N. 81 - Settembre 2014
(CXII)
LA RIVOLTA DI SPARTACO
UNO SCHIAVO CONTRO ROMA
di Andrea Contorni
73
a.C.
Capua.
Nel
"ludus
gladiatorius"
di
Lentulo
Batiato,
duecento
gladiatori
si
ribellarono
tentando
la
fuga.
In
settanta
riuscirono
nell'impresa.
Li
guidavano
due
combattenti
di
valore,
rinomati
nell'arena,
Spartaco
il
Trace
e
Crisso
il
Gallo.
Insieme
diedero
il
via
alla
più
grande
e
famosa
rivolta
servile
che
la
Storia
di
Roma
ricordi.
Sul
finire
di
quello
stesso
anno,
la
loro
armata
di
schiavi
e
gladiatori
contava
oltre
40.000
elementi,
nel
72
a.C.
oltre
70.000,
nel
71
a.C.
ultimo
anno
dell'insurrezione,
le
fonti
parlano
di
ben
100.000
armati.
Non
mancano
gli
storici
antichi
posteriori
allo
svolgimento
dei
fatti
che
si
sono
occupati
dell'argomento
seppur
alcuni
particolari
continuino
tutt'oggi
ad
essere
oggetto
di
discussione
tra
gli
studiosi.
Da
un
lato
il
greco
Plutarco
(46-125
d.C.)
nella
sua
"Vita
di
Crasso",
dall'altro
Appiano
di
Alessandria,
vissuto
durante
i
regni
di
Traiano,
Adriano
e
Antonino
Pio,
nell'opera
"Storia
romana",
infine
Frontino
(40-104
d.C.)
in
"Stratagemmi"
per
non
dimenticare
Floro
(100-150
d.C.).
Tutti
questi
fondarono
i
loro
scritti
su
opere
anteriori
elaborate
da
Sallustio
e
Livio
di
cui
non
ci
rimangono
che
pochi
frammenti.
Cominciamo
intanto
a
conoscere
meglio
questi
due
lottatori
che
tentarono
di
rovesciare
l'Urbe.
Crisso
(nella
sua
lingua
"dai
capelli
ricci")
era
un
celta
della
tribù
degli
Allobrogi.
Cadde
prigioniero
di
Roma
e
finì
acquistato
da
Batiato
che
ne
fece
un
gladiatore.
Era
un
campione
dell'arena,
noto
per
il
suo
coraggio
e il
suo
ardore
nel
rispetto
dell'origine
gallica.
Spartaco
proveniva
invece
dalla
Tracia,
una
regione
a
nord
della
Macedonia
abitata
da
bellicose
tribù
e
fonte
di
continui
problemi
per
Roma.
Erano
gli
anni
difficili
delle
guerre
Mitridatiche,
quando
il
bizzoso
re
del
Ponto
tentò
con
tutte
le
sue
forze
di
espandere
i
suoi
domini
ai
danni
della
Grecia.
Spartaco
era
un
pastore
dei
Maedi,
ma
era
prima
di
tutto
un
guerriero
pronto
ad
impugnare
le
armi
per
difendere
il
proprio
villaggio.
Fu
arruolato
nelle
milizie
ausiliare
al
servizio
dei
Capitolini.
Disertò
e si
diede
al
brigantaggio.
Fu
catturato
insieme
ai
suoi
compagni
e
mandato
in
catene
a
Roma.
Secondo
Appiano
invece,
il
nostro
scese
in
campo
con
la
sua
tribù
contro
le
legioni,
alleato
proprio
di
Mitridate
VI.
C'è
un
particolare
che
fa
propendere
l'ago
della
bilancia
verso
la
prima
ipotesi.
Durante
la
rivolta,
Spartaco
mostrò
un'incredibile
conoscenza
delle
tattiche
di
guerra
romane,
che
poteva
aver
osservato
ed
imparato
proprio
come
ausiliario.
Ovvio
che
Spartaco
non
si
chiamasse
affatto
Spartaco.
Questo
"nickname"
gli
fu
affibbiato
con
molta
probabilità
dal
lanista
Batiato.
Anche
qui
scaturiscono
ben
tre
teorie.
