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N. 74 - Febbraio 2014 (CV)

LA RIVOLUZIONE FRANCESE E LA FINE DELL’ANCIEN RÈGIME
I PRODROMI DELLA RIVOLUZIONE – PARTE I

di Christian Vannozzi

 

La Rivoluzione Francese fu il più tremendo sconvolgimento politico e sociale che l’Europa abbia mai conosciuto. Il periodo che abbraccia è lungo ben 10 anni che vanno dal 1789 al 1799, segnando la fine dell’età moderna e l’inizio di quella contemporanea.

 

La Rivoluzione cambiò radicalmente la società francese abolendo i privilegi feudali e tutte le basi economiche e sociali dell’Ancien Règime, stabilendo il ruolo di guida della borghesia nei governi che si realizzarono sia in Francia che in Europa nel corso del XIX secolo.

 

Nella terra d’oltralpe l’intero potere era nelle mani del sovrano che era assunto a ruolo di monarca per volere divino. La società era divisa in tre ceti, la nobiltà, il clero, e il terzo stato che formava il 98% della popolazione ed era composto da borghesi, artigiani, contadini e operai.

 

Solo il terzo stato era tassato poiché per tradizione si prevedeva che nobiltà e clero fossero esentati dalle tasse. La concezione piramidale delle classi sociali rimase solida fino a quando l’assetto economico si mantenne su buoni livelli, ma a causa della crisi economica generata sia dagli scarsi raccolti che dalle guerre combattute nelle Americhe e in Europa, la situazione divenne insostenibile.

 

Il tutto fu aggravato dalla caduta repentina dei prezzi agricoli della viticultura, che invase la Francia a partire dal 1778, e dalla siccità del 1785 che aveva provocato la decimazione dei capi di bestiame che pascolavano nel regno. Nel 1788 anche il raccolto del grano fu scarso, generando carenza di pane, cibo base dell’alimentazione francese.

 

I principi dell’illuminismo avevano poi nella seconda metà del '700 portato avanti idee liberali e contrattualiste che mal si amalgamavano con una monarchia assoluta. Al modello assolutista si contrapponeva quello costituzionale inglese basato sul bilanciamento dei poteri e su un sovrano che governava per il popolo, non sul popolo; lo faceva inoltre per volere del popolo e non per diritto divino. Borghesia e nobiltà liberale sposarono i principi illuministi e per ovvia ragione divennero forti oppositori del potere assoluto che guidò la Francia per secoli.

 

Per far fronte alla crisi economica ministri liberali come Anne Robert Jacques Turgot e Jacques Necker cercarono di superare il momento introducendo una tassazione più equa che avrebbe inciso non poco sulla nobiltà e sul clero. Le classi privilegiate si opposero fortemente e le riforme non furono mai emanate dal sovrano che divenne succube e prigioniero dei nobili.

 

Il 19 febbraio 1781 il ministro delle finanze Necker pubblicò il bilancio dello Stato, rendendo note a tutti le spese che la corte sosteneva per il mantenimento dei nobili, della regina, e per le frequentissime feste che quest’ultima bandiva.

 

Vista la situazione ormai drammatica, il sovrano e i suoi consiglieri si interrogarono sulla convocazione o meno degli Stati Generali, unico organo che poteva sbloccare una situazione finanziaria così tragica che stava ormai facendo cadere la Francia in bancarotta. Il re il 18 dicembre del 1787 promise quindi di convocare l’assemblea degli Stati Generali entro 5 anni in modo che questa potesse votare l’applicazione di nuove riforme per uscire dalla grave situazione che attanagliava il paese.

 

Il malcontento raggiunse però il suo apice nel giugno del 1788 dove a Grenoble, a causa di incessanti proteste, l’esercito dovette intervenire per mantenere l’ordine e fu accolto a colpi di tegole dai cittadini che salirono sui tetti. La giornata passò alla storia come la ‘giornata delle tegolè. Nel mese di agosto delle stesso anno, ormai vista l’impossibilità di risolvere la situazione, Luigi XVI convocò per il 5 maggio del 1789 gli Stati Generali, che non venivano più richiamati all’ordine dal lontano 1614. Nello stesso mese tornò al governo Necker, esautorato in precedenza in luogo di un altro ministro più flessibile ai voleri della nobiltà.

