.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

contemporanea


N. 77 - Maggio 2014 (CVIII)

IL RITORNO A UNA NUOVA VECCHIA STORIOGRAFIA

CHE FINE HANNO FATTO LE ENCICLOPEDIE?
di Enrico Cipriani

 

Gli studi storici, così come quelli di altre discipline che richiedano la ricostruzione di una panoramica diacronica, hanno subito negli ultimi decenni, a partire dal secondo dopo guerra, un cambiamento nell’approccio ai fenomeni da esaminare.

 

Le correnti di pensiero storiografiche si sono alternate, partendo dalla visione positivista di Auguste Comte (Montpellier, 19 Gennaio 1798 – Parigi, 5 Settembre 1857) che basava la ricostruzione storica su documenti ufficiali, creando quindi una storia politica e militare, fino ad arrivare a Marc Bloch (Lione, 6 Luglio 1886 – Lione, 16 Giugno 1944) e a tutti gli esponenti dell’Ecole des Annales di Parigi (Lucien Febvre, Henri Pirenne e quelli dell’attuale generazione Jacques Le Goff, Michel Nora e Michel Vovelle), allontanandosi così sempre più da una concezione storiografica univoca, fatta di date e numeri, di documenti diplomatici, che fu definitivamente bollata come Histoire Evenementielle da Bloch, per giungere invece a un’investigazione dei fenomeni fondata sulla consapevolezza del principio omologico culturale, comprendendo l’interrelazione che sempre si crea fra i singoli fattori di un’epoca, fra le varie branchie del sapere, spingendo gli studiosi a una collaborazione, nella loro ricostruzione, con esponenti di altri campi, quali l’antropologia, la sociologia e l’economia.

 

Questo mutamento passa attraverso la consapevolezza dell’impossibilità di spiegare i fatti attraverso un’unica chiave di lettura (come invece avveniva per la scuola positivista che si fondava sulla politica e le guerre o per la scuola marxista che vedeva la sola e unica spiegazione nell’economia) cercando quindi di mostrare il singolo fatto da più punti di vista con una panoramica di maggiore respiro.

 

A fianco a questo cambiamento, c’è stata un’innovazione anche nei temi trattati, su cui gli studiosi si sono soffermati: non più soltanto la storia militare e diplomatica ma anche la nouvelle histoire e l’analisi della storia locale e delle fasce più umili della società.

 

Questo è avvenuto nell’arco di cinquant’anni e senza dubbio il superamento dell’idea positivista di scienza manifesta una maggiore e migliore consapevolezza degli studiosi, non più attaccati a un’ingenua e riduttiva visione onnicomprensiva della storia ma consci della maggiore portata dei singoli fenomeni.

 

Il lavoro dello storico quindi passa non solo attraverso la registrazione di documenti ufficiali ma anche attraverso il recupero di testimonianze secondarie che devono essere interpretate correttamente. Lo storico può infatti far parlare il singolo documento in prima persona o in terza, tentando di limare quelle sfumature soggettive di cui una testimonianza diretta è sempre permeata per il fatto che lo scrivente, o anche il parlante, è coinvolto emotivamente in quanto ha vissuto e quindi non può essere oggettivo.

 

Questa operazione è tuttavia molto difficile per lo storico che quindi deve indagare la veridicità di quanto raccontato, non avendo, ovviamente, il contatto diretto con essa, come un generale che osserva la battaglia da una collina e riceve il rapporto di un soldato direttamente coinvolto invece, secondo la celeberrima immagine di Bloch (crf. Apologia della Storia o il mestiere di storico, Marc Bloch).

 

Lo storico deve infatti svolgere una doppia interpretazione. Colui che narra interpreta quanto avviene ma lo storico deve esaminare quanto interpretato dal primo testimone. Una volta che si trova in contatto con più testimonianze, lo storico ha due possibilità: scegliere quella più veritiera oppure fonderle insieme per ricostruirne una. E, anche se fosse pensabile che un lavoro interpretativo perfetto giunga a una ricostruire reale di quanto avvenuto, bisogna ricordare che la ricostruzione dei fatti passa sempre attraverso il “gusto dell’epoca” in cui si vive.

 

In questo senso infatti la Storia è una continua reinterpretazione di fatti, un continuo tentativo di spiegazione dei fatti. Ma tentare di comprendere il perché di un avvenimento è del tutto ingenuo. Cogliere l’essenza di un fenomeno è impossibile perché, se lo si tentasse, si ricadrebbe nell’errore del Positivismo e del Marxismo.

 

Se proprio si vuole tentare un esame “scientifico” della storia bisognerebbe evidenziare cause ed effetti visto che una qualsiasi teoria interpretativa, non essendo dimostrabile attraverso un esperimento, ovviamente, come invece avviene con il metodo scientifico, può risultare corretta.