Spartacus
come
forma
latinizzata
di "Sparadakos"
ovvero
"famoso
per
la
sua
lancia",
oppure
da "Spartakos",
che
poteva
indicare
o un
luogo
ben
preciso
della
Tracia
o un
leggendario
sovrano
di
quelle
terre.
Sta
di
fatto
che
una
volta
a
Roma,
venne
venduto
come
gladiatore
e
finì
a
Capua
nel
ludus
di
Batiato,
un
ricco
lanista
che
organizzava
principalmente
combattimenti
privati
per
senatori,
cavalieri
e
per
chiunque
potesse
permettersi
i
suoi
titani.
Apro
una
brevissima
parentesi
sull'ars
gladiatoria
del
tempo.
Siamo
nel
I
secolo
a.C.
e
dunque
dobbiamo
rimuovere
dalla
nostra
mente
la
figura
del
gladiatore
così
come
sovviene
nell'immaginario
comune.
È un
po'
il
discorso
del
legionario.
Il
soldato
romano
ai
tempi
della
Seconda
Guerra
Punica,
per
esempio,
così
come
durante
questa
rivolta
servile
di
cui
vi
sto
parlando,
non
combatteva
con
la
lorica
segmentata
che
compare
secoli
dopo.
Purtroppo
film
e
serie
tv
seguono
spesso
alcuni
modelli
prestabiliti
che
si
allontanano
di
parecchio
dalla
veridicità
storica
per
favorire
l'immaginario
collettivo.
Tornando
ai
gladiatori.
Il I
secolo
a.C.
rappresentò
un
anno
di
definizione
dell'ars
gladiatoria.
Iniziarono
a
comparire
le
prime
classi
ben
differenziate
tra
loro
nello
stile
di
combattimento
e
negli
equipaggiamenti.
Avvenne
un
passaggio
dalla
concezione
quasi
religiosa
di
gioco
gladiatorio
quale
omaggio
a un
defunto,
al
concetto
di
combattimento
tra
gladiatori
nell'ottica
del
puro
e
semplice
spettacolo
per
la
folla.
All'inizio
della
loro
storia
nelle
arene,
questi
combattenti
si
servivano
soprattutto
del
classico
gladio.
Si
difendevano
con
scudi,
elmi
e
alcune
protezioni
per
il
corpo
che
richiamavano
gli
armamenti
delle
popolazioni
sconfitte
dall'Urbe,
in
primis
sanniti,
galli
e
traci.
In
epoche
successive
durante
l'impero,
i
gladiatori
si
caratterizzarono
sempre
più,
per
assicurare
un
maggiore
coinvolgimento
degli
spettatori
che
si
identificavano
nel
grosso
"murmillo"
di
turno
o
nell'agile
"retiarus",
armato
di
rete
e
tridente,
o
nel
portatore
di
lancia
"hoplomachus"
fino
alle
classi
più
curiose
come
lo "andabatae"
che
combatteva
senza
vedere
con
un
elmo
senza
fessure
per
gli
occhi.
Ai
tempi
di
Spartaco,
comunque
non
esisteva
nulla
di
quanto
spiegato
poc'anzi.
Il
nostro
schiavo
dovrebbe
essersi
ben
presentato
in
quel
di
Capua,
in
quanto
in
poco
tempo
divenne
uno
dei
capi
riconosciuti
tra
i
duecento
combattenti
di
Batiato.
Plutarco
ci
racconta
che
Spartaco
viaggiava
con
la
moglie
al
seguito.
Questa
donna
sarebbe
rimasta
al
suo
fianco
fino
al
termine
della
rivolta.
Si
narra
che
fosse
un'invasata
profetessa
del
misterioso
culto
di
Dionisio
e
che
avrebbe
previsto
per
il
consorte
un
futuro
di
gloria
seguito
da
morte
certa.
Mai
previsione
fu
più
azzeccata.
Ora
rimane
da
chiederci
circa
i
motivi
per
cui
un
gladiatore
avrebbe
dovuto
ribellarsi
al
suo
status
quo,
imbarcandosi
in
un'impresa
disperata
con
un
unico
finale
previsto,
ovvero
la
morte.
