medievale
RIVOLTE NEL BASSO MEDIOEVO ITALIANO
COMUNI E TENSIONI SOCIALI
di Stefano Bassi
Al Nord e al Centro della penisola
italiana, si era sviluppato,
raggiungendo forma matura nel XII
secolo, un fenomeno squisitamente
nostrano: il Comune.
Con l’avvento dell’anno Mille,
moltissime innovazioni, che avevano
radici profonde nell’età carolingia,
promosse da vescovi e secundi milites
(beneficiari e feudatari minori),
diedero un nuovo impulso alla vita
urbana, mutandone così in primis i
quadri economico-sociali.
Crescita demografica, nuove cerchie
murarie per abbracciare l’espansione dei
suburbi, dissodamenti nel contado
circostante, costruzione di cattedrali e
di edifici pubblici, furono soltanto
alcuni degli elementi che accompagnarono
il movimento di autonomia comunale e di
rinnovata coscienza politica.
Lungi da mettere pienamente in
discussione la figura dell’Imperatore, commune
e cives s’erano comunque
ritagliati un loro spazio d’autonomia,
usurpando le iura regalia, i
diritti regali, con la volontà di
difendere le libertà ottenute, anche con
la forza.
Sul finire del XIII secolo, dopo le
sconfitte militari e politiche di
Federico I, soprannominato il
Barbarossa, e Federico II, stupor
mundi, i comuni avevano continuato a
vivere parecchi momenti turbolenti:
frenetica espansione nel contado e lotte
tra parti filo papali e filo imperiali,
molto spesso connotate da deleterie
ambizioni di gruppi e di interessi.
L’esperienza comunale fu una bolla che
continuò ad accrescere per poi, in certi
casi, irrigidirsi con battute d’arresto
complicate, a tratti violente, fino
all’arrivo in quasi tutti i comuni del
fenomeno della Signoria, attraverso
passaggi più accentratrici del potere in
figure come quella del potestas.
Troppe erano le questioni a cui gli
organi collegiali dovevano far fronte,
sicché si preferì optare in molti casi
per un personaggio forte, il dominus
et defensor pacis, il quale con una
cerchia di tecnici e professionisti
assunse la piena direzione della città.
Rivolta o “rumor”
Proprio durante il momento di
transizione, ovvero verso la fine del
‘200 e gli inizi del ‘300, si
innestarono una serie di problematiche
che generarono spirali negative. Siamo
alla presenza di guerre interne ed
esterne, un alto tasso demografico
ingestibile in alcune città, come Milano
e Bologna, forte speculazione sul prezzo
del grano e infine carestie che
portavano spesso il populus minus
a scendere in piazza fino a provocare
veri e propri tumulti e rivolte.
Una rivolta, ovvero un rumor
nelle cronache coeve, sembrerebbe
essere innanzitutto un momento legato
alla sfera percettiva, connotato appunto
dall’esplodere di una rumorosa protesta
in piazza. Ma era anche un fenomeno
dall’alto valore simbolico e di
coscienza rivendicativa dei cittadini.
Molto spesso, infatti, la violenza era
accompagnata da un gesto forte carico di
significato. Un esempio precoce è la
distruzione della palazzo imperiale a
Bologna nel 1115 e la scacciata dei
conti, rappresentati del potere regio.
Possiamo trovare, dunque, tumulti di
natura squisitamente politica, ma anche
rivolte scaturite da motivi economici.
Nel periodo che vogliamo approfondire,
presenteremo una rivolta dettata da una
duplice crisi di stampo economico e
politico; infine, una rivolta legata al
prezzo del pane.
Donne in rivolta
Nel 1302 a Milano, la popolazione si
ribellò ai Visconti, famiglia che
aveva creato un potere personale sulla
città, dopo aver sconfitto la famiglia
avversaria, i Della Torre, nella
battaglia di Desio del 1277.
Ottone e Matteo Visconti avevano
perseguito una forte politica di
espansione sovra cittadina. Le
spedizioni militari avevano necessitato
di un vorace sistema fiscale per
mantenere l’esercito impegnato su più
fronti. L’esazioni e le taglie
generarono una serie di malcontenti e
aperti momenti di scontro con il regime,
tanto da decretarne la fine in concerto
con una spedizione guelfa
pluricittadina.
