N. 24 - Dicembre 2009
(LV)
La rivolta antiscolastica
La “Nouvelle Théologie” e la riforma della teologia
di Lawrence M.F. Sudbury
Può
la
teologia
ufficiale
della
Chiesa
Cattolica
essere
così
distante
dalla
società
da
provocare
uno
scollamento
tra
realtà
ecclesiale
e
realtà
effettuale?
Non
si
tratta
di
una
domanda
oziosa,
ma
di
uno
dei
grandi
quesiti
che,
in
particolare
dalla
fine
dell’‘800
e
fino
ai
giorni
nostri,
hanno
crucciato
gran
parte
dei
teologi
cattolici,
incluso
il
giovane
studioso
Joseph
Ratzinger,
poi
salito
al
Soglio
papale
con
il
nome
di
Benedetto
XVI.
Soprattutto,
si
tratta
della
domanda
che
ha
spinto
alcuni
tra
i
maggiori
pensatori
religiosi
del
XX
secolo
a
dar
vita,
tra
inizio
anni
’30
e
fine
anni
’40,
ad
una
corrente,
prima
osteggiata
e
poi
pienamente
assorbita
dal
Vaticano
(tanto
da
divenire
uno
dei
semi
da
cui
germoglierà
il
Concilio
Vaticano
II),
nota
come
“Nouvelle
Théologie”.
Qual
è la
situazione
della
teologia
contro
cui
il
pensiero
“neo-teologico”
si
sviluppa?
Sostanzialmente,
dall’inizio
del
XIX
secolo,
una
corrente
di
pensiero
risultava
non
solo
dominante
ma
addirittura
completamente
egemonica
in
ambito
cristiano:
quella
del
“neo-scolasticismo”.
Inaugurata
e
sviluppata
da
scrittori
come
Sanseverino,
Cornoldi,
Gonzalez,
Kleutgen
e
Dormet
de
Vorges
e
solennemente
approvata
e
incoraggiata
da
Pio
IX
in
varie
lettere,
la
“neo-scolastica”
mirava
a
ripristinare
le
dottrine
fondamentali
della
Scolastica
del
XIII
secolo,
sostenendo
le
verità
filosofiche
non
variavano
con
la
storia
e
che
se i
grandi
pensatori
medievali,
da
Tommaso
d'Aquino
a
Bonaventura
e
Duns
Scotus,
erano
riusciti
a
costruire
un
sistema
filosofico
sui
dati
forniti
dai
filosofi
Greci,
in
particolare
da
Aristotele,
doveva
essere
possibile,
ai
nostri
giorni,
poter
accogliere
le
verità
contenute
nella
speculazione
medievale.
Tali
verità
riguardavano
in
particolare
tre
ambiti:
-
Dio,
visto
come
atto
puro
e la
perfezione
assoluta,
diverso
da
ogni
cosa
finita
con
la
Sua
conoscenza
infinita
dell’esistente
e
del
possibile
e la
sua
intatta
capacità
generativa
e
conservativa
del
tutto
universale;
-
il
mondo
materiale,
formato
da
sostanze
fisse,
determinate
ed
immutabili
nel
tempo
e
accidenti
che
non
scalfiscono
minimamente
le
realtà
sostanziali,
in
un
quadro
in
cui
ogni
mutamento
e
ogni
forma
del
divenire
non
è
altro
che
un
passaggio
apparente
dall’ontologia
“in
potenza”
all’ontologia
“in
atto”,
tale
per
cui
tutto
ciò
che
è
effettivamente
nel
“qui
e
ora”
esisteva
potenzialmente
fin
dall'inizio;
-
l’essere
umano,
formato
da
materia
(il
corpo)
e
forma
(l’anima),
che
conosce
la
realtà
attraverso
i
sensi,
la
rielabora
attraverso
l’intelletto
attivo
portando
il
singolare
all’universale
(partendo
dal
singolo
oggetto
per
arrivare
al
concetto
di
quell’oggetto)
e,
tramite
la
conoscenza,
sviluppa
i
propri
appetiti
sensoriali
o
intellettuali,
nella
formazione
dei
quali
è
libero,
pur
essendo,
come
ogni
altro
essere,
moralmente
obbligato
al
tentativo
di
raggiungimento
di
un
fine
ultimo,
dato
dalla
conoscenza
di
Dio
Se
queste
erano
le
“basi
fondamentali”
da
cui
partire,
il
programma
neo-scolastico
prevedeva
l’adattamento
di
tali
concetti
medievali
alle
moderne
esigenze
intellettuali,
tramite
il
rifiuto
delle
nozioni
false
ed
inutili
(in
particolare
fisiche
e
astronomiche),
la
gerarchizzazione
dei
concetti
accettabili,
lo
studio
