[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 203 / NOVEMBRE 2024 (CCXXXIV)


moderna

LA MAGISTRATURA DI SANITÀ
SULLA SALUTE PUBBLICA NEL RINASCIMENTO

di Marco Fossati

 

Attualmente la gestione della sanità pubblica è una delle funzioni principali dello Stato il cui scopo consiste nella tutela della salute collettiva e comprende un vasto insieme di attività: dall’assistenza medica alle opere di prevenzione e profilassi, alla ricerca scientifica. Le politiche e le strutture che sovraintendono a tale funzione e che di fatto, nei vari Stati, formano i cosiddetti servizi sanitari nazionali, sono il risultato di un lungo processo storico che, per quanto riguarda l’Italia, ha avuto un periodo essenziale tra la seconda metà del XIV e la fine del XVI secolo quando, le autorità del tempo, misero a punto un insieme di norme e procedure atte a contrastare la diffusione della malattia che stava segnando profondamente la Società: la peste.

 

Morbo di origine asiatica, aveva già colpito le zone mediterranee durante l’antichità ma sempre in modo limitato e sporadico. Nel corso del XIV secolo però, dopo secoli di assenza, la peste si ripresenta in Occidente con la grande pandemia del 1348, causando la morte di circa un terzo della popolazione europea e divenendo endemica nell’intero Continente per più di trecento anni. “Le ricorrenti manifestazioni della malattia ebbero profondi effetti sulla vita europea a tutti i livelli, demografico ed economico, sociale e politico, artistico e religioso” (Cipolla 2012).

 

Almeno fino al Cinquecento l’Europa meridionale e in particolare l’Italia furono colpite con maggiore frequenza. D’altra parte con un’urbanizzazione elevata e un’alta densità abitativa, situata nel mezzo del Mediterraneo, pertanto al centro delle vie commerciali e di comunicazione, la Penisola, aveva tutte le condizioni favorevoli per lo sviluppo di mali contagiosi. La conformazione politico amministrativa dell’Italia tardo medievale era caratterizzata dalla presenza di numerose città di varie dimensioni; risultato dell’incontro tra l’antica tradizione urbana romana e le evoluzioni del cosiddetto fenomeno comunale, iniziato nel XI secolo, conseguenza della lenta disgregazione delle istituzioni medievali (Impero e Chiesa).

 

Espressioni di una riorganizzazione del potere su base locale, le città, erano entità politiche sviluppatesi intorno a interessi particolari che avevano però aggregato comunità e territori circostanti divenendo relativamente autonome, con proprie risorse e governo. Elementi che hanno indotto gli storici a parlare di città-stato per descrivere le realtà urbane dell’epoca.

 

Sebbene la nozione di Stato (e la struttura), come viene attualmente intesa, arriverà a compimento secoli dopo, il termine inizia a circolare proprio in tale periodo (inizio XIV secolo) per identificare i governi cittadini. E nell’azione di governo, riprendendo concetti derivanti dal diritto romano, si delinea la funzione pubblica; ovvero la gestione del bene comune attraverso un principio di struttura amministrativa (burocratica) che si concretizza nella formazione di uffici o magistrature, dedicati ai vari aspetti della società. È in questo contesto che dalla seconda metà del Trecento, a seguito delle continue ondate pestilenziali, le autorità cittadine devono per forza di cose occuparsi anche di un ‘bene comune’ particolare (e fino ad allora poco considerato): la salute della comunità nel suo insieme. Diventata praticamente una questione di sopravvivenza.

 

La peste come d’altra parte quasi tutti i fenomeni naturali era conosciuta dall’uomo medievale solo attraverso l’esperienza sensibile; quello che non si percepiva restava oscuro, confinato nel campo del religioso se non addirittura in quello della magia. Dal punto di vista scientifico non si sapeva nulla riguardo microbi e batteri, quindi l’aspetto medico-curativo era basato essenzialmente su un misto di considerazioni ricavate da fortuite intuizioni, buon senso e osservazioni fatte su altri mali contagiosi che già circolavano prima delle pestilenze (dalle febbri stagionali, alla lebbra, diffusasi in Europa nel XII secolo, alle malattie che colpivano in prevalenza i bambini come vaiolo e morbillo).

 

Si erano di fatto stabiliti alcuni punti fermi che contribuirono a formare una specie di paradigma scientifico. Fu subito evidente come il contatto umano fosse la principale causa di propagazione di vari malanni, inoltre sporco, puzza e cattivo odore in genere, vennero ritenuti portatori di “miasmi velenosi” che facevano ammalare coloro che ne erano investiti; di conseguenza certi tipi di oggetti o di merci suscettibili al deterioramento e quindi al cattivo odore (alcuni generi alimentari) o facilmente impregnabili da polvere e sporco (vestiario, panni, materiale tessile), diventarono particolarmente sospetti.

