N. 52 - Aprile 2012
(LXXXIII)
I riti della Settimana Santa
canti e manifestazioni di devozione popolare
di Monica Sanfilippo
I
riti
della
Settimana
santa
sono
celebrati
in
tutta
Italia
con
profonda
partecipazione
per
la
comunità
dei
fedeli,
dalla
domenica
delle
palme
all’ultima
cena,
dal
Venerdì
di
passione
al
giubilo
della
Resurrezione
di
Pasqua.
Accanto
alla
liturgia
ufficiale
si
affiancano
manifestazioni
di
pietà
popolare
veicolate
da
canti,
poemi
e
raffigurazioni
sceniche
della
Passione
di
Gesù,
nonché
comportamenti
devozionali
estremi
come
la
flagellazione
e la
mortificazione
della
carne.
In
queste
circostanze
il
valore
simbolico
della
devozione
a
carattere
popolare
evidenzia
una
più
profonda
stratificazione
storico-sociale.
La
Chiesa,
d’altro
canto,
tollera
queste
manifestazioni
nei
limiti
di
una
paraliturgia
che
rinnova
il
sentimento
religioso
e
l’appartenenza
dei
partecipanti
alla
comunità
dei
cristiani.
Numerose
sono
le
manifestazioni
devozionali
cui
è
possibile
assistere
in
ogni
borgo
della
nostra
penisola
durante
la
Settimana
santa.
In
molti
casi
la
gestione
della
ritualità
è
affidata
alle
Confraternite,
organismi
associativi
di
nuova
fondazione
e
non,
se
non
direttamente
connessi
con
la
nascita
del
fenomeno
fin
dalle
sue
origini,
a
partire
cioè
dal
Basso
Medioevo.
Una
seconda
ondata
di
diffusione
del
fenomeno
confraternale
si
registra
all’indomani
del
Concilio
di
Trento,
quando
per
arginare
la
diffusione
della
dottrina
protestante,
quasi
ogni
parrocchia
fonda
la
sua
Confraternita.
Fin
dal
loro
nascere,
le
Confraternite
si
configurano
come
associazioni
composte
da
laici,
anche
se
con
un
forte
carattere
istituzionale
religioso
diretto
soprattutto
al
controllo
delle
dottrine
estranee
alla
Chiesa
di
Roma.
L’azione
fu
avviata
grazie
all’azione
pastorale
di
Ordini
Mendicanti,
come
i
Francescani
e i
Domenicani,
per
assumere
presto,
sotto
l’influenza
di
ondate
di
pensiero
mistico-penitenziale,
aspetti
di
drammatizzazione
del
dolore
cristiano.
Le
prime
processioni
penitenziali
sembrano
essere
iniziate
nel
1260
a
Perugia
ad
opera
dei
Flagellanti
e
dei
Disciplinati,
di
cui
alcune
pratiche
odierne
ne
richiamano
l’origine,
basti
citare
i
Vattienti
di
Nocera
Terinese
(CZ),
i
Battenti
di
Guardia
Sanframondi
(BN)
o
quelli
di
Verbicaro
(CS).
In
queste
cerimonie
è
assicurato
lo
“spargimento
di
sangue”
che
un
devoto
scelto
attua
per
penitenza,
ma
anche
come
identificazione
con
la
passione
del
Cristo,
in
vista
della
purificazione
attraverso
il
dolore,
e la
rinascita
ad
uomo
nuovo.
La
collettività
segue
il
percorso
penitenziale
partecipando
altresì
all’iter
di
dolore/salvezza.
Nel
caso
del
rito
dei
Vattienti
di
Nocera
Terinese,
per
esempio,
la
processione
del
Sabato
santo,
che
si
snoda
per
le
vie
del
paese,
è il
culmine
della
vita
di
passione
dell’intera
settimana:
in
testa
procede
la
suggestiva
statua
dell’Addolorata
con
il
Cristo
morto
ai
suoi
piedi,
dietro
i
fedeli,
gruppi
di
donne
che
accompagnano
il
corteo
con
i
loro
canti
di
dolore
e i
vattienti,
il
cui
numero
non
è
determinato
poiché
dipende
dalla
decisione
del
singolo,
di
manifestare
o
meno
in
pubblico
l’adempimento
del
voto,
anche
per
evitare
forme
di
spettacolarizzazione
cui
le
feste
popolari
sono
andate
incontro
di
recente.
Ogni
vattiente,
vestito
di
nero,
con
una
corona
di
spine
di
arbusti
in
testa
protetta
da
un
mannile
(fazzoletto
nero),
è
legato
da
una
cordicella
ad
un
compagno,
l’acciomu
(ecce
homo),
e si
aggira,
sostando
in
luoghi
sacri
o
presso
casa
di
amici
porgendo
la
sua
gestualità
rituale,
ossia
battendosi
cosce
e
polpacci
con
un
cardo
acuminato.
C’è
chi,
tra
gli
studiosi
di
storia
delle
religioni,
ha
avanzato
origini
precristiane
e
pagane
della
pratica
dei
vattienti,
nello
specifico
associando
questo
rito
alle
liturgie
dedicate
al
culto
del
dio
Attis,
importate
a
Roma
dalla
Frigia
e
celebrate
il
24
marzo
con
il
nome
di
“giorno
di
sangue”.