approfondito
e
non
vincolato
della
Scolastica
originale
per
trovarne
i
nessi
capaci
di
confutare
dialetticamente
kantismo,
positivismo
e
tendenze
speculative
moderne
e la
creazione
di
nessi
con
le
scoperte
scientifiche
più
recenti
Proprio
attraverso
il
confronto
dialettico
con
il
pensiero
moderno,
la
Neo-Scolastica
si
trovava
ad
affrontare
problemi
sconosciuti
al
mondo
medievale
a
cui
faceva
riferimento,
dagli
attacchi
alla
sua
metafisica
portati,
nel
tempo,
da
Hume,
Kant
e
Comte,
alle
accuse
di
Spencer
contro
le
prove
classiche
sull’esistenza
di
Dio,
dalla
insufficienza
degli
assunti
tradizionali
in
campo
fisico
e
cosmologico
alla
necessità
di
dimostrazione
logica
di
sussistenza
della
apparente
dualità
corpo-anima
contro
lo
spiritualismo
cartesiano
o il
materialismo
positivista
… E’
in
quest’ottica
che
la
Neo-Scolastica
stava
mutando
radicalmente
il
proprio
metodo
di
lavoro,
passando
dal
deduttivismo
tomista
all’induttivismo
sincretico,
ma
pur
sempre
in
un’ottica
difensivista
rispetto
al
“nuovo”,
rispetto
alla
centralità
del
“pensiero
progressivo”
che
pervadeva
la
sua
epoca,
in
questo
modo,
per
certi
versi,
ponendosi
sulla
stessa
linea
di
una
Chiesa
che
statuiva
come
centrale
la
difesa
della
Tradizione
contro
gli
attacchi
del
“Modernismo”
imperante.
Non
è,
allora,
un
caso
che
sia
stata
proprio
una
Enciclica
papale,
quella
Aeterni
Patris
di
Leone
XIII
del
4
agosto
1879,
a
dare
alla
Neo-scolastica
il
suo
carattere
definitivo
e ad
accelerarne
lo
sviluppo,
in
un’ottica
in
cui
si
chiede
la
fusione
di
“principi
universali
e
immutabili”
con
la
sintesi
delle
nuove
conoscenze
in
continuo
progresso.
Risulta
chiaro,
da
quanto
visto,
che
la
Neo-Scolastica
non
può
essere
definita
di
per
sé
una
filosofia
teologica
prettamente
“passatista”,
ma
bisogna
tenere
conto
del
contesto
in
cui,
a
partire
dal
primo
dopoguerra,
si
trova
ad
operare.
In
particolare,
gli
anni
tra
il
1930
e il
1950
segnano
un
momento
di
crisi
e di
cambiamento
che
interessa
ogni
aspetto
della
società
europea.
Durante
questo
tumultuoso
periodo
di
transizione,
era
naturale
che,
all’interno
della
Chiesa,
anche
sulla
scia
di
impostazioni
intellettuali
iniziate
nei
decenni
precedenti,
come
quelle
della
filosofia
di
Blondel
o
del
rinnovamento
teologico
nella
linea
di
Maréchal
o di
Maritain,
si
cercasse
di
rispondere
alla
sfida
presentata
dalla
recente
secolarizzazione
della
società
a
cui
la
Neo-Scolastica
sembrava
ben
poco
equipaggiata
per
far
fronte.
Comune
denominatore
di
quanti
sentono
questa
esigenza
pressante
è
quello
di
voler
“rinnovare
la
teologia”,
dopo
la
crisi
modernista,
cercando
di
superare
la
dialettica
storia-dogma
attraverso
un
dialogo
con
la
scienza,
in
continuità
con
la
teologia
classica,
ma
la
prima
reazione
ecclesiastica
nei
confronti
di
questi
tentativi
fu
piuttosto
negativa,
arrivando
a
considerarli
“semimodernisti”,
tendenti
al
relativismo
filosofico
e
dogmatico
ed
al
soggettivismo
in
nome
della
esperienza
religiosa,
tanto
che
persino
l’appellativo
“Nouvelle
Théologie”,
con
cui
di
norma
si
tende
a
definire
una
corrente
per
altro
ben
poco
unitaria,
nasce,
come
riportato
da
Gibellini
nel
suo
La
teologia
del
XX
secolo,
dall’espressione
dispregiativa
utilizzata
dal
commentatore
Pietro
Perente
sul
L’Osservatore
Romano,
in
occasione
della
inserzione
di
alcuni
libri
di
Chenu
e di
Charlier
nell’Indice
dei
libri
proibiti.
