N. 142 - Ottobre 2019
(CLXXIII)
l'uomo che si rifiutò di salutare hitler
UNA
FOTO
COME
SIMBOLO
DI
LIBERTà
di
Paolo
Ponga
Nel
1991
è
stata
ritrovata
una
fotografia
scattata
in
Germania
durante
il
pieno
potere
hitleriano,
il
13
giugno
1936.
Questa
foto,
esposta
al
centro
di
documentazione
“Topografia
del
terrore”,
presso
il
vecchio
quartier
generale
della
Gestapo
a
Berlino,
è
stata
poi
pubblicata
sul
giornale
Die
Zeit.
Avendo
suscitato
grande
interesse
e
curiosità
in
Germania,
nel
1995
il
quotidiano
Hamburger
Abendblatt
lanciò
un
appello
per
dare
un
nome
al
suo
protagonista.
Quale
il
motivo
di
tanta
notorietà?
La
fotografia
ritrae
una
folla
di
persone
mentre
fanno
il
saluto
nazista
a
braccia
tese.
In
mezzo
alla
folla
si
vede
un
uomo
a
braccia
conserte,
nel
chiaro
atteggiamento
di
chi
dice
NO.
L’uomo
è
diventato
in
breve
un
simbolo
di
resistenza,
o
meglio
di
“resilienza”:
è
così
detta
la
capacità
di
un
metallo
di
resistere
allo
stress
senza
rompersi.
Il
vocabolo
deriva
dal
latino
resalio,
che
indicava
la
perseveranza
di
chi
risaliva
su
una
barca
rovesciata
dal
mare.
È
quindi
ciò
che
identifica
la
capacità
umana
di
non
mollare,
di
saper
affrontare
le
difficoltà
ricostruendo
da
esse
la
propria
vita
senza
perdere
la
propria
umanità.
Quale
fu
l’occasione
e
chi
era
questo
uomo
coraggioso?
La
prima
risposta
è
cosa
certa.
Era
il
13
giugno
1936
ad
Amburgo,
una
domenica.
I
cantieri
Blohm
und
Voss
avevano
terminato
la
costruzione
della
nave
scuola
intitolata
a
Horst
Vessel,
un
fervente
nazista
che
aveva
composto
l’inno
del
partito
ed
era
morto
in
circostanze
misteriose
nel
1930,
a
seguito
di
un
colpo
di
pistola.
Per
il
varo,
era
presente
Rudolf
Hess
con
un
discorso
teso
a
incitare
la
folla
composta
dagli
operai
della
fabbrica,
mentre
lo
stesso
Adolf
Hitler
presenziava
alla
cerimonia.
Naturale
quindi
che
tutti
i
presenti,
per
aderenza
politica
o
semplice
paura,
rispondessero
facendo
il
saluto
e
inneggiando
al
Fuhrer.
Tutti,
tranne
uno.
Chi
era
questo
coraggioso?
In
questo
caso,
la
risposta
si
fa
più
difficile.
Le
possibilità
sono
due,
e
non
potremo
mai
sapere
con
certezza
quale
fra
i
due
uomini
di
cui
parleremo
fu
colui
che
ebbe
un
così
grande
coraggio.
Le
loro
storie
furono
molto
diverse:
una
tragica,
la
seconda
semplicemente
carica
di
forza
e
umiltà.
Quando
Die
Zeit
nel
1991
pubblicò
la
fotografia,
le
signore
Ingrid
e
Irene
Eckler
vollero
vedere
in
essa
l’immagine
del
padre,
morto
molti
anni
prima.
Il
suo
nome
era
August
Landmesser
e la
sua
storia
venne
da
esse
narrata
in
un
libro
pubblicato
nel
1996.
August
era
nato
nel
1910.
Nel
1931,
all’età
di
21
anni,
si
iscrisse
al
partito
nazionalsocialista
perché
convinto,
come
altri
milioni
di
uomini
in
quegli
anni
di
crisi,
che
l’avrebbe
aiutato
a
trovare
lavoro.
Nel
1934
incontrò
il
grande
amore
della
sua
vita:
Irma
Eckler,
una
giovane
ragazza
ebrea
che
sposò
l’anno
successivo
e
dalla
quale
ebbe
due
figlie,
Ingrid
nel
1935
e
Irene
nel
1937.
Nell’agosto
1935
entrarono
però
in
vigore
le
leggi
razziali
di
Norimberga
e
l’ufficio
del
registro
del
comune
di
Amburgo
si
rifiutò
di
riconoscere
il
matrimonio,
mentre
Landmesser
venne
espulso
dal
partito
con
l’accusa
di
disonorare
la
razza.
Alle
figlie
fu
quindi
dato
il
cognome
della
madre.
Nel
1937
August
decise
di
fuggire
dalla
Germania
con
la
famiglia,
ma
venne
arrestato
ai
confini
con
la
Danimarca
e
accusato
nuovamente
di
aver
violato
le
leggi
razziali
e di
aver
umiliato
il
popolo
tedesco
per
aver
inquinato
il
sangue
ariano
con
quello
di
una
razza
inferiore.
Uscito
dal
campo
di
prigionia
di
Borgermoor
dopo
una
breve
detenzione,
venne
poco
dopo
nuovamente
arrestato
per
essere
tornato
dalla
sua
famiglia;
questa
volta
venne
condannato
a 30
mesi
di
lavori
forzati
in
un
campo
di
concentramento.
Irma
venne
anch’essa
arrestata
in
quanto
responsabile
di
aver
disonorato
la
razza
di
un
uomo
tedesco;
rinchiusa
dapprima
nel
campo
di
Fuhlsbuttel
ad
Amburgo,
venne
poi
trasferita
nei
campi
di
concentramento
femminili
di
Oranienburg
e
Ravensbruck.
