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N. 22 - Ottobre 2009
(LIII)
IL CARO PREZZO DELLA SANITà
Il difficile piano della riforma statunitense
di Laura Novak
La
riforma
sanitaria
americana
è
diventata
ormai
un’esigenza
di
base
per
quasi
43
milioni
di
americani.
Ma è
anche
diventata,
come
era
ovvio
che
fosse,
la
posta
al
gioco
di
una
partita
politica
fondamentale
e
senza
precedenti.
Il
sistema
sanitario
americano
(sistema,
nella
sua
struttura
di
funzionamento,
unico
al
mondo)
si
basa
in
sostanza
su
due
enormi
apparati
statali:
Medicare
e
Medicaid,
affiancati
o,
se
si
preferisce,
surclassati,
da
una
fittissima
rete
di
assistenza
privata
(ospedali,
ricoveri,
cliniche,
laboratori,
ambulatori,
assicurazioni
sanitarie
etc.)
Se
Medicare
gestisce
l’assistenza
a
livello
nazionale
di
ultrasessantenni
e
studenti
universitari,
Medicaid
ne
coordina
invece,
a
livello
federale
e
dei
singoli
stati,
le
fasce
sociali
da
reddito
minimo.
Ma
la
questione
non
è
così
lineare.
Seppur
l’assistenza
più
semplice
sembra
essere
quindi
garantita
per
coloro
considerati
non
abbienti,
non
tutti
gli
appartenenti
alle
fasce
più
povere
riescono
a
rientrare
nei
programmi;
in
particolar
modo
nel
corso
degli
anni
il
problema
maggiore
ha
riguardato
i
rimborsi
monetari
a
medici
e
ospedali
che
eseguono,
in
associazione
con
Medicare
e
Medicaid,
assistenza
gratuita.
Sempre
più
spesso
gli
Stati
federali,
dai
bilanci
disastrosi,
hanno
contestato
e
non
erogato,
molti
dei
rimborsi
richiesti
da
strutture
e
personale
medico
per
tutte
le
spese
vive
sostenute
durante
l’assistenza,
costringendo
entrambi
a
orientarsi
sempre
più
verso
le
uniche
prestazioni
private,
tramite
copertura
di
assicurazioni
sanitarie.
La
questione
dei
rimborsi
è
davvero
spinosa.
Nel
corso
degli
anni
‘90
e a
tutt’oggi
gli
Stati
Uniti
sono
stati
il
paese
dal
maggior
consumo
di
medicinali
al
mondo,
medicinali
che
nel
corso
degli
anni
hanno
visto
il
loro
prezzo
aumentare
esponenzialmente.
Negli
Stati
Uniti,
infatti,
a
differenza
degli
altri
paesi,
il
prezzo
del
farmaco
è
discrezionale,
non
può
quindi
venire
concordato
in
tandem
dalle
compagnie
farmaceutiche
e lo
Stato.
Il
risultato
non
è
soltanto
un
prezzo
volubile,
ma
soprattutto,
il
carico
totale
della
spesa
per
la
messa
in
commercio
del
farmaco,
sull’acquirente.
In
totale
negli
Stati
Uniti,
ogni
individuo
spende
mediamente
per
acquisti
farmaceutici
o
spese
sanitarie
di
primo
livello,
circa
$
7000
l’anno.
A
fianco
delle
due
istituzioni
statali
esiste
però
un
mondo
parallelo
più
remunerativo.
Circa
200
milioni
di
americani
sono
coperti
da
una
polizza
assicurativa
sanitaria
privata.
Ed è
forse
in
mezzo
a
quest’enorme
massa
di
gente
che
si
cela
il
reale
pericolo
di
un
sistema
in
mano
alla
lobby
delle
assicurazioni.
La
maggior
parte
dei
cittadini
assicurati
riesce
a
ottenere
copertura
medica
tramite
l’occupazione
lavorativa.
Si
ha
un
lavoro,
di
conseguenza
si
riesce
a
ottenere
dalla
propria
impresa
un’assicurazione
(considerata
un
benefit
aziendale).
Le
polizze
assicurative,
però,
risultano
essere
spesso
eccessivamente
costose
(€
2000
per
dipendente
l’anno),
lasciando
all’impresa
la
libera
decisione
di
pagare
o
non
pagare…quindi
spesso
hai
un
lavoro,
ma
niente
assicurazione.
Solitamente,
se
l’impresa
ha
la
possibilità
di
garantire
una
polizza
ai
dipendenti,
si
rivolge
a
una
HMO
(Health
Maintenance
Organization),
organizzazione
per
il
mantenimento
della
salute,
che
a
fronte
di
una
quota
fissa
annuale,
garantisce
prestazioni
mediche
di
varia
natura,
in
strutture
private
e
con
personale
specializzato,
indicati
obbligatoriamente
dalla
HMO.
