[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

168 / DICEMBRE 2021 (CXCIX)


medievale

RIVOLTE NEL BASSO MEDIOEVO ITALIANO

COMUNI E TENSIONI SOCIALI

di Stefano Bassi

 

Al Nord e al Centro della penisola italiana, si era sviluppato, raggiungendo forma matura nel XII secolo, un fenomeno squisitamente nostrano: il Comune.

 

Con l’avvento dell’anno Mille, moltissime innovazioni, che avevano radici profonde nell’età carolingia, promosse da vescovi e secundi milites (beneficiari e feudatari minori), diedero un nuovo impulso alla vita urbana, mutandone così in primis i quadri economico-sociali.

 

Crescita demografica, nuove cerchie murarie per abbracciare l’espansione dei suburbi, dissodamenti nel contado circostante, costruzione di cattedrali e di edifici pubblici, furono soltanto alcuni degli elementi che accompagnarono il movimento di autonomia comunale e di rinnovata coscienza politica.

 

Lungi da mettere pienamente in discussione la figura dell’Imperatore, commune e cives s’erano comunque ritagliati un loro spazio d’autonomia, usurpando le iura regalia, i diritti regali, con la volontà di difendere le libertà ottenute, anche con la forza.

 

Sul finire del XIII secolo, dopo le sconfitte militari e politiche di Federico I, soprannominato il Barbarossa, e Federico II, stupor mundi, i comuni avevano continuato a vivere parecchi momenti turbolenti: frenetica espansione nel contado e lotte tra parti filo papali e filo imperiali, molto spesso connotate da deleterie ambizioni di gruppi e di interessi.

 

L’esperienza comunale fu una bolla che continuò ad accrescere per poi, in certi casi, irrigidirsi con battute d’arresto complicate, a tratti violente, fino all’arrivo in quasi tutti i comuni del fenomeno della Signoria, attraverso passaggi più accentratrici del potere in figure come quella del potestas.

 

Troppe erano le questioni a cui gli organi collegiali dovevano far fronte, sicché si preferì optare in molti casi per un personaggio forte, il dominus et defensor pacis, il quale con una cerchia di tecnici e professionisti assunse la piena direzione della città.

 

Rivolta o “rumor”

 

Proprio durante il momento di transizione, ovvero verso la fine del ‘200 e gli inizi del ‘300, si innestarono una serie di problematiche che generarono spirali negative. Siamo alla presenza di guerre interne ed esterne, un alto tasso demografico ingestibile in alcune città, come Milano e Bologna, forte speculazione sul prezzo del grano e infine carestie che portavano spesso il populus minus a scendere in piazza fino a provocare veri e propri tumulti e rivolte.

 

Una rivolta, ovvero un rumor nelle cronache coeve, sembrerebbe essere innanzitutto un momento legato alla sfera percettiva, connotato appunto dall’esplodere di una rumorosa protesta in piazza. Ma era anche un fenomeno dall’alto valore simbolico e di coscienza rivendicativa dei cittadini. Molto spesso, infatti, la violenza era accompagnata da un gesto forte carico di significato. Un esempio precoce è la distruzione della palazzo imperiale a Bologna nel 1115 e la scacciata dei conti, rappresentati del potere regio.

 

Possiamo trovare, dunque, tumulti di natura squisitamente politica, ma anche rivolte scaturite da motivi economici. Nel periodo che vogliamo approfondire, presenteremo una rivolta dettata da una duplice crisi di stampo economico e politico; infine, una rivolta legata al prezzo del pane.

 

Donne in rivolta

 

Nel 1302 a Milano, la popolazione si ribellò ai Visconti, famiglia che aveva creato un potere personale sulla città, dopo aver sconfitto la famiglia avversaria, i Della Torre, nella battaglia di Desio del 1277.

 

Ottone e Matteo Visconti avevano perseguito una forte politica di espansione sovra cittadina. Le spedizioni militari avevano necessitato di un vorace sistema fiscale per mantenere l’esercito impegnato su più fronti. L’esazioni e le taglie generarono una serie di malcontenti e aperti momenti di scontro con il regime, tanto da decretarne la fine in concerto con una spedizione guelfa pluricittadina.