 

A partire dal XII secolo, l’Italia, aveva conosciuto un sensibile sviluppo demografico ed economico, con l’aumento delle produzioni artigianali e delle attività commerciali e il conseguente incremento degli scambi sia via terra che per mare; pertanto le considerazioni sopra descritte riguardanti i contagi iniziarono, per ovvie ragioni, a essere prese molto sul serio. Si prestò maggiore cura e attenzione all’igiene circa le attività produttive, inoltre si intensificarono i controlli sugli scambi di merci e gli spostamenti delle persone.

 

Non è strano, quindi, riscontrare le prime tracce di provvedimenti e di istituzioni adibite ai controlli sanitari proprio nelle città mercantili italiane. Ad esempio a Pisa (repubblica marinara con un economia essenzialmente basata sul commercio marittimo) pare si fosse costituito un ufficio sanitario, sebbene limitato al controllo delle attività portuali, già nel 1312; ben prima delle ondate pestilenziali di metà XIV secolo. Sono comunque queste ultime a determinare un netto salto di qualità in termini di politiche sanitarie e igiene pubblica. Il 30 marzo 1348 la principale autorità cittadina di Venezia (altra repubblica marinara), il Maggior Consiglio, nomina tre cittadini ai quali conferisce il titolo di Savi pro conservazione sanitatis.

 

L’11 aprile dello stesso anno anche a Firenze (importante centro di commerci e soprattutto di produzioni artigianali) viene costituita una commissione sanitaria di otto persone per gestire l’emergenza peste. Tali organismi sebbene fossero temporanei e passata la fase acuta del contagio venissero sciolti, si possono considerare come i primi uffici, accertati da fonti documentali, dedicati alla pubblica sanità. Inizialmente si occupavano di eseguire ordinanze già emanate dal governo cittadino. Ad esempio, nel caso di Firenze i primi provvedimenti sono datati 30 gennaio 1348 e sono semplici disposizioni di igiene pubblica riguardanti la pulizia delle strade, particolari obblighi per attività che producevano cattivi odori e il divieto di tenere animali all’interno delle mura (ripetizioni ed estensioni di ordinanze già diffuse nel 1324).

 

Stesso discorso per Venezia dove l’ufficio sanitario si attivò, inoltre, per individuare nuovi luoghi di sepoltura distanti dalla Città per i numerosi morti di peste, affinché non si sentissero cattivi odori. In pratica, seguendo le risultanze scientifiche del tempo, mantenere la salubrità dell’aria è il principale scopo dell’operato dei primi uffici sanitari, solo successivamente si inizierà a ragionare sui contatti con malati e sospetti. Ovviamente le politiche dei centri importanti facevano da modello per i territori circostanti; località toscane come Lucca e Pistoia adottarono le stesse disposizioni di Firenze.

 

Nel corso degli anni, oltre a diffondersi, le procedure sanitarie subirono importanti innovazioni; ciò che accadde ad esempio nell’area adriatica. A Ragusa (l’attuale Dubrovnik, fino al 1351 controllata direttamente da Venezia), nella seconda metà del XIV secolo, venne messa a punto un sistema di isolamento e osservazione delle persone che provenivano da luoghi contaminati. Fu di fatto introdotta la pratica della quarantena, primo passo per la creazione dei cosiddetti lazzaretti ovvero gli ospedali dedicati ai malati di peste. Il primo lazzaretto di cui si ha notizia pare sia stato costituito proprio a Venezia agli inizi del Quattrocento (probabilmente nel 1423 anche se alcune fonti riportano al 1403).

 

Tale istituzione comportò un sensibile cambiamento nel campo della sanità pubblica dato che introduceva il concetto di ospedalizzazione della malattia. In realtà gli ospedali esistevano da secoli ma si occupavano in prevalenza di pellegrini, poveri o malati di mente, ai quali venivano offerti accoglienza e ristoro temporanei. Erano in gran parte frutto della carità individuale o religiosa e benché operassero per fini pubblici rimanevano relativamente autonomi. Anche la diffusione della lebbra aveva fatto sorgere luoghi adibiti a tale patologia ma si limitavano solamente a tenere separati i lebbrosi dal resto della popolazione, per ragioni mediche e soprattutto sociali (oltre alla paura del contagio il lebbroso era considerato la personificazione del peccato).

 

Con i lazzaretti si assiste invece a una rivoluzione nel sistema di assistenza in quanto, tali ricoveri, vennero creati per volontà dall’autorità politica e posti sotto il suo controllo e sebbene il compito principale fosse quello di concentrare i malati, limitando il diffondersi del contagio, come secondo fine c’era il tentativo di curarli. Per la verità su questo punto non si avranno per molto tempo grandi risultati, tanto che ancora in pieno Cinquecento, in un saggio medico che aveva come oggetto la peste, si ammetteva che: “La parte preservativa è più nobile assai e più necessaria che la curativa” (Cipolla 2012). In altre parole fare di tutto per non ammalarsi. Le persone del tempo si mossero su tali basi, adattandosi al fatto che la peste dovesse essere affrontata più dal punto di vista amministrativo che da quello medico. Di qui appunto la creazione di strutture governative che si occupassero della situazione igienico sanitaria con il fine di prevenire i contagi.