Esiste
inoltre,
ovviamente,
la
possibilità
di
stipulare
privatamente
una
polizza
sanitaria
assicurativa
a
rimborso
(la
più
costosa
in
assoluto),
o
convenzionale
(con
una
HMO).
Ma i
trucchi
si
sprecano.
In
linea
con
le
politiche
di
tutte
le
compagnie
assicurative
del
mondo,
una
malattia
può
anche
essere
coperta,
altre
no.
I
rimborsi
possono
quindi
essere
concessi,
altre
volte
no.
I
cavilli
sono
innumerevoli
e la
lettura
di
tutte
le
postille
di
un
contratto
assicurativo
richiederebbe
sforzo
disumano
e
pazienza
degna
di
Giobbe.
A
ogni
modo,
in
linea
generale,
se
hai
un’assicurazione
puoi
ammalarti,
altrimenti
potrai
ritrovarti
in
debito
con
lo
Stato
americano
per
migliaia
e
migliaia
di
dollari
in
spese
sanitarie,
rimborsabili
per
il
resto
di
tutta
la
vita,
in
comode
rate
mensili.
Il
paradosso
è
ovviamente
che
più
le
malattie
si
diffondono
(vedi
il
cancro),
più
si
raffina
l’avanguardia
tecnologica
medica,
crescono
quindi
i
costi
per
le
cure,
per
le
attrezzature
e
per
nuovissimi
e
innovativi
farmaci,
maggiore
di
conseguenza
diventa
la
richiesta
di
individui
singoli
per
la
copertura
assicurativa,
che,
a
quel
punto,
aumenta
a
dismisura
il
costo
delle
polizze.
Nel
2000,
il
“Journal
of
the
American
Medical
Association”
elevava
la
critica
nei
confronti
del
sistema
sanitario
fino
a
renderla
vera
e
propria
denuncia
sociale.
Secondo
una
ricerca,
nell’ultimo
ventennio,
il
malfunzionamento
dello
stesso
sistema,
con
la
bipartizione
capitalistica
tra
statale
e
privato,
ha
portato
alla
morte
di
quasi
230.000
persone.
45.000
persone
decedute,
nel
2008,
solo
perché
sprovviste
di
assicurazione.
La
terza
causa
di
morte
al
mondo,
dopo
le
malattie
incurabili
del
cuore
e le
agonie
senza
luce
dei
tumori.
A
rimpolpare
il
numero
ci
pensa
in
verità
anche
il
sistema
nazionale.
Circa
15.000
pazienti
sono
deceduti
in
seguito
a
cure
od
operazioni
non
necessarie...
In
altre
parole:
tu
entri
in
un
ospedale,
pubblico
o
privato
che
sia,
hai
male
magari
a un
braccio
e ti
operano
al
cuore
senza
motivo,
facendoti
morire
per
15.000
volte
sotto
i
ferri.
Di
certo
può
succedere
lì,
come
nel
nostro
paese,
che
di
mala
sanità
è un
esperto.
Ma
negli
Usa
la
motivazione
che
porta
all’intervento
inutile
(e
fatalmente
alla
morte)
è
diverso:
più
interventi
o
visite
effettui,
più
alto
sarà
il
rimborso
concesso
alla
strutture
dallo
Stato,
oppure,
maggiore
sarà
la
spesa
che
il
non
assicurato
si
troverà
a
dover
sborsare,
terminato
il
“sezionamento”.
Magie
del
denaro.
Il
paragone
è
molto
semplice:
Il
nostro
paese
(15°
nella
classifica
dei
migliori
sistemi
sanitari
al
mondo),
spende
all’anno
circa
l’8%
del
PIL
annuale
per
il
sistema
sanitario
nazionale,
sovvenzionandolo
con
fondi
statali
e
introiti
dai
pagamenti
dei
cosiddetti
ticket
(piccoli
pagamenti
per
cure
di
ogni
genere,
differenziati
a
seconda
del
reddito).
Gli
Stati
Uniti
ne
spendono
invece
circa
il
15%.
In
sostanza
il
sistema
sanitario
americano
è il
più
caro
al
mondo…
ma
allo
stesso
tempo
il
più
redditizio.
Come
abbiamo
visto,
in
gran
parte
questa
spesa
è a
carico
esclusivo
degli
utenti,
che
in
svariate
modalità,
riconducono
denaro
nelle
casse
dello
stato
o in
quelle
strabordanti
delle
compagnie
di
assicurazioni.
Se
si
aggiunge
inoltre
che
il
settore
delle
assicurazioni
private,
della
previdenza
e
dell’assistenza
sociale
è il
primo
settore
occupazionale
degli
Stati
Uniti,
al
cui
interno
lavorano
15,5
milioni
di
individui,
il
ragionamento
è
elementare.
Diventa
quasi
ovvia
la
risposta
alla
domanda
che
tutto
il
mondo
si
pone:
Perchè
gli
Usa,
da
sempre
decisa
bandiera
di
democrazia
e
integrazione
sociale,
uccidono
ogni
anno,
consapevolmente,
50.000
persone?
La
salute
è un
mercato,
un
commercio
di
individui,
dove
tutti
abbiamo
un
valore.
Ora,
dopo
16
anni
dall’ultimo
tentativo
di
iniziare
una
seria
riforma
sanitaria
a
opera
di
Bill
Clinton,
il
democratico
Obama
ci
riprova.
L’obiettivo
è
quello
di
fornire
un
vero
e
proprio
servizio
assicurativo,
ma
statale,
rivolto
a un
maggior
numero
di
americani
precari,
disoccupati,
invalidi
e
anziani,
che
potrebbero
avere
così
accesso
a
cure
sia
poco
che
molto
costose.
L’intervento
statale
sarebbe
quindi
massiccio.
La
riforma
prevedrebbe,
con
i
termini
di
Obama,
non
una
“statalizzazione”
totale,
ma
bensì
una
“razionalizzazione”
seria
e
oculata
del
sistema.
La
legge
provvederebbe,
infatti,
a
una
coordinazione
tra
le
già
esistenti
Medicare
e
Medicaid,
e un
mosaico
composito
di
organizzazioni
no
profit,
una
specie
appunto
di
assicurazioni
pubbliche,
finanziate
dallo
Stato,
che
servirebbero
a
mediare
il
mercato
con
le
assicurazioni
sanitarie
private.
In
qualche
modo
istituirebbe
una
terza
via
mediana
tra
il
sociale
e il
privato.
Fin
dalla
sua
prima
esposizione,
il
progetto
ha
incontrato
varie
problematiche.
Avversioni
alla
riforma
sono
state
ostentate
non
solo
dai
repubblicani,
oscurati
nell’ultimo
anno
dall’ascesa
inarrestabile
del
nuovo
leader
della
nazione,
ma
anche
dalla
frangia
più
conservatrice
dello
stesso
partito
democratico
e
dalla
parte
dei
“blue
dogs”,
democratici
moderati.
Lo
spauracchio
del
socialismo
è
esposto,
quotidianamente,
all’opinione
pubblica
americana.
Lo
spirito
di
iniziativa,
le
sue
idee
di
rinnovamento
e la
questione
interrazziale
che
porta
sul
suo
volto,
hanno
fatto
vincere
l’elezione
a
Barack
Obama.
Ora
la
cittadinanza
votante
è
però
confinata
a
semplice
spettatrice
e i
suoi
stessi
punti
forti
sono
diventati,
davanti
al
congresso
e al
senato,
punti
deboli.
Il
bolscevico
Obama
può
essere
una
minaccia
al
sistema
capitalistico
americano.
E i
dati
purtroppo
parlano
chiaro.
Nonostante
la
massiccia
presenza,
nell’ultima
settimana,
del
presidente
in
numerose
emittenti
televisive,
con
lo
scopo
di
promuovere
e
chiarire
la
riforma
in
molti
punti,
il
sostegno
alla
legge
tra
il
popolo
è
solo
al
48%.
Il
13
settembre
un
migliaio
di
cittadini
hanno
stazionato
di
fronte
all’ingresso
della
Casa
bianca
per
ore.
Un
folto
numero
di
repubblicani
sono
scesi
in
piazza
a
protestare
contro
un
governo
“impazzito”
e
una
riforma
“che
aggraverebbe
enormemente
il
debito
pubblico”
e
“dai
tratti
comunisti”.
A
questo
punto
l’America
è a
un
bivio.
I
cambiamenti,
si
sa,
fanno
paura.
Piccoli
o
grandi
che
siano.
Obama
rimarrà
forse
come
il
presidente
più
rivoluzionario,
più
eloquente,
acculturato
e
impegnato
della
storia
americana.
Basterà
Lui
con
la
sua
voce
rassicurante,
le
sue
parole,
piene
di
coraggio,
le
sue
scelte,
scevre
di
tornaconti
economici,
le
sue
idee,
al
passo
con
la
società
e
l’ambiente,
a
far
cambiare
rotta
a un
popolo
confuso
e
impaurito?
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