Fu, in particolare, quella dell’estate
del 1302, una rivolta anti fiscale,
scoppiata in una situazione di profonda
incertezza politica. Galeazzo Visconti
aveva abbandonato la città a seguito dei
tumulti, Matteo rinunciato al potere.
Improvvisamente, però, in città si
sparse la voce di un possibile ritorno
visconteo.
A questo punto, 200 donne armate di
coltello assaltarono il broletto, misero
a sacco il deposito del sale e
iniziarono a venderlo a prezzo politico
di 12 soldi allo staio. La situazione
trovò soluzione con il ritorno in città
dei Torriani e l’inizio di un regime
popolare che si impegnò in politiche
economiche differenti e più equilibrate.
La “Rivolta del Pane”
Rumor fuit in platea et in tribio porte
Ravenatis,
così si apre la cronaca bolognese,
portandoci subito in media res.
A Bologna, nel 1311, la situazione
era altrettanto complicata. A differenza
del comune milanese, la città
felsinea viveva una più marcata
parabola di crisi economica, dettata da
una decadenza che la stava portando a un
notevole ridimensionamento, rispetto ai
fasti duecenteschi.
Ricercare le motivazioni del declino
bolognese significa ripercorrere alcuni
eventi chiave della storia cittadina.
Bologna, innanzitutto, si era impegnata
in una estenuante guerra contro la
potente Venezia, sfociata addirittura in
uno scontro navale sul delta del Po tra
gli anni 1270-1273. Nel 1278 Rodolfo
d’Asburgo, in cambio della promessa a
incoronazione imperiale, cedette Bologna
e la Romagna a Papa Nicolò III,
decretando una presenza del dominio
pontificio sempre più decisa. Infine,
una serie di scontri sul finire del
secolo contro la Ferrara degli Estensi,
che aveva inglobato nel suo dominio
Modena e Reggio, premendo così sui
territori bolognesi, danneggiarono
pesantemente il contado.
Le bocche da sfamare si facevano sempre
maggiori, i trasporti in città
divenivano complicati, mentre i campi
circostanti erano allagati e i canali
d’acqua deviati di proposito dai nemici.
Il Comune non riusciva a rispondere
efficacemente a tutte queste
problematiche.
Fu così che il prezzo del pane salì a
trenta soldi lo staio. Probabilmente una
manovra di aumento del prezzo
speculativa. Per questo il popolo minuto
scese in piazza ravennate, sede del
mercato cittadino, reclamando a gran
voce pane.
I successivi provvedimenti mostrano il
cinismo e l’esasperazione di una città
che accoglieva più persone di quante
potesse mantenere. Si decretò
l’espulsione delle bocche da sfamare di
coloro che non avevano cittadinanza,
mentre, per impedire ulteriori tumulti,
il prezzo del pane fu calmierato.
In molti casi, nei nostri comuni,
assistiamo a un intervento capillare
dell’autorità pubblica attraverso la
magistratura del biado per vendere
farina o pane a prezzi contenuti in
pubblica piazza. Tale pratica serviva a
scongiurare disordini, ma soprattutto
speculazioni: infatti il pane a prezzo
politico non poteva essere venduto oltre
una certa quantità, fissata uguale per
tutti. A garantire la giusta
distribuzione erano presenti uomini
armati di mannaie, pronti a punire
qualsiasi trasgressore.
Riferimenti bibliografici:
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Rivolte urbane e rivolte contadine
nell’Europa del Trecento, Firenze
University Press, Firenze 2008.
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Viella, Roma 2013.
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Editori Laterza, Roma-Bari 2005.
S. Nesi,
Bologna,
città marinara 1270-1273. La battaglia
navale alle foci del Po di Primaro tra
Bologna e Venezia,
Lo Scarabeo, Milano 2010.
E. Occhipinti, L’Italia dei comuni
(Secoli XI-XIII), Carocci editore,
Roma 2000.
G. Pinto, Il libro del Biadaiolo.
Carestia e annona a Firenze dalla metà
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1978.
A. Vasina, Comuni e Signorie in
Emilia e in Romagna, UTET, Torino
1986.
A. Zorzi, Le Signorie cittadine in
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