I
ludi
gladiatori
accoglievano
reclute
di
diversa
provenienza.
C'erano
gli
schiavi
acquistati
al
mercato
dal
lanista
in
persona.
Erano
per
la
maggior
parte
ex
combattenti
(qualcuno
appartenente
persino
a
classi
sociali
elevate),
provenienti
dalle
regioni
assoggettate
a
Roma.
Nel
I
secolo
a.C.
celti,
traci
e
germani
andavano
per
la
maggiore.
A
questa
"categoria"
si
affiancavano
altri
schiavi,
quelli
caduti
in
disgrazia
o
ripudiati
dai
propri
padroni.
Sempre
al
mercato
finivano
ma a
differenza
dei
primi,
erano
in
catene
già
da
diverso
tempo.
Infine
c'erano
gli
uomini
liberi
di
estrazione
italica.
Da
un
lato
individui
che
avevano
perso
tutti
i
loro
averi
o
che
erano
nell'impossibilità
di
ripagare
un
debito,
dall'altro
qualche
pazzo
scatenato
con
l'intenzione
di
provare
l'ebbrezza
di
una
nuova
vita
all'insegna
del
sangue.
Per
tutti
questi,
la
carriera
gladiatoria
poteva
rappresentare
una
svolta.
Sta
di
fatto
però
che
l'età
media
di
vita
di
un
combattente
si
aggirava
intorno
ai
venticinque
anni.
Ben
pochi
poterono
bearsi
della
gloria
terrena
e
dei
tanti
denari
guadagnati
in
premio.
I
più
valorosi
tra
i
gladiatori
venivano
considerati
veri
e
propri
campioni
di
incassi,
macchine
da
soldi
per
il
fortunato
lanista
che
li
annoverava
nella
sua
scuderia.
Monete,
donne
e
qualche
lusso
ripagavano
gli
sforzi
nell'arena
con
la
possibilità
di
vivere
talmente
a
lungo
da
pagarsi
il
riscatto
per
la
libertà.
Il
ludus
di
Batiato
era
particolarmente
ferreo
negli
allenamenti
e
nella
disciplina.
Spartaco
non
apprezzava
quell’esistenza
e da
capetto
qual'era
convinse
tutti
i
colleghi
a
seguirlo
nell'impresa.
Egli
coltivava
un
sogno,
ovvero
quello
di
tornarsene
tra
i
monti
della
Tracia.
La
notte
antecedente
un
grandioso
spettacolo
gladiatorio
che
si
doveva
tenere
in
quel
di
Capua,
ebbe
inizio
la
rivolta.
Spartaco,
Crisso
e
Enomao
(un
altro
celta),
misero
fuori
gioco
le
sentinelle
di
Batiato.
Si
armarono
di
spiedi
e
coltellacci
da
cucina
e
tentarono
di
trascinare
fuori
dalla
scuola
tutti
i
restanti
compagni,
circa
200
anime.
Riuscirono
in
settanta.
Percorrendo
le
vie
di
Capua,
si
imbatterono
in
un
paio
di
carri
che
trasportavano
armi
per
gladiatori.
Mai
dono
fu
più
ben
accetto.
Infine
superarono
le
porte
della
città
e si
diressero
verso
il
Vesuvio
a
circa
30
Km a
sud.
Il
vulcano
era
all'epoca
una
sorta
di
paradiso.
Circondato
di
boschi,
campi
e
vigneti
offriva
cibo
a
volontà.
La
sua
sommità
inoltre
si
stagliava
come
una
fortezza
naturale,
spesso
coperta
da
nuvole.
Dall'alto
era
possibile
far
correre
lo
sguardo
fino
alle
vallate
più
distanti.
Una
prima
milizia
capuana
fu
mandata
in
avanscoperta
nei
dintorni.
I
gladiatori
scesero
dal
loro
nido
e
l'annientarono
facendo
incetta
di
armi
ed
equipaggiamenti.
Nei
giorni
seguenti
la
eco
dell'impresa
degli
schiavi
corse
veloce
nelle
campagne
circostanti.
Come
scrisse
lo
storico
e
archeologo
Barry
Strauss:
"Nel
73
a.C.
l'Italia
romana
era
una
foresta
secca
nel
pieno
della
canicola
estiva.
Spartaco
accese
un
fiammifero".
La
maggior
parte
dei
terreni
agricoli
del
sud
Italia,
era
coltivata
nel
contesto
di
estesi
latifondi.
I
possidenti,
di
solito
ricchi
senatori
o
cavalieri,
se
ne
stavano
a
Roma,
mentre
loro
uomini
di
fiducia
(fattori),
spesso
persino
schiavi
o ex
tali
affrancati,
amministravano
le
grandi
tenute,
dirigendo
a
suon
di
frustate
frotte
di
gente
in
catene
e
nullatenenti.
La
piccola
proprietà
terriera
era
divenuta
sempre
più
rara
in
seguito
alla
fine
della
Seconda
Guerra
Punica,
dunque
dal
202
a.C.
in
poi.
Le
devastazioni
e i
saccheggi
perpetrati
da
Annibale
nel
sud,
uniti
ai
tanti
contadini
liberi
che
erano
stati
costretti
ad
arruolarsi
nelle
legioni
per
combattere
le
nuove
guerre
di
Roma
produssero
la
graduale
malora
degli
antichi
poderi.
Gli
speculatori
ci
misero
poco
ad
accaparrarseli
per
pochi
denari.
Il
latifondismo
esasperato
rappresentò,
secoli
e
secoli
dopo
gli
eventi
che
vi
sto
raccontando,
una
delle
tante
cause
del
collasso
dell'impero
romano.
Tornado
al
73
a.C.
i "latifundia"
fornirono
a
Spartaco
un
ampio
bacino
di
reclutamento.
Si
racconta
che
nei
primi
giorni
della
rivolta,
affluirono
al
Vesuvio
oltre
10.000
individui,
tra
schiavi
fuggiaschi
e
liberi
impoveriti
provenienti
dai
campi.
Il
primo
romano
che
si
occupò
della
faccenda
"Spartaco",
fu
secondo
alcune
fonti
(non
tutte)
un
aristocratico
di
nome
Appio
Claudio
Pulcro.
Questi,
per
limitare
le
scorrerie
degli
ex
gladiatori,
arruolò
alcuni
mercenari
italici.
Il
Senato
romano
dal
canto
suo
approvò
noiosamente
un
provvedimento
che
dava
mandato
al
pretore
Caio
Claudio
Glabro
di
occuparsi
della
questione.
Glabro
era
di
estrazione
plebea
ma
vantava
una
qualche
lontana
parentela
con
la
Gens
Claudia.
La
sua
ascesa
politica
si
arrestò
proprio
sul
Vesuvio.
Gli
furono
forniti
circa
4000
uomini,
raccolti
per
arruolamento
volontario.
Una
sorta
di
milizia
territoriale
male
armata
e
ancor
peggio
addestrata.
Le
migliori
legioni
di
Roma
erano
impiegate
in
Spagna
contro
Sertorio
e in
Oriente
contro
Mitridate,
così
come
i
più
valenti
condottieri
dell'Urbe,
rispettivamente
Pompeo
e
Lucullo.
Il
Senato
raschiò
dunque
il
barile
con
la
convinzione
che
una
rivolta
di
schiavi
non
meritasse
altro
impegno.
Il
nostro
pretore
assediò
il
vulcano,
lasciando
incustodito
un
pendio
inaccessibile.
Nottetempo
Spartaco
e i
suoi
si
calarono
giù
proprio
da
qual
pendio
grazie
a
corde
e
scale
costruite
con
i
tralci
di
vite
selvatica.
Aggirarono
le
posizioni
di
Glabro
e
attaccarono
l'accampamento
romano,
conquistandolo.
Chi
tra
i
romani,
non
trovò
la
morte
si
diede
alla
fuga.
Glabro
scomparve
dalla
Storia.
Gli
ex
schiavi
si
portarono
via
armi,
equipaggiamenti,
cibo
e
cavalli,
persino
le
insegne
del
pretore.
Simile
sorte
tocco
alla
seconda
armata
spedita
da
Roma,
sotto
il
comando
di
un
altro
pretore,
Varinio.
Altri
3000
fanti
raccolti
per
strada
e
armati
alla
bene
in
meglio
furono
sbaragliati
da
Spartaco
e
Crisso.
Nel
72
a.C.,
tra
razzie,
città
messe
al
sacco,
violenze
e
stupri
la
rivolta
si
era
evoluta
in
una
vera
e
propria
guerra
servile.
La
truppa
del
trace
ribelle
ammontava
ad
oltre
70.000
elementi.
Il
Senato
lasciò
perdere
i
pretori
passando
la
palla
ai
due
consoli
di
quell'anno,
ovvero
Lucio
Gellio
Publicola
e
Gneo
Lentulo
Clodiano
con
le
loro
due
legioni.
Il
detto
recita
"l'unione
fa
la
forza".
Nel
72
a.C.
quella
tra
Spartaco
e
Crisso
terminò.
Il
primo
si
diresse
a
nord
nel
tentativo
di
raggiungere
le
Alpi.
Il
secondo
se
ne
andò
a
sud,
seguito
da
tutti
i
celti
della
compagnia
e da
gran
parte
dei
germani
(qualche
fonte
parla
di
20.000
uomini).
In
Apulia
nei
pressi
del
Gargano
questo
gruppo
fu
intercettato
dal
console
Gellio
Publicola
e
sterminato.
Crisso
se
ne
andò
all'altro
mondo.
In
lui
aveva
sempre
predominato
la
forza
bruta
a
discapito
di
tattica
e
strategia.
Il
successo
alimentò
il
morale
dei
romani
che
si
gettarono
all'inseguimento
di
Spartaco,
giunto
nel
frattempo
sul
Po
senza
incontrare
resistenza.
Gli
eserciti
consolari
chiusero
quello
servile
in
una
morsa
senza
via
di
uscita.
Il
Trace
riuscì
nell'intento
di
affrontare
le
due
armate
romane
separatamente,
annientandole
entrambe.
Lungo
la
strada
si
liberò
anche
dei
10.000
veterani
del
proconsole
della
Gallia
Cisalpina,
Cassio,
nei
pressi
di
Modena.
La
sua
armata
contava
circa
100.000
ex
schiavi.
La
via
per
le
Alpi
era
aperta
ma
Spartaco,
spinto
dai
suoi
uomini
prese
la
decisione
che
segnò
il
suo
destino.
Fece
marcia
indietro,
puntando
di
nuovo
il
sud
Italia,
direzione
Sicilia.
A
Roma
intanto
il
Senato
cercava
un
salvatore
della
patria.
Nessuno
osava
farsi
avanti.
Esponente
della
gloriosa
gens
Licinia,
Crasso
era
tra
gli
uomini
più
ricchi
della
penisola
italica.
Uomo
di
fiducia
di
Silla,
si
era
accaparrato
i
beni
dei
proscritti
mariani
per
poche
monete.
Aveva
costruito
un
solido
impero
economico
fatto
di
appartamenti
cittadini
e
tenute
di
campagna.
Un
"ammassa"
ricchezze
che
non
disdegnava
speculazioni
e
strozzinaggio.
Un
uomo
duro,
tutto
d'un
pezzo
che
rifuggiva
il
lusso
a
favore
di
una
vita
morigerata.
Si
vantava
di
preferire
il
rozzo
mattone
al
levigato
marmo.
Da
molti
era
considerato
un
semplice
spilorcio.
Dal
punto
di
vista
militare,
era
uno
dei
trionfatori
della
battaglia
di
Porta
Collina,
dove,
caricando
alla
testa
dei
suoi
uomini,
aveva
abbattuto
i
mariani
come
birilli.
Silla
lo
apprezzava
più
che
altro
come
reclutatore
di
soldati,
cosa
che
gli
riusciva
benissimo.
Crasso
era
un
nobile
avido
e
arrogante
che
considerava
i
denari
quale
unico
mezzo
per
farsi
strada
nella
vita.
Questo
atteggiamento
lo
aveva
reso
malvisto
all'aristocrazia
romana.