In
sostanza,
è
possibile
affermare
che,
cronologicamente,
la
controversia
sulla
Nouvelle
Théologie
si
svolse
in
due
fasi:
la
prima,
tra
1938
e
1946,
provocata
dalla
pubblicazione
dei
libri
dei
teologi
domenicani
Chenu
e
Charlier
e la
seconda,
tra
1946
e
1948,
dove
più
espressamente
si
parla
di
una
“Nouvelle
Théologie”,
che
ha
come
protagonisti
soprattutto
teologi
domenicani
(Labourdette
e
Garrigou-Lagrange)
e
gesuiti
(Daniélou,
de
Lubac,
Bouillard,
Fessard
e
Von
Balthasar).
Minimo
comun
denominatore
di
tutti
questi
teologi
sono
le
convinzioni
che:
1.
la
teologia
debba
parlare
alla
situazione
attuale
della
Chiesa;
2.
la
chiave
per
la
rilevanza
della
teologia
attuale
stia
nel
recupero
creativo
del
suo
passato,
con
un
“aggiornamento”
che
debba
partire,
innanzitutto
da
un “ressourcement”,
cioè
dalla
riscoperta
delle
ricchezze
teologiche
bimillenarie
della
Chiesa,
con
un
ritorno
alle
sorgenti
biblico-patristiche
della
tradizione
cristiana,
attualizzate
attraverso
un
processo
di
“aggiornamento”.
Insomma,
per
tutti
questi
pensatori
fare
teologia
significa
prima
di
tutto
fare
storia
con
un
approccio
distintivo
legato
all’idea
di
reinterrogare
la
fonti
della
Fede
con
nuove
domande
sulle
questioni
più
vive
del
XX
secolo
trascurate
dalla
Neo-Scolastica
che,
di
conseguenza,
con
il
suo
monolitismo
e la
sua
aura
di
“pensiero
dominante”,
diventa
non
tanto
un
nemico
da
distruggere,
quanto,
piuttosto,
un
ingombrante
ostacolo
da
superare.
Non
a
caso,
in
un
articolo
del
1946
considerato
da
alcuni
un
vero
e
proprio
manifesto
della
“nuova
teologia”,
Jean
Daniélou,
insegnante
gesuita
dell'Institut
Catholique
di
Parigi,
accuserà
la
Neo-Scolastica
di
essere
ormai
“estranea
alla
categorie
contemporanee”,
impantanata
com’è
nel
mondo
immobile
del
pensiero
greco:
in
un
mondo
esistenzialista,
essa
rimane
essenzialista
e
oggettivista,
dimentica
della
soggettività
umana,
indurita
in
categorie
incapaci
di
offrire
al
popolo
di
Dio
un
nutrimento
spirituale
e
dottrinale
adatto
alla
sua
vita
quotidiana.
Si
tratta,
insomma,
di
pura
speculazione
teoretica
separata
dall’azione
e
non
coinvolta
nella
vita
che
ha
ormai
fatto
il
suo
tempo.
Già
nel
1935
il
domenicano
Marie-Dominique
Chenu,
reggente
a Le
Saulchoir
dal
1932,
aveva
denunciato
la
frammentazione
della
teologia
e il
suo
distacco
non
solo
dalla
pastorale
ma
anche
dalla
spiritualità
e
dalla
storia
della
salvezza
in
nome
di
una
vuota
speculazione
fine
a se
stessa,
che,
come
già
avevano
notato
Charlier
e
Draguet,
finisce
per
togliere
alla
Divinità
ogni
senso
di
mistero
e di
trascendenza.
Proprio
l’importanza
data
alla
trascendenza
e al
mistero
insondabile
di
Dio
si
riveleranno
alcuni
dei
maggiori
tratti
distintivi
della
la
teologia
del
ressourcement.
Per
Daniélou,
de
Lubac,
e
altri,
l'ethos
esistenziale
della
metà
del
XX
secolo
contribuisce
a
innescare
una
riscoperta
della
dottrina
tradizionale
della
Chiesa
in
cui
Dio
è il
soggetto
Supremo,
la
Persona
per
eccellenza,
la
cui
auto-rivelazione
nella
Scrittura
è sì
comprensibile,
ma
mai
pienamente.