 

Fu, in particolare, quella dell’estate del 1302, una rivolta anti fiscale, scoppiata in una situazione di profonda incertezza politica. Galeazzo Visconti aveva abbandonato la città a seguito dei tumulti, Matteo rinunciato al potere. Improvvisamente, però, in città si sparse la voce di un possibile ritorno visconteo.

 

A questo punto, 200 donne armate di coltello assaltarono il broletto, misero a sacco il deposito del sale e iniziarono a venderlo a prezzo politico di 12 soldi allo staio. La situazione trovò soluzione con il ritorno in città dei Torriani e l’inizio di un regime popolare che si impegnò in politiche economiche differenti e più equilibrate.

 

La “Rivolta del Pane”

 

Rumor fuit in platea et in tribio porte Ravenatis, così si apre la cronaca bolognese, portandoci subito in media res. A Bologna, nel 1311, la situazione era altrettanto complicata. A differenza del comune milanese, la città felsinea viveva una più marcata parabola di crisi economica, dettata da una decadenza che la stava portando a un notevole ridimensionamento, rispetto ai fasti duecenteschi.

 

Ricercare le motivazioni del declino bolognese significa ripercorrere alcuni eventi chiave della storia cittadina. Bologna, innanzitutto, si era impegnata in una estenuante guerra contro la potente Venezia, sfociata addirittura in uno scontro navale sul delta del Po tra gli anni 1270-1273. Nel 1278 Rodolfo d’Asburgo, in cambio della promessa a incoronazione imperiale, cedette Bologna e la Romagna a Papa Nicolò III, decretando una presenza del dominio pontificio sempre più decisa. Infine, una serie di scontri sul finire del secolo contro la Ferrara degli Estensi, che aveva inglobato nel suo dominio Modena e Reggio, premendo così sui territori bolognesi, danneggiarono pesantemente il contado.

 

Le bocche da sfamare si facevano sempre maggiori, i trasporti in città divenivano complicati, mentre i campi circostanti erano allagati e i canali d’acqua deviati di proposito dai nemici. Il Comune non riusciva a rispondere efficacemente a tutte queste problematiche.

Fu così che il prezzo del pane salì a trenta soldi lo staio. Probabilmente una manovra di aumento del prezzo speculativa. Per questo il popolo minuto scese in piazza ravennate, sede del mercato cittadino, reclamando a gran voce pane.

 

I successivi provvedimenti mostrano il cinismo e l’esasperazione di una città che accoglieva più persone di quante potesse mantenere. Si decretò l’espulsione delle bocche da sfamare di coloro che non avevano cittadinanza, mentre, per impedire ulteriori tumulti, il prezzo del pane fu calmierato.

 

In molti casi, nei nostri comuni, assistiamo a un intervento capillare dell’autorità pubblica attraverso la magistratura del biado per vendere farina o pane a prezzi contenuti in pubblica piazza. Tale pratica serviva a scongiurare disordini, ma soprattutto speculazioni: infatti il pane a prezzo politico non poteva essere venduto oltre una certa quantità, fissata uguale per tutti. A garantire la giusta distribuzione erano presenti uomini armati di mannaie, pronti a punire qualsiasi trasgressore.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

M. Bourin, G. Cherubini, G. Pinto, Rivolte urbane e rivolte contadine nell’Europa del Trecento, Firenze University Press, Firenze 2008.

P. Grillo, Milano guelfa (1302-1310), Viella, Roma 2013.

G. Milani, I Comuni italiani, Editori Laterza, Roma-Bari 2005.

S. Nesi, Bologna, città marinara 1270-1273. La battaglia navale alle foci del Po di Primaro tra Bologna e Venezia, Lo Scarabeo, Milano 2010.

E. Occhipinti, L’Italia dei comuni (Secoli XI-XIII), Carocci editore, Roma 2000.

G. Pinto, Il libro del Biadaiolo. Carestia e annona a Firenze dalla metà del ‘200 al 1348, Olschki, Verona 1978.

A. Vasina, Comuni e Signorie in Emilia e in Romagna, UTET, Torino 1986.

A. Zorzi, Le Signorie cittadine in Italia, Bruno Mondadori, Milano-Torino 2010.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]