La
plebe
invece
da
sempre
attirata
come
mosche
dalla
ricchezza,
lo
guardava
con
ammirazione.
La
sua
carriera
politica
era
ferma,
almeno
fino
a
quel
fatidico
anno
72
a.C.
Egli
voleva
diventare
console
ed
eguagliare
i
successi
militari
di
Pompeo
di
cui
era
geloso.
Non
c'erano
legioni
da
comandare
o
ulteriori
teatri
di
guerra
in
quel
periodo.
La
rivolta
di
Spartaco,
pur
essendo
un
"fatto"
di
secondo
rilievo
nella
considerazione
romana,
era
l'unico
palcoscenico
da
calcare
per
dare
una
svolta
alla
propria
esistenza.
Crasso
non
si
fece
sfuggire
l'occasione.
Il
Senato
fu
ben
lieto
di
dargli
un
mandato
da
pretore
e le
quattro
legioni
ex
consolari,
circa
16.000
uomini.
Il
riccone
ne
arruolò
di
tasca
sua
altre
sei,
convincendo
persino
alcuni
veterani
delle
guerre
sillane
a
riprendere
in
mano
gladio
e
scudo.
Si
presentò
in
guerra
con
oltre
45.000
soldati
di
buon
livello.
La
campagna
di
Crasso
iniziò
con
la
sonora
sconfitta
del
suo
legato
Mummio,
al
comando
di
due
legioni.
Il
pretore
reagì
rispolverando
la
vecchia
pratica
della
decimazione;
si
fece
consegnare
cinquecento
uomini
tra
quelli
di
Mummio.
Li
divise
in
cinquanta
decurie
e da
ognuna
ne
trasse
un
uomo
che
mandò
a
morte.
Spartaco
nel
frattempo
tentava
di
andarsene
in
Sicilia.
I
pirati
con
i
quali
il
gladiatore
aveva
preso
accordi
per
imbarcare
la
sua
armata,
si
dettero
alla
macchia
una
volta
intascato
il
compenso,
lasciandolo
a
terra
a
Rhegium.
Le
malelingue
insinuarono
che
dietro
la
precipitosa
fuga
dei
corsari,
ci
fosse
la
lunga
mano
del
ricco
romano.
Questi
era
indeciso.
La
sua
strategia
temporeggiatrice
non
stava
logorando
il
nemico
come
aveva
sperato.
Gli
ex
schiavi
riuscirono
persino
ad
aggirare
la
sua
posizione,
favoriti
da
un
temporale.
Presero
la
via
di
Brindisi.
La
notizia
fece
infuriare
il
Senato
che
richiamò
le
legioni
di
Pompeo
dalla
Spagna
e
quelle
orientali
di
Lucullo.
La
speranza
di
Spartaco
era
invece
quella
di
trovare
un
imbarco
per
lidi
lontani.
Ancora
una
volta
i
celti
furono
in
disaccordo.
30.000
di
questi
si
staccarono
dall'armata
principale
per
essere
sbaragliati
nei
pressi
di
un
lago
non
meglio
identificato
della
Lucania.
Tra
diversi
tira
e
molla
e
scaramucce,
Crasso
e
Spartaco
giunsero
alla
scontro
finale.
Aprile
71
a.C.;
nei
pressi
del
fiume
Sele
i
due
condottieri
vennero
al
confronto.
Da
un
lato
il
disciplinato
esercito
capitolino
guidato
da
Licinio
Crasso,
dall'altro
la
sbandata
armata
servile.
L'ardore
degli
ex
schiavi
sembrava
essersi
affievolito
nel
tempo.
Spartaco
si
presentò
davanti
ai
suoi,
sgozzando
teatralmente
il
suo
cavallo
per
far
capire
a
tutti
che
quella
battaglia
avrebbe
potuto
portare
o
alla
vittoria
o
alla
morte.
Lo
scontro
prese
subito
una
piega
negativa
per
i
ribelli.
Questi
non
stavano
affrontando
dei
miliziani
male
armati
e
demotivati
ma
legionari
preparati
e
rabbiosi
e in
numero
pari
al
loro.
Spartaco,
intuendo
la
sconfitta,
si
gettò
nella
mischia
puntando
il
capannello
dello
stato
maggiore
romano.