 

Durante le prime pandemie, come detto sopra, compaiono uffici temporanei con semplici poteri esecutivi. La situazione cambia drasticamente nel XV secolo, quando la politica sanitaria della città di Milano darà un’importante svolta alle procedure in materia di salute pubblica. Milano era una delle città più attive e popolose d’Europa. Situata al centro di una ricca area agricola (la Pianura padana), era diventata anche un avanzato polo manifatturiero mentre lo sviluppo della rete di canali navigabili l’avevano resa un’importante zona commerciale. Inoltre, sotto il governo della dinastia Visconti, si afferma come potenza politica (Ducato di Milano) controllando direttamente gran parte del Nord Italia ed esercitando una notevole influenza anche in Liguria (Genova e Savona) e in alcune zone del Centro (Siena, Pisa, Perugia).

 

Il particolare timore del morbo, che sembra avessero alcuni esponenti della casata, soprattutto Gian Galeazzo (1351-1402) che morì proprio di peste, contribuì a sviluppare una sensibilità non comune verso le questioni riguardanti la difesa della salute pubblica. Di conseguenza, già sul finire del Trecento sulla falsariga di quanto avveniva a Ragusa, vennero creati lontano dalla Città luoghi di ricovero per gli appestati (mansiones), che saranno poi di fatto trasformati in lazzaretti. Negli anni successivi (soprattutto durante il ducato di Filippo Maria, figlio di Galeazzo, 1412-1447) fu messa a punto una procedura che prevedeva l’obbligo per tutti i malati, con determinati sintomi, di essere visitati da un medico e, se ritenuti affetti da peste, isolati o condotti nei lazzaretti.

 

Si iniziò a prendere nota dei morti, di conseguenza a valutare l’evoluzione e l’estensione dell’epidemia. Ciò permetteva di creare cordoni sanitari e chiudere aree considerate infette in tutto il territorio. Si provvedeva poi, in modo sistematico, a bruciare vestiario suppellettili e oggetti degli appestati e spesso anche le loro case che comunque erano sempre sottoposte a disinfezione (mediante fumigazioni di incenso e aromi assortiti).

 

Ovviamente vennero aumentati i controlli sugli spostamenti delle persone sia per coloro che viaggiavano dentro i confini, sia per chi proveniva da fuori. Queste ultime procedure comportarono ovvi contraccolpi economico-sociali. Tant’è che per affrontare tale situazione, nel corso del tempo, furono introdotte le cosiddette fedi o bollette di sanità. Documenti personali compilati da ufficiali preposti, che attestavano lo stato di salute del titolare; ovvero che non fosse malato (almeno per quanto si poteva valutare in apparenza) e che non provenisse da un luogo in cui erano stati accertati casi di peste.

 

Questo insieme di azioni portò lentamente a costituire un sistema di sorveglianza e prevenzione che richiedeva un ufficio governativo specializzato a cui fare capo, inoltre si intuì ben presto che rendere stabile tale sistema ne avrebbe aumentato l’efficacia. Pertanto nella città di Milano l’ufficio sanitario divenne un’istituzione permanente già nella prima metà del XV secolo; era costituito da un commissario che rispondeva direttamente al Duca e sovraintendeva al lavoro di numerosi funzionari (medici, corrieri, guardie, becchini). Tale struttura non si occupava solo della capitale ma controllava tutti gli uffici di sanità formatisi, a seconda della diffusione del morbo, nelle varie città e paesi del Ducato; uffici temporanei che si stabilizzarono nel corso degli anni divenendo organi periferici dell’ufficio principale. Sebbene la denominazione formale, Magistratura di Sanità, verrà istituita solo nel 1534, in pratica, durante il XV secolo, prende forma un organo governativo che, per quanto riguarda l’aspetto sanitario, controlla in modo capillare tutto il territorio.

 

La politica sanitaria di Milano (vista la sua influenza) fece scuola (Palmer 1978). Simili procedure vennero progressivamente applicate anche negli altri Stati italiani, di pari passo alla costituzione di magistrature permanenti. Nella Repubblica di Venezia l’ufficio sanitario temporaneo diviene una magistratura a tutti gli effetti nel 1486. Stesse trasformazioni avvengono, in tempi diversi, in tutta Italia. Solo per citare qualche caso: nel 1527 a Firenze e l’anno seguente nella Repubblica di Genova, a Bologna è sicuramente attivo un ufficio sanitario stabile dal 1555, ad Ancona dal 1564. Invece, nel Meridione, con una minore densità urbana e un’economia meno incentrata sui commerci, la peste, fino al XVI secolo, colpisce con minore frequenza e virulenza, tant’è che la costituzione e stabilizzazione delle istituzioni sanitarie arriva più tardi.

