N. 16 - Aprile 2009
(XLVII)
LA
RIVOLUZIONE INGLESE
Le Forme
dell’Impossibile
di Gennaro Tedesco
La situazione
dell’Inghilterra nel XVII secolo è esplosiva. Da una
parte troviamo una aristocrazia, una corte, un re, una
Chiesa anglicana e una parte di borghesia esclusiva
detentrice di privilegi e monopoli commerciali: essi non
aspirano ad altro se non a consolidare il loro potere
sulla nazione.
Dall’altra parte lo
schieramento puritano non meno desideroso di
scompaginare questo sistema di potere consolidato.
All’interno del vasto e
articolato schieramento puritano calvinista si possono
distinguere i severi puritani ligi alla dottrina
monolitica del calvinismo più autoritario, gli
indipendenti più tolleranti e disposti ad accettare un
qualche genere di coesistenza pacifica con i gruppi
dissidenti e settari, battisti e livellatori, propensi
ad estendere ed intensificare la libertà religiosa. I
livellatori addirittura trasferiscono la libertà
religiosa sul terreno politico, i “veri livellatori” sul
terreno economico.
Il re d’Inghilterra accentra sempre di più il suo potere
attraverso la “longa manus” dei vescovi anglicani che
controllano le parrocchie e vegliano sull’ortodossia
religiosa dei fedeli e sudditi del Regno.
La corruzione della corte,
del re e dei vescovi anglicani accresce il malcontento
dei puritani che vedono nella rigida politica
ecclesiastica del re un ritorno a posizioni cattoliche.
La stessa politica estera del re e della corte inglese è
sempre più favorevole alla Spagna assolutista,
monarchica, cattolica e controriformista.
Al contrario i puritani
inglesi si sentono sempre più legati ai calvinisti dei
Paesi Bassi. Il Parlamento inglese rifiuta di obbedire
al re, non vuole finanziare più le sue spese militari,
che sembrano indirizzate ad esclusivo vantaggio della
Spagna, che rappresenta il prezzo che gli Inglesi pagano
alla loro politica di solidarietà alla Spagna.
L’aristocrazia inglese rimane anglicana e realista: i
suoi interessi si intrecciano con quelli del re, della
corte e della Chiesa anglicana. Il monopolio politico e
religioso del re salvaguarda gli interessi fondiari e in
parte commerciali dell’aristocrazia.
L’eventuale consolidamento
della monarchia inglese in senso assolutistico non solo
difende gli interessi fondiari dell’aristocrazia, ma
anche quelli della grande borghesia commerciale legata a
filo doppio al sistema feudale inglese.
Il grande capitale
commerciale inglese vive e si sviluppa all’ombra della
protezione monarchica. I privilegi e il monopolio
commerciale che la corte accorda a quelli che spesso
sono anche i suoi finanziatori e fornitori sono tali da
creare un vero e proprio sistema che viene definito
mercantilistico.
La politica
mercantilistica significa sostenere una borghesia
commerciale assimilata al sistema feudale. Il capitale
commerciale sottopone al suo esclusivo controllo il
mondo della produzione: il re inglese ha bisogno di armi
e forniture standardizzate che solo le manifatture e
l’organizzazione del lavoro artigiano possono dare. Non
è il produttore che controlla il commercio ma è il
capitale del commerciante che controlla il lavoro dei
produttori, siano essi piccoli e medi artigiani o
salariati delle nuove manifatture.
Contro questo monopolio politico, religioso ed economico
si ribellano i puritani dietro cui sta tutta la massa
dei piccoli e medi commercianti, dei piccoli e medi
artigiani, dei piccoli e medi coltivatori agricoli
esclusi dai benefici e privilegi del sistema
mercantilistico inglese.
Lo scontro tra lo schieramento realista, anglicano,
aristocratico e mercantilista e lo schieramento puritano
dei liberi produttori angariati anche da un apparato
fiscale nettamente sfavorevole ad essi è inevitabile. I
puritani, dopo non poche difficoltà, impongono il loro
predominio. Ma la sconfitta dei realisti anglicani apre
una crisi densa di prospettive drammatiche e
contraddittorie: si opera una frattura nel movimento
rivoluzionario puritano.
Da una parte la destra
religiosa e politica dei presbiteriani e dall’altra gli
indipendenti dell’esercito di nuovo modello creato da
Cromwell e gli “agitatori ” livellatori.
Il centralismo religioso e politico della destra
presbiteriana urta contro le idee di tolleranza
religiosa degli indipendenti di Cromwell e ancora di più
urta contro le più radicali posizioni religiose e
politiche dei livellatori che non vogliono ritornare a
un dominio autoritario nel campo ecclesiastico che
significherebbe un ritorno alla Chiesa unica di stampo
anglicano ,o peggio ancora, cattolico.
I livellatori scorgono nei
presbiteriani i nuovi preti, i costruttori di un nuovo
sistema repressivo e oppressivo nei confronti della
libertà religiosa e quindi politica.
Eliminata la destra presbiteriana, Cromwell ritiene di
dover mettere a tacere le troppo radicali posizioni
religiose e politiche dei livellatori che tra l’altro
sono addirittura scavalcati “a sinistra” dall’avvento
dei “nuovi livellatori” che rivendicano interventi
socialistici per una limitazione dei diritti della
proprietà privata.
Cromwell, fautore di una
libertà religiosa più tollerata che garantita, di fronte
a quelli che ritiene esiti anarchici del processo
rivoluzionario, non esita a colpire i livellatori che
gli sembrano mettere in discussione gli stessi principi
della proprietà privata.
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