Morì
probabilmente
il
28
aprile
1942
nell’istituto
sanitario
di
Bernburg,
dove
i
medici
nazisti
erano
soliti
praticare
l’eutanasia
sui
malati
mentali;
non
riuscì
quindi
a
rivedere
mai
più
l’amato
August.
Ingrid
fu
affidata
alla
nonna
paterna,
mentre
Irene
finì
dapprima
in
un
orfanotrofio
e
poi
da
dei
lontani
parenti.
Landmesser
uscì
dal
campo
di
concentramento
nel
gennaio
1941
e fu
assegnato
ai
lavori
forzati,
fino
a
che
nel
febbraio
1944,
a
causa
del
disastroso
andamento
della
guerra
sul
fronte
orientale,
fu
arruolato
nel
19°
battaglione
di
fanteria
della
Strafdivision
999.
I
battaglioni
di
disciplina,
presenti
negli
eserciti
di
molte
nazioni,
erano
unità
militari
penali
di
fanteria,
formati
in
tempo
di
guerra
da
condannati
civili
o
militari.
Le
percentuali
di
sopravvivenza
erano
molto
basse,
in
quanto
dovevano
affrontare
le
operazioni
più
pericolose
come
bonificare
campi
minati,
assaltare
forti
unità
nemiche
o
difendere
posizioni
con
scarse
probabilità
di
successo.
Quando
feriti,
non
venivano
curati
dai
medici
militari
in
quanto
questi
avevano
l’ordine
di
non
curare
i
membri
dei
battaglioni
di
disciplina;
infine
i
cadaveri
non
venivano
seppelliti,
ma
lasciati
sul
terreno.
Celebri
i
romanzi
che
narrano
le
vicende
di
uno
di
questi
battaglioni,
raccontate
dal
famoso
scrittore
tedesco
di
origine
danese
Sven
Hassel.
August
Landmesser
non
sopravvisse
alla
guerra,
risultando
disperso
durante
un’azione
militare
contro
i
partigiani
di
Tito
vicino
alla
località
di
Stagno,
in
Croazia.
Nell’autunno
del
1951,
finiti
gli
orrori
del
nazismo
e
della
guerra
perduta,
il
municipio
di
Amburgo
riconobbe
ufficialmente
il
matrimonio
di
Irma
e
August;
le
due
figlie
ricevettero
quindi
il
cognome
del
padre.
Il
secondo
uomo,
altro
possibile
protagonista
della
fotografia,
si
chiamava
Gustav
Wegert.
Anche
in
questo
caso
fu
un
figlio
a
volerlo
riconoscere,
dopo
aver
visto
l’immagine
pubblicata
sul
giornale
di
Amburgo
nel
1995.
Gustav
era
un
operaio
specializzato
della
Blohm
und
Voss,
di
cui
erano
riconosciute
le
grandi
capacità
in
un
periodo
storico
in
cui
vi
era
una
grande
produzione
di
navi
militari
e la
necessità
quindi
di
manodopera
specializzata.
Era
profondamente
cristiano
e
non
gradiva
l’esoterismo
e
l’esaltazione
del
partito
nazionalsocialista.
Tanto
che,
malgrado
le
paure
e le
raccomandazioni
della
moglie,
non
riuscì
mai
a
rispondere
al
saluto
“Heil
Hitler”
se
non
con
un
più
semplice
e
comune
“Guten
Tag”,
buona
giornata.
Il
13
giugno
1936
era
molto
contrariato,
perché
il
regime
lo
costringeva
a
partecipare
a
una
cerimonia
di
varo
per
la
gloria
del
Fuhrer:
la
domenica
era
invece
il
giorno
di
nostro
Signore
e
doveva
essere
a
lui
dedicato.
Da
qui
il
suo
rifiuto
di
tendere
il
braccio,
tenuto
invece
incrociato
con
l’altro.
La
sua
salvezza
furono
i
superiori,
che
lo
protessero
per
le
sue
grandi
qualità
nel
lavoro
e la
sua
integrità
morale,
e
forse
una
disattenzione
dell’apparato
spionistico
interno
allo
stato
tedesco.
In
effetti,
se
la
somiglianza
con
Landmesser
esiste
certamente,
quella
con
Wegert
è
impressionante,
come
dimostra
la
fotografia
in
cui
viene
ritratto
nel
1948,
12
anni
più
tardi.
Sicuramente
la
storia
di
August
è
molto
più
tragica
e
toccante,
e
quindi
fa
propendere
l’attribuzione
dell’immagine
alla
sua
figura,
mentre
dalla
sua
Gustav
ha
solo
il
suo
senso
dell’ordine,
dell’onestà
e
dell’onore.
Ma
alla
fine
ha
davvero
una
così
grande
importanza
sapere
quale
dei
due
fosse
il
vero
protagonista?
Ciò
che
conta
è
dopotutto
che
due
uomini
fra
mille
abbiano
avuto
il
coraggio
di
dire
no,
di
ribellarsi
al
potere
e al
sistema
ingiusto.
Per
questo
l’immagine
è
così
ricca
di
fascino:
viene
automatico
parteggiare
per
l’uomo
a
braccia
conserte,
che
risalta
particolarmente
essendo
completamente
fuori
dal
coro.
Non
si
conosce
in
realtà
il
motivo
per
cui
lo
faccia,
la
molla
che
dà
vita
alla
sua
scelta.
Ma
viene
spontaneo
identificarsi
in
lui,
tanto
da
essere
ristampato
su
poster
e
magliette
che
lo
indicano
con
la
scritta
“Be
This
Guy”,
sii
come
questo
uomo.
E
come
sarebbe
andata
se
molti
altri
avessero
fatto
come
lui?