Del
resto
non
è
inusuale
rinvenire
nelle
forme
festive
di
origine
popolare
un’ideologia
pagana
che
si è
sincreticamente
fusa
nei
secoli
con
l’ideologia
religiosa
dominante.
In
molte
altre
circostanze,
invece,
è
possibile
riscontrare
comportamenti
di
ritualità
che
richiamano
la
penitenza
senza
per
questo
ferirsi
volutamente:
è il
caso
dei
riti
delle
Confraternite
cilentane
(SA)
che
osservano
la
Disciplina.
“Con
discipline
e
pianto,
penitenza
fo’
“,
recita
un
canto
per
sottolineare
il
gesto
simbolico
di
percuotersi
le
spalle
in
ginocchio,
di
fronte
al
sepolcro,
con
delle
lamelle
di
metallo,
evidente
ricordo
della
pratica
di
flagellazione.
Da
una
cronaca
napoletana
del
1505
possiamo
leggere:
“il
Giovedì
santo
si
battevano
con
certe
fruste
di
cordelle
ov’erano
certe
rosette
d’argento
fatte
a
modo
di
speroni,
co’
i
quali
si
cavavano
dagli
omeri
moltissimo
sangue
in
memoria
della
Passione
di
Cristo
e
portavano
con
essi
gran
numero
di
torce
accese
e
camminavano
gran
parte
di
quella
notte
visitando
con
grandissima
devozione
i
Sepolcri
delle
chiese”.
Altri
canti
tipici
sono
il
Miserere,
lo
Stabat
Mater,
il
Pianto
di
Maria,
generalmente
su
testi
latini.
Nel
Cilento,
inoltre,
la
devozione
del
Venerdì
santo
è
particolarmente
suggestiva,
poiché
alle
prime
luci
del
giorno,
ogni
comunità
del
luogo,
posta
sulle
pendici
del
Monte
Stella,
e
rappresentata
da
una
propria
Confraternita,
esce
in
processione,
compiendo
visita
ai
sepolcri
delle
chiese
vicine,
in
uno
scambio
reciproco
e
simultaneo
di
dono
e
devozione
per
tutto
l’arco
della
giornata.
Questa
peregrinatio,
pressoché
unica
in
Italia,
è
una
sorta
di
circuito
devozionale
che
segna
antichi
confini,
e
che
dal
territorio
aperto
si
dirige
al
chiuso
dei
sepolcri
in
un
pullulare
di
riti,
canti,
colori
di
tuniche
diverse
a
seconda
dell’appartenenza
alla
Confraternita.
Le
visite
sono
organizzate
secondo
multipli
di
tre,
come
i
giri
che
i
confratelli
percorrono
in
chiesa,
cantando,
attorno
al
perimetro
della
navata
principale.
Si
parte
dal
proprio
paese,
e si
ritorna
allo
stesso,
dopo
aver
“varcate
le
soglie”
e
onorato
il
sepolcro,
l’altarino
provvisorio,
in
cui
è
deposto
il
Cristo
sacramentato,
e
che
ogni
comunità
addobba
con
i
caratteristici
“grani”,
che
Frazer
identifica
come
i
giardinetti
di
Adone.
Anche
a
Ceriana
(IM),
le
storiche
Confraternite
della
città
iniziano
i
loro
riti
dalla
sera
del
Giovedì
santo.
Precedentemente
gli
anziani
hanno
costruito
per
i
più
piccini
dei
corni
di
corteccia
di
castagno,
a
volte
lunghi
anche
due
metri,
che
vengono
suonati
prima
delle
funzioni.
Ad
aprire
i
riti
di
passione
è la
Confraternita
della
Misericordia,
che
intona
il
Miserere;
poi
di
Santa
Caterina,
che
porta
la
croce
dei
flagelli
al
canto
dello
Stabat,
segue
la
Confraternita
della
Venerazione
con
l’Alma
Contempla
e
infine
quella
di
Santa
Marta
con
litanie
a
Gesù
crocefisso.
Gli
esempi
potrebbero
continuare
con
spunti
di
particolare
interesse
per
ogni
regione.
Quello
che
ci
interessa
evidenziare
è il
tratto
comune
emergente
della
Settimana
santa
nella
sua
veste
paraliturgica,
la
devozione
e la
polivocalità,
il
cantare
in
gruppo,
come
armonica
fusione
sociale
e
religiosa
delle
parti,
nonché
elemento
di
congiunzione
tra
la
tradizione
colta
e
orale.
Si
ipotizzano
al
riguardo
processi
di
discesa,
per
esempio
dal
canto
gregoriano
e di
ruralizzazione,
ossia
piena
espressione
della
vocalità
tipica
della
fascia
folklorica
contadina
e
agropastorale.
Esempi
musicalmente
noti
e
rappresentativi
sono
i
canti
di
passione
sardi
come
quelli
di
Castelsardo,
delle
confraternite
umbre
e
alto-laziali,
da
Gubbio
ai
borghi
dell’area
viterbese
(Blera,
Latera,
Villa
San
Giovanni)
e
campane,
come
il
più
conosciuto
Miserere
di
Sessa
Aurunca
(CE).
Riferimenti
bibliografici
e
discografici: