N. 122 - Febbraio 2018
(CLIII)
Roberto ardigò, sacerdote positivista
la DIVINITÀ DEL FATTO - Parte II
di Raffaele Pisani
Il
fatto
è
l’asse
portante
del
suo
filosofare:
mentre
le
varie
concezioni
frutto
del
pensiero
umano
sono
sempre
smentibili
e
sostituibili,
il
fatto
costituisce
per
Ardigò
una
realtà
inalterabile
che
nessuna
argomentazione
potrà
mai
vanificare.
Egli
afferma:
«Il
fatto
è
divino,l’astratto
invece
lo
formiamo
noi,
possiamo
formarlo
più
speciale
o
più
generale;
dunque
l’astratto,
l’ideale,
il
principio
è
umano».
Ne
La
psicologia
come
scienza
positiva,
per
argomentare
la
propria
concezione,
parte
dal
modo
di
pensare
degli
antichi
Fisici
cominciando
da
Talete
e
dice
che
il
loro
errore
fondamentale
è
quello
di
scambiare
le
proprie
impressioni
per
la
rappresentazione
adeguata
delle
cose;
essi,
partendo
da
alcune
semplici
osservazioni,
risalgono
arbitrariamente
ad
un
principio
assoluto
metafisico.
Non
è
che
tutti
facessero
il
medesimo
discorso,
c’è
invece
un
lungo
e
difficile
cammino
che
va
dal
tutto
elemento
dei
primi
fisici,
al
tutto
numerico
dei
pitagorici
al
tutto
metafisico
degli
eleatici,
al
sempre
diverso
da
se
stesso
di
Eraclito,
fino
ai
grandi
sistemi
di
Platone
e di
Aristotele.
Il
merito
della
scoperta
che
le
proprietà
delle
cose
siano
indipendenti
dalle
nostre
percezioni
va
soprattutto
agli
Atomisti.
Essi,
nel
loro
concepire
le
leggi
di
natura,
non
fanno
più
riferimento
ad
un
principio
divino
che
finalisticamente
ordina
la
materia
inerte,
ma
colgono
nelle
sostanze
stesse
la
ragione
della
loro
esistenza
e
del
loro
agire.
Tutti
questi
antichi
pensatori
erano
comunque
invischiati
nella
stessa
erronea
visione
di
fondo.
Per
arrivare
al
primato
del
fatto
bisogna
andare
oltre
queste
leggi
che
pretendono
di
cogliere
l’essenza,
per
le
quali
il
fatto
non
è la
cosa
più
importante
ma
una
pura
deduzione
logica,
quella
che
Hume
ha
chiaramente
confutato.
Se
il
fatto
è il
punto
fondante,
la
scienza
non
può
comunque
esistere
senza
la
legge,
ma
questa
deriva
dalla
correlazione
dei
fatti,
non
come
prima
la
si
intendeva,
vale
adire,
come
deduzione
dall’essenza.
Dice
espressamente:
«Dati
più
fatti
dello
stesso
genere,
ciò
in
che
si
rassomigliano
è la
loro
legge.
Per
dirlo
in
una
parola,
la
legge
è la
somiglianza
dei
fatti».
Anche
la
scienza
attuale,
spiega
Ardigò,
usa
talvolta
dei
termini
e
dei
modi
di
dire
fuorvianti,
si
parla
di
materia
di
forze
di
causa,
dando
un
significato
metafisico
a
cose
che
esisterebbero
fuori
di
noi,
invece
che
concepirle
come
astrazioni
prodotte
dalla
nostra
mente.
A
chi
gli
rimprovera
di
essere
un
idealista
egli
obietta
che
non
nega
la
materia
ma
non
ha
la
pretesa
di
conoscerla,
come
invece
pretendono
il
metafisici,
né
sa
se
potrà
mai
conoscerla
in
futuro.
La
psicologia
che
Ardigò
intende
demolire
è
quella
appunto
di
derivazione
metafisica,
essa
si
basa
sull’equivoco
di
chi
astrae
e
poi
pretende,
in
buona
fede,
di
fare
della
propria
astrazione
una
realtà
oggettiva.
Egli
sostiene
invece
che,
«come
la
materia
non
è
altro,
che
una
astrazione
dei
fenomeni
fisici,
così
l’anima
non
è,
se
non
una
astrazione
dei
fenomeni
morali».
Per
secoli
i
filosofi
hanno
continuato
a
parlare
di
coscienza,
anima,
io,
soggetto,
facendo
della
psicologia
una
costruzione
mentale
senza
fondamento
nella
realtà,
ma
ora
bisogna
cercare
una
via
radicalmente
diversa:
«Non
più
ricerca
di
essenze
e di
cause,
poiché
alla
scienza
non
è
dato
in
nessun
modo
di
scoprile.
Unico
studio
i
fenomeni».
Ci
tiene
pure
ad
affermare
che
i
fenomeni
psichici
non
sono
riducibili
alla
pura
materia
cerebrale,
la
fisiologia
non
deve
essere
confusa
con
la
psicologia,
«…
si
danno
in
natura
dei
fenomeni
psichici,
vale
a
dire
dei
fenomeni,
che,
considerati
nella
loro
specificità,
non
sono,
né
fibre,
né
fluidi,
né
movimenti,
né
altra
forma
qualunque,
o
condizione
della
materia,
presa
come
tale».
Spiritualismo
e
materialismo
non
hanno
ragione
di
essere,
non
si
può
ragionevolmente
parlare
di
spirito,
ma
neanche
di
materia,
che
è
solo
un’astrazione
da
non
confondere
con
la
realtà;
la
natura,
e
oltre
quella
non
c’è
altro,
è
unità
psico-fisica.
Per
chiarire
ulteriormente,
propone,
tra
le
tante
argomentazioni,
un’analogia
che
afferma
essere
illuminante:
egli
dice
che,
se
pensiamo
ad
un
corpo
è
necessario
pensarlo
come
pesante,
lo
stesso
afferma
si
deve
dire
per
ciò
che
riguarda
l’organismo
umano
e il
pensiero,
che
sono
un
tutt’uno
originale,
non
due
realtà
diverse
misteriosamente
congiunte.
Partendo
dai
singoli
fatti
e
ordinandoli
in
un
sistema
generale
si è
giunti
così
a
l’intera
realtà
conosciuta,
il
limite
della
conoscenza
umana,
che
egli
chiama
Peratologia.
Oltre
questo
cosa
c’è?
L’inconoscibile
spenceriano
come
il
noumeno
kantiano
non
hanno
senso
secondo
Ardigò,
che
parla
invece
dell’ignoto,
vale
a
dire
del
non
conosciuto
attuale
ma
che
potrà
diventare
noto
con
il
progresso
della
scienza.
Un
progredire
incessante
che
comporta
un
continuo
passaggio
dall’indistinto
al
distinto,
secondo
una
linea
evolutiva
che
pur
facendo
riferimento
a
Spencer
presenta,
oltre
a
quella
sopraccennata,
altre
significative
differenze.
Se
il
pensatore
inglese
parlando
dell’evoluzione
si
basa
su
di
un
paradigma
biologico,
Ardigò
si
riferisce
in
primo
luogo
alla
psicologia,
che
vede
nella
sensazione
allo
stato
primordiale
un
tutto
indistinto
per
poi
passare
alla
distinzione
di
percepiente
e
percepito.
Ma
questo
passaggio
verso
una
sempre
maggiore
distinzione
riguarda
tutti
i
campi,
da
quello
della
formazione
delle
scienze
a
quello
della
formazione
del
sistema
solare,
anche
questo
in
origine
non
era
che
un’indistinta
nebulosa
dalla
quale
si
sono
differenziati
i
diversi
corpi
celesti.
Nel
cammino
del
sapere
si
parte
dai
fatti
osservabili,
che
messi
in
relazione
danno
origine
alle
varie
costruzioni
scientifiche,
sempre
suscettibili
di
rettifiche
in
quanto
costruzioni
umane.
Ma i
fatti
come
tali
sono
per
Ardigò
dei
punti
assoluti.