 

I tre ordini convocati dovevano riunirsi in camere separate ed emettere un verdetto per camera. Poiché le classi privilegiate rappresentate da nobiltà e clero votavano allo stesso modo per il Terzo Stato, che rappresentava il 98% della popolazione e andava dall’alta borghesia ai braccianti agricoli, questo sarebbe stato messo facilmente in minoranza.

 

Fortunatamente parte del clero illuminato (specialmente il basso clero) e i nobili di ideologia liberale, si schierarono a favore del Terzo Stato, rendendo le votazioni non più scontate. Il re aveva comunque riconosciuto ai rappresentanti del popolo una rappresentanza maggiore raddoppiando il numero dei loro deputati. Quest’atto aprì grandi speranze per borghesi e proprietari terrieri che vedevano in esso un principio di apertura della corona verso le classi produttive del Paese.

 

Gli Stati Generali si aprirono con il discorso di Luigi XVI, del guardasigilli Charles Louis François Paul de Barentin e di Necker, e con grande dispiacere dei deputati del Terzo Stato non si parlò assolutamente delle riforme politiche ma solo della grave crisi finanziaria che aveva investito tragicamente il Paese. In effetti la convocazione era dovuta alla crisi economica e non vi era nel governo reale nessuna intenzione di aprirsi a riforme politiche. Neanche il sistema di voto per testa invece che per ordine venne preso in considerazione, dimostrando che il numero doppio di rappresentanti che il re aveva concesso al Terzo Stato era solo un atto simbolico e privo di qualsiasi valore politico.

 

Il 9 maggio i rappresentanti dei tre ordini invece di discutere della crisi finanziaria iniziarono a discutere sull’organizzazione dello stato, contravvenendo alle disposizioni del governo reale.

 

Il 15 giugno alcuni membri del basso clero, su iniziativa dell’abate Sieyès che pur essendo un ecclesiastico fu eletto come rappresentante clericale del Terzo Stato, si unirono a quelli che ormai si definivano i rappresentanti della Nazione. Il 17 giugno 1789 i deputati del popolo si nominarono Assemblea Nazionale, a cui si associò anche il Secondo Stato, cioè gli ecclesiastici.

 

I nobili, gli unici che non erano confluiti nell’Assemblea, si appellarono allora al re, chiedendo di annullare tutte le delibere dei rappresentanti del popolo facendo leva sul fatto che, se li avesse lasciati fare, la stessa corona sarebbe scomparsa. Il sovrano, succube dei nobili e di Maria Antonietta intimò all’Assemblea di sciogliersi e di riunirsi separatamente in modo da poter discutere sulla crisi economica, come aveva chiesto nella giornata del 5 maggio.

 

Il 20 giugno del 1789 i rappresentanti del popolo, cacciati dal luogo di riunione degli Stati Generali, si riunirono su proposta del deputato Joseph Ignace Guillotin nel campo adibito al gioco della pallacorda dove giurarono di non separarsi per nessuna ragione fino a quando la nuova Costituzione della nazione francese non fosse stata redatta. Con l’adesione dei rappresentanti del basso clero e di alcuni nobili di ideologia liberale si autoproclamarono Assemblea Nazionale Costituente.

 

‘Giuriamo di riunirci dovunque lo esigono le circostanze e di non separarci prima di aver stabilito la Costituzione del Regno’.

 

Su queste parole si fonda il famoso giuramento che cambierà un’ epoca non solo in Francia ma nell’intera Europa. Lo stesso sovrano, che all’inizio voleva usare la forza per far ripiegare i deputati, dovette dopo qualche giorno riconoscere il dato di fatto e lasciare che l’Assemblea Costituente conducesse i lavori. L’unica cosa che poté fare fu radunare più truppe possibili nella capitale, ufficialmente con l’intenzione di difendere l’assemblea ma ufficiosamente per poter contare sull’esercito in caso di necessità rivolgendo le armi contro il suo stesso popolo.