Ma
se
il
fine
ultimo
della
teologia
deve
essere
far
fronte
alle
sfide
contemporanee,
qual
è il
metodo
che
essa
deve
utilizzare?
Étienne
Gilson,
lo
riassume
in
poche
parole:
“se
un
progresso
teologico
è a
volte
necessario,
esso
non
è
mai
possibile
a
meno
che
non
si
torni
indietro,
agli
inizi,
per
ricominciare
la
ricerca”.
E’
qui
che
si
trova
il
grande
apparente
paradosso
della
Nouvelle
Théologie:
per
andare
avanti
nella
teologia,
bisogna,
prima
di
tutto,
ritornare
“ad
fontes”,
appunto
al “ressourcement”,
inteso
come
una
rivisitazione
approfondita
degli
eventi
e
delle
parole
della
Scrittura,
dei
Riti
della
Liturgia,
delle
Credenze
e
dei
Decreti
dei
Consigli,
dell'insegnamento
dei
Padri
e
dei
Dottori
non
tanto
per
una
comprensione
più
accurata
della
storia
delle
origini
cristiane,
ma
piuttosto,
nelle
parole
Congar,
per
“un
ricentramento
nella
persona
di
Cristo
e
nel
suo
mistero
pasquale”,
per
ottenere
una
comunione
spirituale
e
intellettuale
con
il
Cristianesimo
nei
suoi
momenti
più
vitali,
così
come
trasmessoci
nei
testi
classici,
in
una
comunione
che
deve
nutrire,
tonificare
e
ringiovanire
il
cattolicesimo
del
XX
secolo.
In
questo
processo
si
coglie
l’eredità
di
un
filone
aperto
con
la
creazione
di
École
Biblique
di
Gerusalemme
da
parte
M.J.
Lagrange,
OP
(1890),
con
il
suo
incentrarsi
sulla
critica
storica,
OP
(1890)
e
portato
avanti
dall’enciclica
di
Leone
XIII
Providentissimus
Deus
(1893),
con
il
suo
successivo
concentrarsi
sullo
spirito
delle
fonti
bibliche
e
liturgiche
e
con
una
focalizzazione
sul'identificazione
del
loro
significato
per
noi
oggi.
Da
qui
deriva
anche
l’interesse
per
la
patristica,
vista
come
elemento
interpretativo
di
attualizzazione
del
pensiero
scritturale
e
come
ulteriore
fonte
di
studio
per
il
raggiungimento
del
significato
ultimo
dei
racconti
evangelici,
e il
lavoro
assiduo
di
ripubblicazione
dei
Padri
della
Chiesa
svolto
tramite
“Sources
Chrétiennes”,
una
serie
di
volumi
ciascuno
contenente
un
testo
classico
patristico
accuratamente
tradotto
in
francese
e
contestualizzato
storicamente
per
mezzo
di
introduzioni
spesso
piuttosto
provocatorie.
L’idea
di
fondo
era,
come
affermò
Daniélou,
quella
di,
“permettere
ad
un
gran
numero
di
lettori
un
accesso
diretto
a
quelle
fonti
sempre
traboccanti
di
vita
spirituale
e di
dottrina
teologica
che
sono
i
Padri
della
Chiesa”.
Ma
questo
amore
per
la
patristica
non
significò
in
alcun
modo
l’abbandono
della
tomistica,
quanto
piuttosto
una
rilettura
di
San
Tommaso
che
prescindesse
dalle
rigide
categorizzazioni
e
dai
formalismi
della
irreggimentazione
scolastica
del
pensiero
dell’Aquinate.
In
una
tale
rilettura
si
distinse
soprattutto
uno
dei
maggiori
esponenti
della
Nouvelle
Théologie,
nonché
co-fondatore
di
“Sources
Chrétiennes”
(con
il
menzionato
confratello
gesuita
Daniélou):
Henri
de
Lubac,
Professore
di
Teologia
Fondamentale
presso
l'Università
Cattolica
di
Lione
dal
1929
al
1961.