 

Se si parte da una chiave interpretativa già stabilita, come fecero la Scuola Positivista e Neopositivista e quella Marxista, si usa un metodo induttivo mentre se si vuole presentare la Storia come scienza e si usa il metodo deduttivo, tale metodo è inapplicabile nel senso che manca l’elemento più importante, la dimostrazione (una qualsiasi interpretazione infatti potrebbe essere giusta nel senso che lo storico può trovare molte conferme alla sua teoria nei fatti con il problema però che i fatti sono ricostruiti e non corrispondenti sicuramente a verità).

 

Tuttavia spiegare la storia come un insieme di cause ed effetti è altrettanto difficile, se non impossibile: per dimostrare che un avvenimento è l’effetto di un altro bisognerebbe avere una conferma che sia così ma siccome anche qui è impossibile dare una dimostrazione di quanto si sostiene, anche un metodo simile cadrebbe nella semplice speculazione, proponendo un’interpretazione non confermabile.

 

Per poter ottenere una storiografia sicura bisogna rifarsi a un’indagine quantitativa e non qualitativa. Una spiegazione quantitativa passa attraverso date e numeri e di fatto attraverso i documenti ufficiali che hanno una oggettività sicuramente molto maggiore, sebbene ovviamente risultano essere patriottici, rispetto a una testimonianza di altra fonte.

 

Vogliamo inoltre fare una precisazione per quanto riguarda questa ipotesi: se supponiamo di ricostruire la storia attraverso l’uso di dati quantitativi presenti in documenti ufficiali dobbiamo tenere conto del fatto che anche da tali documenti bisogna estrapolare questo tipo di dati.

 

Vorremmo proporre un esempio chiarificatore. Se dobbiamo descrivere la battaglia di Waterloo possiamo dire che il giorno 18 Giugno 1815 si scontrarono a circa 40 km dalla cittadina olandese di Waterloo le truppe di Napoleone e quelle degli stati aderenti alla Settima Coalizione e si risolse con la sconfitta dell’Imperatore Francese e la morte di 48000 soldati dopo un combattimento di circa 8 ore, tenendo conto del fatto che i numeri sono approssimativi e che potrebbero esserci più fonti e quindi che si debbano scegliere i documenti ufficiali.

 

Questa è una descrizione quantitativa che deve restare tale. Se infatti dopo aver riportato questo affermiamo che la sconfitta di Napoleone fu causata dall’impossibilità di eseguire il suo piano, che era quello di bombardare con l’artiglieria le truppe nemiche al mattino, a causa della pioggia e dalla sua eccessiva fiducia nella vittoria allora diamo senza dubbio un’interpretazione che deve essere dimostrata e che non può essere dimostrata in toto.

 

Certamente, si può fare affidamento a documenti e note ufficiali di Napoleone e dei suoi collaboratori, ma è anche vero non si può proporre una di queste interpretazioni come la sola. Se affermiamo che l’Imperatore ebbe forse delle difficoltà per la mancanza di due preziosi collaboratori come il Maresciallo Berthier e il Maresciallo Davout dobbiamo ricordare che questa è un’ipotesi.

 

Lo storico, in una situazione simile, dovrebbe quindi evitare di proporre interpretazioni, evitare cioè di tentare di stabilire sia il “perché” del fenomeno sia il “come” (causa ed effetto quindi), e nel caso in cui vi fossero documenti ufficiali che riportano lo scontento di Napoleone per la mancanza di questi due collaboratori, dovrebbe riportare semplicemente la nota, le sue stesse parole, con opportuna e attenta traduzione, senza voler interpretare il testo.

 

L’interpretazione non è propria dello storico per il fatto che non esiste un filo logico unico che lega gli avvenimenti nel tempo e quindi una maggiore conoscenza nozionistica, che è invece propria dello storico e lo caratterizza, non lo deve spingere a interpretare, visto che ogni interpretazione ha la stessa valenza. Affidarsi totalmente alle interpretazioni potrebbe spingere alcuni a sostenere la vittoria di Napoleone della battaglia di Waterloo il che, effettivamente, è un punto di vista come un altro.

 

La conoscenza dello storico si basa quindi sulla quantità e non sulla qualità, sul “quanto” e non sul “perché”. E quindi la qualità della preparazione storica risiede nella quantità e precisione di nozioni.

 

Questo continuo fiorire di opinioni, di giudizi personali basati su diverse interpretazioni sta spingendo infatti gli studi storici verso un infinito numero di direzioni che portano a uno sgretolamento di qualsiasi tipo di identità nazionale e di conoscenza della propria storia.

 

La conseguenza è che per rendere la storia omogenea e uniforme bisogna depurarla dalle interpretazioni che la rendono eccessivamente instabile.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.