 

Ad esempio, nel Regno di Sicilia una magistratura stabile che controlla tutta l’Isola si costituisce solo nel 1743, nonostante un organo provvisorio fosse presente a Palermo già dalla metà del XVI secolo. Comunque alla fine del Rinascimento, praticamente in ogni Stato italiano, le magistrature di sanità erano diventate organi amministrativi con notevoli competenze. Arrivarono a concentrare poteri legislativi (emanando provvedimenti e norme) ed esecutivi, in quanto a esse facevano capo le procedure di pulizia e profilassi nonché la gestione pratica dei lazzaretti; soprattutto si occupavano di sorvegliare tale sistema e pertanto avevano anche poteri giudiziari come il comminare multe e pene fisiche, aspetto questo che variava da luogo a luogo e in base alle situazioni (alcune magistrature ebbero anche la facoltà di emettere sentenze di morte nei confronti dei trasgressori di norme sanitarie). Divennero organi strutturati ed efficienti tanto che quasi naturalmente le loro funzioni non furono più limitate alla semplice prevenzione e protezione dal morbo.

 

Oltre ovviamente che per tutte le malattie contagiose, tali uffici furono impiegati per controlli su particolari lavorazioni (ad esempio la macerazione di lino e canapa o le coltivazioni del riso), sulla sicurezza dei generi alimentari e sull’igiene dei mercati e, nelle città portuali (come nella Repubblica di Genova e soprattutto a Livorno) arrivarono a ricoprire il ruolo di polizia marittima con compiti di sorveglianza costiera (Calcagno-Palermo 2017). Inoltre, tra le varie magistrature sanitarie della Penisola (che assumevano anche altre denominazioni: Ufficio di Sanità, Ufficio Conservatori di Sanità, Deputazione di Sanità, Provveditori di Sanità, ecc.), avveniva un continuo scambio di informazioni circa lo stato di salute dei territori posti sotto il loro controllo e ciò valeva anche nei confronti degli uffici di altre città europee e mediterranee che iniziavano ad adottare le stesse procedure per difendersi dalla peste. Tutto il sistema aveva come scopo principale l’individuazione tempestiva dei primi casi, per poterne poi limitare la diffusione.

 

L’aspetto che paradossalmente rimaneva in secondo piano era quello medico; il rapporto con la scienza era esclusivamente funzionale ovvero i medici così come i farmacisti (speziali) e i chirurghi-barbieri, erano espressione dei rispettivi ordini (corporazioni) e soggetti ai relativi statuti. Sebbene in molti casi facessero parte delle magistrature o comunque prendessero ordini da esse durante il periodo dell’emergenza pestilenziale, erano più che altro visti come consulenti. Ovvero la scienza medica in generale rimarrà un corpo estraneo nell’ambito della gestione della sanità pubblica almeno fino all’Ottocento, quando le conseguenze dalle rivoluzione scientifica conferiranno, automaticamente, un maggior peso agli aspetti medico curativi. Inoltre la completa formazione dello Stato come ente politico amministrativo, che tenderà a farsi carico di ogni aspetto della Società, trasformerà radicalmente il concetto di tutela della salute pubblica conferendogli un significato più ampio, non limitato al solo aspetto amministrativo.

 

La nascita e l’evoluzione degli uffici o magistrature di sanità, testimoniano un importante sviluppo dal punto di vista politico-amministrativo; per aver messo a punto un apparato burocratico ma soprattutto per aver introdotto l’idea che l’autorità debba farsi carico della salute della comunità, introducendo in pratica una delle funzioni alla base degli odierni sistemi sanitari pubblici. Tant’è che gli storici concordano nell’affermare che, le norme e le procedure di prevenzione, abbiano formato “un patrimonio strutturale” degli Stati dell’epoca; ovvero abbiano in pratica aumentato la percezione dell’autorità e pertanto le politiche sanitarie non solo siano andate di pari passo con la formazione e lo sviluppo delle strutture statali ma abbiano contribuito anche alla formazione del concetto stesso di Stato.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Calcagno Paolo, Palermo, Daniele (a cura di), La quotidiana emergenza. I molteplici impieghi delle istituzioni sanitarie nel Mediterraneo moderno, New Digital Press, Palermo 2017

Cipolla, Carlo M., Il pestifero e contagioso morbo: combattere la peste nell’Italia del Seicento, il Mulino, Bologna 2012

Palmer, Richard John, The control of plague in Venice and Northern Italy (1348-1600), University of Kent, Canterbury 1978. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]