De
Lubac
provò
inequivocabilmente,
in
particolare
nei
suoi
testi
Corpus
Mysticum:
L'Eucharistie
et
l’Église
au
Moyen
âge
del
1944
e
Surnaturel,
del
1946
che
San
Tommaso
non
aveva
introdotto
un
nuovo
metodo
teologico
così
radicalmente
diversa
da
quella
dei
Padri,
ma
che
la
nuova
metodologia
è
stata
introdotta
in
seguito
dai
commentatori,
in
particolare
da
Giovanni
di
San
Tommaso,
che
può
essere
considerato
come
il
vero
padre
della
moderna
teologia
scolastica,
poi
ricalibrata
con
pesanti
dosi
di
“Suarezianismo”
e
“Bañezianismo”
all’inizio
del
XX
secolo
per
formare
la
Neo-Scolastica.
Si è
detto
che
l’impatto
delle
critiche
“neo-teologiche”
non
fu
indolore:
proprio
per
aver
criticato
e
refutato
apertamente
Francisco
Suárez,
uno
delle
“autorità”
preferite
dei
neo-tomisti
vaticani,
dimostrando
che
egli
aveva
commentato
alcune
opere
di
Tommaso
d'Aquino
note
per
essere
spurie,
de
Lubac,
nel
1950
ricevette
dai
suoi
Superiori
gesuiti
la
proibizione
di
insegnare
e
pubblicare,
proibizione
che
gli
fu
tolta
solo
nel
1959.
Una
situazione
per
alcuni
versi
simile,
sebbene
per
ragioni
diverse,
venne
vissuta
anche
dall’altra
grande
figura
della
corrente:
il
teologo
svizzero
Urs
Von
Balthasar.
Entrato
nella
Compagnia
di
Gesù
nel
1928
e
nel
1936,
Von
Balthasar,
infatti,
nel
1950
lasciò
l'Ordine,
avendo
l’idea
che
Dio
lo
chiamasse
a
fondare
un
Istituto
secolare,
una
forma
laica
di
vita
consacrata,
che
cercasse
di
lavorare
per
la
santificazione
del
mondo
laicizzato
dall’interno,
ma,
lasciando
la
Società
egli
si
trovò
senza
una
posizione,
un
pastorato,
un
posto
per
vivere
e
soprattutto,
senza
alcun
reddito
dal
momento
che
la
Congregazione
Cattolica
dei
Seminari
e
delle
Università,
non
approvando
la
sua
scelta
di
apostolato
laico,
gli
vietò
di
insegnare
in
qualsiasi
forma
(e
solo
le
simpatie
del
Vescovo
di
Coira
gli
permisero
di
sopravvivere
sottoponendosi
a
calendari
durissimi
di
conferenze
itineranti).
Nonostante
ciò,
Von
Balthasar
riuscì
a
creare
uno
dei
monumenti
teologici
del
XX
secolo:
i 16
volume
della
sua
Trilogia
Sistematica
(i
sette
volumi
sulla
“estetica
teologica”
basata
sulla
contemplazione
del
bene,
del
bello
e
del
vero,
i
cinque
volumi
sulla
“teo-drammatica”
in
cui
analizza
l'azione
di
Dio
e la
risposta
umana
in
chiave
soteriologica,
cristologica
ed
escatologica,
e i
quattro
volumi
di
“teo-logica”
relativi
al
rapporto
tra
cristologia
e
ontologia).
In
realtà,
l’enorme
lavoro
del
genio
di
Lucerna
può
essere
solo
parzialmente
racchiuso
entro
i
termini
della
Nouvelle Théologie, nel cui ambito la figura di von
Balthasar
si
presenta
per
molti
versi
anomala,
vuoi
per
i
suoi
precedenti
studi
letterari,
in
cui
si
era
potuta
esprimere
quella
sensibilità
per
la
bellezza
che
ne
caraterizzerà
stabilmente
il
pensiero,
vuoi
per
la
sua
formazione
intellettuale
avvenuta
in
contesto
filosofico
germanico.
Di
fatto,
però,
l’impostazione
metodologica
che
domina
il
suo
lavoro
è
chiaramente
“neo-teologica”:
notoriamente
una
delle
tesi
più
geniali
di
von
Balthasar
è
consistita
nel
ribaltare
la
tradizionale
impostazione
della
successione
“vero
-
bene
–
bello”,
sostenendo
che
l’antecedenza
non
spetta
certo
all'azione
(il
“bene”),
ma
neppure
alla
contemplazione
puramente
razionale
(un
“vero”
meramente
logico),
quanto
alla
contemplazione
del
bello,
cioè
del
Vero
totale
emergente
in
un
concreto
ed è
innegabile
che
tale
concezione
trovi
strette
affinità
nella
critica
della
Nouvelle
Théologie
all'inaridimento
di
una
teologia
affidata
pressoché
interamente
al
lavorio
della
ragione
concettuale-discorsiva.