 

Quel che è certo fu che nei giorni che precedettero la Presa della Bastiglia, simbolo della Rivoluzione, il popolo prese, forse per la prima volta, coscienza di se stesso e della sua funzione, capendo che era proprio lui l’artefice della grandezza nazionale e per questa ragione doveva poter decidere di se stesso, delle tasse e delle faccende internazionali; non subire inoltre le decisioni di re, nobili e ministri che avevano in mente solo il loro tornaconto economico e il mantenimento di odiosi privilegi sulle spalle del popolo. Il non saper essere lungimirante e il non voler capire cosa stava accadendo realmente fu una delle più grandi colpe che si poterono addossare sui sovrani Luigi XVI e Maria Antonietta, che pagarono la loro miopia con la propria vita sulla scia della rabbia di un popolo oppresso e tradito da chi avrebbe dovuto invece proteggerlo.

 

Il re proibì il 22 giugno anche l’utilizzo della sala della Pallacorda. L’Assemblea si riunì quindi nella Chiesa di Saint-Paul-Saint-Louis, dove venne raggiunta da quasi la totalità dei rappresentanti del clero. Il 23 giugno nella sala dell’Hôtel des Menus-Plaisirsm annullò le risoluzioni dell’Assemblea e costrinse i rappresentanti dei tre ordini a disperdersi. Nobiltà e clero obbedirono immediatamente all’ordine del re, ma i deputati del popolo decisero di non sciogliersi e aumentarono il loro numero dopo l’adesione di ben 47 nobili liberali, tra cui il duca d’Orléans, parente stretto del re.

 

Vista l’impossibilità di sciogliere l’Assemblea, il re il 27 giugno invitò ufficialmente la nobiltà e il clero a unirsi ai rappresentanti della nazione. I nobili però rifiutarono categoricamente e con indignazione verso il sovrano considerato troppo indulgente. I lavori dell’Assemblea continuarono e il 9 luglio si autoproclamò Assemblea Nazionale Costituente, con lo scopo di dare una nuova Costituzione alla Francia. A quel punto il sovrano iniziò a far rientrare tutte le forze armate che si stanziarono attorno a Versailles, Parigi, Sèvres e Saint-Denis.

 

L’Assemblea chiese educatamente al re di ritirare le truppe, cosa che il re non concesse visto che ufficialmente l’esercito era li per garantire la sicurezza dei rappresentanti del popolo. Tra i reggimenti che circondavano la capitale c’erano anche delle armate straniere che il re riteneva più fedeli di quelle francesi, che invece potevano essere solidali con i propri rappresentanti. Parigi e i suoi cittadini erano però pronti a difendere i deputati dell’Assemblea e per questa ragione il re, ufficialmente per garantirne la sicurezza, propose ai deputati di spostarsi a Noyon o a Soissons, cosa che l’Assemblea rifiutò rimanendo sotto la protezione dei parigini che all’occorrenza li avrebbero difesi con le armi.

 

Luigi XVI richiamò anche il ministro Necker a corte, in modo che potesse prendere in mano la guida del governo e superare la crisi finanziaria e politica che si era creata ma l’11 luglio, per volere dei nobili di Versailles che non l’avevano mai amato per le sue simpatie verso il Terzo Stato, fu nuovamente destituito e obbligato a lasciare la Francia in due giorni.

 

Il popolo di Parigi questa volta però si mobilitò come nell’occasione dei soldati incriminati, chiedendo ad alta voce che il ministro tornasse al suo posto. Per garantire l’ordine pubblico fu incaricato un reggimento di soldati tedeschi, venuti a seguito della regina Maria Antonietta e non simpatizzanti con la popolazione parigina. Il reggimento caricò la folla provocando diversi feriti.



 

 

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