N. 55 - Luglio 2012
(LXXXVI)
le riforme di clistene
ALLE ORIGINI DELLA DEMOCRAZIA ATENIESE
di Richard Caly
Le
riforme
istituzionali
operate
da
Clistene
alla
fine
del
VI
secolo
a.C.
sono
una
delle
tappe
fondamentali
verso
la
costruzione
del
sistema
democratico
ateniese.
Esse
rappresentano
infatti
un
rimodellamento
profondo
della
struttura
sociale
e
politica
di
Atene,
attuato
in
modo
razionale
e
durevole,
che
porterà
alla
graduale
creazione
di
una
“coscienza
democratica”,
minando
le
basi
del
potere
aristocratico
cittadino.
A
differenza
di
altri
personaggi
della
storia
ateniese,
come
ad
esempio
Solone,
dei
quali
si
riescono
a
cogliere
sfumature
del
carattere
e
della
personalità
anche
attraverso
una
colorita
aneddotica,
attorno
alla
figura
di
Clistene
la
tradizione
non
ha
costruito
un
“ritratto
morale”
da
tramandare
ai
posteri,
talché
lo
si
può
giudicare
solo
guardando
alla
sua
ascesa
politica
e
attraverso
le
proprie
opere
legislative.
Figlio
di
Megacle
e
Agariste,
Clistene
faceva
parte
di
uno
dei
clan
aristocratici
più
influenti
di
Atene,
gli
Alcmeonidi,
i
quali
nel
corso
del
tempo
avevano
giocato
un
ruolo
da
protagonisti
nelle
vicende
della
città,
seppur
nel
contesto
rissoso
che
caratterizzò
la
vita
politica
ateniese,
che
spesso
portava
al
prevalere
temporaneo
dell’una
o
dell’altra
famiglia
aristocratica.
Nel
periodo
della
tirannide
di
Pisistrato,
i
continui
contrasti
con
quest’ultimo
avevano
portato
all’esilio
degli
Alcmeonidi
da
Atene,
non
appena
il
tiranno,
dopo
alterne
vicende,
era
riuscito
a
conquistare
il
potere
per
la
terza
volta,
in
modo
definitivo,
nel
538
a.C.
Dopo
la
morte
del
padre,
Clistene
tentò
più
volte
di
rovesciare
il
regime
tirannico,
ma
poté
tornare
ad
Atene
solo
quando
Ippia
(figlio
di
Pisistrato)
fu
scacciato,
con
l’aiuto
determinante
della
potenza
Spartana.
Una
volta
abbattuta
la
tirannia,
però,
ripresero
inevitabilmente
i
contrasti
tra
le
varie
fazioni
aristocratiche.
Ad
un’
oligarchia
più
conservatrice
e
filospartana,
rappresentata
da
Isagora,
si
contrappose
la
fazione
guidata
da
Clistene,
che
invece
faceva
propri
gli
interessi
del
demos
urbano,
classe
sociale
di
formazione
relativamente
recente,
la
quale
reclamava
insistentemente
una
rappresentanza
politica.
Inizialmente
fu
Isagora
a
prevalere.
Forte
dell’appoggio
di
re
Cleomene
di
Sparta,
infatti,
riuscì
a
farsi
eleggere
all’arcontato,
massima
carica
politica
della
città.
In
questo
frangente
la
situazione
si
fa
convulsa,
tanto
che
Isagora,
per
tentare
di
mantenere
il
potere,
deve
chiedere
esplicitamente
l’intervento
delle
armi
spartane
e
Clistene
è
costretto
alla
fuga.
Stando
a
ciò
che
racconta
Aristotele
nella
Costituzione
degli
Ateniesi:
"Fuggito
Clistene,
Cleomene,
giunto
con
poche
truppe,
scacciò
come
sacrileghe
settecento
famiglie
ateniesi.
Fatto
ciò,
tentò
di
sciogliere
il
Consiglio
e di
porre
a
capo
della
città
Isagora
e
trecento
amici
suoi.
Ma
poiché
il
Consiglio
oppose
resistenza
e il
popolo
si
riunì,
Cleomene
e
Isagora
si
rifugiarono
sull’Acropoli,
e il
popolo
li
strinse
d’assedio
per
due
giorni.
Al
terzo
lasciarono
andare
Cleomene
con
tutti
i
suoi,
e
richiamarono
Clistene
e
gli
altri
esuli.
Impadronitisi
del
potere
i
democratici,
Clistene
fu
guida
e
capo
del
popolo".
Gli
storici
hanno
dubitato
sul
fatto
che
fosse
il
popolo
a
richiamare
Clistene,
o
se,
come
parrebbe
affermare
Erodoto,
sia
stato
lo
stesso
Alcmeonide,
opportunisticamente,
a
servirsi
di
esso
per
conquistare
il
potere.
Comunque
siano
andate
le
cose,
da
quel
momento
Clistene,
ormai
privo
di
rivali
all’altezza,
poté
attuare
un
vasto
programma
di
riforme
politiche
e
sociali
che
cambierà
radicalmente
il
volto
di
Atene.
Lungi
dall’essere
solamente
degli
interventi
“demagogici”,
le
sue
iniziative
furono
durature
proprio
perché
intercettarono
i
cambiamenti
sociali
allora
in
atto,
portando
ad
una
unificazione
autentica
della
polis,
e
alla
conseguente
creazione
del
concetto
di
“città
nazione”,
che
permise
ad
Atene
di
affrontare
nel
miglior
modo
possibile
le
sfide
che
nei
decenni
seguenti
le
si
presenteranno
(prima
fra
tutte
l’invasione
persiana
del
490
a.C.).
Un
elemento
fondamentale
per
scardinare
i
vecchi
meccanismi
di
potere
aristocratici
fu
la
riorganizzazione
del
territorio
dell’Attica:
alle
quattro
vecchie
tribù
infatti,
il
cui
comando
risiedeva
nelle
mani
delle
famiglie
più
nobili
d’origine
ionica,
furono
sostituite
dieci
nuove
tribù,
ognuna
delle
quali
raggruppava
gli
abitanti
di
una
stessa
porzione
territoriale
ed
era
composta
da
un
numero
variabile
di
demi.
Il
territorio
di
ogni
tribù
era
poi
composto
da
tre
parti,
o
trittie,
una
situata
sulla
costa,
una
in
città
e
l’altra
nei
territori
dell’entroterra.
Ogni
tribù
doveva
comporsi
di
un
numero
identico
di
demi
provenienti
dalle
varie
trittie.
Tutto
ciò
al
fine
di
evitare
la
formazione
di
blocchi
partitici
“geografici”,
che
potessero
raggruppare
(come
era
avvenuto
in
precedenza)
solo
gli
abitanti
della
città
della
costa
o
dell’interno,
portando
ad
una
contrapposizione
spesso
insanabile
e
lacerante
di
interessi.
Parallelamente,
in
qualche
modo
continuando
una
tendenza
già
iniziata
da
Pisistrato,
Clistene
ampliò
notevolmente
il
diritto
di
cittadinanza,
“naturalizzando”
un
gran
numero
di
uomini
liberi
di
origine
straniera
esclusi
dalle
attività
politiche
sotto
il
regime
aristocratico.
In
questo
modo
poté
ottenere
un
duplice
risultato:
da
un
lato,
infatti,
legava
a se
attraverso
vincoli
di
clientela
una
buona
fetta
di
nuovi
cittadini
(indebolendo
il
potere
degli
aristocratici)
dall’altro
li
rendeva
partecipi
della
vita
politica,
dando
stabilità
al
nuovo
impianto
istituzionale.
A
capo
di
ognuna
delle
dieci
tribù,
che
prendevano
il
nome
da
eroi
e
personaggi
leggendari
della
storia
ateniese,
era
eletto
uno
stratego,
in
carica
per
un
anno,
che
in
guerra
assumeva
le
vesti
di
generale
affiancando
così
il
vecchio
Polemarco
nella
conduzione
delle
operazioni
belliche.
Pur
essendo
all’inizio
una
carica
puramente
militare
formalmente
inferiore
a
quella
di
Polemarco,
il
fatto
di
essere
eletti
dal
popolo
portò
all’accrescimento
nel
tempo
dell’influenza
politica
degli
strateghi,
tanto
da
renderli
personaggi
di
primo
piano
nella
conduzione
della
politica
cittadina,
scalzando
di
fatto
gli
Arconti.
Ciascuna
tribù
eleggeva
inoltre
cinquanta
membri
del
nuovo
Consiglio
dei
Cinquecento
o
Boulè.