Ma
non
fu
un
caso
che
Von
Balthasar
fosse
tra
gli
autori
coinvolti
nell'attacco
sferrato
nel
1946
dal
Labourdette,
neotomista
di
stretta
osservanza,
con
cui
iniziarono
le
ostilità
tra
neo-scolastici
e
neo-teologi
e
che,
almeno
nell’avversione
all'astrattezza
razionalistica,
il
giovane
teologo
svizzero
si
immedesimasse
nella
impostazione
della
Nouvelle
Théologie
anche
nelle
sue
motivazioni
specifiche.
Non
poteva
del
resto
essere
altrimenti,
dato
che
era
proprio
nell'ambito
della
medesima
Nouvelle
Théologie
che
si
era
iniziato
a
delineare
sistematicamente
la
configurazione
di
una
teologia
esistenzialmente
impegnata,
rivolta
alla
concretezza
dell'uomo,
mentre
oltre
il
Reno
gli
spunti
in
tal
senso
erano
soprattutto
esercitati
a
livello
di
filosofia.
Sia
la
riscoperta
del
pensiero
patristico,
sia
la
capacità
“cattolica”
di
leggere
la
presenza
del
medesimo
Centro
nell'ambito
il
più
vasto
possibile
delle
molteplici
espressioni
culturali
umane
vedono
assimilato
Von
Balthasar
alla
Scuola
di
Lione.
Per
quanto
concerne
i
Padri,
è lo
stesso
teologo
svizzero
a
riconoscere
esplicitamente
che
fu
de
Lubac
a
introdurlo
in
tale
mondo
teologico
in
cui
dimostrerà
una
attitudine
sorprendente
ad
attualizzare
e
quasi
far
rivivere,
in
modo
non
servile
o
ripetitivo
ma
creativo,
lo
sguardo
teologico
dei
Padri
della
Chiesa.
Più
arduo
è
cercare
una
derivazione
della
cristologia
balthasariana
dalla
Nouvelle
Théologie,
ma,
anche
qui,
esiste
almeno
un
elemento
comune,
rintracciabile
nella
rivalutazione
della
componente
deificatrice,
accanto
a
quella
espiativa,
nella
missione
del
Verbo
incarnato,
sicuramente
delineata
con
maggior
compiutezza
da
von
Balthasar
che
da
de
Lubac,
che
assimila
e
sviluppa
le
implicazioni
di
questa
dimensione,
di
cui
erano
nutriti
i
Padri
greci,
e
che
la
Scolastica
dei
secoli
moderni
ha
trascurato.
Enormi
sono,
infine,
le
affinità
delle
visioni
ecclesiologiche:
comune
è il
superamento
di
una
concezione
tendenzialmente
naturalistica
della
Chiesa,
come
apparato
giuridico-organizzativo,
connessa
alla
teologia
nazionalistica
moderna
e
comune
è la
riproposizione
di
una
immagine
di
una
Chiesa
vivente,
organismo
soprannaturale
in
cui
l'umano
inizia
ad
essere
trasfigurato
per
la
presenza
del
Cristo
e
dello
Spirito.
Oggi,
tutti
questi
ci
appaiono
elementi
a
dir
poco
assodati,
ma
non
era
così
negli
anni
’40-’50.
La
Nouvelle
Théologie,
come
visto,
venne
ampiamente
criticata
non
solo
dai
più
strenui
assertori
della
neo-scolastica,
ma
anche
e
soprattutto
all’interno
delle
cerchie
conservatrici
vaticane,
che
vedevano
nel
nuovo
approccio
una
possibile
rinascita
del
modernismo.
Probabilmente
l’attacco
più
duro,
soprattutto
perché
da
fonte
più
autorevole,
venne
da
Papa
Pio
XII
con
la
sua
enciclica
Humani
Generis.
Nel
descrivere
lo
sviluppo
di
errate
dottrine
nella
Chiesa
cattolica
dopo
la
II
Guerra
Mondiale,
l'enciclica
non
menziona
mai
nomi
specifici,
né
accusa
persone
o
organizzazioni
determinate,
ma
l’obiettivo
dell’attacco
risulta
molto
chiaro.
La
Nouvelle
Theologie
in
Francia
e in
altri
Paesi
veniva
sempre
più
percepita
come
la
dottrina
cattolica
relativista
che,
partita
dal
Tomismo
tradizionale,
si
era
andata
associando
alle
tendenze
più
radicali
dell’
analisi
storica
ed
aveva
finito
per
mescolare
alla
teologia
nuovi
assiomi
filosofici
provenienti
dall’esistenzialismo
o
dal
positivismo.
Addirittura,
alcuni
suoi
autori
ritenevano
che
i
misteri
della
fede
non
potessero
essere
espressi
con
concetti
adeguatamente
veri,
ma
solo
con
concetti
approssimativi
e
sempre
mutevoli.
Pio
XII,
che
pure
mostrava,
pur
nel
suo
estremo
conservatorismo
dogmatico,
una
certa
simpatia
per
la
necessità
di
aggiornare
e
modernizzare
la
dottrina
ecclesiastica,
non
poteva
assolutamente
permettere
che
alcuna
ombra
di
relativismo
filosofico
modernista
potesse
anche
solo
sfiorare
la
Dottrina
teologica
e
finisce
per
scrivere,
al
capitolo
III
dell’Encliclica,
una
delle
pagine
più
forti
a
favore
del
neotomismo,
che
per
essere
pienamente
compresa
deve
essere
riportata
quasi
integralmente:
“Qualsiasi
verità
la
mente
umana
con
sincera
ricerca
ha
potuto
scoprire,
non
può
essere
in
contrasto
con
la
verità
già
acquisita;
perché
Dio,
Somma
Verità,
ha
creato
e
regge
l'intelletto
umano
non
affinché
alle
verità
rettamente
acquisite
ogni
giorno
esso
ne
contrapponga
altre
nuove;
ma
affinché,,
rimossi
gli
errori
che
eventualmente
vi
si
fossero
insinuati,
aggiunga
verità
a
verità
nel
medesimo
ordine
e
con
la
medesima
organicità
con
cui
vediamo
costituita
la
natura
stessa
delle
cose
da
cui
la
verità
si
attinge.
Per
tale
ragione
il
cristiano,
sia
egli
filosofo
o
teologo,
non
abbraccia
con
precipitazione
e
leggerezza
tutte
le
novità
che
ogni
giorno
vengono
escogitate,
ma
le
deve
esaminare
con
la
massima
diligenza
e le
deve
porre
su
una
giusta
bilancia
per
non
perdere
la
verità
già
conquistata
o
corromperla,
certamente
con
pericolo
e
danno
della
fede
stessa.
Se
si
considera
bene
quanto
sopra
è
stato
esposto,
facilmente
apparirà
chiaro
il
motivo
per
cui
la
Chiesa
esige
che
i
futuri
sacerdoti
siano
istruiti
nelle
scienze
filosofiche
"secondo
il
metodo,
la
dottrina
e i
principi
del
Dottor
Angelico"
(Corp.
Jur.
Can.,
can.
1366,
2),
giacché,
come
ben
sappiamo
dall'esperienza
di
parecchi
secoli,
il
metodo
dell'Aquinate
si
distingue
per
singolare
superiorità
tanto
nell'ammaestrare
gli
animi
che
nella
ricerca
della
verità;
la
sua
dottrina
poi
è in
armonia
con
la
Rivelazione
divina
ed è
molto
efficace
per
mettere
al
sicuro
i
fondamenti
della
fede
come
pure
per
cogliere
con
utilità
e
sicurezza
i
frutti
di
un
sano
progresso
(A.
A.
S.
vol.
XXXVIII,
1946,
p.
387).Perciò
è
quanto
mai
da
deplorarsi
che
oggi
la
filosofia
confermata
ed
ammessa
dalla
Chiesa
sia
oggetto
di
disprezzo
da
parte
di
certuni,
talché
essi
con
imprudenza
la
dichiarano
antiquata
per
la
forma
e
razionalistica
per
il
processo
di
pensiero.
Vanno
dicendo
che
questa
nostra
filosofia
difende
erroneamente
l'opinione
che
si
possa
dare
una
metafisica
vera
in
modo
assoluto;
mentre
al
contrario
essi
sostengono
che
le
verità,
specialmente
quelle
trascendenti,
non
possono
venire
espresse
più
convenientemente
che
per
mezzo
di
dottrine
disparate
che
si
completano
tra
loro,
benché
siano
in
certo
modo
l'una
all'altra
opposte.
