N. 31 - Dicembre 2007
RIFORMA SI, RIFORMA NO
Il
dibattito sulla legge elettorale e le ripercussioni
sul futuro modo di fare politica
di
Giulia Pegoraro
In
queste settimana ma, per essere più precisi, da un
anno a questa parte, non si fa che discutere della
legge elettorale vigente. Anzi, per meglio rendere
l’idea tenete presente quest’immagine, a mio avviso
molto esplicativa: due branchi di lupi che tentano
di accaparrarsi la carcassa di una pecora.
E
soprattutto: ogni lupo ha un istinto di branco molto
risicato. È molto facile vedere in quest’immagine,
la metafora del popolo italiano che mal si
destreggia fra queste faccende, e i partiti delle
due coalizioni che tentano di volgere la legge
elettorale a proprio vantaggio, legge basilare per
la stabilità del sistema e per la continuità
dell’azione politica.
L’attuale riforma è stata varata nel 2005, ad opera
del governo di centrodestra, a pochi mesi dalle
elezioni politiche. Una legge il cui firmatario,
l’allora ministro leghista Calderoli, non si è fatto
remore nel definirla una “legge porcata”.
Già
questa assurda situazione dovrebbe portarci a
riflettere serenamente sulla serietà di taluni
personaggi della cosiddetta “casta” ma, per cercare
di evitare qualsiasi forma di parzialità
pregiudiziale è utile soffermarsi sugli elementi che
la caratterizzano e sulle proposte presentate in
via, più o meno ufficiosa, dai partiti e dai
comitati referendari.
La
legge elettorale segue lo schema del “proporzionale”
ma prevede, eventualmente un premio di maggioranza.
Vediamo come.
La
spartizione dei seggi alla Camera prevede tre
sistemi.
La
Valle d’Aosta elegge un deputato col sistema
maggioritario. Nelle restanti Regioni i partiti
possono coalizzarsi: la coalizione, complessivamente
deve raggiungere almeno il 10% dei voti validi; le
singole liste, almeno il 2%; i partiti non
coalizzati, il 4%. Per quanto riguarda i partiti che
non superano la soglia di sbarramento, è comunque
prevista l’assegnazione di seggi se facenti parte di
una coalizione o se rappresentanti di minoranze
linguistiche. Premiata è anche la “miglior lista
sotto soglia”. Il meccanismo del premio di
maggioranza scatta solo se una coalizione, o uno dei
partiti facenti parte della stessa, superi la soglia
della maggioranza relativa. In tal caso vengono
assegnati 340 seggi, ma solo se, con il metodo
proporzionale, la coalizione ne ottenesse meno. I
restanti seggi sono assegnati col metodo
proporzionale.
L’elezione dei membri del Senato si basa su
meccanismi ancora diversi:Valle d’Aosta e Trentino
Alto - Adige eleggono i propri senatori col sistema
maggioritario. Nelle rimanenti Regioni i senatori
vengono eletti, su base regionale, con sistema
proporzionale. Per ciascuna il numero minimo di
seggi assegnabili è 7, eccettuato il Molise. In
generale l’assegnazione varia in relazione
all’andamento demografico della popolazione delle
Regioni prese in considerazione. Per l’assegnazione
le coalizioni devono raggiungere, su base regionale,
almeno il 20% dei voti validi e i partiti aderenti a
tali coalizioni almeno il 3%.
Se
invece si parla di liste non coalizzate, esse
dovranno ottenere l’8% dei voti validi. Anche il
premio di maggioranza è su base regionale: alla
coalizione o alla lista che ottiene la maggioranza
relativa è assegnato il 55% dei seggi attribuiti a
quella Regione, sempre se con il proporzionale ne
ottenesse meno. È importantissimo sottolineare che
tale meccanismo potrebbe portare ad una paradossale
situazione: al Senato la coalizione che ha ottenuto
più voti rischia di non avere la maggioranza dei
seggi perché potenzialmente i premi regionali
potrebbero annullarsi a vicenda. Non è quindi
garantito che nei due rami del Parlamento si formi
la medesima maggioranza.
Risulta quindi essere evidente che né il principio
di stabilità, né il principio di rappresentatività,
vengano rispettati. Il nostro sistema politico
rischia sempre, già sulla carta, di essere ad un
passo dal collasso, e basta seguire i telegiornali
per comprendere come il rischio si sia
concretizzato. Ma ad aggiungere ulteriore
instabilità a questa “Repubblica delle Banane”,
concorre anche il fatto che nel premio di
maggioranza vengono presi in considerazione anche i
partiti sotto la soglia minima. Ciò ha portato ad
una proliferazione di liste personali che di fatto
con il loro voto hanno condizionato l’indirizzo
politico delle coalizioni, in quanto aventi il
potere di far passare una legge o meno, pena la
crisi di governo.
Un’incertezza politica che si risolve in
un’insicurezza in tutti i settori economici e nella
vita civile. Il ritardo dell’Italia rispetto agli
altri paesi dipende, lo si vuole ripetere, anche da
una discontinuità dell’azione politica.
Vediamo ora la problematica vista dalla prospettiva
del professor Roberto D’Alimonte, docente di Sistema
Politico Italiano, il quale non si sofferma tanto
sulla riforma elettorale, quanto sulla questione
della frammentazione e della reale rappresentatività
dei partiti, questione che è stata affrontata
malamente, utilizzando il potere di legittimazione
del premier, eletto a suffragio universale diretto,
come collante. Poiché la riforma è delicatissima e
in ogni caso non troverebbe il totale consenso dei
partiti, fin dal 2006 sono nati comitati referendari
i quali stanno mettendo a punto, partendo dalla
legge attuale, proposte che possano accordare i due
poli:
1.
il
premio di maggioranza al Senato assegnato a livello
nazionale e non regionale
2.
permettere ai giovani fra i 18 e i 24 anni di votare
per il Senato (con relativa riforma costituzionale)
3.
l’inclusione dei voti degli elettori della Valle
d’Aosta ai fini dell’assegnazione del premio di
maggioranza
4.
l’eliminazione delle candidature plurime
5.
l’esclusione dei voti delle liste al di sotto della
soglia di sbarramento dal conteggio degli stessi per
l’assegnazione del premio
Le
prime due modifiche avrebbero il compito di evitare
drasticamente il rischio di maggioranze diverse per
Camera e Senato dal momento che la variabile del
numero di elettori sarebbe in questo caso costante (tutt’oggi
gli elettori che hanno diritto di votare al Senato
sono 7 milioni in più rispetto agli aventi diritto
per la Camera).
La
terza elimina un evidente elemento di
incostituzionalità.
Anche la quarta ha importanti ricadute sul sistema:
la candidatura plurima permette al capolista eletto
di scegliere, successivamente, la circoscrizione che
andrà a rappresentare, andando quindi a favorire il
candidato che gli succede nella lista in questione.
Il risultato è che i partiti, dopo le elezioni
decidono,chi andrà o meno in Parlamento. Come a
dire: “I giochi non si esauriscono nella tornata
elettorale”. La quinta infine ripara il nostro
sistema da un’ulteriore frammentazione politica. In
molti fra politici e docenti criticano l’iniziativa
referendaria ma il professor D’Alimonte tiene a
precisare che essa si configura come una proposta
non vincolante, dal momento che nel caso in cui il
Parlamento dovesse approvare una riforma che desse
più garanzie di stabilità, esso decadrebbe.
La
classe dirigente dal canto suo certamente non è
insensibile alla tematica, ma per Forza Italia la
struttura della legge elettorale è meno importante
del tentativo di dare la spallata al governo Prodi.
Il dialogo pone come presupposto essenziale il
ritorno alle urne dopo l’approvazione della legge. A
mio modesto parere è una posizione che rende il
partito di Berlusconi un interlocutore assai poco
credibile.
An,
Udc e Lega sono disponibili invece al confronto e
questo permette loro di acquisire una maggiore
visibilità a livello nazionale. Certo l’accordo non
sarà semplice: Veltroni propone un proporzionale
puro con forti correttivi in senso maggioritario
come la diminuzione dell’ampiezza delle singole
circoscrizioni che, accompagnata alla soglia di
sbarramento, certamente favorisce i partiti più
fortemente radicati nel territorio ma d’altra parte
riduce la frammentazione; in secondo luogo nei
collegi uninominali alla lista di maggioranza
andrebbe assegnato il 50% dei seggi; in ultima
istanza il sistema di ripartizione dei seggi nelle
singole circoscrizioni sarebbe basato sul cosiddetto
metodo D’Hondt, matematico belga, che va a
rafforzare i partiti più grandi e riduce la
visibilità di quelli più piccoli.
Garanzia di stabilità. Garanzia di
rappresentatività. Due principi fondamentali e di
eguale importanza che se rispettati potranno
rimettere finalmente in marcia il nostro Paese.
Principi che stanno portando e porteranno ad uno
stravolgimento del panorama politico italiano:
partiti che rinunciano e rinunceranno in parte alla
propria storia ed identità per forgiarne una nuova
che sia in grado di stare al passo con i tempi.
I
piccoli partiti che, per non scomparire, dovranno
necessariamente rimettersi in gioco e dare un volto
inedito e non riciclato, al modo stesso di fare
politica, forse in grado, finalmente, di riunire
questi Italiani che in fondo non sono molto diversi
dalla loro classe dirigente, settaria e dove ogni
apertura al dialogo viene tacciata di “inciucio”da
entrambe le coalizioni. |