Fu
proprio
la
creazione
di
tale
nuovo
organo
politico
l’aspetto
più
innovativo
e
importante
delle
riforme
di
Clistene.
Era
la
Boulè,
infatti,
ad
avere
ampie
competenze
in
politica
estera,
a
redigere
i
decreti,
a
predisporre
le
sedute
e a
proporre
le
leggi
all’Ecclesia,
ovvero
all’Assemblea
dei
cittadini
liberi,
che
aveva
poi
la
parola
definitiva
sulla
loro
approvazione.
In
termini
moderni
dunque,
all’
Ecclesia
spettava
il
potere
legislativo,
mentre
il
Consiglio
indirizzava
la
politica
generale,
deteneva
il
potere
d’iniziativa
legislativa
e
controllava
l’operato
degli
altri
organi
costituzionali.
Fu
insomma
il
Consiglio
dei
Cinquecento
l’organismo
essenziale
della
democrazia
ateniese,
anche
perché
assunse
le
prerogative
più
importanti
del
vecchio
Areopago
(composto
dagli
ex
arconti),
che
perse
gran
parte
della
sua
influenza,
rimanendo
confinato
a
mansioni
essenzialmente
giudiziarie.
Al
fine
di
perfezionare
tale
complesso
sistema
di
governo
e
garantire
l’imparzialità
delle
varie
funzioni
Clistene
introdusse
il
metodo
del
sorteggio,
che
fu
riservato
alle
cariche
che
non
richiedevano
una
particolare
competenza
specifica.
L’introduzione
del
sorteggio
segnò
la
lenta
ma
inesorabile
perdita
d’importanza
dell’arcontato,
destinato
a
divenire
una
carica
onorifica,
priva
di
incisività
politica.
Così,
ai
dieci
Arconti
erano
riservate
funzioni
religiose
e di
“alta
giustizia”
e
l’Arconte
eponimo
(pur
detenendo
ancora
formalmente
la
più
alta
carica
dello
Stato)
fu
relegato
ad
un
ruolo
di
pura
rappresentanza.
Altra
pratica
introdotta
da
Clistene
fu
l’ostracismo,
che
permetteva
all’
Assemblea,
con
voto
segreto,
di
esiliare
per
dieci
anni
dalla
città
chiunque
fosse
sospettato
di
aspirazioni
tiranniche.
Alcuni
storici
ritengono
che
tale
pratica,
di
cui
gli
Ateniesi
fecero
largo
uso
nei
decenni
seguenti,
fosse
in
realtà
di
poco
successiva
alle
riforme
di
Clistene.
In
ogni
caso
essa
si
rivelò
un
ottimo
meccanismo
a
tutela
della
democrazia,
e
perciò
pienamente
in
linea
con
la
ratio
di
fondo
sottesa
all’opera
dell’Alcmeonide.
Gli
effetti
delle
innovazioni
legislative
di
Clistene
non
furono
immediati,
tuttavia
la
Costituzione
Ateniese
rimase
nella
sostanza
invariata
per
almeno
duecento
anni
e
attraversò
tutto
il
“secolo
d’oro”
della
polis.
È
forse
improprio
parlare
dell’
Alcmeonide
come
del
“creatore
della
democrazia
ateniese”,
è
fuor
di
dubbio,
però,
che
la
sua
opera
creò
le
condizioni
indispensabili
che
permetteranno
alla
democrazia
di
sorgere
e
prosperare.
Senza
il
suo
immenso
contributo
la
legge
non
sarebbe
mai
stata
considerata
come
“l’espressione
del
popolo”,
né
avrebbe
mai
attecchito
il
concetto
dell’isonomia,
ovvero
l’uguaglianza
di
tutti
di
fronte
ad
essa.
Tutto
ciò
che
rese
l’esperienza
ateniese
unica
e
irripetibile
nella
storia
non
sarebbe
mai
esistito.
Riferimenti
bibliografici:
G.
Poma,
Le
Istituzioni
politiche
della
Grecia
in
età
classica,
Bologna,
2003;
C.
Mossé,
Histoire
d’une
démocratie:
Athènes,
des
origines
à la
conquête
macédonienne,
Bourges
1971;
D.
Musti,
Storia
greca.
Linee
di
sviluppo
dall'età
micenea
all'età
romana,
Roma-Bari,
2006;
W.
Durant,
Storia
della
Civiltà,
Vol
II:
La
Grecia,
Milano,
1956.