Giunse
in
vista
di
Crasso,
trucidando
i
due
centurioni
della
guardia.
Stava
per
avventarsi
sul
generale
romano
quando
fu
colpito
da
un
giavellotto.
Circondato
dai
legionari,
fu
massacrato
a
colpi
di
gladio.
6000
ex
schiavi
sopravvissuti
finirono
crocifissi
lungo
la
via
Appia.
Altri
5000
fuggirono
verso
il
nord
Italia
per
essere
intercettati
da
Pompeo,
fresco
vincitore
della
guerra
iberica.
Il
corpo
di
Spartaco
non
fu
mai
trovato.
Possibile
che
gli
siano
stati
inferti
talmente
tanti
colpi
da
rendere
il
suo
corpo
irriconoscibile?
Oppure
egli
riuscì
nell'ennesima
fuga?
Crasso
dimostrò
di
essere
un
buon
generale,
ma
non
un
genio.
Per
quanto
duro
e
determinato,
mancava
di
una
dote
fondamentale
per
un
condottiero,
ovvero
lo
spirito
d'iniziativa.
Guidava
i
suoi
soldati
con
crudeltà,
dimostrandosi
ferreo
e
irremovibile
in
ogni
occasione.
La
vittoria
finale
su
Spartaco
gli
fu
scippata
da
Pompeo
all'ultima
curva.
A
Crasso
non
spettò
il
trionfo
ma
il
mirto
dell'ovatio,
una
cerimonia
riservata
a
vittorie
di
secondo
piano.
Nel
53
a.C.
la
sua
bocca
fu
riempita
di
oro
fuso.
Crasso
morì
in
seguito
alla
disfatta
di
Carre
per
mano
dei
parti
dopo
aver
trascinato
le
sue
legioni
per
miglia
e
miglia
nel
deserto
siriano.
Spartaco
sognava
la
libertà.
Non
era
un
paladino
dell'abolizione
della
schiavitù.
Egli
voleva
tornarsene
in
Tracia
ma i
suoi
uomini,
gli
stessi
che
egli
aveva
liberato,
non
glielo
permisero.
Spartaco
odiava
Roma
ma
non
si
sognò
mai
di
assediarla.
La
sua
condotta
militare
fu
sempre
improntata
al
pragmatismo,
a
ciò
che
realmente
un
esercito
di
ex
schiavi
poteva
compiere
senza
strafare.
Leale
con
gli
amici,
ma
spietato
con
i
nemici.
Per
onorare
Crisso
in
seguito
alla
sua
morte,
costrinse
300
prigionieri
romani
a
combattere
come
gladiatori
fino
all'ultimo
sangue.
Spartaco
fu
uno
dei
più
valenti
condottieri
della
Storia.
Dal
suo
popolo,
i
Traci,
apprese
l'arte
della
guerriglia,
una
tipologia
di
guerra
fatta
di
agguati,
escamotage
e
tattiche
mordi
e
fuggi.
Dai
romani,
sotto
i
quali
aveva
servito
come
ausiliario,
imparò
come
schierare
gli
uomini
in
campo
e
renderli
compatti
e
ordinati
dinanzi
al
nemico.
Non
gli
riuscì
l'intento
di
trasformare
un
miscuglio
di
schiavi,
gladiatori
e
disperati
in
una
legione
romana.
Le
varie
etnie
presenti,
gli
interessi
divergenti
tra
i
capi
e le
tante
teste
calde,
resero
l'armata
ingovernabile
nell'ultimo
anno
della
rivolta.
Consideriamo
le
imprese
di
Spartaco
alla
luce
del
suo
carisma
e
del
talento
militare
mostrato.
Riflettiamo
sul
fatto
che
le
ha
conseguite
con
uomini
e
mezzi
inappropriati
e di
fortuna.
Se
avesse
guidato
un
esercito
di
soldati
professionisti
cosa
avrebbe
potuto
combinare?
Il
paragone
tra
il
suo
genio
strategico
e
quello
di
Alessandro
Magno,
Annibale
e
Scipione
l'Africano
è
davvero
così
sfrontato?