Perciò
la
filosofia
scolastica
con
la
sua
lucida
esposizione
e
soluzione
delle
questioni,
con
la
sua
accurata
determinazione
dei
concetti
e le
sue
chiare
distinzioni,
può
essere
utile
-
essi
concedono
-
come
preparazione
allo
studio
della
teologia
scolastica,
molto
bene
adattata
alla
mentalità
degli
uomini
medievali;
ma
non
può
darci
-
aggiungono
- un
metodo
ed
un
indirizzo
filosofico
che
risponda
alle
necessità
della
nostra
cultura
moderna.
Oppongono,
inoltre,
che
la
filosofia
perenne
non
è
che
la
filosofia
delle
essenze
immutabili,
mentre
la
mentalità
moderna
deve
interessarsi
della
"esistenza"
dei
singoli
individui
e
della
vita
sempre
in
divenire.
Però,
mentre
disprezzano
questa
filosofia,
esaltano
le
altre,
sia
antiche
che
recenti,
sia
di
popoli
orientali
che
di
quelli
occidentali,
in
modo
che
sembrano
voler
insinuare
che
tutte
le
filosofie
o
opinioni,
con
l'aggiunta
- se
necessario
- di
qualche
correzione
o di
qualche
complemento,
si
possono
conciliare
con
il
dogma
cattolico.
Ma
nessun
cattolico
può
mettere
in
dubbio
quanto
tutto
ciò
sia
falso,
specialmente
quando
si
tratti
di
sistemi
come
l'immanentismo,
l'idealismo,
il
materialismo,
sia
storico
che
dialettico,
o
anche
come
l'esistenzialismo,
quando
esso
professa
l'ateismo
o
quando
nega
il
valore
del
ragionamento
nel
campo
della
metafisica.”
Insomma,
Papa
Pio
XII
si
appella
ai
"ribelli"
ordinando
non
di
abbattere,
ma
di
costruire.
Egli
chiede
di
non
trascurare,
rifiutare
o
svalutare
tante
e
così
grandi
risorse
come
quelle
della
Scolastica,
concepite,
espresse
e
perfezionate
nel
corso
dei
secoli
per
appellarsi
a
ideologie
che
egli
ritiene
solo
contingenti.
Naturalmente,
questo
fu
un
colpo
durissimo
per
la
Nouvelle
Theologie,
sia
sul
piano
ideologico
che
su
quello
prettamente
disciplinare
(si
è
citato
il
caso
di
de
Lubac,
ma
la
stessa
sorte,
con
il
divieto
all’insegnamento,
toccò
a
Congar
e a
Chenu,
il
cui
testo
Le
Saulchoir:
Une
École
de
la
Théologie
venne
messo
nell’“Index
Librorum
Prohibitorum”
già
dal
1942,
by
Pope
Pius
XII)
ma
l’effetto
durò
relativamente
poco,
visto
che
con
l’elezione
pontificale
di
Giovanni
XXIII
tutto
il
gruppo
dei
neo-teologi
venne
non
solo
riabilitato,
ma
divenne
uno
dei
maggiori
nuclei
propulsivi
del
Concilio
Vaticano
II:
de
Lubac
fu
prima
consulente
della
Commissione
Teologica
preparatoria
e
poi,
sotto
Paolo
VI,
“peritus”
conciliare
e
Daniélou
fu
esperto
conciliare
sotto
Giovanni
XXII,
mentre
praticamente
tutti
gli
altri
furono
nominati
Cardinali
(incluso
Von
Balthasar,
rarissimo
caso
di
Cardinale
laico)
e,
addirittura,
uno
dei
più
giovani
esponenti
tedeschi
della
scuola
dei
“Nouveaux”,
Joseph
Ratzinger,
oggi
regna
come
Sommo
Pontefice.
Ciò
non
significa,
però,
che
le
loro
strade
siano
rimaste
a
lungo
unite:
subito
dopo
il
Concilio,
infatti,
il
movimento
si
divise
in
due
campi
legati
alle
sue
ali
destra
e
sinistra
e
divisi
sull’interpretazione
e
l'attuazione
del
Concilio
stesso,
con
Rahner,
Congar
e
Chenu
che,
con
Schillebeeckx
e
Küng,
fondarono
la
rivista
teologica
progressista
“Concilium”
nel
1965,
e de
Lubac,
Balthasar,
Ratzinger
che
furono
fondatori
della
rivista
teologica
moderata
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nel
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