla Rivoluzione stessa non era ancora sopita e di certo una guerra non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, stremando definitivamente le classi più povere, per le quali peraltro l’Assemblea non aveva fatto molto, limitandosi ad abolire alcuni diritti feudali.

 

Robespierre fa anche notare che è proprio durante la guerra che un popolo tende a dimenticare i suoi diritti politici e civili per preoccuparsi di ciò che succede all’esterno, ed è sempre durante la guerra che distoglie l’attenzione dai suoi legislatori per volgere le speranze ai suoi generali, vicini al Re… La guerra, afferma Robespierre, è necessaria solo quando è finalizzata all’acquisizione di maggiori libertà, e non era questo il caso.

 

Ma la Corte sapeva bene come sfruttare i propri mezzi, ed era promotrice, in quel periodo, di un’opera di sensibilizzazione patriottica mirata a suscitare negli animi della nazione la necessità di impugnare le armi per difendere i propri confini... Robespierre afferma a tal proposito che i veri nemici della Rivoluzione non erano fuori, ma dentro i confini francesi, e continuavano ad essere fomentati dal re. Lo stesso Luigi XVI aveva, nell’estate del 1791, tentato una fuga per organizzare con i nobili emigrati una coalizione antirivoluzionaria.

 

Su queste basi Robespierre fa notare come la Corte, che aveva sempre voluto la guerra, avesse atteso il momento più conveniente: le forze ribelli degli emigrati erano in quell’inverno ben organizzate ed il potere esecutivo era riuscito a scongiurarne ogni indebolimento. Il Re sapeva bene, inoltre, che conveniva attaccare per primi, evitando così l’insurrezione e la sfiducia della popolazione, che vedendosi attaccata avrebbe potuto trovare le motivazione e la forza per debellare definitivamente il suo vero nemico.

 

Robespierre sottolinea anche come sia utile, per le mire reali, combattere lontano dal territorio francese, laddove senza l’occhio vigile del popolo sarebbe più facile mettere in atto i propri progetti e tradire la nazione.

 

Altre accuse Robespierre le riserva all’atteggiamento del legislatore patriota Brissot (uno dei massimi esponenti dei girondini, appartenenti al dipartimento marittimo della Gironda e propensi ad una espansione del territorio francese nell’ottica di una parallela espansione dei loro commerci). Brissot aveva affermato che, qualsiasi direzione avrebbero preso gli eventi, la libertà avrebbe comunque trionfato, in quanto il popolo era lì… vigile e pronto a ribellarsi.

 

Robespierre ricorda così che il popolo francese “era lì” anche quando in più di un’occasione venne abilmente incatenato e privato dei propri diritti… “era lì” anche quando il 17 luglio di quel 1791 venne fucilato sui Campi di Marte (il riferimento è all’eccidio che ci fu quando la Guardia Nazionale, per ordine di La Favette, aprì il fuoco contro una manifestazione repubblicana).

 

Il popolo, suggerisce Robespierre, non dovrebbe essere lasciato “lì”, ma dovrebbe essere ben guidato dai suoi rappresentanti, troppo presi, al momento, appresso ai propri interessi.

 

Robespierre aveva capito che la Francia stava rischiando di andare incontro ad un massacro annunciato… stava rischiando di andare a combattere contro se stessa.

 

La nazione, secondo lui, non voleva la guerra, ma solo essere tutelata ed illuminata dai suoi rappresentanti, per far trionfare la libertà.

 

Quel che accadde fu che, pochi mesi dopo questo discorso di Robespierre, la Francia entrò in guerra.

E le sue previsioni si avverarono.

Il Re fece di tutto per attuare i suoi progetti controrivoluzionari e per facilitare il massacro delle proprie truppe: pose il veto alla richiesta di leva di massa e continuò la sua politica di tacito favoreggiamento ai ribelli, soprattutto al clero refrattario (quella parte di clero che non riconosceva la costituzione del 1790 laddove definiva al Chiesa come un’istituzione della nazione e non più come un’organizzazione dipendente da Roma).

 

La guerra stremò inoltre le classi più deboli, soprattutto i contadini, dando vita a rivolte sanguinose e ad un accanito odio verso tutti i gruppi antirivoluzionari (l’episodio più significativo è quello delle stragi di settembre, quando il popolo affamato massacrò molti prigionieri politici chiusi nelle prigioni di stato).

 

Robespierre chiuse il suo discorso con queste parole: “siamo giunti ad una profonda crisi per la nostra Rivoluzione… guai a coloro che, in questa circostanza, non immoleranno alla pubblica salvezza lo spirito di parte, le loro passioni, e i loro stessi pregiudizi!”.



 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 215/2005 DEL 31 MAGGIO]

.

.